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Caffé Letterario

Pier Paolo Pasolini

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    sergio.T
    00 27/03/2008 11:20
    Pier Paolo Pasolini (Bologna, 5 marzo 1922 – Ostia, 2 novembre 1975) è stato uno scrittore, poeta e regista italiano.

    Pasolini è considerato, a livello internazionale, uno dei maggiori artisti e intellettuali italiani del nostro tempo. Dotato di un'eccezionale versatilità culturale, si è distinto in numerosi campi, lasciando notevoli contributi come letterato, filosofo, linguista, giornalista e cineasta. È stato un attento e lucido osservatore della trasformazione della società dal dopoguerra sino alla metà degli anni settanta, suscitando spesso forti polemiche e accesi dibattiti per la radicalità dei suoi giudizi, assai critici nei riguardi delle abitudini borghesi e della nascente società dei consumi, ma anche nei confronti del Sessantotto e dei suoi protagonisti. Molti dei suoi scritti e delle sue visioni artistiche, spesso in equilibrio tra lirismo e impegno civile, si sono rivelati col tempo profetici
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    sergio.T
    00 27/03/2008 11:22
    « L'altro è sempre infinitamente meno importante dell'io ma sono gli altri che fanno la storia. »

    Pasolini
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    sergio.T
    00 28/03/2008 09:21
    Chissa' cosa penserebbe Pasolini delle prossime elezioni; e chissa' cosa penserebbe della politica moderna.
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    sergio.T
    00 28/03/2008 09:28
    Non c'e' uno scrittore che sia uno soltanto, che in questi giorni stia partecipando attivamente a un dibattito critico della situazione politica italiana.
    Quelli che compaiono in tv sono, infatti , tutti impegnati in trasmissioncelle frivole, frivole.
    Oppure se ne vanno in giro a presenziare i loro libri.
    Forse non me ne sono accorto io, ma ho la netta sensazione che la figura scrittore / intellettuale ( con riserva) sia demode'.
    Non interessa piu' a nessuno una critica sociale: se si fa un paragone con la letteratura sociale degli anni 50, allora ben si capira' come quella odierna non somigli nemmeno lontanamente ad una attiva critica tematica.
    Tutto tace.
    O se qualcuno spinge verso una certa direzione, lo deve fare probabilmente, in salotti tanto ristretti da risultare inacessibili al pubblico generale.
    Strano di come a posto degli intellettuali , oggi siano i comici a scendere in prima persona con la satira.
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    mujer
    00 28/03/2008 09:34
    Lo scandalo del contraddirmi, dell'essere
    con te e contro di te; con te nel cuore,
    in luce, contro te nelle buie viscere;

    del mio paterno stato traditore
    - nel pensiero, in un'ombra di azione -
    mi so ad esso attaccato nel calore

    degli istinti, dell'estetica passione;
    attratto da una vita proletaria
    a te anteriore, è per me religione

    la sua allegria, non la millenaria
    sua lotta: la sua natura, non la sua
    coscienza; è la forza originaria

    dell'uomo, che nell'atto s'è perduta,
    a darle l'ebbrezza della nostalgia,
    una luce poetica: ed altro più

    io non so dirne, che non sia
    giusto ma non sincero, astratto
    amore, non accorante simpatia.

    da Le ceneri di Gramsci - PPP


    Per Pasolini è il popolo che deve svegliarsi. Gramsci è la storia, la contrapposizione al progresso.
    Le ceneri sono la denuncia dell'abbandono della storia e del lascito politico di Gramsci.

    I compagni e le compagne non conoscono Gramsci, né Togliatti; se dici comunismo citano D'Alema.
    E questa cosa è tristissima.
    Meglio che Pasolini non sia qui a vedere questo scempio.
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    sergio.T
    00 28/03/2008 09:52
    probabilmente e' meglio.
    Finira' cosi' in questa nazione desolata: il 13 aprile gli italiani mesti , mesti, si recheranno alle urne. Chi votera' Veltroni, chi Berlusconi, chi altri ancora.
    Alla sera torneranno a casa, apriranno la tv e vedranno i risultati: ha vinto questo, ha vinto quello.
    All'indomani sveglia alla solita ora: tutti in piedi e tutti alle proprie mansioni.
    I politici vincenti , invece, smetteranno le loro promesse ( anche Gesu' " il primo socialista" smettera' i propri miracoli) e ricominceranno il loro lavoro di " apparenza e niente di piu'"; i perdenti riprenderanno la loro " finta" opposizione, che in realta' sara' la solita tacita convivenza parlamentare all'insegna di un " mangia mangia generale".
    La cosa piu' grave e' che oramai questo fenomeno e' assorbito con estrema naturalezza da quasi 40 anni a questa parte: la gente e' rassegnata, gli intellettuali silenziosi, le giovani leve menefreghiste, ma menefreghiste di quel menefreghismo egoista e non indignato.
    Tutto continuera' come prima, niente cambiaera'.

    Pasolini diceva: non sanno piu' cos'e' una rivoluzione e lo diceva 30 anni fa.
    Figurati oggi che direbbe.
    Persino un gande come lui diverrebbe qualunquista: " chi se ne frega di una massa cosi'", penserebbe.
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    sergio.T
    00 28/03/2008 10:08
    I ricchi di spirito
    Il popolo , Julia, e' un concetto in disuso , perche' in disuso e' il concetto di individuo.
    L'individuo con le sue idee non esiste piu': meglio, ce ne sono pochissimi, oramai.
    Il popolo viene ad alzare la voce se prima ogni individuo ha messo in chiaro le cose con se stesso; io la penso in questo modo, io ritengo che, a me non va bene...e cosi' via, fino a quando l'individuo capisce che altri , come lui, la pensano allo stesso modo.
    Il popolo nasce quando il singolo non si svende al sistema.
    Questo e' il segreto.
    In Italia la merce piu' svalutata e' l'individuo. Abbiamo individui a saldi e liquidazioni. Ognuno vende un proprio principio in cambio di una comodita': ho visto individui venire meno a qualsiasi punto d'intento con se stessi, per avere in cambio favori e preferenze quasi ridicoli.
    La politica poi! li' e' un festival della svendita.

    Il popolo, in Italia, e' obsoleto: bisognerebbe autofatturarlo come si autofattura un bene strumentale in oblio: bisognerebbe escluderlo dal patrimoniale della coscienza di nazione italiana.
    Sai che ti dico? in italia , l'individuo guarda solo il conto economico, i ricavi e i costi.
    L'aspetto patrimoniale ( la storia, la tradizione, il patrimonio ereditato) , non viene piu' preso in considerazione.
    Il ricavo immediato e' l'imperativo principe: e quando un azienda cura solo il conto economico e non quello patrimoniale, stai sicura, che quella azienda e' destinata al fallimento.
    Dall'opulenza momentanea , in breve tempo, tornera' alla straccioneria permanente, unica sua reale condizione esistenziale.
    Se si nasce " straccioni" per natura, la storia, la tradizione, non avranno nessun significato: queste sono cose per i ricchi di spirito.
    [Modificato da sergio.T 28/03/2008 10:11]
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    mujer
    00 24/07/2008 16:00
    Questa stanza, dopo le vacanze, si popolerà di belle riflessioni del Sergio.
    Non vedo l'ora!
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    sergio.T
    00 24/07/2008 16:42
    Conosco Pasolini per i suoi romanzi Una vita violenta e Ragazzi di strada: mi e' piaciuto molto.
    Mi e' piaciuta la sua sensibilita' che ha qualcosa - come fosse una contraddizione- del disincanto.

    Ho letto alcune sue posizioni sociali economiche: mi piacciono molto e le condivido.

    Ma del suo pensiero corsaro non conosco altro: probabilmente non trovero' una condivisione in toto, ma ho l'impressione che sia scrittore che ad ogni modo rispettero'.

    Un po' come il Che, uomo che una volta conosciuto - seppur su un altra barricata della visione del mondo - ha conquistato la mia stima.
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    sergio.T
    00 01/09/2008 10:52
    Scritti corsari: il miglior libro letto quest'estate.
    Non mi aspettavo qualcosa di cosi' profondo, di cosi' intelligentemente critico.
    Ecco: questo libro e' l'esempio perfetto di cosa voglia dire " essere un intellettuale", di quegli intellettuali oramai scomparsi dalla scena moderna.
    E di sfuggita s'intenda come " intellettuale" sia da leggere non in modo canonico, quasi pedantesco, ma come " autore" vicino alla societa' e ai suoi tempi.
    Con coraggio, con forza, al di sopra delle bieche parti di sinistra e destra, autori come Pasolini, rappresentano quella lente d'ingrandimento sui tempi moderni, sui quei tempi che hanno finito d'essere quel grande imbroglio almeno per le menti fini.
    E Pasolini l'aveva finissima.
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    sergio.T
    00 01/09/2008 11:00
    Straordinario la sua interpretazione del fascismo: fascismo moderno come consumismo, fascismo moderno come cultura dell'abbattimento di ogni individualita' nella omologazione globale.


    Il capovolgimento del proletariato in borghesia: il proletario desidera il benessere come ciascuno d'altro. In questo desiderio , in fondo, e' gia' un borghese e Pasolin non si lascia prendere da simpatia o partecipazione: inchioda il " proletario" moderno alle sue responsabilita'. Proletario? no! borghese nei desideri e dunque borghese nell'animo.

    Il borghese, invece, come il proletario al contrario: avendo gia' un certo benessere rasente il massimo della sua disponibilita' economica, non puo' ulteriormente saltare oltre, e dunque, rimane come una sorta di proletario nel suo desiderare, nel suo animo.

    Questo capovolgimento e' straordinario per come fotografa l'accezione borghese e proletaria non tanto per la condizione di vita economica, sociale, politica, ma nel suo substrato piu' profondo: il desiderio, ovvero l'animo. Difficile sfuggire a una lente cosi': persino i compagni" vengono messi sotto i ferri della sua penna incandescente e impareggiabilmente intelligente.

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    sergio.T
    00 01/09/2008 11:21
    La parola borghesia in senso dispregiativo risulta sulla bocca di Pasolini meno spiacevole ad ascoltare e sapete il perche'? perche' la sua critica non e' stereotipata, e nemmeno e' per partito preso. E una parola dosata a seconda delle condizioni.
    Per altro Pasolini , uomo certamente di sinistra, non ha niente del classico " asino comunista"; non ha talmente niente che sorge spontanea la domanda: ma siamo sicuri che Pier Paolo sia davvero di sinistra? oppure che la sua sarebbe davvero un " altra" sinistra? mai esistita, forse?
    [Modificato da sergio.T 01/09/2008 11:22]
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    sergio.T
    00 01/09/2008 11:25
    Nella Klein ricorre spesso la parola sistema per il consumismo.
    Riguardo allo stesso tema in Pasolini ricorre , invece, la parola individuo: ecco la differenza basilare che fa della prima un'approssimativa lettrice della realta' ( streotipata quasi nella stessa misura) e del secondo, invece, un lettore acuto, fine, perspicace.
    Come a dire: Pasolini sente ancora l'individuo al centro di tutto.
    Anche della critica.
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    sergio.T
    00 01/09/2008 17:52
    Discorso sui ( o contro) i capelli lunghi.
    La prima volta che ho visto i capelloni, è stato a Praga. Nella hall dell’albergo dove alloggiavo sono entrati due giovani stranieri, con i capelli lunghi fino alle spalle. Sono passati attraverso la hall, hanno raggiunto un angolo un po’ appartato e si sono seduti a un tavolo. Sono rimasti lì seduti per una mezzoretta, osservati dai clienti, tra cui io; poi se ne sono andati. Sia passando attraverso la gente ammassata nella hall, sia stando seduti nel loro angolo appartato, i due non hanno detto parola (forse - benché non lo ricordi - si sono bisbigliati qualcosa tra loro: ma, suppongo, qualcosa di strettamente pratico, inespressivo).
    Essi, infatti, in quella particolare situazione - che era del tutto pubblica, o sociale, e, starei per dire, ufficiale - non avevano affatto bisogno di parlare. Il loro silenzio era rigorosamente funzionale. E lo era semplicemente, perché la parola era superflua. I due, infatti, usavano per comunicare con gli astanti, con gli osservatori - coi loro fratelli di quel momento - un altro linguaggio che quello formato da parole.
    Ciò che sostituiva il tradizionale linguaggio verbale, rendendolo superfluo - e trovando del resto immediata collocazione nell’ampio dominio dei «segni», nell’ambito ciò della semiologia - era il linguaggio dei loro capelli.
    Si trattava di un unico segno - appunto la lunghezza dei loro capelli cadenti sulle spalle - in cui erano concentrati tutti i possibili segni di un linguaggio articolato Qual era il senso del loro messaggio silenzioso ed esclusivamente fisico?
    Era questo: «Noi siamo due Capelloni. Apparteniamo a una nuova categoria umana che sta facendo la comparsa nel mondo in questi giorni, che ha il suo centro in America e che, in provincia (come per esempio anzi, soprattutto - qui a Praga) è ignorata. Noi siamo dunque per voi una Apparizione. Esercitiamo il nostro apostolato, già pieni di un sapere che ci colma e ci esaurisce totalmente. Non abbiamo nulla da aggiungere oralmente e razionalmente a ciò che fisicamente e ontologicamente dicono i nostri capelli. Il sapere che ci riempie, anche per tramite del nostro apostolato, apparterrà un giorno anche a voi. Per ora è una Novità, una grande Novità, che crea nel mondo, con lo scandalo, un’attesa: la quale non verrà tradita. I borghesi fanno bene a guardarci con odio e terrore, perché ciò in cui consiste la lunghezza dei nostri capelli li contesta in assoluto. Ma non ci prendano per della gente maleducata e selvaggia: noi siamo ben consapevoli della nostra responsabilità. Noi non vi guardiamo, stiamo sulle nostre. Fate così anche voi, e attendete gli Eventi».
    Io fui destinatario di questa comunicazione, e fui anche subito in grado di decifrarla: quel linguaggio privo di lessico, di grammatica e di sintassi, poteva essere appreso immediatamente, anche perché, semiologicamente parlando, altro non era che una forma di quel «linguaggio della presenza fisica» che da sempre gli uomini sono in grado di usare.
    Capii, e provai una immediata antipatia per quei due.
    Poi dovetti rimangiarmi l’antipatia, e difendere i capelloni dagli attacchi della polizia e dei fascisti: fui naturalmente, per principio, dalla parte del Living Theatre, dei Beats ecc.: e il principio che mi faceva stare dalla loro parte era un principio rigorosamente democratico.
    I capelloni diventarono abbastanza numerosi - come i primi cristiani: ma continuavano a essere misteriosamente silenziosi; i loro capelli lunghi erano il loro solo e vero linguaggio, e poco importava aggiungervi altro. Il loro parlare coincideva col loro essere. L’ineffabilità era l’ars retorica della loro protesta.

    Cosa dicevano, col linguaggio inarticolato consistente nel segno monolitico dei capelli, i capelloni nel ‘66-67?
    Dicevano questo: «La civiltà consumistica ci ha nauseati. Noi protestiamo in modo radicale. Creiamo un anticorpo a tale civiltà, attraverso il rifiuto. Tutto pareva andare per il meglio, eh? La nostra generazione doveva essere una generazione di integrati? Ed ecco invece come si mettono in realtà le cose. Noi opponiamo la follia a un destino di executives. Creiamo nuovi valori religiosi nell’entropia borghese, proprio nel momento in cui stava diventando perfettamente laica ed edonistica. Lo facciamo con un clamore e una violenza rivoluzionaria (violenza di non-violenti!) perché la nostra critica verso la nostra società è totale e intransigente».
    Non credo che, se interrogati secondo il sistema tradizionale del linguaggio verbale, essi sarebbero stati in grado di esprimere in modo cosi articolato l’assunto dei loro capelli: fatto sta che era questo che essi in sostanza esprimevano. Quanto a me, benché sospettassi fin da allora che il loro «sistema di segni» fosse prodotto di una sottocultura di protesta che si opponeva a una sottocultura di potere, e che la loro rivoluzione non marxista fosse sospetta, continuai per un pezzo a essere dalla loro parte, assumendoli almeno nell’elemento anarchico della mia ideologia.
    Il linguaggio di quei capelli, anche se ineffabilmente, esprimeva «cose» di Sinistra. Magari della Nuova Sinistra, nata dentro l’universo borghese (in una dialettica creata forse artificialmente da quella Mente che regola, al di fuori della coscienza dei Poteri particolari e storici, il destino della Borghesia).
    Venne il 1968. I capelloni furono assorbiti dal Movimento Studentesco; sventolarono con le bandiere rosse sulle barricate. Il loro linguaggio esprimeva sempre più «cose» di Sinistra. (Che Guevara era capellone ecc.)
    Nel 1969 - con la strage di Milano, la Mafia, gli emissari dei colonnelli greci, la complicità dei Ministri, la trama nera, i provocatori - i capelloni si erano enormemente diffusi: benché non fossero ancora numericamente la maggioranza, lo erano però per il peso ideologico che essi avevano assunto. Ora i capelloni non erano più silenziosi: non delegavano al sistema segnico dei loro capelli la loro intera capacità comunicativa ed espressiva. Al contrario, la presenza fisica dei capelli era, in certo modo, declassata a funzione distintiva. Era tornato in funzione l’uso tradizionale del linguaggio verbale. E non dico verbale per puro caso. Anzi, lo sottolineo. Si è parlato tanto dal ‘68 al ‘70, tanto, che per un pezzo se ne potrà fare a meno: si è dato fondo alla verbalità, e il verbalismo è stata la nuova ars retorica della rivoluzione (gauchismo, malattia verbale del marxismo!).
    Benché i capelli - riassorbiti nella furia verbale - non parlassero più autonomamente ai destinatari frastornati, io trovai tuttavia la forza di acuire le mie capacità decodificatrici, e, nel fracasso, cercai di prestare ascolto al discorso silenzioso, evidentemente non interrotto, di quei capelli sempre più lunghi.
    Cosa dicevano, essi, ora? Dicevano: «Sì, è vero, diciamo cose di Sinistra; il nostro senso - benché puramente fiancheggiatore del senso dei messaggi verbali - è un senso di Sinistra... Ma... Ma...».
    II discorso dei capelli lunghi si fermava qui: lo dovevo integrare da solo. Con quel «ma» essi volevano evidentemente dire due cose: 1) «La nostra ineffabilità si rivela sempre più di tipo irrazionalistico e pragmatico: la preaminenza che noi silenziosamente attribuiamo all’azione è di carattere sottoculturale, e quindi sostanzialmente di destra» 2) «Noi siamo stati adottati anche dai provocatori fascisti, che si mescolano ai rivoluzionari verbali (Il verbalismo può portare però anche all’azione, soprattutto quando la mitizza): e costituiamo una maschera perfetta, non solo dal punto di vista fisico - il nostro disordinato fluire e ondeggiare tende a omologare tutte le facce - ma anche dal punto di vista culturale: infatti una sottocultura di Destra può benissimo essere confusa con una sottocultura di Sinistra».

    Insomma capii che il linguaggio dei capelli lunghi non esprimeva piú «cose» di Sinistra, ma esprimeva qualcosa di equivoco, Destra-Sinistra, che rendeva possibile la presenza dei provocatori.
    Una diecina d’anni fa, pensavo, tra noi della generazione precedente, un provocatore era quasi inconcepibile (se non a patto che fosse un grandissimo attore): infatti la sua sottocultura si sarebbe distinta, anche fisicamente, dalla nostra cultura. L’avremmo conosciuto dagli occhi, dal naso, dai capelli! L’avremmo subito smascherato, e gli avremmo dato subito la lezione che meritava. Ora questo non è più possibile. Nessuno mai al mondo potrebbe distinguere dalla presenza fisica un rivoluzionario da un provocatore. Destra e Sinistra si sono fisicamente fuse.
    Siamo arrivati al 1972.
    Ero, questo settembre, nella cittadina di Isfahan, nel cuore della Persia. Paese sottosviluppato, come orrendamente si dice, ma, come altrettanto orrendamente si dice, in píeno decollo.
    Sull’Isfahan di una diecina di anni fa - una delle più belle città del mondo, se non chissà, la più bella - è nata una Isfahan nuova, moderna e bruttissima. Ma per le sue strade, al lavoro, o a passeggio, verso sera, si vedono i ragazzi che si vedevano in Italia una diecina di anni fa: figli dignitosi e umili, con le loro belle nuche, le loro belle facce limpide sotto i fieri ciuffi innocenti. Ed ecco che una sera, camminando per la strada principale, vidi, tra tutti quei ragazzi antichi, bellissimi e pieni dell’antica dignità umana, due esseri mostruosi: non erano proprio dei capelloni, ma i loro capelli erano tagliati all’europea, lunghi di dietro, corti sulla fronte, resi stopposi dal tiraggio, appiccicati artificialmente intorno al viso con due laidi ciuffetti sopra le orecchie.
    Che cosa dicevano questi loro capelli? Dicevano: «Noi non apparteniarno al numero di questi morti di fame, di questi poveracci sottosviluppati, rimasti indietro alle età barbariche Noi siamo impiegati di banca, studenti, figli di gente arricchita che lavora nelle società petrolifere; conosciamo l’Europa, abbiamo letto. Noi siamo dei borghesi: ed ecco qui i nostri capelli lunghi che testimoniano la nostra modernità internazionale di pri. vilegiati ».
    Quei capelli lunghi alludevano dunque a «cose» di Destra.
    Il ciclo si è compiuto. La sottocultura al potere ha assorbito la sottocultura all’opposizione e l’ha fatta propria: con diabolica abilità ne ha fatto pazientemente una moda, che, se non si pu proprio dire fascista nel senso classico della parola, è però di una «estrema destra» reale.

    Concludo amaramente. Le maschere ripugnanti che i giovani si mettono sulla faccia, rendendosi laidi come le vecchie puttane di una ingiusta iconografia, ricreano oggettivamente sulle loro fisionomie ciò che essi solo verbalmente hanno condannato per sempre. Sono saltate fuori le vecchie facce da preti, da giudici, da ufficiali, da anarchici fasulli, da impiegati buffoni, da Azzeccagarbugli, da Don Ferrante, da mercenani, da imbroglioni, da benpensanti teppisti. Cioè la condanna radicale e indiscriminata che essi hanno pronunciato contro i loro padri - che sono la storia in evoluzione e la cultura precedente - alzando contro di essi una barriera insormontabile, ha finito con l’isolarli, impedendo loro, coi loro padri, un rapporto dialettico. Ora, solo attraverso tale rapporto dialettico - sia pur drammatico ed estremizzato - essi avrebbero potuto avere reale coscienza storica di sé, e andare avanti, «superare» i padri. Invece l’isolamento in cui si sono chiusi - come in un mondo a parte, in un ghetto riservato alla gioventù - li ha tenuti fermi alla loro insopprimibile realtà storica: e ciò ha implicato - fatalmente - un regresso. Essi sono in realtà andati più indietro dei loro padri, risuscitando nella loro anima terrori e conformismi, e, nel loro aspetto fisico, convenzionalità e miserie che parevano superate per sempre.
    Ora così i capelli lunghi dicono, nel loro inarticolato e ossesso linguaggio di segni non verbali, nella loro teppistica iconicità, le «cose» della televisione o delle réclames dei prodotti, dove è ormai assolutamente inconcepibile prevedere un giovane che non abbia i capelli lunghi: fatto che, oggi, sarebbe scandaloso per il potere.
    Provo un immenso e sincero dispiacere nel dirlo (anzi, una vera e propria disperazione): ma ormai migliaia e centinaia di migliaia di facce di giovani italiani, assomigliano sempre più alla faccia di Merlino. La loro libertà di portare i capelli come vogliono, non è più difendibile, perché non è più libertà. È giunto il momento, piuttosto, di dire ai giovani che il loro modo di acconciarsi è orribile, perché servile e volgare. Anzi, è giunto il momento che essi stessi se ne accorgano, e si liberino da questa loro ansia colpevole di attenersi all’ordine degradante dell’orda.
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    sergio.T
    00 02/09/2008 17:47
    Nuovo fascismo ( da Scritti corsari) Pasolini profetico.
    «Che cos’è la cultura di una nazione? Correntemente si crede, anche da parte di persone colte, che essa sia la cultura degli scienziati, dei politici, dei professori, dei letterati, dei cineasti ecc.: cioè che essa sia la cultura dell'intelligencija. Invece non è così. E non è neanche la cultura della classe dominante, che, appunto, attraverso la lotta di classe, cerca di imporla almeno formalmente. Non è infine neanche la cultura della classe dominata, cioè la cultura popolare degli operai e dei contadini. La cultura di una nazione è l'insieme di tutte queste culture di classe: è la media di esse. E sarebbe dunque astratta se non fosse riconoscibile - o, per dir meglio, visibile - nel vissuto e nell’esistenziale, e se non avesse di conseguenza una dimensione pratica. Per molti secoli, in Italia, queste culture sono stato distinguibili anche se storicamente unificate. Oggi - quasi di colpo, in una specie di Avvento - distinzione e unificazione storica hanno ceduto il posto a una omologazione che realizza quasi miracolosamente il sogno interclassista del vecchio Potere. A cosa è dovuta tale omologazione? Evidentemente a un nuovo Potere.
    […]
    Conosco, anche perché le vedo e le vivo, alcune caratteristiche di questo nuovo Potere ancora senza volto: per esempio il suo rifiuto del vecchio sanfedismo e del vecchio clericalismo, la sua decisione di abbandonare la Chiesa, la sua determinazione (coronata da successo) di trasformare contadini e sottoproletari in piccoli borghesi, e soprattutto la sua smania, per così dire cosmica, di attuare fino in fondo lo "Sviluppo": produrre e consumare.
    L'identikit di questo volto ancora bianco del nuovo Potere attribuisce vagamente ad esso dei tratti "moderati", dovuti alla tolleranza e a una ideologia edonistica perfettamente autosufficiente; ma anche dei tratti feroci e sostanzialmente repressivi: la tolleranza è infatti falsa, perché in realtà nessun uomo ha mai dovuto essere tanto normale e conformista come il consumatore; e quanto all'edonismo, esso nasconde evidentemente una decisione a preordinare tutto con una spietatezza che la storia non ha mai conosciuto. Dunque questo nuovo Potere […] è in realtà - se proprio vogliamo conservare la vecchia terminologia - una forma "totale" di fascismo. Ma questo Potere ha anche "omologato" culturalmente l’Italia: si tratta dunque di un’omologazione repressiva, pur se ottenuta attraverso l'imposizione dell'edonismo e della joie de vivre.
    […]
    il nuovo fascismo non distingue più: non è umanisticamente retorico, è americanamrente pragmatico. Il suo fine è la riorganizzazione e l'omologazione brutalmente totalitaria del mondo.

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    sergio.T
    00 02/09/2008 17:57
    «I pomeriggi che ho passato a giocare a pallone sui Prati di Caprara
    (giocavo anche sei-sette ore di seguito, ininterrottamente: ala destra, allora, e i miei amici,
    qualche anno dopo, mi avrebbero chiamato lo “Stukas”: ricordo dolce bieco)
    sono stati indubbiamente i più belli della mia vita. Mi viene quasi un nodo alla gola,
    se ci penso. Allora, il Bologna era il Bologna più potente della sua storia:
    quello di Biavati e Sansone, di Reguzzoni e Andreolo (il re del campo),
    di Marchesi, di Fedullo e Pagotto. Non ho mai visto niente di più bello
    degli scambi tra Biavati e Sansone (Reguzzoni è stato un po’ ripreso da Pascutti).
    Che domeniche allo stadio Comunale!».

    Pier Paolo Pasolini
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    sergio.T
    00 02/09/2008 17:57
    Il calcio
    Senza cinema, senza scrivere, che cosa le sarebbe piaciuto diventare?
    Un bravo calciatore. Dopo la letteratura e l’eros, per me il football è uno dei grandi piaceri.

    Pier Paolo Pasolini
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    sergio.T
    00 02/09/2008 17:58
    Il gioco del calcio è lo sport nazionale per eccellenza non solo in Italia; l'unico che unisce in un comune sentimento di entusiasmo e partecipazione tutte le fasce sociali e che riesce a tenere desta l'attenzione ben prima e ben dopo l'ora e mezza di durata della partita. Che sia il mezzo televisivo o la visione diretta a comunicare le immagini del gioco, l'eccitazione del pubblico si mantiene sempre a un livello molto alto e la tensione quasi mai si acquieta con la fine del gioco ma lo trascende e ha modo di scaricarsi nelle strade cittadine, coinvolgendo anche chi l'incontro agonistico non l'ha seguito. È un gioco che, proiettato oltre gli stadi ufficiali, si reinventa quotidianamente nelle migliaia di campi sportivi più o meno improvvisati, nelle scuole e nei cortili delle case, ovunque si ritrovino un gruppo di ragazzi intorno a un pallone.

    Registrare questo fenomeno, con spirito di partecipazione, con la serena ottica dell'interesse culturale, con l'acuta indagine della curiosità è la sfida che hanno lanciato, nel tempo, giornalisti, fotografi, sociologi, filosofi, pittori, scultori e anche letterati.

    P.P.Pasolini
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    sergio.T
    00 02/09/2008 18:01
    «Era un grande tifoso del Bologna. Una volta sola l’ho visto incazzato davvero. È stato quando andammo all’Olimpico a vedere Roma-Bologna e la sua squadra perse 4 a 1. La febbre del calcio, comunque, che forse non era riuscito a consumare al punto giusto quando da piccolo viveva in Friuli, non riusciva proprio a togliersela». [Franco Citti, Vita di un ragazzo di vita, SugarCo, Milano 1992].
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    sergio.T
    00 04/09/2008 10:45
    Domani esce il film La rabbia di Pasolini.
    Lo vedro'.
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