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Spiriti Critici

Ultimo Aggiornamento: 10/10/2012 09:49
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08/06/2008 16:50
 
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Sono passati sessant'anni dalla promulgazione delle leggi razziali e dalla pubblicazione della rivista "La difesa della razza" di Guido Landra e dei primi rastrellamenti che sfociarono dopo un breve periodo di tempo in un ordine esplicito di "internamento degli zingari italiani" in campi di concentramento (Circ. Bocchini 27/04/41), quei "campi del Duce" di cui in Italia si è preferito perdere la memoria. Sono passati sessant'anni, ma le preoccupazioni,la percezione del pericolo, i provvedimenti pubblici sono gli stessi di oggi. È agghiaciante quello che sta avvenendo oggi sotto i nostri occhi, a Milano.
Rimanere in silenzio oggi vuol dire essere responsabili dei disastri di domani. Nessuna collaborazione di Enti o Associazioni è giustificata (vergogna!).
Mi appello alla società civile, chiedo un sostegno per le comunità di rom e sinti Milanesi, voci dal silenzio.
Ricordo che domani sarà schedato anche mio padre, cittadino italiano che ha patito la persecuzione nazifascista con l'internamento in campo concentrazionale italiano (Tossicia), mentre mio nonno deportato a Birkenau è uscito dal camino... Vergogna!

Mi vergogno, in questo momento, di essere cittadino italiano e cristiano.
Chiedo in questo momento tragico per la democrazia e la cultura a Milano ed in Italia di urlare il proprio dissenso per questa politica razzista, incivile e becera.

Ricordo e non dimentico che oggi siamo noi e domani...

Rag. Giorgio Bezzecchi
Opera Nomadi Milano

----------------------------------------------------------

Ho riportato la lettera di Giorgio per spiegare cosa sta realmente accadendo in questi giorni.
Anche a Pescara il clima è dei più irrespirabili, con sgomberi, schedature e controlli senza controllo.
Siamo arrivati al punto di girare per strada per tutelare le persone che, ree soltanto della loro condizione di povertà, stanno subendo un trattamento che emula le deportazioni a cui si riferisce Giorgio di Milano.

A questo punto abbiamo chiesto un incontro urgente con il Prefetto che dovrà spiegarci in nome di quale provvedimento abbia sgomberato 22 persone senza fissa dimora, sia italiane che straniere, che hanno la sola colpa di "imbrattare" la città agli occhi della Pescara "bene".

Ha ragione Giorgio, oggi sono gli "zingari", domani i "barboni", dopodomani gli "extracomunitari", e poi?


si può esprimere la propria solidarietà a Giorgio scrivendo all'indirizzo dell'opera nomadi di Milano o della cooperativa Romano Drom, di cui Giorgio è presidente.

segreteria@operanomadimilano.org
ROMANDROM@libero.it

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04/07/2008 09:50
 
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"Quindi bisogna continuare a lottare. La Piazza è un bastione che non lasceremo. E questo pomeriggio parlerò in una delle tende, e parlerò molto seriamente ai compagni. Non possiamo giocare, in segno di convivenza, a rugby con questi figli di puttana; hanno fatto male. Quale convivenza? Al nemico neanche l'acqua, come fai a convivere con il nemico? Al nemico neanche l'acqua, e siccome non gli diamo acqua non giocheremo neanche a rugby con loro"

Hebe de Bonafini, 26 giugno 2008.


Così, detto in faccia, in Plaza de Mayo.

Siccome Sergio dice e approva le stesse cose io lo omaggio con parti dei discorsi delle Madres.
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04/07/2008 12:08
 
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Hanno ragione le Madri.
Le Madri in questo hanno assolutamente ragione: quel dire non diamogli nemmeno l'acqua , equivale a dire non hanno piu' nessuna considerazione. Ed e' giusto cosi', perche' in barba ad ogni principio cosidetto umanitario, c'e' un altro principio ancora piu' alto: per alcuni decade qualsiasi diritto, anche i diritti piu' basilari saranno negati loro.
E per alcuni criminali e' gia' tanto cosi': spingessimo oltre la considerazione sul piano dell'onore, bisognerebbe nolenti o volenti, volersi vendicare.
E' facile intuire come, ma dato che siamo generosi ci si ferma prima: spendano i resti della loro miserevole vita a ringraziare della magnanimita' concessagli.
[Modificato da sergio.T 04/07/2008 12:09]
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22/07/2008 11:56
 
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Sul controllo degli ultimi e il diritto di cittadinanza

Le recenti dichiarazioni del ministro degli Interni, Roberto Maroni, rimarcano il senso discriminatorio che questo governo intende dare alla gestione della sicurezza.
Si tratta di una gestione vera e propria, un’azione dal volto punitivo che si nasconde in propositi da politica “accogliente”.

Il ministro Maroni pronuncia l’ultimo intento xenofobo come fosse il padre della costituzione che accoglie i cittadini in un sol popolo:
“Concederemo la cittadinanza italiana ai bambini senza genitori, venduti o abbandonati da questa gente”

Questa gente – il popolo Rom e Sinto, già per la maggior parte cittadini italiani – non vende né abbandona i propri figli. Come per molte famiglie migranti, compresa la mia che partì negli anni ’50 per la lontana Argentina, i bambini e le bambine sono parte integrante della famiglia che rafforza e contribuisce al benessere dei suoi componenti.
Ai bambini di una famiglia migrante non sono risparmiati i disagi, né le tristezze così come le gioie e le scoperte di un mondo migliore quando questo si apre e non si transenna.

C’è un pericolo incombente nella frase del ministro Maroni, quello di considerare i bambini Rom e Sinti figli di nessuno.
Non ne ha le prove ma lo dichiara con fermezza in modo da rendere verità la sua menzogna.
Non conosce la reale situazione di questi bambini e bambine che portano cognomi diversi dai loro genitori perché i decreti di espulsione degli anni appena trascorsi hanno prodotto il cambiamento d’identità dei padri per far rientro nei paesi europei da cui erano stati cacciati via.
I bambini e le bambine, nati in Italia, mantengono i loro cognomi per poter usufruire di quel debole diritto di nascita che non ha mai concesso cittadinanza italiana a causa di una legislazione di razza, qual è lo ius soli della "civiltà italica" che fa sì che io, figlia di italiani nata all’estero, sia considerata più italiana di chi, nato in questa terra, deve ereditare la nazionalità dei suoi genitori.

Mantenere il cognome di origine dei bambini ha messo molte famiglie nella condizione di dover dimostrare che il figlio fosse naturale e le pratiche legali intraprese negli ultimi anni dimostrano che questa appartenenza è reale.

Il ministro Maroni elabora il suo decreto senza tener conto del dibattito che, da vent’anni, le associazioni e i rappresentanti delle comunità straniere, Rom e Sinte portano avanti sul diritto di cittadinanza.
La disposizione sulla concessione della cittadinanza italiana ai minori Rom stranieri senza genitori è strumentale alla decisione discriminante della raccolta delle impronte digitali dei cittadini Rom e Sinti per la costituzione di una banca dati che controllerà queste famiglie. Non sono una il contrario dell’altra ma scelte che si collocano in un pacchetto sicurezza che fa dell’assimilazione il nuovo concetto sociale di un governo che ha troncato definitivamente anni di lavoro e confronto interculturale.
Le azioni che, come cittadini, dobbiamo intraprendere non possono rispondere ai metodi proposti da questo governo ma devono tener conto delle comunità che non vogliono essere rappresentate ma supportate. E’ il momento di mettere in atto azioni che possano convertirsi in aiuti reali ai cittadini Rom e Sinti che, finalmente, hanno deciso di costituirsi in Federazione e di chiarire il legame con le associazioni che da sempre hanno scelto un ruolo di guida anziché di supporto e autodeterminazione del proprio popolo.
Ritengo che il passo utile da fare ora sia quello di rendersi disponibili per le azioni che la comunità Rom e Sinta vorrà realizzare, mettendo a disposizione i propri mezzi e le proprie capacità al servizio di un unico fine che è quello del diritto di cittadinanza per tutti.
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22/07/2008 12:12
 
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Discorso complesso. Oltretutto non sono a conoscenza del discorso sulla cittadinanza concessa ai Rom o ai Sinti , quindi non entro nel merito del discorso e delle intenzioni di Roberto Maroni e del suo governo. ( per altro poco affidabile per certi versi)
Sul diritto alla cittadinanza in generale, invece, il discorso e' ancor piu' complesso. Di certo si ha " diritto" alla cittadinanza di un qualsiasi paese solo ed esclusivamente se si hanno certi requisiti e si risponde a certe aspettative. In caso contrario, come molti famigerati diritti, suddetti diritti non lo sono di fatto, ma sono solo pretese belle e buone.
La cittadinanza? in prima istanza per quanto riguarda la mia opinione, primo principio irrinunciabile per ottenerla e' " dove si e' nati": anzi, diciamo pure, che e' l'unico requisito.
Se sono nato in Francia sono francese, se sono nato in Germania sono tedesco e via cosi': anche se dopo un giorno mi trasferisco rimarro' sempre francese o tedesco.
Il " luogo" e' un destino, sai come la penso.
[Modificato da sergio.T 22/07/2008 12:13]
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22/07/2008 12:20
 
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L'Italia è una delle ultime nazioni al mondo a mantenere la cittadinanza per ius sanguinis, il figlio prende la cittadinanza del genitore.
Io condivido il tuo concetto di appartenenza al luogo di nascita, concetto di cittadinanza a cui sono arrivati negli ultimi anni anche i tedeschi e i francesi.

Per gli italiani sembra più difficile concepire che un musulmano o un nero possano essere italiani.
E' il solito equivoco culturale che finge un'unità che, in fondo, non esiste.
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22/07/2008 12:28
 
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Se un bambino Rom nasce in italia da genitori Rom e' italiano per tutta la vita, punto e a capo.
Italiano di razza Rom, non mi sembra una contraddizione.
La razza o l'etnia sono una cosa, la cittadinanza e' un altra.
Il diritto ad essere italiano vale per tutti coloro che nascono su territorio italiano, tutto il resto e' chiacchera strumentale e politica, per non dire chiacchera stupida e becera.

La discendenza di sangue , se mai ne esiste una, vale per altri discorsi, per lo spirito semmai e per la tradizione: tradizioni, che a mio parere, vanno rispettate se sentite profondamente come loro dai Rom cittadini italiani.
Questo si che e' un diritto di nascita: il rispetto della propria tradizione ( rispetto supremo) anche in una cultura diversa.


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10/08/2008 11:40
 
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Pochi mesi fa è morto un nostro giovane.
Dico nostro perché è morto qui in Italia e perché molti di noi lo riconosceranno alla fine di questo lungo pezzo.
Della sua morte nessuna penna ha parlato.
Soltanto una ha avuto l’urgenza di farlo, quella di un grande pensatore, lo storico e scrittore Osvaldo Bayer, quasi sconosciuto nella terra che ha visto morire il suo giovane nipote.
Di lui parlano gli intellettuali latinoamericani e tedeschi, gli autonomi, gli anarchici e pochi compagni italiani che hanno letto la sua “Patagonia Rebelde”.
Qualcuno ha potuto conoscere, grazie a lui, la storia di Severino Di Giovanni, altro nostro giovane ucciso in Argentina dal potere che lo dichiarò violento.
Osvaldo Bayer riesce a scrivere di grandi uomini che nessuno sa più riconosce e lo fa con lo sguardo che ha colui che scrive “in esilio”.
Il pezzo che segue, e che ho voluto tradurre per farvi riconoscere uno di quei grandi uomini di cui nessuno parla mai, è stato pubblicato nel mensile dell’Associazione Madres de Plaza de Mayo, le Madri dei desaparecidos argentini che vedono in Osvaldo “una Madre in più”.
julia

I sensibili e i perversi
di Osvaldo Bayer

Uno dei maggiori problemi che i popoli che vogliono realizzare una vera democrazia devono risolvere è quello dei mezzi di comunicazione. Comunicazione deve significare informarsi profondamente tra tutti, tra i diversi gruppi sociali, sui problemi fondamentali e discutere di come possono essere risolti tali problemi. Da qui le parole “diritto pubblico”. Non può essere che quei mezzi, come accade nella realtà del mondo capitalista, siano in mano alle grandi piovre finanziarie che “canalizzano” l’informazione a loro piacimento o in base alla necessità dei loro interessi.
Nel nostro paese (ndt. in Argentina) possiamo verificarlo ogni giorno giacché nei nostri mezzi trovano più spazio le notizie per “idiotizzare” l’opinione pubblica. La metà delle pagine dei quotidiani è dedicata alle notizie di calcio, e la televisione alle superficialità mondane. L’opinione di Maradona, o se caia ora sta con sempronio. E, ovviamente, lo spazio serve per le novità della tal borsa o della tal altra mentre le notizie sul mondo del lavoro, i problemi nei quartieri, i temi dell’ambiente ogni volta più angoscianti, non si riesce a discuterli con l’attenzione che merita un mondo sempre più in pericolo.
Inoltre, i mezzi di comunicazione dovrebbero giocare un ruolo fondamentale nei veri luoghi in cui devono partecipare le diverse opinioni su come deve organizzarsi definitivamente una società per riuscire ad essere democratica, ossia, risolvere i suoi angosciosi problemi come la fame dei suoi bambini, la mancanza di alloggi, la carenza di posti di lavoro. Fino a quando questi tre grandi problemi non saranno risolti, non ci sarà vera democrazia.
Lo abbiamo sofferto – sulla propria pelle, chi scrive queste righe – nell’Italia di Berlusconi. L’attuale primo ministro italiano è un plurimilionario che domina la maggior parte dei mezzi di comunicazione del suo paese: canali di televisione, radio, giornali, riviste e altri mezzi d’informazione. Così è facile vincere le elezioni, disinformando. E’ questa la vera democrazia? Sul giornale tedesco TAZ è stata pubblicata la ricerca annuale della Fondazione Freedomhouse che segnala la libertà d’informazione in ogni paese. L’Italia è l’unico paese europeo che è stato qualificato come “informazione libera soltanto in parte”.
Nel mondo, in relazione alla libertà di stampa, occupa il 79° posto, dietro la Bulgaria e la Mongolia.
Secondo quanto riportato dalla ricerca, cito testualmente: “Dal 2005 è stata limitata la libertà nei mezzi attraverso la permanente concentrazione del potere dei mezzi nelle mani del primo ministro Silvio Berlusconi, che controlla il 90% dei mezzi radiofonici del paese”.
Andiamo ora verso l’esperienza in Italia di chi scrive questo pezzo.
Mio nipote Bruno, studente di venti anni, si è suicidato a Trieste, all’alba del 5 maggio. Era un giovane pieno di ideali, lottatore per la pace, per la democrazia e per l’ecologia. Si era impegnato nella protesta di Heligendamm, Germania, contro il G8 dove, come tutti sappiamo, si discute soltanto di come continuare a dominare il mondo senza considerare il diritto dei popoli poveri e sottomessi ad un sistema economico mondiale più giusto e neanche una discussione, sempre più necessaria, di quale tipo di natura lasceremo alle prossime generazioni. Bruno, inoltre, per la sua linea chiaramente antifascista era stato picchiato da fazioni neofasciste nella città di Treviso. La giustizia non trovò alcun delitto in questo atto e Bruno, dunque, visse sul proprio corpo cosa significa in una società la violenza protetta dall’alto. Ha vissuto, poi, con molto dolore l’assoluto trionfo di Berlusconi nelle ultime elezioni con i suoi alleati neofascisti. La società italiana non aveva imparato niente.
Si spiegò da subito un’ondata razzista contro gli immigrati dei paesi poveri e la soluzione venne – come sempre per la destra – con più poliziotti e non attraverso la giusta distribuzione della ricchezza. I fatti culminarono a Verona con la morte del giovane Nicola Tommasoli a causa dei colpi e dei calci ricevuti da un gruppo di skinheads del neofascismo che appoggia Berlusconi.
Bruno, dalla grande sensibilità, non è riuscito a sopportare quel futuro che lo aspettava nelle strade di quella città di Treviso. Città in cui ha vissuto tutta la sua infanzia e adolescenza e che lui voleva, con la sua lotta giovanile, cambiare per trovare più pace, più uguaglianza, più libertà. Lui, nelle sue ultime vacanze, aveva voluto sperimentare la vita dei poveri e dei senzatetto e visitato vari paesi europei lavorando nei mestieri più umili, vivendo in strada, dormendo nelle piazze e nei boschi. Di questo viaggio ha tenuto un diario in cui ho trovato esperienze come questa: “Oggi sono entrato in un supermercato per vedere se potevo comprare qualcosa da mangiare con i 17 centesimi che mi erano rimasti…no, non ho trovato niente”.
In quel momento si sarà immaginato quei poveri che non hanno neanche 17 centesimi in tasca…e i bambini, quei bambini che alzano la loro mano vuota e il loro volto con il riflesso di quel gesto di fame.
Dopo quell’esperienza vissuta, Bruno ha assistito al trionfo della ricchezza e dei ruffiani e celestine che hanno dato il loro voto al magnate. Si tornava alla facile filosofia dell’egoismo brutale di coloro che si sono impossessati di tutto: “sono poveri perché non gli piace lavorare”, “Dio ha creato il mondo con ricchi e poveri”. Bruno non ha potuto vincere quel momento depressivo in cui ha visto tutti i suoi ideali sconfitti. I titoli dei giornali parlavano dell’offensiva di Berlusconi contro gli immigrati e dell’eterna discussione su chi avrebbe occupato le poltrone del potere. La ripartizione. Forse ha creduto che la sua lotta sia stata invano. L’ultima settimana Bruno non andò a lezione. Scrisse su una carta che ha lasciato sulla sua scrivania: “Voglio essere una nuvola”. E si è lanciato nel vuoto. Bruno è morto perché gli faceva male il mondo.
La stampa sensazionalista – e qui arriva la prova del modo in cui la verità si maschera con bugie contorte – non ha detto la verità rispetto al suicidio di Bruno ma è ricorsa, ovviamente, al “ci sarà un motivo”. Il giornale “La Tribuna” di Treviso si è messo al pari della superficialità berlusconiana è ha titolato “Si è suicidato un bocciato nella scuola” e “Il Gazzettino”, sempre di Treviso, ha titolato “Si è suicidato per i suoi brutti voti”. Quando sono arrivato a Treviso ho studiato la situazione di Bruno in tutti i suoi dettagli e mi ha indignato quella falsità della stampa locale. E ho scritto una lettera del lettore mettendo a nudo quel tergiversare della cronaca. Ho pensato in quel momento a quante colpe danno ai poveri e agli indignati quando scoppiano nell’ira ed escono a protestare nelle strade.
Nella lettera io dicevo al direttore de “La Tribuna” che, per il fatto di essere fedele alla verità, dovevo rettificare quell’informazione. E che perciò gli offrivo le prove di quella bugia, che perciò non aveva altro da fare che chiedere ai professori della scuola di Bruno sulla sua capacità nello studio e sull’affetto che avevano docenti e alunni per lui. Non era stato bocciato né aveva preso brutti voti. Gli ho descritto in quella lettera com’era in realtà quel giovane pieno di ideali. E che la vera colpa del suo suicidio l’avevano coloro che non avevano saputo dargli una società senza violenza. Nella sua stanza di studente la giustizia non ha trovato droga, né bevande, né armi, né alcool. Era una tipica stanza di studente, con libri, scritti e ricordi dei suoi viaggi.
Il giornale “La Tribuna” non ha rettificato né ha voluto pubblicare la mia lettera. Attraverso un intermediario mi ha fatto sapere che avrebbe pubblicato una nota su Bruno. Lo ha fatto, ma non ha mai citato la falsità che aveva pubblicato per prima. Ha fatto una cronaca edulcorata della vita di un giovane poeta e trascritto la poesia di Hermann Hesse che Bruno aveva inviato ai suoi amici come addio non annunciato. Niente di più. Sul clima politico e sulla violenza dell’Italia attuale di Berlusconi neanche una parola. Tutto è rimasto come prodotto della realizzazione di sogni ma non come un prodotto della violenza di una realtà sociale e della reazione di chi non accetta più di vivere in essa.
E’ successo lo stesso nel concerto musicale offerto alla memoria di Bruno nella scuola di musica “Andrea Luchese” di Treviso, di cui è stato alunno.
I due giornali hanno annunciato l’evento ma in seguito non hanno fatto la cronaca. Nonostante vi abbiano partecipato più di trecento persone tra maestri, alunni e amici. E’ stato commovente, hanno partecipato musicisti e cantanti di molti posti e hanno parlato di lui maestri e compagni di studio.
Uno dei suoi professori ha detto queste parole che hanno commosso e fatto pensare i presenti: “Per noi, i suoi maestri, Bruno è stato un grande eroe”.
Quel concerto è stato un addio. Si è cantato “Bella ciao”, la canzone dei partigiani che hanno lottato nell’ultima guerra. Iniziò Ana, la madre di Bruno, mia figlia, con la voce piena di futuro. Non si è data per vinta, lei sa che Bruno continuerà a vivere nel ricordo grazie alla sua condotta piena di eroismo e rinuncia. Ed è toccato a me parlare, come nonno, e ho detto: “Bruno, comprendiamo il tuo dolore nel partire e ti abbracciamo con tutta la tenerezza per trattenere il tuo calore, il tuo alito di essere buono, il tuo sguardo avventuriero che ci parlava sempre del tuo coraggio personale e del dare vita per più vita in questo mondo. E così hai fatto, Bruno. Penseremo che tu sia partito alla ricerca di ideali che forse qui non credevi di poter ottenere. Questo ci dà più energia per restare e cercare di portare a termine ciò che hanno desiderato i nostri trentamila desaparecidos. Continua a sognare, Bruno. Guardaci dalla tua nuvola. Così vinceremo la nostra gran tristezza per la tua dipartita e recupereremo le forze per realizzare i tuoi sogni.
Bruno, ¡hasta la victoria siempre!”

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12/08/2008 18:18
 
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Contro il muro, il bianco sulle gambe, la mano storta, il corpo seminudo.
Tortura, nient’altro che tortura, l’ennesima – mi dico – sarà di allora? Il suo corpo è nero (non sarà delle mie parti negli anni bui) e quel muro e la sua faccia nascosta…
Ho già visto questo corpo, quando è stato? Trent’anni fa, forse meno. Ma era bianco e aveva i piedi bruciati.
Contro quel muro, botte e sputi, insulti, “sei una puttana”, colpi e calci.
“Sei una puttana”, così, in italiano.
Dove? Quando? Non oso chiedere il perché, lo so.
Vicino, molto vicino, in una città ricca, colta, civile. A Parma, in un luogo pubblico, nel Comando di Polizia Municipale, ufficio del Comune.
Quando? Ieri? Oggi? Sicuramente non molto tempo fa. Forse l’altro ieri.
“Sei una puttana” è il capo d’imputazione e il processo per direttissima si è consumato in loco. La sentenza sarà stata “colpevole per vittima ridotta a schiavitù” e la pena è consistita in sevizie e tortura. Stessa prestazione dei magnaccia.

Accaduto in Italia.



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03/09/2008 12:20
 
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Veramente una foto terribile per un atto terribile.
Ho letto questa estate sul giornale questa notizia: la desolazione di questa fotografia si esprime meglio di ogni parola.
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Email Scheda Utente
18/09/2008 08:45
 
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Questa volta si chiama Abdul, la nostra vittima, il nostro caduto in nome della supremazia.
Badate bene, NOSTRO perché troppo poco, al giorno d’oggi, sentiamo il peso di questa appartenenza.
E contrappongo, quando dico nostro, un modo di agire che è il LORO, quello di chi sta coltivando un clima d’incertezza e di paura. Semina una terra fertile – la nostra individualità, il nostro isolamento – e irriga erbacce che gli servono a rendere il campo incolto.
Le erbacce che LORO curano sono i gesti e le azioni individuali: il nostro pregiudizio, il nostro assassinio e il nostro silenzio; i fiori che qua e là fanno capolino sono i NOSTRI gesti e le NOSTRE azioni collettive: i nostri incontri, le nostre ri-nascite e il nostro grido condiviso.
Se restiamo erbacce uccideremo molti Abdul, se saremo fiori ri-nasceranno donne e uomini liberi.
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Email Scheda Utente
18/09/2008 09:39
 
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Se Abdul e' il ragazzo ucciso per i biscotti, non e' caduto per nessuna supremazia.
E' caduto , invece, per il semplice fatto che ha incontrato due criminali sulla sua strada.
Semplicemente due pazzi furiosi. ( biscotti= vita)
Ce ne sono tanti in Italia.
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Email Scheda Utente
18/09/2008 09:41
 
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a proposito cito quel Larsson letto un paio di giorni fa:

" e' patetico che per ogni farabutto per strada, poi si trovi sempre un altro responsabile per i suoi reati. ( educazione, cultura, ecc.ecc)"

Ha ragione.
Cosi' facendo si dimentica la RESPONSABILITA' PERSONALE e si trasforma un assassino in vittima di chissa' che.
Stronzate, come dice Larsson.

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Email Scheda Utente
18/09/2008 09:51
 
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il caso del ragazzo ucciso per un piccolo furto non e' nemmeno un caso solamente razziale.
E' un caso, invece, uno dei tantissimi dei giorni nostri, dove si e' perso di vista - in nome di tutta una cultura infarcita di grandi paroloni quali cultura, societa', costumi, intermediazione, razzismo,
globalizzazione , multietnicita',- che un omicidio rimane in ogni caso innanzitutto un omicidio per il quale si toglie la vita ad un altra persona.
E' questo il principio primo : uccidendo si toglie la vita all'altro.
E se ogni santa volta si giustifica o si cerca di spiegare quanto avvenuto con mille spiegazioni degne della migliore dietrologia, ma che in realta' invece di spiegare confondono ancora di piu', si finira' di non comprendere piu' l'essenza di qualsiasi omicidio.
Nel caso del ragazzo dei biscotti io vedo due uomini che uccidono un altro uomo , senza aggiungere che sia bianco o nero.
E se questa distinzione per loro e' stata determinante, allora ancora di piu': non si trovino scuse e li si punisca come Dio comanda.
Ah, ma questo e' " anticulturale"!.
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Email Scheda Utente
18/09/2008 15:07
 
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Mi è rimasto impresso quel "Ce ne sono tanti in Italia" che hai buttato lì.

Tu dove metteresti quei tanti, nel NOI o nel LORO?

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Email Scheda Utente
18/09/2008 17:29
 
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Poverini
Quel ce ne sono tanti in italia: tanti pazzi furiosi che non hanno piu' nessun rispetto, nemmeno di se stessi. Figuriamoci degli altri.
Si parla tanto dell'altro: sembra quasi che la cultura dell'eguaglianza imperante voglia comunicare questo tema innanzitutto: " l'altro, l'altro,
l'altro". Che sia un bianco, un nero, o un rom.
Ma il problema non e' piu' l'altro , ma noi stessi.
E' un errore pensare che la cultura della violenza nasca dal non riconoscimento dell'altro; e' grossolano intenderla in questo modo, perche' oramai quel pensiero che recita sulla morale dell' individualismo come causa di ogni male e di ogni violenza, ha fatto il suo tempo, non e' piu' ascoltato da orecchie un poco fini.
Non e' l'individualismo acceso a disconoscere l'insieme, il noi, l'altro appunto, ma e' proprio l'esatto contrario: una mancanza totale del proprio se'.
Una coscienza sana, retta da principi e valori naturali, da quel senso di responsabilita' personale che ancora intuisce in modo chiaro e non confuso la sua interazione con gli altri ( la societa') , mai e poi mai, si abbasserebbe ad uccidere un altra persona per cosi' poco: per una scatola di biscotti.
Laddove succede questo, non e' piu' l'individualismo a far del male, ma proprio la sua assenza totale. Assenza che rende una persona priva di ogni senso del reale, della misura, dell'etica, di un proprio credo ( qualsiasi sia...) che prima di tutto gli " impone" il rispetto dell'altro, anzi proprio perche' fortemente determinato come un "io" , riconosce negli altri una presenza diversa da se. Da qui la conoscenza dell'altro.
In caratteri , invece, cosi' spersonalizzati, ma diciamo pure privi di ogni autocoscienza o di autostima di se', questo non avviene: messi allo sbando, resi pazzi da culture imbecilli, da slogan di quattro soldi, sono pronti a vestire ogni nuova ideologia, ogni nuova forma di delirio sociale ( politiche, tendenze razziali, tendenze economiche, mode, ecc.ecc.) e in ultimo - perche' no? - a vestire i panni di pazzi furiosi di criminali.
Intanto poi qualcuno - " la societa' o l'altro" - dovra' pur venire a trovare giustificazioni a questi reietti di se stessi.
Spersonalizzati da sempre, persino nel momento della pena saranno capaci d'invocare altri da se': il concetto di un io forte e responsabile delle proprie azioni e' talmente piu' grosso di loro da non entrargli in testa.
Poverini.
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Email Scheda Utente
01/10/2008 09:33
 
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Siamo di nuovo a Parma, città in cui gli uomini in divisa municipale combattono spacciatori e prostitute associandoli al nero.
Un corpo di donna buttato a terra nelle stanze del comando pochissimi mesi fa e un ragazzo picchiato mentre va a scuola.
Entrambi neri, entrambi pericolosissimi stranieri.
Chiedo che si rendano sicure le città punendo i violentatori e i giustiziatori in divisa.
Chiedo che la denuncia di questo ragazzo diventi la nostra denuncia.

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Email Scheda Utente
01/10/2008 10:44
 
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Leggevo stamani sul Corriere.
La soluzione piu' immediata? Punire severamente i responsabili delle forze dell'ordine che si rendono responasabili di cose allucinanti.

Il discorso sul razzismo: e' talmente complesso e intricato da disarmare.
Ma piu' disarmante ancora e' pensare che esistano tante persone che ancora oggi o per condizionamenti o per cultura , attestino ogni giorno dei comportamenti di discriminazione razziale.

Conciati peggio di cosi', non potrebbero essere.
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Email Scheda Utente
17/11/2008 09:45
 
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Il compagno e la compagna attivisti


Il compagno e la compagna attivisti dicono sempre che si deve manifestare per far valere i nostri diritti, che per salvare la democrazia devi lottare, cazzo, per non farti mettere i piedi sulla testa da quei bastardi lì. Il compagno e la compagna sanno anche quali sono le lotte buone e quali le fottute guerre, che lo zapatismo è una forma di autogoverno tosto e che le Madri sono delle tipe che hanno combattuto contro la dittatura. Il compagno e la compagna attivisti pensano che il comunismo sia l’ideologia che rende tutti uguali e che decreterà la fine di ogni sfruttamento, che il Che fosse internazionalista perché aveva pronosticato il neoliberismo e che Fidel magari è antistorico. Il compagno e la compagna attivisti fanno volantinaggio, attacchinaggio, boicottaggio e ammaraggio, vista la loro capacità di scivolare sul bagnato.
Il compagno e la compagna attivisti decidono all’unanimità di fare una cosa e poi, per ragioni esterne al loro volere - così dicono - ne fanno esattamente una contraria.
Quando c’è uno sgombero al campo il compagno e la compagna attivisti dicono che non possono venire perché non era previsto, bisogna organizzarsi, votare, concordare, voi sì che avete coraggio ma noi non possiamo ché il partito ha un’altra linea. Il compagno e la compagna attivisti hanno i poster dei rom presi da internet e li appendono sul muro della sezione, se rimane dello spazio mettono anche la foto de “La Otra Campaña”.
Il compagno e la compagna attivisti si sono candidati alle regionali perché dicono che bisogna lottare dal di dentro e non si capisce se quel di dentro è il motivo della lotta o se la lotta è il motivo del di dentro.
Il compagno e la compagna attivisti dicono che Gramsci odiava gli indifferenti e quando gli dici che lo diceva per combattere l’abulia che caratterizza coloro che non sanno volere dicono che al popolo si deve parlare con parole semplici.
Quando dici al compagno e alla compagna attivisti che c’è un’assemblea partecipata loro ti chiedono l’ordine del giorno e chi saranno i relatori. Tu gli dici di venire a vedere e loro preferiscono sapere chi parlerà e chi ci sarà.
Il popolo – gli diciamo noi – ma, niente da fare, non si fidano.
Pensano sempre che ci sarà una fregatura, metti una domanda a trabocchetto, o un agguato popolare, senza il Che e Marcos come se ne esce?
Il compagno e la compagna attivisti sanno preparare striscioni divertenti, satirici, e alle feste mettono sempre musica etnica e quando gli dici che c’è il gruppo senegalese che possiamo far venire per una serata dicono che non ci sono soldi, se vengono gratis va bene.
Il compagno attivista monta gli stand alle feste di liberazione mentre la compagna attivista sta in cucina, quando dici al compagno che bisogna dare il cambio alla compagna lui dice che in cucina ci va dopo. La compagna va, monta lo stand e quando torna trova la pasta e fagioli scotta.
Il compagno e la compagna attivisti vendono la pasta e fagioli a 7 euro e 50 e se qualcuno gli fa notare che è scotta danno la colpa al sistema che ha indicato male i tempi di cottura. Se chiedi uno sconto al compagno e alla compagna attivisti ti fanno lo sguardo da comunista che liquida con raggio laser il cittadino capitalista bastardo che uno ha dentro; se gli fai notare che i soldi sono il corrispettivo che lui/lei sta chiedendo per l’elargizione del pasto ti dice che devi contribuire alla causa e quindi se mangi paghi.
Quando parli di Marx alla compagna e al compagno attivisti restano particolarmente zitti e non si sa se è per l’emozione o se stanno cercando le parole per omaggiare il padre spirituale. L’ultima volta mi è sembrato di notare una certa inconsapevolezza, però.
Il compagno e la compagna attivisti in questi giorni hanno le occhiaie e dicono di essere stanchissimi per la campagna elettorale, per le liste, per le riunioni e per la consegna dei santini.
C’è Ben che dice di salutare sempre il compagno e la compagna attivisti quando li vede volantinare davanti a Feltrinelli ma che non lo riconoscono mai.
C’è Amina che si chiede perché il compagno e la compagna attivisti fanno i banchetti e volantinano sempre in centro invece di venire nel quartiere popolare a spiegare perché li si dovrebbe votare.
C’è tutto un popolo che aspetta che il compagno e la compagna attivisti mollino i volantini, le liste, i banchetti e si uniscano alla lotta nelle strade.
Questo popolo spera che presto, molto presto, il compagno e la compagna da attivisti si trasformino in attivi e partecipino.

Hasta siempre.
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Email Scheda Utente
17/11/2008 09:52
 
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spettacolare! mi piace, una sana critica.
Il compagno e la compagna attivisti dei miei stivali! ne conosco parecchi anch'io. [SM=g8950]
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