00 10/10/2008 12:21
Autori vicini, grandi e già dimenticati

Oblio per Pontiggia, Lagorio, Meneghello... Gli scrittori di oggi? Tifano per se stessi

Non abbiamo memoria, c' è poco da fare. Stiamo a piangere la scomparsa di Mario Rigoni Stern ma ce ne dimenticheremo presto, purtroppo, ammettiamolo. In vita siamo tutti, più o meno, protagonisti, per essere poi dimenticati in morte. Il Piccolo fratello era intento in questi tristi pensieri domenica mentre leggeva, sul Sole 24 Ore, gli aforismi postumi di Giuseppe Pontiggia. Tra cui questo: «Scrivere per essere vivi e autentici. Non conosco altra ragione valida per scrivere. La fama è decisamente secondaria e non meriterebbe che minimi sforzi». Probabilmente, con tutta la sua ironia e autoironia, lo sapeva anche Pontiggia (scomparso esattamente cinque anni fa) che sarebbe stato dimenticato dai più. Persino lui che aveva scritto alcuni libri che si possono tranquillamente definire memorabili, come «Nati due volte». Un romanzo che sarebbe stato benissimo nell' articolo di Claudio Magris (Corriere di domenica 22) sulla necessità, per la letteratura d' oggi, di ricominciare dal dolore, senza anestesie nei confronti della vita e della storia. «Nati due volte» è questo: una specie di immersione nell' angoscia di un padre con un figlio disabile, l' attraversamento di un dramma rivissuto in un linguaggio non povero ma essenziale, capace di arrivare al cuore di quel dramma senza cadere nel patetico. Bisognerebbe ricordarsene, ogni tanto, e appena si può parlare di Pontiggia, che è stato uno dei grandi scrittori dei nostri anni. Uno scrittore che ha creduto nella letteratura come forma di vita e di vitalità («Scrivere per sentirsi vivi. La lettura e la scrittura sono un prolungamento nel futuro»), senza furberie, senza esibizionismi. Bisognerebbe ricordarsi anche di altri, che non ci sono più ma ci sono sempre. Per esempio Gina Lagorio. Chi si ricorda più di Gina Lagorio? Eppure è morta solo tre anni fa. Per fortuna Garzanti ha riproposto «Càpita» (che forse meritava una prefazione o una postfazione in aggiunta), un ritratto interiore e fisico (molto fisico) scritto durante la malattia: anche questo libro avrebbe potuto benissimo entrare nella intensa riflessione di Magris, perché non sarà un romanzo giallo (oggi la letteratura è solo giallo: guardare le classifiche per credere) ma è letteratura allo stato puro, un canto lucidissimo alla vita nel momento del suo crepuscolo: «Ora lo so, che camminare nel sole, nuotare nell' acqua, respirare tra amici, è vita, è la vita. E il resto è miseria, scarto, niente». E si potrebbe aggiungere Meneghello, che se n' è andato da poco. Bisognerebbe parlare di «Libera nos a Malo» appena si può. Per esempio appena si sente dire che l' epica italiana è stata inventata dai giovani scrittori. Bisognerebbe continuare a parlare di Luigi Malerba, anche dopo i coccodrilli. Bisognerebbe parlare di Rigoni Stern, Pontiggia, Lagorio, Meneghello, Malerba, Volponi per non appiattirsi sui trionfalismi del presente. Perché a volte anche in letteratura sembra di essere dentro certe telecronache calcistiche descritte ieri da Aldo Grasso, fatte di «ci temono» e di «noi, noi, noi». Con la differenza che in letteratura a dire «ci temono» e «noi, noi, noi» non sono i cronisti, ma gli scrittori, tifosi di se stessi.