Pochi mesi fa è morto un nostro giovane.
Dico nostro perché è morto qui in Italia e perché molti di noi lo riconosceranno alla fine di questo lungo pezzo.
Della sua morte nessuna penna ha parlato.
Soltanto una ha avuto l’urgenza di farlo, quella di un grande pensatore, lo storico e scrittore Osvaldo Bayer, quasi sconosciuto nella terra che ha visto morire il suo giovane nipote.
Di lui parlano gli intellettuali latinoamericani e tedeschi, gli autonomi, gli anarchici e pochi compagni italiani che hanno letto la sua “Patagonia Rebelde”.
Qualcuno ha potuto conoscere, grazie a lui, la storia di Severino Di Giovanni, altro nostro giovane ucciso in Argentina dal potere che lo dichiarò violento.
Osvaldo Bayer riesce a scrivere di grandi uomini che nessuno sa più riconosce e lo fa con lo sguardo che ha colui che scrive “in esilio”.
Il pezzo che segue, e che ho voluto tradurre per farvi riconoscere uno di quei grandi uomini di cui nessuno parla mai, è stato pubblicato nel mensile dell’Associazione Madres de Plaza de Mayo, le Madri dei desaparecidos argentini che vedono in Osvaldo “una Madre in più”.
julia
I sensibili e i perversi
di Osvaldo Bayer
Uno dei maggiori problemi che i popoli che vogliono realizzare una vera democrazia devono risolvere è quello dei mezzi di comunicazione. Comunicazione deve significare informarsi profondamente tra tutti, tra i diversi gruppi sociali, sui problemi fondamentali e discutere di come possono essere risolti tali problemi. Da qui le parole “diritto pubblico”. Non può essere che quei mezzi, come accade nella realtà del mondo capitalista, siano in mano alle grandi piovre finanziarie che “canalizzano” l’informazione a loro piacimento o in base alla necessità dei loro interessi.
Nel nostro paese (ndt. in Argentina) possiamo verificarlo ogni giorno giacché nei nostri mezzi trovano più spazio le notizie per “idiotizzare” l’opinione pubblica. La metà delle pagine dei quotidiani è dedicata alle notizie di calcio, e la televisione alle superficialità mondane. L’opinione di Maradona, o se caia ora sta con sempronio. E, ovviamente, lo spazio serve per le novità della tal borsa o della tal altra mentre le notizie sul mondo del lavoro, i problemi nei quartieri, i temi dell’ambiente ogni volta più angoscianti, non si riesce a discuterli con l’attenzione che merita un mondo sempre più in pericolo.
Inoltre, i mezzi di comunicazione dovrebbero giocare un ruolo fondamentale nei veri luoghi in cui devono partecipare le diverse opinioni su come deve organizzarsi definitivamente una società per riuscire ad essere democratica, ossia, risolvere i suoi angosciosi problemi come la fame dei suoi bambini, la mancanza di alloggi, la carenza di posti di lavoro. Fino a quando questi tre grandi problemi non saranno risolti, non ci sarà vera democrazia.
Lo abbiamo sofferto – sulla propria pelle, chi scrive queste righe – nell’Italia di Berlusconi. L’attuale primo ministro italiano è un plurimilionario che domina la maggior parte dei mezzi di comunicazione del suo paese: canali di televisione, radio, giornali, riviste e altri mezzi d’informazione. Così è facile vincere le elezioni, disinformando. E’ questa la vera democrazia? Sul giornale tedesco TAZ è stata pubblicata la ricerca annuale della Fondazione Freedomhouse che segnala la libertà d’informazione in ogni paese. L’Italia è l’unico paese europeo che è stato qualificato come “informazione libera soltanto in parte”.
Nel mondo, in relazione alla libertà di stampa, occupa il 79° posto, dietro la Bulgaria e la Mongolia.
Secondo quanto riportato dalla ricerca, cito testualmente: “Dal 2005 è stata limitata la libertà nei mezzi attraverso la permanente concentrazione del potere dei mezzi nelle mani del primo ministro Silvio Berlusconi, che controlla il 90% dei mezzi radiofonici del paese”.
Andiamo ora verso l’esperienza in Italia di chi scrive questo pezzo.
Mio nipote Bruno, studente di venti anni, si è suicidato a Trieste, all’alba del 5 maggio. Era un giovane pieno di ideali, lottatore per la pace, per la democrazia e per l’ecologia. Si era impegnato nella protesta di Heligendamm, Germania, contro il G8 dove, come tutti sappiamo, si discute soltanto di come continuare a dominare il mondo senza considerare il diritto dei popoli poveri e sottomessi ad un sistema economico mondiale più giusto e neanche una discussione, sempre più necessaria, di quale tipo di natura lasceremo alle prossime generazioni. Bruno, inoltre, per la sua linea chiaramente antifascista era stato picchiato da fazioni neofasciste nella città di Treviso. La giustizia non trovò alcun delitto in questo atto e Bruno, dunque, visse sul proprio corpo cosa significa in una società la violenza protetta dall’alto. Ha vissuto, poi, con molto dolore l’assoluto trionfo di Berlusconi nelle ultime elezioni con i suoi alleati neofascisti. La società italiana non aveva imparato niente.
Si spiegò da subito un’ondata razzista contro gli immigrati dei paesi poveri e la soluzione venne – come sempre per la destra – con più poliziotti e non attraverso la giusta distribuzione della ricchezza. I fatti culminarono a Verona con la morte del giovane Nicola Tommasoli a causa dei colpi e dei calci ricevuti da un gruppo di skinheads del neofascismo che appoggia Berlusconi.
Bruno, dalla grande sensibilità, non è riuscito a sopportare quel futuro che lo aspettava nelle strade di quella città di Treviso. Città in cui ha vissuto tutta la sua infanzia e adolescenza e che lui voleva, con la sua lotta giovanile, cambiare per trovare più pace, più uguaglianza, più libertà. Lui, nelle sue ultime vacanze, aveva voluto sperimentare la vita dei poveri e dei senzatetto e visitato vari paesi europei lavorando nei mestieri più umili, vivendo in strada, dormendo nelle piazze e nei boschi. Di questo viaggio ha tenuto un diario in cui ho trovato esperienze come questa: “Oggi sono entrato in un supermercato per vedere se potevo comprare qualcosa da mangiare con i 17 centesimi che mi erano rimasti…no, non ho trovato niente”.
In quel momento si sarà immaginato quei poveri che non hanno neanche 17 centesimi in tasca…e i bambini, quei bambini che alzano la loro mano vuota e il loro volto con il riflesso di quel gesto di fame.
Dopo quell’esperienza vissuta, Bruno ha assistito al trionfo della ricchezza e dei ruffiani e celestine che hanno dato il loro voto al magnate. Si tornava alla facile filosofia dell’egoismo brutale di coloro che si sono impossessati di tutto: “sono poveri perché non gli piace lavorare”, “Dio ha creato il mondo con ricchi e poveri”. Bruno non ha potuto vincere quel momento depressivo in cui ha visto tutti i suoi ideali sconfitti. I titoli dei giornali parlavano dell’offensiva di Berlusconi contro gli immigrati e dell’eterna discussione su chi avrebbe occupato le poltrone del potere. La ripartizione. Forse ha creduto che la sua lotta sia stata invano. L’ultima settimana Bruno non andò a lezione. Scrisse su una carta che ha lasciato sulla sua scrivania: “Voglio essere una nuvola”. E si è lanciato nel vuoto. Bruno è morto perché gli faceva male il mondo.
La stampa sensazionalista – e qui arriva la prova del modo in cui la verità si maschera con bugie contorte – non ha detto la verità rispetto al suicidio di Bruno ma è ricorsa, ovviamente, al “ci sarà un motivo”. Il giornale “La Tribuna” di Treviso si è messo al pari della superficialità berlusconiana è ha titolato “Si è suicidato un bocciato nella scuola” e “Il Gazzettino”, sempre di Treviso, ha titolato “Si è suicidato per i suoi brutti voti”. Quando sono arrivato a Treviso ho studiato la situazione di Bruno in tutti i suoi dettagli e mi ha indignato quella falsità della stampa locale. E ho scritto una lettera del lettore mettendo a nudo quel tergiversare della cronaca. Ho pensato in quel momento a quante colpe danno ai poveri e agli indignati quando scoppiano nell’ira ed escono a protestare nelle strade.
Nella lettera io dicevo al direttore de “La Tribuna” che, per il fatto di essere fedele alla verità, dovevo rettificare quell’informazione. E che perciò gli offrivo le prove di quella bugia, che perciò non aveva altro da fare che chiedere ai professori della scuola di Bruno sulla sua capacità nello studio e sull’affetto che avevano docenti e alunni per lui. Non era stato bocciato né aveva preso brutti voti. Gli ho descritto in quella lettera com’era in realtà quel giovane pieno di ideali. E che la vera colpa del suo suicidio l’avevano coloro che non avevano saputo dargli una società senza violenza. Nella sua stanza di studente la giustizia non ha trovato droga, né bevande, né armi, né alcool. Era una tipica stanza di studente, con libri, scritti e ricordi dei suoi viaggi.
Il giornale “La Tribuna” non ha rettificato né ha voluto pubblicare la mia lettera. Attraverso un intermediario mi ha fatto sapere che avrebbe pubblicato una nota su Bruno. Lo ha fatto, ma non ha mai citato la falsità che aveva pubblicato per prima. Ha fatto una cronaca edulcorata della vita di un giovane poeta e trascritto la poesia di Hermann Hesse che Bruno aveva inviato ai suoi amici come addio non annunciato. Niente di più. Sul clima politico e sulla violenza dell’Italia attuale di Berlusconi neanche una parola. Tutto è rimasto come prodotto della realizzazione di sogni ma non come un prodotto della violenza di una realtà sociale e della reazione di chi non accetta più di vivere in essa.
E’ successo lo stesso nel concerto musicale offerto alla memoria di Bruno nella scuola di musica “Andrea Luchese” di Treviso, di cui è stato alunno.
I due giornali hanno annunciato l’evento ma in seguito non hanno fatto la cronaca. Nonostante vi abbiano partecipato più di trecento persone tra maestri, alunni e amici. E’ stato commovente, hanno partecipato musicisti e cantanti di molti posti e hanno parlato di lui maestri e compagni di studio.
Uno dei suoi professori ha detto queste parole che hanno commosso e fatto pensare i presenti: “Per noi, i suoi maestri, Bruno è stato un grande eroe”.
Quel concerto è stato un addio. Si è cantato “Bella ciao”, la canzone dei partigiani che hanno lottato nell’ultima guerra. Iniziò Ana, la madre di Bruno, mia figlia, con la voce piena di futuro. Non si è data per vinta, lei sa che Bruno continuerà a vivere nel ricordo grazie alla sua condotta piena di eroismo e rinuncia. Ed è toccato a me parlare, come nonno, e ho detto: “Bruno, comprendiamo il tuo dolore nel partire e ti abbracciamo con tutta la tenerezza per trattenere il tuo calore, il tuo alito di essere buono, il tuo sguardo avventuriero che ci parlava sempre del tuo coraggio personale e del dare vita per più vita in questo mondo. E così hai fatto, Bruno. Penseremo che tu sia partito alla ricerca di ideali che forse qui non credevi di poter ottenere. Questo ci dà più energia per restare e cercare di portare a termine ciò che hanno desiderato i nostri trentamila desaparecidos. Continua a sognare, Bruno. Guardaci dalla tua nuvola. Così vinceremo la nostra gran tristezza per la tua dipartita e recupereremo le forze per realizzare i tuoi sogni.
Bruno, ¡hasta la victoria siempre!”