Tremava come se fosse nudo al centro di un iceberg. Il suo corpo in punta, il resto nascosto. Le gambe rigide, le braccia immobili e i denti traballanti; unico suono le crepe sul muro.
E’ venuto il terremoto.
Ho avuto paura.
Anch’io.
Siamo seduti in cerchio e aspetto il mio turno per parlare. Prima di me una ragazza con le trecce e dopo di me un anarchico incazzato. Sento più il contatto dei miei piedi sulla terra fredda che quello del mio corpo sulla sedia. Mi alzo per cercare il sole.
Dal dolore alla rabbia, dalla rabbia alla lotta.
Le dipartite stanno diventando consuetudine. “Strumenti di diritto” direbbe il mio vecchio professore. Mi daranno – prima o poi – il diritto di chiedergli “quando resterai?” e l’uso – altro strumento – del diniego per ripristinare la norma.
Il tuo spirito critico si sta trasformando in spirito tecnico.
E’ la crisi.
Economica?
Emotiva.
Il colore predominante della mia terra ora è il blu. Tende allineate con tiranti su cui è facile inciampare. L’altro giorno un bambino con triciclo incorporato li ha schivati come fossero gimcana al sole. Nessun premio, solo un palloncino a forma di spada.
Favorisca i documenti.
Prego.
Cosa viene a fare qui?
A respirare aria sporca.
Non si traslocano soltanto i cooperativismi ma anche i singolarismi. Un tavolo equivale ad un mattone, un sistema ad un’idea, un proclama ad un’azione. Qui una volta c’era un popolo, oggi c’è uno sparuto gruppo di donne sole. Vanno al fiume a lavarsi.
E questo lo teniamo?
Cos’è?
Un rotolo di cielo.
No, non ci serve.
Verrà, prima o poi, il momento di unirci. Sarà un incontro naturale, senza scelta, necessario. Accadrà in una giornata d’inverno, di quelle freddissime e buie. Sarà come arrendersi all’inevitabile.
Parto.
Di nuovo?
Non io.
Allora chi?
Parto, nuovo, nascita.
La terra trema.
Il cuore trama.