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Caffé Letterario

Tito Livio

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    sergio.T
    00 26/01/2009 15:20
    Certo la storia di Icilio e la sua fidanzata rileva anche aspetti politici sociali: la lotta tra la plebe e i Decemviri e' uno di questi.
    Ma il filo conduttore di tutta la vicenda rispecchia l'etica romana:
    innanzitutto padre e figlio.
    Nel primo discorso di Ilicio , questi, si rimette al volere del padre assente. Dunque se la figlia dovesse concedersi fisicamente ad Appio, sara' solo il padre a dovere decidere sulla condizione della figlia.
    Per quanto riguarda lui - secondo uomo nella vita della figliola - il suo onore non permette la violazione fisica della donna amata. E' un sopruso imperdonabile per i Romani.
    "..se Appio non sara' punito scatenera' la sua libidine su altre donne..." recita cosi' Tito Livio nel proseguio.

    Nel caso di Lucrezia, ( altro caso di violenza sessuale) i Romani terranno fede al loro ordinamento: si giura che l'esecutore dello stupro sara' giustiziato e la sua famiglia con la sua figliolanza, saranno presi e condannati a non vivere piu' a Roma. Saranno per sempre perseguitati.

    La reazione delle donne: per questo mettiamo al mondo dei figli e delle figlie? perche' siano violentate dalla prepotenza e dalla libidine? A Roma questo, seppur commisto a una lotta di classe, non poteva essere tollerato. E lo dimostra l'univoca e omogenea reazione del Senato, dei soldati e soprattutto del popolo : " Siete voi Romani?"

    Infine: se la lotta di classe ha una rilevanza incredibile su molte vicende, si ha la netta sensazione - e Tito Livio la esalta - che la goccia che fa traboccare il vaso ( nelle crisi politiche) e' sempre la profanazione di una liberta' individuale molto vicina all'onore.
    " battete le schiene e le teste ma sia salva la pudicizia delle donne"...

    E cosa c'e' di piu' libero e onorevole per una donna di concedersi a chi vuole e soltanto a lui?

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    sergio.T
    00 26/01/2009 15:34
    Chi e' al di la' della legge ?
    "...Ma Verginio replicò che Appio Claudio era l'unico uomo a trovarsi al di là della legge e a non avere alcun rapporto col consorzio umano e civile. Invitò poi la gente a rivolgere lo sguardo al tribunale, ricettacolo di ogni crimine: lì quel decemviro a vita, acerrimo nemico dei cittadini e dei loro beni, delle loro persone e del loro sangue, che minacciava tutti con verghe e scuri, senza portare alcun rispetto a dèi e uomini. Circondato com'era non di littori ma di carnefici, aveva ormai spostato i suoi interessi dalle razzie e dagli assassini alla libidine: così, di fronte agli occhi di tutto il popolo romano, aveva strappato dalle braccia del padre una ragazza di condizione libera e, trattandola alla stregua di una prigioniera di guerra, l'aveva data in dono a un cliente che in casa sua gli faceva da cameriere. Sui banchi di quel tribunale Appio, con una sentenza disumana e un'assegnazione nefanda, aveva armato la mano destra di un padre contro la figlia. Sempre in quel tribunale, mentre il fidanzato e lo zio sollevavano da terra il corpo esanime della giovane, aveva ordinato che fossero imprigionati, infuriato più per l'impedimento dello stupro che per l'uccisione della ragazza. Anche per Appio era stato costruito quel carcere che lui amava definire residenza del popolo romano. Perciò, anche se avesse continuato ad appellarsi all'infinito, all'infinito Verginio gli avrebbe intimato di presentarsi di fronte a un giudice per dimostrare di non aver pronunciato una sentenza di schiavitù provvisoria nei riguardi di una libera cittadina. Se poi Appio non fosse comparso di fronte al giudice, allora avrebbe dato ordine di portarlo in prigione come se fosse stato condannato. Fu condotto in carcere; anche se nessuno si alzò per esprimere disapprovazione, ciononostante grande fu il disagio, perché la punizione di una personalità così importante faceva sembrare alla plebe eccessiva la sua stessa libertà..."

    Tito Livio cap 57 libro terzo Storia di Roma
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    sergio.T
    00 26/01/2009 15:37
    La pena : processati, condannati, suicidio e l'esilio.
    "...Ma Verginio li invitava ad aver compassione piuttosto di lui e di sua figlia, pregandoli di dare ascolto più che alle suppliche della famiglia Claudia, che si era arrogata il diritto di tiranneggiare la plebe, a quelle dei parenti di Verginia, e cioè i tre tribuni che, eletti per sostenere la plebe, ora dalla plebe imploravano sostegno e protezione. Alla gente sembrò che queste lacrime fossero più giuste. Persa quindi ogni speranza, Appio si suicidò prima che arrivasse il giorno fissato per il processo. Sùbito dopo Publio Numitorio fece arrestare Spurio Oppio, il più odiato dei decemviri dopo Appio, perché presente in città quando il collega aveva pronunciato l'ingiusta sentenza di schiavitù provvisoria. A dir la verità provocarono il risentimento popolare nei confronti di Oppio più i misfatti commessi che quelli che non aveva impedito. Venne prodotto un teste che passò in rassegna le ventisette campagne militari a cui aveva partecipato meritandosi otto volte decorazioni speciali; dopo aver esibito queste decorazioni davanti al popolo, si strappò la tunica mostrando la schiena straziata dalla frusta e dichiarò che, se l'imputato era in grado di menzionare qualche sua colpa, scatenasse di nuovo, benché ora privato cittadino, la sua rabbia su di lui. Così anche Oppio finì in carcere, dove si tolse la vita prima del giorno del processo. I tribuni confiscarono le proprietà di Claudio e di Oppio. Gli ex-colleghi di decemvirato andarono in esilio e i loro beni vennero confiscati. Anche Marco Claudio, l'uomo che aveva rivendicato la proprietà di Verginia, fu processato e condannato. Essendogli stata risparmiata la pena di morte per l'intercessione dello stesso Verginio, fu rilasciato e andò in esilio a Tivoli. Così i Mani di Verginia - certo più fortunata da morta che da viva -, dopo aver vagato tra tante case per chiedere vendetta, ora che nessun colpevole era rimasto impunito, ebbero finalmente pace."

    Tito Livio cap 58 libro terzo, Storia di Roma
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    sergio.T
    00 26/01/2009 16:55
    Che culo.
    Sia sul sito Mondadori e su Ibs il primo e terzo volume della Storia di Tito Livio edizioni classici Meridiani, sono dati per non disponibili per esaurimento.
    Io, a Lovere, Sabato pomeriggio me li sono trovati li' in un baleno: tutti e cinque.

    Una fortuna sconvolgente.

    E ora alla caccia dei due volumi di Tacito e dei due volumi di Marcellino Ammiano.

    Chissa' se sono cosi' fortunato un altra volta.
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    mujer
    00 26/01/2009 18:25
    Mi piace molto questa sequenza di post, certo un senso della giustizia completamente diverso da quello che viviamo oggi.
    Me li gusto con calma ora e me li rileggo.
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    sergio.T
    00 26/01/2009 21:46
    Discorso di Quizio Capitolino (prima parte)
    "Benché io sia conscio di non aver alcuna colpa, o Romani, ciononostante è con estrema vergogna ch'io mi presento al cospetto di questa assemblea. Voi sapete, e un giorno verrà tramandato ai posteri, che, durante il quarto consolato di Tito Quinzio, Volsci ed Equi - un tempo appena all'altezza degli Ernici - sono giunti impunemente fin sotto le mura di Roma con le armi in pugno. Benché ormai da tempo la situazione sia tale da non lasciar presagire nulla di buono, ciononostante, se solo avessi saputo che l'anno ci riservava un episodio così funesto, avrei evitato questa ignominia, anche a costo di andare in esilio o di togliermi la vita, ove non mi restassero altri mezzi per sottrarmi a questa carica. Se fossero stati uomini degni di questo nome quelli che si sono presentati con le armi in pugno di fronte alle nostre porte, Roma avrebbe potuto esser presa sotto il mio consolato! Avevo avuto onori a sufficienza e vita a sufficienza, anzi fin troppo lunga: avrei dovuto morire durante il mio terzo consolato. Ma a chi hanno riservato il loro disprezzo i nostri più vili nemici? A noi consoli, oppure a voi, o Quiriti? Se la colpa è nostra, allora privateci di un'autorità della quale non siamo degni. E se poi questo non basta, aggiungete anche una punizione. Se invece la responsabilità ricade su di voi, l'augurio è che né gli dèi né gli uomini vi facciano pagare i vostri errori, ma siate soltanto voi stessi a pentirvene. I nemici non hanno disprezzato la codardia che è in voi, ma nemmeno riposto eccessiva fiducia nel proprio coraggio. A dir la verità è toccato loro molte volte di essere sbaragliati e messi in fuga, privati dell'accampamento e di parte del territorio, nonché di passare sotto il giogo, e conoscono voi e se stessi! No, sono la discordia delle classi e gli eterni contrasti - vero veleno di questa città - tra patrizi e plebei, che hanno risollevato il loro animo, perché noi non moderiamo il nostro potere e voi la vostra libertà, voi siete insofferenti nei confronti dei patrizi e noi nei confronti delle magistrature plebee. Ma in nome degli dèi, cosa volete? Morivate dalla voglia di avere dei tribuni della plebe, in nome della concordia sociale ve li abbiamo concessi. Desideravate i decemviri: ne abbiamo autorizzato l'elezione. Vi siete stancati dei decemviri, li abbiamo costretti ad abbandonare la carica. Continuavate a odiarli anche quando erano ormai tornati dei privati cittadini, abbiamo tollerato che uomini molto nobili e onorati venissero condannati a morte e all'esilio. Poi vi è di nuovo venuta la voglia di eleggere dei tribuni, li avete eletti, e di nominare consoli dei membri della vostra parte e noi, pur sembrandoci ingiusto nei confronti dell'aristocrazia, siamo arrivati al punto di vedere quella grande magistratura patrizia offerta in dono alla plebe. L'intromissione dei tribuni, l'appello di fronte al popolo, i decreti approvati dalla plebe e imposti al patriziato, i nostri diritti calpestati in nome dell'eguaglianza delle leggi, tutto abbiamo sopportato e sopportiamo. In che modo potranno mai avere fine i contrasti? Verrà mai il giorno in cui sarà possibile avere una sola città unita e considerarla la patria comune? Noi, che ne usciamo sconfitti, accettiamo la situazione con animo più sereno di quanto non facciate voi, che pure siete i vincitori. Non vi basta che noi dobbiamo temervi? Contro di noi è stato preso l'Aventino, contro di noi è stato occupato il monte Sacro. Abbiamo visto l'Esquilino quasi preso dal nemico e i Volsci apprestarsi a scalare le mura di Roma: nessuno ha avuto il coraggio di andarli a ricacciare indietro. Solo contro di noi voi siete dei veri uomini, solo contro di noi impugnate le armi.

    Tito Livio, cap 67 ibro terzo, Storia di Roma
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    sergio.T
    00 26/01/2009 21:49
    Discorso Quinzio Capitolino ( seconda parte)
    Forza dunque: visto che siete riusciti ad assediare la curia, a trasformare il foro in una tana di insidie e a riempire le patrie prigioni di uomini eminenti, dimostrate la stessa audacia, uscite dalla porta Esquilina. Ma se non siete neppure all'altezza di un gesto del genere, allora andate a vedere dall'alto delle mura i vostri campi messi a ferro e fuoco, le vostre cose portate via e il fumo degli incendi che sale qua e là nel cielo dalle case in fiamme. Ma voi potreste obiettare che chi sta peggio è lo Stato, con le campagne che bruciano, la città assediata e la gloria militare lasciata solo ai nemici. E con questo? Credete che i vostri interessi privati non si trovino nella stessa situazione? Presto dalla campagna arriverà a ciascuno di voi la notizia delle perdite subite. Che cosa c'è qui in patria, in grado di risarcirle? Ci penseranno i tribuni a restituirvi quel che avete perduto? Vi prodigheranno a sazietà parole e chiacchiere, accuse contro cittadini in vista, leggi su leggi e concioni. Ma da quelle concioni nessuno di voi è mai tornato a casa più ricco di beni e di denaro. O c'è mai stato qualcuno che abbia riportato a moglie e figli altro che risentimento, antipatie e gelosie pubbliche e private dalle quali siete stati protetti non certo per il vostro valore e la vostra integrità, ma per l'aiuto ricevuto da altri? Ma, per Ercole, quando eravate al servizio di noi consoli e non dei tribuni, e nell'accampamento invece che nel Foro, quando il vostro urlo spaventava il nemico in battaglia e non i senatori romani in assemblea, dopo aver fatto bottino e dopo aver conquistato terre al nemico, tornavate a casa, ai vostri Penati, carichi di preda, coperti di gloria e di successi conquistati per la patria e per voi stessi! Ora invece permettete che i nemici se ne vadano carichi delle vostre ricchezze. Tenetevele strette le vostre assemblee e continuate pure a vivere nel Foro: ma la necessità di prendere le armi - da cui rifuggite - vi incalza. Vi pesava marciare contro Equi e Volsci? Ora la guerra è alle porte. Se non si riuscirà ad allontanarla, presto si trasferirà all'interno delle mura e salirà fino alla rocca del Campidoglio, perseguitandovi anche dentro le case. Due anni or sono il senato bandì una leva militare e poi diede ordine di condurre le truppe sull'Algido: noi ora ce ne stiamo qui oziosi, litigando come donnicciole, contenti della pace del momento e incapaci di prevedere che da questo breve periodo di tregua la guerra risorgerà mille volte più grande. So benissimo che ci sono cose molto più piacevoli a dirsi. Ma a parlare di cose vere anziché di gradite, anche se non mi ci inducesse il mio carattere, mi obbliga la necessità. Vorrei davvero piacervi, o Quiriti, ma preferisco di gran lunga vedervi sani e salvi, qualunque sia il sentimento che nutrirete in futuro nei miei confronti. Dalla natura è stato disposto così: chi parla in pubblico per interesse personale è più gradito di chi ha invece al vertice dei suoi pensieri solo l'interesse dell'intera comunità; a meno che per caso non crediate che tutti questi adulatori del popolo e questi demagoghi che oggi non vi permettono né di combattere né di starvene tranquilli vi incitino e vi stimolino nel vostro interesse. La vostra agitazione è per loro titolo di merito o ragione di profitto; e siccome quando regna la concordia tra le classi essi sanno di non essere nulla, preferiscono mettersi a capo di tumulti e sedizioni, preferiscono fare azioni malvage piuttosto che nulla. Se esiste una possibilità che alla fine tutto ciò arrivi a disgustarvi e che vogliate tornare alle vostre abitudini di un tempo e a quelle dei vostri antenati, rinunciando alle funeste innovazioni, vi autorizzo a punirmi se nel giro di pochi giorni non sarò riuscito a sbaragliare questi devastatori delle nostre campagne dopo averli sradicati dall'accampamento, e a trasferire da sotto le nostre mura alle loro città questa terrore di guerra che ora vi paralizza."

    Tito Livio, Storia di Roma



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    sergio.T
    00 26/01/2009 21:50
    una traduzione, questa che riporto, infinitamente peggiore della traduzione nei Meridiani Mondadori.

    Un peccato. [SM=g11147]
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    sergio.T
    00 27/01/2009 10:57
    La lotta sociale si gioca tutta sull'asse patrizi plebei.
    La terza classe sociale Romana, i cavalieri, sembra piu' defilata.

    Con l'ammissione dei matrimoni misti ( patrizio con plebea )si fa un piccolo passo in avanti, ma non riesce ad ogni modo a superare la reciproca diffidenza.

    Per i Romani la questione della discendenza era fondamentale: se si mischiavano patrizi con plebei un individuo si sarebbe potuto chiedere: chi sono io? da dove vengo? quale il mio passato?
    Il Senato oppose il concetto di " purezza" e di chiarezza.

    Ma questo non basto': il ricatto del rifiuto alla leva militare fu un'arma potente in mano alla plebe e su questo motivo ottenne molte concessioni dal potere Romano.
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    sergio.T
    00 27/01/2009 11:10
    ...Ma in nome degli dèi, cosa volete? Morivate dalla voglia di avere dei tribuni della plebe, in nome della concordia sociale ve li abbiamo concessi. Desideravate i decemviri: ne abbiamo autorizzato l'elezione. Vi siete stancati dei decemviri, li abbiamo costretti ad abbandonare la carica. Continuavate a odiarli anche quando erano ormai tornati dei privati cittadini, abbiamo tollerato che uomini molto nobili e onorati venissero condannati a morte e all'esilio. Poi vi è di nuovo venuta la voglia di eleggere dei tribuni, li avete eletti, e di nominare consoli dei membri della vostra parte e noi, pur sembrandoci ingiusto nei confronti dell'aristocrazia, siamo arrivati al punto di vedere quella grande magistratura patrizia offerta in dono alla plebe. L'intromissione dei tribuni, l'appello di fronte al popolo, i decreti approvati dalla plebe e imposti al patriziato, i nostri diritti calpestati in nome dell'eguaglianza delle leggi, tutto abbiamo sopportato e sopportiamo. In che modo potranno mai avere fine i contrasti? Verrà mai il giorno in cui sarà possibile avere una sola città unita e considerarla la patria comune? Noi, che ne usciamo sconfitti, accettiamo la situazione con animo più sereno di quanto non facciate voi, che pure siete i vincitori...
    Quinzio Capitolino

    Queste bellissime parole rispecchiano la situazione Romana tra patrizi e plebei. La plebe appoggiata dal popolino nel corso dei decenni e secoli impose richieste sempre maggiori: il problema insoluto rimaneva quello delle leggi agrarie dell'agro ( territorio demaniale) che mai furono approvate.
    I Romani confiscavano come diritto di guerra molti territori ai nemici: questi venivano ripartiti in modo iniquo. La maggior parte andava in mano patrizia, poco in mano plebea. Non bastarono 7 secoli per dirimere questo problema e sull'onda di questo la plebe richiedeva sempre di piu', fino all'esagerazione.

    Il discorso di Quinzio Capitolino fu accolto con molta approvazione da parte di tutti: fece leva sul senso di " appartenenza" a Roma, concetto importantissimo: la cittadinanza romana era l'unico segno di distinzione che i Romani mai concessero ( e se lo fecero lo fecero tardissimo) ad altri non nati in Roma.
    Ed e' strano vedere che come molti altri casi della storia chi fu sconfitto politicamente fu piu' sereno degli stessi vincitori come dice Quinzio Capitolino: e come dice Mommsen , citando il caso Cinna o il caso Catilina per fare degli esempi, in realta' nelle sollevazioni popolari e plebee, si mischiavano gentaglia e delinquenti di tutte le specie.
    E questo non era tollerabile da una citta' veramente unita.
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    sergio.T
    00 27/01/2009 11:28
    Scrittura di Tito Livio.
    Come scrive Tito Livio! epicamente, trionfalmente, tragicamente.
    La potenza della sua prosa va' di pari passo con la potenza Romana.

    Nel caso Veio, che dopo anni di guerra con Roma sara' definitivamente sterminata dall'esercito Romano, il grande storico abbellisce quanto mai la sua descrizione in questo incipit:

    « Già i Giochi e le Ferie Latine erano stati rinnovati, già l'acqua del lago Albano era stata dispersa per i campi, già il destino incombeva su Veio. »
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    sergio.T
    00 28/01/2009 09:37
    Il senato concesse lo stipendio all'esercito: fino ad allora i soldati romani si pagavano a proprie spese la leva.
    La cosa fu acclamata come grande cosa, ma qualche tribuno della plebe stessa obietto': " quale aumento? dove prende l'erario i soldi per l'esercito perennemente in guerra? li prende dalla nuova tassazione contro la plebe, finira' cosi'"

    Come si vede i tribuni della plebe erano i sindacati moderni.
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    sergio.T
    00 28/01/2009 09:41
    Dignita' Romana
    " La dignita' Romana pretende che non si ponga fine alla guerra. Veio non solo va' battuta ma va' sterminata una volta per tutte. E se dovessimo prendere in considerazione un altra alternativa, si sappia che solo l'idea di un posticipo o di una tregua invernale, sarebbe un'onta all'onore Romano: onta che il nostro esercito non puo' tollerare per la sua storia e la sua tradizione"
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    sergio.T
    00 28/01/2009 11:47
    Appio Claudio in Senato: Contro Veio per dignita' Romana
    "Con nemici simili dovremmo gestire la guerra dimostrandoci privi di determinazione e accettando di trascinarla per le lunghe? Se non ci spinge un risentimento tanto giustificato, allora, dico io, non basteranno nemmeno le cose che sto per dirvi? La città è stata circondata da imponenti opere di fortificazione che costringono il nemico all'interno delle mura, impedendogli così di coltivare la terra, che, là dove coltivata, ha subìto le devastazioni della guerra. Se ritiriamo le truppe, chi potrebbe dubitare che i Veienti, spinti non solo dal desiderio di vendicarsi ma anche dalla necessità stringente di razziare le campagne altrui dopo aver perso le proprie, non invaderanno il nostro territorio? Se ascoltiamo i tribuni, la guerra non la posticipiamo, ma ce la portiamo dritta in casa. Quanto poi ai soldati, cui la bontà dei tribuni della plebe voleva poco fa togliere lo stipendio del quale adesso, con un'improvvisa sterzata, esige invece l'erogazione, in che situazione versano? Hanno scavato per un lungo tratto un fossato e una trincea, faticando in maniera improba nella realizzazione dell'una e dell'altra cosa. Hanno costruito dei fortini, prima pochi e poi, con l'aumentare degli effettivi in zona, moltissimi. Hanno realizzato opere di fortificazione non solo in direzione della città, ma anche verso l'Etruria, per controllare l'eventuale invio di rinforzi da quella parte. Che cosa dovrei dire poi delle torri, delle "vigne", delle "testuggini" e di tutti gli altri dispositivi utilizzati nell'assedio di città? Adesso che questo immane lavoro di fortificazione è stato realizzato e lo si è ormai portato a compimento, volete abbandonare tutto in maniera tale che poi l'estate prossima si debba di nuovo sudare per ricostruire ogni cosa da capo? Non costerebbe meno conservare quanto già realizzato e insistere con perseveranza per togliersi il pensiero della guerra? Sarebbe davvero questione di poco, se scegliessimo di agire con continuità e se non fossimo noi stessi a rallentare la realizzazione delle nostre speranze con queste continue interruzioni e dilazioni. Parlo dello spreco di tempo e di fatica. Ma che dire del pericolo cui andiamo incontro ritardando la guerra? Ce lo fanno forse dimenticare le continue assemblee nelle quali i popoli dell'Etruria discutono sull'invio di rinforzi a Veio? Attualmente sono ancora irritati nei loro confronti: li odiano e dicono che di aiuti non gliene manderanno. Per quel che dipende da loro, nulla ci impedisce di catturare Veio. Ma chi può garantire che manterrebbero la stessa disposizione d'animo, se la guerra dovesse andare per le lunghe? Se infatti permetteremo ai Veienti di tirare il fiato, essi invieranno sùbito ambascerie più numerose e importanti, e ciò che al momento rappresenta un ostacolo nei rapporti con gli Etruschi (ossia il re sul trono di Veio), potrebbe col tempo trasformarsi, o per decisione unanime di tutta la cittadinanza per riconciliarsi così con gli Etruschi, oppure per volontà del re in persona, deciso a non ostacolare la sopravvivenza dei concittadini con la propria permanenza sul trono. Considerate poi quante spiacevoli conseguenze comporterebbe quel tipo di politica: la perdita di opere di fortificazione realizzate a costo di tanta fatica, l'imminente devastazione del nostro territorio, lo scoppio della guerra contro l'intera Etruria anziché con Veio. Le vostre idee in proposito, o tribuni, sono queste: assomigliano, per Ercole, a quelle di chi, di fronte a un malato sottoposto a cura energica e avviato a pronta guarigione, ne renda la malattia lunga e probabilmente incurabile assecondandone l'immediato desiderio di cibo e di bevande."

    Tito Livio libro v cap 3
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    sergio.T
    00 28/01/2009 11:49
    Ancora Appio Claudio
    "Se anche, parola mia, non avesse nulla a che vedere con questa guerra, sarebbe certo molto utile per la disciplina militare abituare i nostri soldati non soltanto ad approfittare di una vittoria a portata di mano, ma ugualmente (nel caso di campagne prolungate) a sopportarne la noia, ad aspettare che si concretizzino le speranze anche nel caso debbano tardare a realizzarsi, e ancora ad attendere l'inverno qualora la guerra non venga portata a compimento entro l'estate e a non cercare sùbito un riparo e un nido, come fanno gli uccelli di passo quando arriva l'autunno. Chiedo a voi, di grazia: la passione per la caccia e il piacere che ne deriva trascinano gli uomini sui monti e nei boschi coperti di neve e ghiaccio. Possibile che nelle necessità della guerra non si riesca a ricorrere a quella capacità di sopportazione che perfino il puro divertimento e il piacere riescono a suscitare? Dunque riteniamo i fisici dei nostri soldati così delicati e i loro animi così deboli da non essere in grado di resistere a un solo inverno in un accampamento, alla lontananza dalla famiglia? O crediamo che si regolino come se si trattasse di una guerra per mare, spiando le condizioni atmosferiche e facendo attenzione alla stagione propizia, visto che non riescono a sopportare né il caldo né il freddo? Arrossirebbero di sicuro se qualcuno rinfacciasse loro queste cose e protesterebbero dicendo di avere doti di sopportazione fisica e mentale degne di veri uomini, di poter combattere tanto d'estate quanto d'inverno, di non aver affidato ai tribuni l'incarico di difendere il loro lassismo e la loro pigrizia, e di ricordarsi benissimo che i loro padri avevano creato quello stesso potere tribunizio non certo all'ombra o al riparo delle pareti domestiche. Degno della virtù dei vostri soldati e del nome di Roma è invece il non guardare esclusivamente a Veio e a questa guerra che incalza, ma puntare a una fama che duri nei giorni a venire per altre guerre e presso gli altri popoli. Credete forse che da questa impresa nascerà una differenza trascurabile di stima nei nostri confronti, se le genti confinanti giudicheranno il carattere del popolo romano tale che una qualche città, dopo averne sostenuto il primo e brevissimo assalto, non abbia più nulla da temere, o se, invece, il nostro nome incuterà terrore, nella convinzione che l'esercito romano non abbandona l'assedio di una città né per il lungo trascinarsi dell'assedio stesso né per l'infuriare dell'inverno, e non conosce altro modo di porre fine a una guerra se non con la vittoria e combatte con tenacia non inferiore allo slancio? Caratteristiche queste che risultano necessarie in ogni tipo di campagna militare e in particolare negli assedi delle città, che essendo nella maggior parte dei casi inespugnabili per la posizione naturale in cui si trovano e per le opere di fortificazione, di solito vengono vinte o espugnate dal tempo con la fame e con la sete - e il tempo espugnerà anche Veio, se i tribuni della plebe non si metteranno dalla parte dei nemici, e se i Veienti non troveranno a Roma quegli appoggi che invano cercano in Etruria. O forse potrebbe succedere qualcosa di più gradito ai Veienti che il diffondersi di una serie di disordini scoppiati prima a Roma e quindi diffusi a mo' di contagio all'interno dell'accampamento? Ma, per Ercole, presso i nostri nemici regna un tale senso di disciplina che né la stanchezza per l'assedio in corso, né l'insofferenza nei confronti della monarchia li hanno spinti ad introdurre delle innovazioni, né tantomeno il mancato invio di rinforzi da parte degli Etruschi ne ha irritato gli animi. Infatti presso i Veienti viene immediatamente condannato a morte chiunque si faccia promotore di disordini e non è concesso a nessuno dire quelle cose che presso di voi si dicono con la massima impunità. A chi diserta o lascia il campo viene inflitta la pena di morte a bastonate. Costoro che invece istigano non uno o due soldati, ma eserciti interi a disertare e a lasciare il campo vengono ascoltati liberamente in assemblea. A tal punto, o Quiriti, siete avvezzi a dare ascolto a qualunque cosa dica un tribuno della plebe - anche se incita a tradire la patria e a distruggere la repubblica -, e affascinati come siete da quell'autorità permettete che qualunque misfatto si nasconda al riparo del suo potere. Ormai non resta loro altro che diffondere tra i soldati e nell'accampamento le stesse cose che blaterano qui, e mettersi a corrompere le truppe impedendo loro di obbedire ai capi, visto che a Roma - ora come ora - libertà significa non avere alcun rispetto per il Senato, per i magistrati, per le leggi, per le tradizioni degli avi, per le istituzioni dei padri e per la disciplina militare"

    Tito Livio libro 5 Storia Romana
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    sergio.T
    00 28/01/2009 12:02
    " Ormai non resta loro altro che diffondere tra i soldati e nell'accampamento le stesse cose che blaterano qui, e mettersi a corrompere le truppe impedendo loro di obbedire ai capi, visto che a Roma - ora come ora - libertà significa non avere alcun rispetto per il Senato, per i magistrati, per le leggi, per le tradizioni degli avi, per le istituzioni dei padri e per la disciplina militare"

    Questo e' un pezzo fondamentale del discorso di Appio: contraddistingue il carattere Romano, l'etica Romana, il modo di vedere le cose.
    E questo pezzo sul concetto di liberta' si trasla benissimo ai giorni nostri: che vuol dire oggi essere liberi? vien spontaneo - dato quello che si vede e si legge - di sospettare che la " liberta'" a volte si presta troppo profondamente e troppo spesso, ad atteggiamenti che di culturale e di sociale non hanno niente da proporre, se non una dimenticanza ed un oblio della tradizione.
    Si dice che i moderni siano persone libere, ma vuoti dei vecchi valori: lo si sente ripetere in ogni frangente, in ogni tema, in ogni dibattito.
    Un motivo ci sara' per questa liberta' cosi' vuota, ma cosi' insulsa.
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    sergio.T
    00 28/01/2009 12:20
    Non e' successo proprio cosi?

    Alcun rispetto per i magistrati: oggi si guardino i magistrati!- o politicizzati o demonizzati politicamente o , peggio, a loro volta accusati di delinquere e di corruzione -

    alcun rispetto per le leggi: le leggi? perche' oggi esistono leggi rispettate? io non le vedo per niente. Piuttosto vedo leggi per aiutare a delinquere o per aiutare gli stessi delinquenti.( nel nome del progresso)

    alcun rispetto per le tradizioni degli avi: oggi chi si ricorda dei valori della tradizione? piuttosto coloro che si rifanno ad essa sono derisi, poco liberali, nostalgici, conservatori, reazionari. Da quello che tradizionalmente poneva valore e fondamento nell'esistenza e per questo ricordato e rivissuto, ora ci si e' lanciati nel non senso di tutto, nella dimenticanza del proprio passato, nella confusione generale.

    alcun rispetto per le istituzioni dei padri:
    padri rinnegati, madri disconosciute, figli che si ritengono liberi da ogni giudizio morale, etico, famigliare. Figli liberi di perdersi nel nuovo mondo in nome della loro nuova cultura ( immagine)

    alcun rispetto per la disciplina militare: ah, poi qui, nemmeno a parlarne. La disciplina, l'autorita', l'ubbidire sono considerate idee assurde, eretiche, un poco fasciste. Oggi e' un mondo libero, quindi perche' disciplinarsi? questa e' la nuova filosofia ( ci si lamenta persino del voto in condotta)

    Un piccolo paragone magari esagerato, ma non troppo lontano dal rispecchiare un'abissale differenza.
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    mujer
    00 28/01/2009 13:52
    Ovvio che devo intervenire sul concetto di disciplina. Ieri ne parlavo con gli agenti di polizia penitenziaria, li ho trovati parecchio impreparati sul senso di autorevolezza e molto ferrati sul senso di autorità che loro confondono con l'uso della violenza.
    Inutile dirti che spero proprio che i militari non abbiano mai il potere che l'esercito di Roma rappresentava.
    L'uso della forza, intesa come supremazia, che ha permesso alla civiltà romana di sopravvivere nei secoli avrebbe, oggi, delle ripercussioni serissime - azioni che abbiamo visto in molti paesi in cui i militari prendono il potere con la forza.

    Se per disciplina, invece, intendi il senso del rispetto della regola che dà luogo al diritto, allora non posso che essere d'accordo. Ma i militari non c'entrano nulla.

    Ave Caio Sergio!
    [Modificato da mujer 28/01/2009 13:53]
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    sergio.T
    00 28/01/2009 14:45
    L'autorevolezza, Gaia Julia, e l'autorita' del comando non c'entrano niente con la violenza: sono due cose ben distinte. Si comanda senza violenza.
    Il comando nasce da ben altro: dal carisma, dall'equita' delle proprie decisioni, dal senso di appartenenza ad un gruppo ( o esercito)
    I soldati Romani sentivano molto questo.

    Ti cito un episodio.

    Ad un certo punto un console militare al comando dell'esercito Romano contro i Voscli, alla fine della battaglia diede ordine di non saccheggiare la citta' conquistata.
    Era usanza dei Romani, pero', il farlo: dopo ogni battaglia il bottino di guerra era lasciato ai soldati ( ulteriormente il Senato poteva indire anche un premio o assegnare uno schiavo a testa ai soldati, fino alla copertura del numero dei nemici prigionieri).
    Dunque nel diritto di guerra Romano, per i soldati era contemplato il saccheggio e la razzia del territorio nemico.
    A parte che sia giusto o meno, non rispettare questa tradizione per un Ufficiale era cosa grave. E infatti in quel caso i soldati si ribellarono di brutto: quando l'ufficiale torno' da Roma dove in Senato non solo aveva confermato quella scelta , ma addirittura l'aveva ribadita ( con scandalo del Senato che lo destitui' dalla carica), venne accerchiato dai soldati e lapidato.
    Di principio quei soldati avevano ragione per le usanze Romane, ma questo trasgrediva AL MASSIMO GRADO, la disciplina Romana militare e tale insubordinazione fu considerata cosa gravissima e naturalmente, secondo il pensiero romano, imperdonabile.

    I soldati rei del misfatto furono subito arrestati, processati, condannati e decapitati ( la pena)

    La disciplina militare corrisponde dunque ad una ubbidienza della regola anche se questa a sua volta viene prima trasgredita da altri.
    E questo, e' un insegnamento grandissimo, perche' non trasgredendo a un ordine o a un regolamento non solo lo si rispetta, ma in esso si rispetta anche l'unione di un gruppo all'insegna di un unico principio.

    Tieni conto che la disciplina rafforza il senso di auto responsabilita' di chiunque: esigendo da se stessi un dovere e il rispetto di esso, si rafforza la propria volonta' perche' trasformare il proprio voglio e non voglio in un devo e non devo e' sempre segno di alta considerazione degli altri. In poche parole: mi piacerebbe ma non posso, perche' se tutti ragionassero cosi', l'ordine andrebbe a farsi benedire.

    Un po' quello che succede oggi....
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    sergio.T
    00 28/01/2009 15:04
    TI ricordi la trasmissione di Angela sull'imperatore di Augusto? cosa disse? l'esercito Romano era una macchina perfetta ( resse Monarchia, Repubblica, Impero per quasi dieci secoli) perche' ognuno sapeva immediatamente cosa fare.
    E lo sai il perche' ognuno sa cosa DEVE fare? perche' e' disciplinato culturalmente e non solo militarmente. Perche' si addossa non a parole, ma con i fatti, il proprio ruolo individuale, la propria mansione, se ne assume la responsabilita', rende conto del proprio operato.
    Sa che il suo disciplinato comportamento si amalgama con il disciplinato comportamento di tutti e un il suo fare nel fare comune-
    L'IO NEL NOI dei soldati della Grand Armee' come diceva Migliorini.

    Il segreto di tutti i consessi umani ( anche l'esercito) e' sempre la disciplina.

    Va la', va la', Gaia Julia [SM=g8431] !!!
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