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Camera con vista

Ultimo Aggiornamento: 10/07/2012 16:28
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09/10/2007 18:11
 
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Da questo angolo riesco a vedere bene la signora che, alla stessa ora di sempre, va a comprare il pane.
Il forno è vicino, a piedi ci arrivi in tre minuti, in macchina meno ma ne impieghi cinque per parcheggiare.
Io ci vado sempre a piedi. La signora ripasserà tra dieci minuti esatti per via dell'artrosi.
Vedo anche un ragazzo che fa la guardia alla pista ciclabile. L'hanno aperta da poco, la pista; qualche tempo fa c'era una strada sterrata nascosta dal cavalcavia dove era facile procurarsi la roba. Lo spaccio c'è ancora, i tossici si procurano la droga in bici.
Il ragazzo fa il palo allo spacciatore che tra poco staccherà e tornerà a casa dove lo aspetta la moglie per cena. Mangerà, mentre il ragazzo girerà per cercare di fare la guardia ai clienti del night imboscato dove, di solito, vanno i cinquantenni panzoni, quello vicino al porto.
Si è appena fermato un signore in bicicletta, si gira a guardare indietro.
Dei bambini corrono sfuggendo alle madri che gridano: "Matteo! Vieni subito qua!" Si fermano tutti, il solito caso di omonimia. Vedo passare i piedi delle mamme, un paio di mocassini color prugna, un paio di stivali da cowboy e un paio di sabot bianchi. Distratte nel loro chiacchiericcio non hanno notato i bambini che, riprendendo la loro corsa, hanno urtato la signora che torna dal forno.
Urlano tutti, i bambini, la signora e le mamme. Attraversano la pista ciclabile, passano davanti al ragazzo guardiano, li ferma, le mamme accorrono, la signora agita il bastone, il ciclista si avvicina. Parla uno dei Matteo e il ragazzo gli dà uno scappellotto, le mamme ammutoliscono, la signora con il bastone si gira, il ciclista gira la bici e fugge. Ogni mamma prende il suo Matteo e va per la sua strada, si salutano appena. Quella del bambino piangente lo strattona per farlo smettere. Il ragazzo che fa il guardiano ha l’aria trionfante, sorride e gonfia il petto.
Non passa più nessuno.
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Email Scheda Utente
08/02/2008 09:07
 
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Ora, in queste righe sto scrivendo, almeno penso, qualcosa come un autoritratto. Potrei tornare alla mia infanzia molto cattolica quando eravamo tutti colpevoli agli occhi di Dio, dio capo universale di polizia. L’anima e il corpo come la Bella e la Bestia; o potrei parlare dei miei successivi conflitti con le versioni dogmatiche del marxismo che proclamano l’unica verità, e che allontanano l’uomo dalla naturalezza e la ragione dall’emozione. O potrei raccontare che ho cavalcato diverse disavventure e molte volte mi ha disarcionato il cavallo; che ho conosciuto dal di dentro alcuni ingranaggi del terrore e che la lontananza non è stata sempre facile. Potrei festeggiare che alla fine di molta pena e di molta morte continuo a conservare viva la mia capacità di stupore di fronte alla meraviglia e d’indignazione di fronte all’infamia, e che ho continuato a credere nella verità del poeta che mi ha consigliato di prendere seriamente solo ciò che fa ridere.
Un autoritratto. Potrei dire che detesto gli indecisi, le tovaglie di plastica e le gonne, che sono incapace di vivere lontana dal mare, che scrivo a mano e cancello quasi tutto, che mi sono sposata una volta, che…ma tanto parlare di me mi dà noia ormai.
Mi sono annoiata: lo verifico, lo confesso e lo festeggio.
Un po’ di tempo fa ho visto un pollo che beccava uno specchio; il pollo baciava la sua immagine ma, poco a poco, si addormentò.
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Email Scheda Utente
08/02/2008 11:32
 
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[SM=g8431]
Mi piace molto qeusto pezzo.
E' affermativo.
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Email Scheda Utente
08/02/2008 11:52
 
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festeggio (per il tuo piacere e per la mia noia da autoritratto) [SM=g10529]
[Modificato da mujer 08/02/2008 11:53]
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Email Scheda Utente
14/02/2008 00:07
 
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Scrivi ancora con la tua penna nera?E vai ancora in quel caffè a bere acqua tonica? Perchè ti annoi a farti gli autoritratti se ti piace così tanto scrivere. io non ci credo.
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Email Scheda Utente
17/06/2008 08:38
 
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Se fossimo realmente fedeli non staremmo ore a spulciar parole e a scovare messaggi convincenti. Diremmo sì per dire sì e no per dire forse. Ma gli uomini non sono tutti uguali e c’è chi si nasconde per capire e chi si apre per coprire, e si tradisce anche. Ieri pensavo a questo.

Dici sempre le stesse cose, tu.
Io?
Sei banale.


Sì, sono banale. Il fatto è che le cose, le persone, i giochi mi annoiano, divento distratta. Soprattutto con le persone stupide, quelle che fingono di essere fedeli e si arrendono per nulla, i pentiti della vita che vorrebbero essere sempre altrove. Quanto più si lamentano tanto più mi distraggo. Ieri pensavo alle peonie mentre mi parlava.

Chi?
Uno.
Uno chi?


Schiavi. Sempre pronti a riempire spazi come se la vita fosse una crepa nel muro traballante. Convinti di reggerlo passano notti intere a dormire in piedi, in allerta, come un randagio che ha cara la pelle. In una città che non dorme si potrebbe ballare fino a tarda notte, ma no, si finge di essere stanchi e si chiudono gli occhi per convenzione.

Che vuoi dire?
Niente.
Allora dormi.


Sì, dormo. Ma c’è di che stare svegli in mezzo a tanta infedeltà, origliando, spiando i momenti teneri e nascosti, indovinando il rumore di un bacio. Resto sveglia per stupore, la tua spalla è fredda e il calore è altrove, evapora come neve al sole. Dormi anche tu che è come fingere la morte.

Ma va là!
Sì, vado.
Vai.


Vado sempre via a ora di pranzo. Lei sparecchia e io faccio il caffè per chiudere il discorso. Ieri è andata bene, mi ha accompagnato alla porta e mi ha detto addio. Io non sarei mai riuscito, fingo di voler continuare ma con lei no. Guarda nelle crepe e non è disposta a reggere un muro traballante.

No, non sono più disposta.
Io sì.
Lo so.
Io non lo so, lo penso.


I pensieri non esistono, esistono idee che si realizzano.
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Email Scheda Utente
17/06/2008 10:43
 
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I pensieri non esistono, esistono idee che si realizzano.


E chi lo dice? Non esistono ne' pensieri e tanto meno idee. Quello che si realizza sono le interpretazioni. Ci sono solo quest'ultime.
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Email Scheda Utente
17/06/2008 10:59
 
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Quanto più si lamentano tanto più mi distraggo.


E fa male questa persona; la distrazione potrebbe costarle cara.

Tutte le vicende che sommuovono uno status quo , nascono dalla lamentela. Bisognerebbe fare un elogio alla lamentela.
Esempi?

Forse le rivoluzioni sociali non nascono dalle lamentele del popolo? non s'incomincia a mugugnare, a sussurrare, a sbottare? non s'incomincia cosi' per finire di alzar voce e mettersi a gridare? e da gridare a urlare? e da urlare a prender le armi? e l'inizio qual'e' stato? una lamentela.

E cosi' all'inverso. Forse la soppressione non incomincia nello stesso modo? quando la pazienza ci fa sopportare alcuni atteggiamenti, non viene forse a meno quando questi atteggiamenti continuano? e non s'incomincia a lamentarsi dicendo magari " quo usque tandem abutere nostra pazienza?" : questa che altro e' se non una lamentela di " potere"? forse una delle piu' eleganti.

Elegante come un'altra lamentela, quella dei Borgia che erano soliti scrivere nelle loro lettere mandate a principi e principesse: tra le tante cose scritte intercalavano quasi a caso quel distinto " per non incorrere nel nostro dispiacere", lamentela quest'ultima ancora piu' forte, perche' ambivalente come minaccia.
Ma in fondo cos'era se non una lamentela?

Il lamento e' cosa naturale: diciamo pure che e' istintiva in spiriti forti e temprati. Si provi ad avvicinarsi a un recinto chiuso nel quale vi sia un lupo: vi accogliera' con ululati, ringhi, morsi e cara grazia al signore che la rete tenga, perche' se no son guai. Questo lupo si sta lamentando.
Cosi' non avviene per un altro recinto dove pascolano bovini, passivi, senza volonta': li hanno messi' li' e loro brucano l'erba guardandovi, forse, con quello sguardo spento, annebbiato, non vedente. Si dira': ma sono nature diverse.
Appunto, rispondo io, metteteli insieme quella lamentosa e qualla accondiscendente e vediamo la festa che succede.
Buona fortuna ai bovini.
[Modificato da sergio.T 17/06/2008 10:59]
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17/06/2008 11:24
 
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Schiavi. Sempre pronti a riempire spazi come se la vita fosse una crepa nel muro traballante.

Tutto il contrario invece: questi agiscono, altro che schiavi. Gli schiavi sono di ben altra natura: sono quelli che reclamano che gli altri, la societa', il mondo riempiano i loro spazi. Loro , infatti hanno i diritti acquisiti e li pretendono. Ne hanno talmente tanti che sono diventati schiavi di questa pretesa. Non fanno nulla, non pensano nulla, non ragionano su nulla , non agiscono per nulla, come se la volonta' fosse loro sconosciuta, ma vogliono lo stesso: diciamo che " aspettano , sono in dolce attesa e magari s'innervosiscono se questa attesa si prolunga: come? nessuno riempie loro gli spazi? strano, davvero strano, eppure loro hanno grandi spazi!!!
I primi , invece, sono pronti : hanno visto proprio giusto. La vita e' una crepa temporanea tra il nulla prima e il nulla dopo, dunque, non si aspetta, ma si rimane all'erta ogni ora, ogni minuto, ogni secondo, come una gatta: non si sa mai.
Morale: la differenza tra un randagio ( classe superiore) e un cagnolino da salotto (schiavo) e' questa: il randagio ha cara la pelle per il semplice motivo che sa che " la crepa" nel muro traballante e' la sua stessa vita tra il prima e il dopo, il secondo, essendo propriamente un sopramobile da salotto invece, non ha questa frattura temporale. E' semplicemente una cosa fuori dal tempo, fuori dallo spazio, fuori persino da se stesso, dato che propriamente non ha mai vissuto se non come ninnolo appoggiato li', in attesa di coccole ( i diritti dei cagnolini). Un oggetto inanimato, insomma.
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Email Scheda Utente
18/06/2008 09:23
 
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Esistono idee che si realizzano e l’esperienza rende la loro forma. Ma non interpreteremo mai un’idea malsana, diremo che è sfortuna che non è dipesa da noi. Falso. Era l’idea di un addio e dell’abbandono di una crepa nel muro traballante. Ci sono volontà che non possono disattendersi e che si ripresentano puntuali. Prima o poi si cede e si diventa duri. Ieri sono andata a cena fuori, da sola.

Idea brillante.
Davvero?
Mi sei piaciuta.


Ti piaccio in solitudine. Bene. Agli altri piace meno la mia arroganza autonoma. C’è anche chi ha ripreso il mio modo di vivere in distacco, lontana. Ha l’evidente bisogno di me come spalla. Non mi piacciono le persone che dipendono da altre, mi viene di strattonarle e costringerle a soffrire d’invidia. Riesco a distruggere con una sola frase un’intera vita, a volte lo faccio.

Hai distrutto anche lei?
Non ancora


Si è quel che si ha. Superficiali gli accumulatori di ricchezza, semplice nascondiglio il rifugio dorato. C’è una casa che sembra accoglierli ma che crollerà al primo nubifragio. Siamo tutti lì a ridosso della collina e aspettiamo. Verrà il tempo delle piogge con le nostre lacrime ad inondare la costruzione delle nostre fragilità.

Devi avere la tua casa.
Non ho nulla da costruire.
Come no?
Sono io la mia casa.
Taci.


Avevo il vestito trasparente e tutti mi guardavano. Eravamo seduti in cerchio e mangiavamo couscous con le mani sporche. La musica confondeva i discorsi e dovevamo urlare per capirci. All’una una mano gigante è arrivata dall’alto e ci ha rimesso nella scatola, ognuno nella sua.

Di chi era quella mano?
Del genio.
Ah ah ah.


Ti piace ridere delle scemenze altrui, fai bene. Non puoi disattendere alla risata quando il tuo muro è demolito, devi far finta di costruirne un altro. E mentre lo fai, ridi.

Perché parli sempre?
Non sto parlando, scrivo.
Scrivi in silenzio.


E’ bello mangiare da sola. Tutti guardano i tuoi movimenti e, quando li osservi, si voltano a guardare il menu. O l’orologio. Ero ad un tavolo apparecchiato per due ma il cameriere ha tolto il piatto di fronte a me. Gli avrei detto di lasciarlo se me ne avesse dato il tempo. La verità è che avrei finto tutto il tempo di aspettare qualcuno che era in ritardo. Avrei impersonato l’abbandono.

Ti viene bene la parte.
Hai ragione, mi viene proprio bene.
Scegli il finale.
Ora?
Sì, chiudi.
Slam!
Cosa è stato?
Ho sbattuto la porta.
Ah, ciao.


Esco dalla porta che ha demolito il tuo muro traballante.
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Email Scheda Utente
18/06/2008 11:49
 
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Si è quel che si ha. Superficiali gli accumulatori di ricchezza, semplice nascondiglio il rifugio dorato. C’è una casa che sembra accoglierli ma che crollerà al primo nubifragio. Siamo tutti lì a ridosso della collina e aspettiamo. Verrà il tempo delle piogge con le nostre lacrime ad inondare la costruzione delle nostre fragilità.

Superficiali un bel niente, o meglio, superficiali gli esosi, ma solo se superano la misura.
"Si e' quel che si ha" parte da una premessa errata e per lo piu' in malafede: si equipara l'avere con l'essere per dispregio del concetto di proprieta' " fisica" Ma questo non dimostra niente! assolutamente niente! piuttosto tutto il contrario: "si ha quel che si e'!" cosi', in questo modo, correggiamo una premessa errata.
Dire io sono questo perche' posseggo queste cose e questa casa ( ah, su questa eresia ci si tornera') significa non esserci o credere di essere soltanto a posteriori: ci si identifica e si prende corpo soltanto nel momento che si ha una cosa ( transitorieta').
Si ha quel che si e', e' ben diverso, diversissimo, assolutamente stradiverso: si ha quel che si e', presuppone una scelta originale, autentica, decisiva. Voglio questo e non quello; mi prendo quello e non questo. Qui l'esserci e' a priori, e soltanto a posteriori la proprieta' viene scelta come consona a quello che si e'. Dunque : io sono colui che decidera' di avere o non avere, ma in ogni caso, nulla cambiera' della mia volizione.
Il lupo vuole appropriarsi della lepre , ma se non ci riesce, e dunque non ne diventa " proprietario!" famelico, rimane lupo lo stesso.
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Email Scheda Utente
09/07/2008 01:23
 
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Non esistono scelte originali e cambiare soggetto non trasforma ciò che siamo. Si è quel che si ha o si ha quel che si è fa di noi esseri avidi. E’ quell’essere eternamente connesso all’avere che stride con il mondo naturale dei seguaci di Thoreau che vorrebbero vivere a Walden. Ci sono voleri che trascendono dal possesso, ed è il caso del tuo lupo affamato.

O della sua lupa, no?
No


Me la ricordo ancora quella storia, lei che ruba per sfamare i suoi figli e le sevizie per un tozzo di pane. Più che avere per quel che si è questa donna ha avuto quel che non era, una morte da donna sola. Sarebbe sopravvissuta accompagnata ai suoi dieci figli.

Secondo me certe cose le inventi.
A volte sì.
Ecco.
Ma questa no.


Hai deciso di partire da sola. Non credo di esserne contento, un po’ sì. E’ che se parti mi pesa e non so come dirtelo, dovresti andartene senza dirmi niente. Mi risparmierei quei saluti melensi. Una volta partisti per avere un bacio da me, unicamente, e me lo dicesti dopo tanto tempo.

Sai che non ricordo?
Certo.


E’ una questione di comodo, ricordare o non ricordare. E’ tipico delle persone accomodanti. I borghesi, infatti, non ricordano mai nulla, nemmeno il presente. Basta la moquette per trattenere le orme e un fermo immagine racchiuso in cornice d’argento per fingere ricordi. Conosco due che, pur di non ricordare, dicono di essere felicemente scomparsi.

Così sono gli amanti.
Come i borghesi?
Come gli scomparsi.


Avevo deciso di spogliarmi in mezzo alla piazza. Buttai i vestiti nell’aiuola delle margherite e scomparvero. Li rividi, giorni dopo, indosso alla mia amica Raquel. La gonna le sfiorava le ginocchia, a me arrivava alle caviglie. Raquel era bella e triste, mi sorrideva se aggrottavo le sopracciglia.

Questa cosa è vera.
Invece no.
E’ inventata?
Neanche.
Allora?
E’ futura.


Mi urta questo tuo modo di parlare, di scrivere, di esprimerti, di pensare. Mi urti tu e il tuo tono di voce, la tua cadenza, i tuoi dialoghi e le tue fisse. Sei banale, complicata, stupida e mi irriti. Scrivi e parli, parli, parli per non dire niente. Prima o poi la smetterai e io sarò l’uomo più felice del mondo.

Non posso farlo.
Perché no?
Perché non posso.
Invece puoi ma non vuoi.
Non voglio e non posso.
O una o l’altra.
L’altra.


Qualche anno fa ero a mille miglia da qui, in un'altra casa e in un’altra città. Avevo un’altra vita, un’altra donna e un’altra macchina. Un altro lavoro, un altro cane e un’altra collega. Altri orari, altra giacca e altro libro. Anelavo a un’altra vita che, però, non è questa di ora a mille miglia da allora, in un’altra casa e in un’altra città.

La tua città è antica.
Sembra.
Il ponte è di legno.
Non è un ponte.
Cos’è?
Un confine.


C’è una linea ben demarcata tra ciò che si è e ciò che si ha. Se oltrepasso il confine scompaio.
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Email Scheda Utente
09/07/2008 09:23
 
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E’ una questione di comodo, ricordare o non ricordare. E’ tipico delle persone accomodanti. I borghesi, infatti, non ricordano mai nulla, nemmeno il presente.


Buona cosa è la dimenticanza!

Altrimenti come farebbe

il figlio ad allontanarsi dalla madre che lo ha allattato?

Che gli ha dato la forza delle membra

e lo trattiene per metterlo alla prova?


Oppure come farebbe l'allievo ad abbandonare il maestro

che gli ha dato il sapere?

Quando il sapere è dato

l'allievo deve mettersi in cammino.


Nella casa vecchia

prendono alloggio i nuovi inquilini.

Se vi fossero rimasti quelli che l'hanno costruita

la casa sarebbe troppo piccola.


La stufa riscalda. Il fumista

non si sa più chi sia. L'aratore

non riconosce la forma di pane.


Come si alzerebbe l'uomo al mattino

senza l'oblio della notte che cancella le tracce?

Chi è stato sbattuto a terra sei volte

come potrebbe risollevarsi la settima

per rivoltare il suolo pietroso,

per rischiare il volo nel cielo?


La fragilità della memoria

dà forza agli uomini.


( BERTOLT BRECHT)

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Email Scheda Utente
09/07/2008 09:35
 
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E ancora
E’ una questione di comodo, ricordare o non ricordare. E’ tipico delle persone accomodanti. I borghesi, infatti, non ricordano mai nulla, nemmeno il presente.


Ma che razza di discorso e': non tanto quello dei borghesi ( il mondo stesso e il suo equilibrio e' borghese) ma quello del ricordare.

Il ricordo e' una malattia se diventa ossessivo: ricordare, rimembrare, riportare, portano un individuo all'inazione.
La forza, la volonta' ma anche la stessa felicita' esistenziale e' l'agire in modo non storico ( ne' personale, ne' sociale) perche' solo l'attimo presente e' scevro e libero da ogni forma di condizionamento . L'istinto non ricorda ma agisce d'impulso perche' formato a questo compito, propulsore autentico di ogni azione. Che serve ricordare in certi momenti? forse quello di mediare l'attimo con l'esperienza? o forse solo quello di incatenare una presa di coscienza ad un obbligo imparato tempo prima? Un individuo vive in se' il proprio passato plasmandolo nella dimenticanza proprio nel momento che torna ad agire. Quante cose non s'intraprenderebbero se si ricordasse! quante paure ci assalirebbero! quanta inazione scenderebbe su di noi se ci limitassimo a ricordare.
Si rilegga Nietzsche e si faccian proprie le sue parole: all'individuo oltre alla luce necessita' anche l'oscurita', per agire ci viole anche l'obrio!
Si, lo so, piu' che borghesi, siamo niciani!
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Email Scheda Utente
09/07/2008 09:56
 
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Non ricordo.
Ha qualcosa di religioso il ricordare in modo ossessivo: ha qualcosa venato di quella morbosita' tipica della paralisi. Ricordare e' una contraddizione in termini contro il divenire.
Ma noi, fortunatamente, non amiamo la storia monumentale: quella storia che fissa, che ferma, che innalza barricate su un episodio, su un qualcosa che conta poco piu', poco meno, come un granello di sabbia nel deserto. Non vogliamo nemmeno pensare ad una storia del ricordo.
Tutto accade e nulla ha importanza estrema per un ricordo per sempre.
Che vuol dire " per sempre"? questa abominevole etichetta renderebbe senza senso il mondo stesso, lo depriverebbe della sua bellezza, della sua inconstanza, della sua stupenda casualita'. Nulla va' ricordato per sempre.
Come in Anatole France per fare un esempio che nella chiusa del bellissimo racconto Il procuratore della Giudea, fa rispondere a Ponzio Pilato - guarda caso un Romano par excellence ! - interpellato anni dopo su quel Figlio di Dio: " Gesu'? non ricordo...nessun Gesu'"
Certo! Ponzio Pilato amava il divenire!
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Email Scheda Utente
14/07/2008 22:49
 
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questa camera con vista è davvro interessante, mi piace come scrive mujer
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Email Scheda Utente
12/11/2008 11:37
 
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Leggo contando le metafore che è come parlare senza mai guardare negli occhi. Uno fissa l’altro solo se lo sguardo è limpido ed è sempre più difficile trovare pupille svelate. I tuoi occhi blu erano lontani e la metafora era il faro che squarciava la notte.

Eravamo lontani?
Sì, ma non più di adesso


Quando ti sogno sei sempre vicino. Ti attacchi e mi respiri in faccia per farmi sentire il tuo alito di vita. Anche i sogni sono metafore ma il simbolo non è reale, è inventato. Se inventi troppo resti deluso e non sogni più, ti dici che non serve a nulla e tiri fuori i piedi che dovrebbero essere piantati a terra. Ma tu non sai usare il badile.

Eri riuscita a star zitta per un po’.
Anzi.
Non scrivevi più?
Sognavo.


Lei mi sta raccontando una storia d’amore che io conoscevo già. La sapevo ma non ricordavo l’inizio e la fine, che è come non voler rivivere la nascita e la morte. Il fatto è che lei non sa riconoscere il suo amato e mi chiede di raccontarglielo, e io – che ricordo quasi tutto ora – non so farlo. Qui la metafora è scomparsa, urge la realtà.

Sei troppo emozionata.
Anche tu però.
No, io sono arrabbiata.


Hai sempre da ridire su tutto. Lo fai e te ne penti subito, lo vedo dalla tua faccia impaurita. Non è vero che non ti manco, è vero che non ti basto. Sei tu che della solitudine fai un baluardo malandato, rattoppi i buchi per non lasciare passare gli spifferi. Eccotene uno carico d’amore.

Sei la solita scema.
Claro que sì.
Comunque non è come dici tu.
Anche se lo fosse cosa cambierebbe?
Ti ripudierei.
No, non ce la faresti.
Perché?
La tua solitudine resterebbe sola.


Se sto scrivendo è perché sto ancorando alcune assenze. Un luogo può crearne molte di più, ci hai pensato? Non c’è assenza senza spazio, e non mancano gli uomini e le donne ma ciò che lasciano di sé durante il passaggio. Io vedo la scia della tua coda a strisce e raccolgo le tue piume. Mi manchi se non trovo indizi per seguirti.

Il tuo pavone si è perso.
Tornerà.
Sa la strada?
No, non la sa.


La realtà si riempie di immagini sovraesposte. L’eccessiva luce ci fa socchiudere gli occhi e sembriamo due sfingi che si danno le spalle. Tu guardi a nord e io a sud: ognuno lancia il suo oracolo.

Lunghe distese, sverneremo.
Montagne assolate, rincaseremo.


Ho troppo lavoro, non posso ascoltarti. Se vuoi ci vediamo l’anno prossimo, d’estate, e mi racconti come va la vita. Tanto, se hai bisogno di parlare, c’è sempre qualcuno disposto ad ascoltare, così come fa il vento quando grida il suo passaggio.
Ecco la metafora.
[Modificato da mujer 12/11/2008 11:52]
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Email Scheda Utente
17/12/2008 23:46
 
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POLITICHESE
resoconto del 17/12/2008


“con una mano
avanti
e
l’altra
in basso
preferisco
così”

è scoppiato il finimondo tra gli speculatori del palazzo
(la procura serba segreti che imboccherà col cucchiaino)
e la stampa elude
allude che
presumibilmente
non durerà per molto
lo si sapeva
si è sospesa l’attività sociale
la città è commossa
la giustizia trionfa
fino al prossimo rilascio
e al viaggio premio dei seguaci
dieci persone indagate,
ma quale ingiustizia?
bevi al calice rosso orientale ora
che a noi non la dài a bere

(ora usciranno le registrazioni
a bizzeffe le troveranno
e ci piomberanno addosso
cifre
nomi
banche svizzere
e case di pietra bianca
degne della nave di cascella)

Nell’altro palazzo il nuovo eletto
fingerà dedizione
indignazione
erudizione
e, se ci va bene,
valutazione della clientela
il voto si paga

Dall’alto reclamano la legge
e dal basso l’accordo è arrivato
degni figli della democrazia barattata
e donata al miglior offerente

Chi è comunista alzi la mano
(la maggior parte degli astenuti
mostra i calli con orgoglio)

Sopra gridano allo scandalo
e al tradimento
In basso c’è fermento
e profumo di sandalo

La signora con il cane
dice che al posto della scarpa ci stava bene
una pallottola
“mi faccio tutta la vita in carcere ma quello muore”
(saggezza popolare)

Sopra sputano, gridano, insultano
i presunti profeti raccolgono tra le macerie
dicerie
consegnano alla storia
diserzione
finte partecipazioni
condoglianze miste ad accuse
tristezze inaudite
(prima erano gioie mal riposte,
ricordi di chi ha buona memoria)

Sotto resistono, lottano, urlano
gli ultimi burlati e derubati
defraudati
riportano alla storia
l’orgoglio
potere al popolo
resistenze cariche di forza
azioni condivise
(vi diranno qualunquisti,
sarà la parola d’ordine per la futura battaglia)


Le parole non mentono
nero su bianco
che non è il riscatto del mio amico
anzi, bianco era il lenzuolo
disteso sul suo corpo
l’altro giorno che cercava lavoro
e si è trovato sul cargo in partenza
per la fine dei suoi giorni.
Lo aveva detto un giorno
“se ritorno a casa mi uccidono”
ma non hanno fatto in tempo

I suoi padroni si dicono provati
rinnoviamogli il contratto
e diamogli un tetto
un’auto e un buono pasto

Assassini di un sogno
caduto in disuso

Vediamo se la giustizia processa
gli sfruttatori di pene
ma si sa
non si condanna
chi commette reati contro gli oppressi

Sentirò domani i compari del recluso
diranno che è colpevole
toccandosi le cravatte blu a strisce rosse
mentre cercano il nuovo candidato
che garantisca il posto
la pratica
nuove cravatte
e l’elemosina per un sollievo
“siamo tutti una famiglia”
io invece sono singola
e odio le cravatte

Condanneranno i vecchi amici
e accarezzeranno i loro cani
fino alla prossima tornata

Alzi la mano con calli
chi si impegna a identificare
quelle sporche facce.
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Email Scheda Utente
18/12/2008 09:52
 
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La si deve mettere in poesia o in strofa questa nuova avventura abruzzese.
Un resoconto delle tante malfatte italiane: abitudini truffaldine dure a morire o forse immuni ad ogni punizione.
L'alto e il basso: il potere e il popolo; la giustizia e l'ingiustizia.
Per le prime due dicotomie si puo' ancora parlare di coerenza e di conflitto: la prima nega l'altra o viceversa.
Per la terza , invece, e' quasi ridicolo parlarne ancora.
Giustizia e ingiustizia? dov'e' la differenza? qualcuno la vede ancora?
La verita' sta' altrove: la verita' vuole che non si ha piu' il coraggio di "fare" giustizia. In questi tempi di chiacchere , in questi tempi di discorsi - in quest'epoca, insomma, all'insegna del gran parlare - ogni "fare" e' bandito, e' negato, e' visto con sospetto.
Figuriamoci il " fare" giustizia, questo fare cosi' difficile, cosi' orgoglioso, cosi' impegnativo.
La' dove la vigliaccheria ha negato ogni intrapresa forte e perche' no? dura, si e' riposto la tolleranza, il reciproco patteggiamento.
Finira' cosi' anche in Abruzzo: bolle di sapone momentanee.

Poi se la prendono , ovvero, " fanno" contro i deboli, contro coloro che non hanno cravatte.
Segno dei tempi, segno di questa infinito rammollimento.
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Email Scheda Utente
18/12/2008 10:10
 
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Nascosti tutti insieme appassionatamente
(vi diranno qualunquisti,
sarà la parola d’ordine per la futura battaglia)

Si, ecco, proprio cosi'. Questo verso riassume benissimo il nocciolo del discorso.
Vi diranno qualunquisti perche' questo permette loro di nascondersi, di svicolare, di generalizzare, di fare nebbia, confusione, poca chiarezza. E loro, nella poca chiarezza ci vivono, ci mettono le radici, germogliano uno dietro l'altro.
Ma il qualunquismo e' quella malattia al contrario: e' qualunquista proprio colui che ha voluto questo stato di cose. Questa idea liberal progressista del garantismo ad ogni costo; della tutela dei diritti di ciascuno; questa privacy sopra ogni cosa; questa mania dell'innocenza immutabile; questa cultura del recupero, del patteggiamento, dello sconto, della repulsione verso tutte le pene anche le piu' modeste. Questo nuovo altare moderno dell'impunibilita' assoluta.
Un nuovo vangelo, questo, propugnato e avallato proprio da quelli poi finiti oppressi, da sempre oppressi: come un boomerang si e' rivoltato contro il popolo, quel popolo liberal progressista di idee illuministe - idee di estrema sinistra diciamolo pure - che gridavano a piena voce la parita' dei diritti per tutti, idee socialiste, umanitarie, di un mondo nuovo, un mondo ideale.
E' questo il " vero" qualunquismo: avere perso di vista le distinzioni in tutte le azioni sociali, politiche, individuali; non avere piu' distinto il ben fare dal mal fare; avere voluto - ciechi ad ogni evidenza - fare di tutto una massa informe, un gruppone, un insieme quale mai si era visto prima.
Questa e' un'idea quasi "terroristica": qui si idealizza un " tutti insieme ugualmente" che ha tutta l'aria di assomogliare ad un condono generale, ad un ognuno fa quello che vuole e dice quello che vuole.
Si e' persa la nobilta' del cecchino, quella nobilta' di " mirare" a chi doveva essere mirato, preso, portato via, e infine chiamato a rispondere del suo fare individuale.
Oggi, no. Oggi l'ideale dell'insieme sociale nasconde ogni malefatta, ogni responsabilita', anzi, la giustifica , la legittima, la rende cosa normale.
Proprio da veri qualunquisti tutti insieme appassionatamente in gruppo, nascosti nel gruppo.

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