mujer, 08/05/2008 9.13:
Ora siamo ferme alla considerazione secondo cui il lavoro di ognuna di noi debba essere riconosciuto, con nome e cognome, in quanto componente individuale di un collettivo.
il mio parere è superfluo, lo so. Autorizzo quindi a cancellare quanto di seguito mi sfugge di considerare.
Ho letto ultimamente alcuni libri per puro diletto. Scelti a caso, ma
accostati ed intervallati con riconosciuta malizia.
Non so se è successo anche a voi di trovare IL CASO spiaccicato davanti agli occhi.
Spiego. Tento. Ricordo solo due degli autori in cui ho trovato una
conferma ad un pensiero che mi si era fissato in mente,in questi ultimi tempi, come un muretto lungo i prati in montagna, che non delimita, ma sta là nei tempi a dire degli uomini che, pietra su pietra, han segnato un cammino, forse, o solo radunato scarti inutili su un prato da sfruttare.
La Carla Brosio e Galimberti: entrambi han citato un terzo.
"Siamo, in fondo, un'anima comune ed immortale ed i corpi solo strumenti per dare a frammenti di essa la possibilità di agire".
Il corpo: nome e cognome che agisce. Nella collettività. Per un'anima comune, con consapevolezza o meno. Il pulsare vivo di questa immaterialità comune, da corpi vivi, nomi e cognomi. L'agire il fare il dire riconosciuto ed attribuito, perchè siamo nel tempo. Il corpo come tempo e memoria.
Forse non s'è capito
ma all'anonimato preferisco il certo. Anche per poter accreditare plausi o dinieghi.