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Caffé Letterario

T.Mommsen

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    sergio.T
    00 20/05/2007 10:52
    Theodor Mommsen

    Christian Matthias Theodor Mommsen nacque a Garding [Holstein] nel 1817. Morì a Charlottenburg [Berlin] nel 1903. Fu filologo, storico, linguista, giurista, epigrafista, numismatico. La sua attività fu enorme, non si finirà mai di stupirsi della quantità di interessi che ebbe, e della poderosità della sua produzione di studioso. Mommsen fu docente in varie università, deputato liberale alla Camera prussiana e al Reichstag. Fece in tempo a ricevere persino il premio nobel per la letteratura, nel 1902, per la vivacità della narrazione soprattutto della sua "Storia romana" ("the greatest living master of the art of historical writing, with special reference to his monumental work, A history of Rome"). Come studioso rinnovò gli studi storici divenendo ineludibile punto di riferimento, confronto per gli studiosi successivi, soprattutto per quanto riguarda il suo progetto di ricostruzione integrale della civiltà romana.

    Un migliaio i suoi titoli: Studi oschi (Oskischen Studien, 1845), Dialetti italici del sud (Die unteritalischen Dialekten, 1850), con cui fondò la dialettologia italica antica, Storia romana (Römische Geschichte, 1854-1856), Le province romane da Cesare a Diocleziano (Die Römischen Provinzen von Caesar bis Diokletian, 1884), Disegno di diritto pubblico romano (Römisches Staatsrecht, 1887-1888) che Mommsen considerava la cosa migliore da lui scritta dal punto di vista scientifico, Corpus delle iscrizioni latine (Corpus inscriptionum latinarum) con l'Ephemeris epigraphica.

    Mommsen curò diverse edizioni filologiche: i Digesta giustinianei, le opere di Solino, di Iordanes ecc




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    sergio.T
    00 20/05/2007 10:53
    Dalle origini all'Unita' d'Italia ( in senso Romano, naturalmente) ha atteso a tutte le aspettative che riponevo in essa: questa opera capitale di Mommsen, seppur non sostenuta dalle piu' recenti scoperte di archeologia, rimane un caposaldo irrinunciabile per chi volesse interessarsi alla storia romana.
    Perche'?
    Forse e' lo stesso motivo per il quale si e' discusso in altre stanze a proposito della scrittura: il nuovo o l'innovativo non sempre sono sinonimo di miglioramento o di vattelapesca, ma anzi, sono fumo per narici.
    Mommsen e la sua interpretazione: questo e' il punto.
    Seppur limitato nelle risorse di studio, seppur fermo alla fine 800 e alle relative traduzioni; seppur nel secolo successivo molte cose sono state chiarite, quello che distingue la sua storia e' l'interpretazione e la struttura con le quali ha steso la sua opera.
    Altalenando riferimenti, narrazione, storiografia pura, il suo affresco romano prende una strada magnificiente: la lettura si fa serrata, coinvolgente, veloce.
    Ogni analisi e' supportata da un sano studio; ogni particolare e' prima sviscerato in generale, e poi in dettaglio; le connessioni culturali, tradizionali, filosofiche sono cadenzate nella giusta misura; le cronologie delle battaglie e delle guerre non stancano, non annoiano, ma sono cadenzate a lunghi respiri di riflessione sociale.
    Un mosaico perfetto per una civilta' perfetta.
    Mommsen non risparmia critiche agli stessi romani, pero'; quando si rendono responsabili di infamie e codardie non lesina di rivendicare le giuste critiche; quando il loro "carattere" fenomenale e la loro grandezza risplende, invece, lo sottolinea con parole pacate, ma allo stesso tempo ammirate.
    La struttura sociale, epocale, territoriale, religiosa, economica, filosofica, militare viene fantasticamente espressa in minuziosi studi; in poche parole, piu' si legge e piu' si diventa Romani.
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    sergio.T
    00 20/05/2007 10:54
    Scrivere la storia di Roma Antica e' compito arduo, difficile, impegnativo.
    I testi di riferimento sono infiniti; le scoperte archeologiche contradditorie; le cronologie non sempre precise.

    Il primo volume di Mommsen tratta dalle origini all'unita' d'Italia.
    Senza entrare nel merito dettagliato del volume ( sarebbe impossibile riepilogare in poche parole 600 pagine) Mommsen , diciamo, tratta e delinea le origini di Roma e dei Romani, agli albori di quella penisola che era cosi' frastagliata da decine di etnie , da apparire a uno sguardo d'insieme come un mosaico infinito di popolazioni.
    Le origini esatte , al di la' delle leggende, sono difficili da stabilire.
    Piu' storici pongono l'eta' della fondazione in anni diversi :si tratto' di un aggregarsi di piccoli villaggi nel Lazio , abitati dai Latini che si presumono popolazione indo europea.
    Forse nel 753 a.c.
    Fu scelto il territtorio vicino al Tevere che offriva risorse agricole pastorizie.
    Mommsen delinea il sinecismo Romano come un fenomeno quasi naturale, avvenuto nel corso dei tempi in maniera quasi inconsapevole.
    L'alba di Roma , di quella che fu la potenza" par execellence" sorse quasi per caso.
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    sergio.T
    00 20/05/2007 10:55
    Il terzo intervento militare in Macedonia.

    Il secondo volume di Mommsen percorre il periodo storico dall'unione d'Italia alla sottomissione di Cartagine e degli Stati Greci.
    Mommsen da' un 'interpretazione particolarmente attenta all'atteggiameno che i Romani tennero a seconda dei casi.
    Non si fecero scrupolo con i Cartaginesi ( quell'Annibale il loro piu' acerrimo nemico!!!), non amarono in modo particolare nessuna forma di colonialismo oltre mare, ma attenti quanto mai alla politica internazionale in medio oriente, riservarono alla Macedonia un trattamneto particolarmente severo e rigido.
    In passato gia' due volte sbarcarono in Albania con intenti di guerra; le cose si risolvettero entrambe le volte con guerre che portarono ad
    armistizi e condizioni diplomatiche particolarmente favolevoli ai Romani.
    Ma la Macedonia è un atollo di etnie variegate ( ad esempio gli Etoli) si confermarono sempre una terra vivacemente presente nel Mediterraneo.
    Gli stati Greci , poi, soprattutto grazie a Flaminio, ebbero un favoritismo estremo: i Romani, o almeno parte della loro classe dirigente, rispettando moldo la cultura ellenica, decisero, o credettero di decidere, di portare la liberta' nela Grecia stessa; rispettarono ferocemente la sua indipendenza e mai si inoltrarono in decisioni particolarmente aggressive.
    Al contrario furono particolarmente tolleranti.
    Mommsen dice con attento acume: in molti casi, questo tipo di atteggiamento, quando ci si ritrova a che fare con civilta' cosi' potenti sia per portata politica, sia per portata militare, e' estremamente pericoloso per le contro parti: i Romani ad esempio tollerarono moltissimo qualsiasi moto ribelle di alcune etnie vicine al mondo Greco: con gli Etoli, arrivarono persino al punto di dir loro: " fate quello che volete, noi ce ne andiamo"
    Usarono l'indifferenza; fecero i finti tonti; si voltarono dall'altra parte per non vedere situazioni poco gradite.
    Si tenga conto che in Macedonia vi era Filippo, prima nemico, poi amico e alleato e poi ancora una volta burrascoso; in seguito Perseo suo figlio.
    La lega Achea e la Lega etolica contribuirono a un gioco di alleanze clandestine: sobillandosi reciprocamente s'instauro' un atomesfera di aperta ostilita'.
    I Romani, secondo Mommsen, tollerando a lungo una situazione precaria e minacciosa, contribuirono a determinare in modo inevitabile il loro terzo intervento militare, che fu durissimo, severissimo e decisivo.
    Non si moderarono nelle conseguenze.
    Basti pensare ai segnali che incominciarono a mandare grazie ai propri ambasciatori.
    A una rappresentanza Etola si presentarono dicendo solo:" e' tempo di finirla con queste mene" e se ne andarono.
    A un diplomatico Acheo al quale era stato rivolto un diktat e che rispondeva che avrebbe fatto sapere, fu disegnato dall'ambasciatore romano, un cerchio nella sabbia intorno alla sua figura e gli fu detto: " prima che tu esca da questo cerchio devi decidere".
    I segnali del temporale che si stava addensando sulla Macedonia e sulla Grecia erano ormai chiari: gli ambasciatori alzavano la tunica con la mano destra sempre piu' frequentemente: era il loro modo di comunicare che in quella mano loro portavano la pace o la guerra e che vie di mezzo non erano piu' tollerate.
    Quando dall'altra parte del Mediterraneo si accorsero che i Romani questa volta facevano terribilmente sul serio, fu troppo tardi.
    Nel frattempo a Roma in Senato, arrivo' la missiva che comunicava che la Macedonia non esisteva piu', ne' politicamente, ne' geograficamente: era provincia di Roma, sottomessa al volere dei Romani.
    Le conseguenze furono terribili:
    Macedonia provincia (esercito smembrato 35.000 morti da fonti romane)
    scioglimento della Lega Achea
    scioglimento della Lega Etolica
    intervento in Egitto e Siria ( contro Antioco III il grande che fu sconfitto)
    perdita dell'indipendenza
    presidi militari presenti sul territorio Greco.
    perdita dei diritti del commercio
    perdita dei diritti giuridici
    perdita dei diritti diplomatici
    obbligo di tributi economici
    perdita dei diritti di confine
    sottomissione totale al principio del diritto di guerra.


    Il volume prosegue poi con una feroce critica al mondo Romano.
    La Repubblica attraversava due distinti momenti: da una parte la democratizzazione in trasformazione ( parita' tra tutti i cittadini e riconoscimento della cittadinanza romana a chiunque;
    dall'altra una momentanea flessione dei costumi romani, sia sotto il profilo politico, sia sotto il profilo sociale.
    Catone fu figura emblematica: combatte' un lassismo e una corruzzione sempre piu' incipienti.
    Nell'arte e nella letteratura le influenze greche erano sempre vivissime: la rozzezza romana non riusci' mai ad affinarsi all'eleganza greca, ma come controaltare, mantenne una limpidezza e una vivacita' riguardevoli.
    Nella religione le cose erano confuse: il mondo deistico romano si componeva di un mosaico infinito di culti.
    Politicamente il Senato attraversava difficolta' di tutti i tipi: corruzione, concussione, conflitti d'interesse.
    L'esercito rivedeva gli aspetti organizzativi ( si va verso la Monarchia militare)

    Un affresco, questo volume, molto intenso.


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    da mujer
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    Una lettura molto interessante, Sergio.
    Mi riferisco al tuo post, so che non è semplice riassumere i tomi di Mommsen. E' molto acuto nell'analizzare il carattere, persino in quelle frasi che potrebberero farci sorridere (è ora di finirla con queste mene!! sublime!) c'è tutto un aspetto politico complesso, un'imposizione che nasconde un'apertura, no?
    Ma c'è un concetto imperiale che, volente o nolente, culmina nel dominio (non hai smesso di fare le mene...te meno io!). Cosa impediva loro di limitarsi al "contenimento"?
    Questione di orgoglio?

    L'ultima parte critica è lo spaccato sociale di ogni epoca, se ci pensi bene.

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    da sergio.T
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    Mommsen e' molto acuto: a differenza di molti storici, ha capito benissimo che per certi aspetti caratteriali di un popolo o di una civilta', sono le piccole gesta o i modi di comunicare, a rappresentare il quadro piu' vicino a quello che si vuole capire.
    La comunicazione Romana era teatrale e gestuale: tenevano molto al concetto di simbolo e metafora.
    Leggere in senso psicologico questo tipo di manifestazioni non e' solo un gioco di interpretazione, ma l'unico modo per comprendere il carattere di coloro di cui si parla.
    Guarda caso in quelle gesta o in quelle frasi ( ma di anedotti ce ne sono a migliaia) si ritrovano , senza tema d'errore, i prodromi di quello che poi capitera' nell'azione.
    E' fuor di dubbio che i Romani erano un popolo fortemente volitivo, ed energico.
    Risoluzione e accanimento nel perseguire un obiettivo; capacita' di decisione immediata; esecuzione precisa e determinata; sono questi i requisiti caratteriali nei rapporti romani.
    Quel cerchio, se vuoi, rappresenta in modo perfetto il concetto di " impossibilita' di non prendere una decisione".
    I casi sono due: o si sta fermi per sempre, o se si vuole uscire bisogna prendere una posizione, schierarsi.
    E' anche un modo allegorico di comunicare: non solo si trasmette e si fa una domanda, ma si segnala senza equivoci ( facili nella diplomazia finta e falsa) che il tempo e' finito: e' finita l'ambiguita', e' finito il tempo delle maschere.
    Bisogna svelarsi.
    Energia, appunto.


    Contenimento? I Romani si sono sempre detti come popolo non aggressivo, e che tutte le guerre sono state , appunto, di contenimento.
    Ovvio che barino ed esagerino, ma Mommsen dice che in questa dichiarazione c'e' del vero.
    Le terre in Spagna , ad esempio, non interessavano i Romani; ma se le mollavano Cartagine si risollevava.
    Cosi' le isole maggioi o le terre d'Africa.
    L'esempio della Grecia e' significativo.
    Dunque in alcuni casi erano mosse di strategia politica.


    Naturalmente la loro civilta' rimane una civilta' aggressiva, schiavista, espansionistica ( imperiale): non e' orgoglio, e' la natura del loro modo di vedere il mondo.
    E' una visione come altre, supportata pero', anche dalle capacita' e dalle volonta' di perseguire un'idea.


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    da mujer
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    Ne approfitto per un'analisi linguistica, Se'.

    Ci chiedevamo le origini del termine "mene" visto che è una parola che viene tuttora usata (non farmi menate!).

    Cos recita l'etimologia:





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    da sergio.T
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    Quante menate sul lavoro!!! ah ah ah ah!!



    Va beh!! prossimamente leggero' il terzo volume.
    E' un opera gigantesca di quattro volumi di piu' o meno 2500/3000 pagine.
    Pian pianino...


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    da mujer
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    "si segnala senza equivoci che il tempo dell'ambiguità è finito"
    Senza diplomazie né ambasce, schietti e diretti come piace a me.

    Le maschere cadono presto in questo modo.

    Piano piano? Ma se te lo stai divorando!!

    Se continui di questo passo ti troverai catapultato nell'80 d.c. con la tunica e i sandali ai piedi! (e io ti romperò i coglioni declamando i diritti del popolo Etole!)


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    da sergio.T
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    Il sentimento dello Stato

    I Romani anche in tempo repubblicano concepivano lo stato in modo molto forte, intenso.
    In altre stanze si parla di comunita' autonome dove l'unita' e' la condivisione di un principio , di un unico volere.
    Questo esempio dimostra come pero', a seconda di come si concepisce la visione del mondo in una civilta', si possano determinare situazioni e filosofie che risulteranno incomprensibili ad altri.
    Nella seconda guerra Macedonica, ad un certo punto , i generali dell'esercito impegnato in guerra, firmarono una tregua e un arimistizio con i nemici.
    Tramite ambasciatori fecero sapere a Roma , al Senato, che sospendevano la guerra perche' non ritenevano il caso di continuarla dato che la flotta era in ambasce e in grave difficolta' per mancanza di velieri di guerra ; non potevano controllare le acque territoriali e trasportare truppe militari.
    Il Senato non fu contento di questa decisione; rimase molto perplesso del comportamneto dei generali e convoco' una delegazione di cittadini , per sapere l'opinione del popolo Romano.
    Pure questi si dissero scontenti e fecero una cosa incredibile che gli annali di storia non ricordano per nessuna altra civilta': organizzarono una colletta cittadina.
    Tutti, ma proprio tutti, dal piu' miserabile cittadino, dal contadino, all'operaio, dal plebeo al patrizio, diedero il loro contributo monetario e in sei mesi allestirono una flotta di 120
    ( o 220 non ricordo bene...) velieri da guerra.
    In tantissimi si offersero volontari senza nemmeno aspettare la chiamata alle armi.
    Cosi', giorni dopo, il Senato affisso' sui muri di Roma il famoso e tradizionale Manifesto di Guerra.
    E la guerra riprese.
    La grandezza dei Romani e' in questa unita' d'intenti.


    [Modificato da mujer 20/05/2007 15:57]
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    sergio.T
    00 21/05/2007 09:21
    Riprenderemo questa discussione su Mommsen quando leggero' gli altri due volumi.
    Questa stanza diventi la stanza "romana" per tutte quelle cose inerenti a quella civilta'.
    Manuel ad esempio potrebbe scriverci qualcosa: che so io? i suoi ricordi personali di qualche campagna militare ...( non quelle dei dinosauri pero') [SM=g11230]
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    sergio.T
    00 22/10/2007 10:23
    Se uno va' a roma, deve pur sapere che e' casa dei Romani antichi: dunque rispetto e riverenza. [SM=g8273]
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    mujer
    00 22/10/2007 15:09
    Ho reso omaggio ai romani antichi, è con quelli moderni che ho qualche problemino [SM=g8273]
    Comunque Roma è sempre Roma e mi accoglie sempre a braccia aperte.



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    sergio.T
    00 03/12/2007 15:48
    Per il Generale Silva, invece no.
    Masada (o Massada, o in ebraico Metzada), era un'antica fortezza israeliana che sorgeva su un altopiano di circa sei km² situato su una rocca a 400 m di altitudine rispetto al Mar Morto, nella Giudea sud-orientale, l'attuale Palestina. Mura alte cinque metri - lungo un perimetro di un chilometro e mezzo, con una quarantina di torri alte più di venti metri - la racchiudevano, rendendola pressoché inespugnabile. La fortezza divenne nota per l'assedio dell'esercito romano durante la prima guerra giudaica e per la sua tragica conclusione.


    Nel I secolo a.C. la fortezza era il palazzo di Erode il Grande arroccato su tre diversi livelli verso lo strapiombo sul lato nord della rupe, dotato di terme con caldaia centrale, magazzini sotterranei ed ampie cisterne per la raccolta dell'acqua; nel 66 era stata conquistata da un migliaio di zeloti che vi si insediarono con donne e bambini; quattro anni dopo - nell'anno 70 - caduta Gerusalemme, vi trovarono rifugio gli ultimi strenui ribelli non ancora disposti a darsi per vinti.
    La fortezza fu assediata dalla Legio X Fretensis e da altri 7000 uomini per lo più schiavi, inaccessibile come un nido di aquila, per quasi tre anni; venne costruito un vallo (sorta di limes spesso due metri, ancor oggi visibile) ed un terrapieno di settanta metri che dal basso saliva sino alle mura della fortezza.

    Resosi conto della disfatta ormai imminente, il capo zelota Eleazar Ben Yair, parlò alla sua gente inducendola ad un suicidio collettivo per spada (estratti a sorte per gruppi, gli uomini della comunità uccisero le donne e i bambini togliendosi poi la vita a vicenda); questa sembrò loro essere una sorte preferibile ad un sicuro stato di schiavitù.

    Quando anche l'ultimo resistente zelota cadde mentre la città era in preda alle fiamme, a salvarsi furono solo pochi bambini e due donne che si erano nascosti in un anfratto per scampare alla morte. I romani poterono così entrare in Masada ormai priva di difesa: sorpresi di quanto accaduto, tributarono ai valorosi resistenti un silenzioso omaggio,un dono


    Questo e' un esempio tra i tanti. In un tempo in cui Roma disponeva di dodici legioni soltanto per coprire militarmente tutto l'impero, si decise di spedirne una a Masada ( una delle migliori, la leggendaria Decima) a domare una ribellione insignificante - per certi versi - di zeloti che si erano ribellati dando vita alla prima rivolta giudaica.
    Sarebbe bastato prenderli per fame, per sete, per inerzia ed invece no.
    Almeno per il Generale Lucio Flavio Silva.
    I Romani costruirono un terrapieno d'assalto alto piu' di cento metri , con in cima una piattaforma di pietra alta 22 metri e lunga altrettanto.
    Un opera d'ingegneria immensa, imponente, che costo' la fatica di migliaia di uomini ed apparentemente inutile.
    Invece no.
    Quell'opera fu un rito, un simbolismo, un esempio del loro modo di pensare. I Giudei si erano ribellati all'autorità di Roma, e il mondo doveva sapere, che questo non era possibile, non era accettabile, non era perdonabile.
    Cosi' si decise di dare una lezione a memoria come successe con Vejo. Tutta la macchina dell'esercito dell'impero si mosse per punire quel pugno di ribelli.
    Nessuno, dopo di allora, osò ribellarsi per oltre un secolo.
    [Modificato da sergio.T 03/12/2007 16:42]
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    sergio.T
    00 04/09/2008 10:43
    Che hanno detto ieri sera su Spartaco? questa figura leggendaria e memorabile? ne hanno innalzato una statua? hanno forse detto che rappresenta il concetto di liberta'? di democrazia? di ribellione?

    In tempi Romani la coerenza era maggiore rispetto ad oggi: dov'e' oggi uno Spartaco che sa di essere Spartaco? ( nel mondo occidentale)
    dove si trovano oggi uomini che hanno il coraggio di riconoscersi schiavi? di sentirsi schiavi? oggi tutti sono liberi, democratici, autonomi, indipendenti. Oggi il " potere" vuole apparire progressista, liberale, tollerante, libertario: al "potere" partecipano tutti( democrazia), all'idea parlamentare tutti sono chimati a dire la propria opinione ( concetto di rappresentanza politica).
    Oggi tutti hanno il benessere a portata di mano; oggi tutti si consolano con una identita' materiale, consumistica, edonistica: oggi siamo tutti liberi di sublimare la schiavitu' in libera decisione di stare bene ( materialmente). Oggi regna la " confusione".
    Insomma: dove sono gli Spartachi moderni che gridano vogliamo la nostra liberta' piu' profonda? dov'e' un potere Romano che erige croci per dare l'esempio della sua potenza? dove sono figure cosi' chiare con una propria identita'?
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    sergio.T
    00 14/11/2008 09:40
    Modo duro, modo Romano.
    In età romana, almeno nei primi secoli, l'autorità pubblica interveniva solo per punire i delitti che in qualche modo avessero violato l'ordine generale e che venivano perciò considerati di pubblico tradimento. E in questi casi interveniva in modo molto duro, spesso con la pena capitale. Per i delitti privati si applicava invece la legge del taglione, che spesso portava all'uccisione del colpevole.
    Tuttavia non solo il tradimento della patria, l'intelligenza con il nemico della patria o la rivolta contro l'autorità erano considerati reati gravissimi, ma anche lo spostare un cippo che delimitava il confine di un campo, il rubare il bestiame o il raccolto altrui, l'uccidere, lo stuprare, il violare una promessa, il dare falsa testimonianza, il rubare di notte, l'incendiare una casa o le messi, il rubare al padrone, l'ingannare un cliente.
    I modi che ricorrevano per le pene, a quanto risulta dalle Leggi delle XII tavole (V sec. a.C.), erano veramente feroci. I Romani facevano ricorso alla decapitazione, alla fustigazione a morte, all'impiccagione, al taglio di arti, all'annegamento, al fuoco; le vestali colpevoli di infedeltà erano seppellite vive, perché non era permesso versare il loro sangue, il loro seduttore era bastonato fino alla morte; i nemici pubblici, i servi che avessero derubato il padrone, i colpevoli di falsa testimonianza venivano lanciati dalla rupe Tarpeia; agli schiavi, o comunque a coloro che non godevano della cittadinanza romana, era riservata la crocefissione, supplizio particolarmente lungo e doloroso.
    Non mancano però esempi anche di altri metodi: il re Tullo Ostilio, per esempio, fece squartare Mettio Fufetio per aver violato i patti stipulati con Roma, legandolo a due carri poi lanciati in opposte direzioni.
    Ma non si deve credere che con il passare del tempo i costumi romani si siano ammorbiditi; ancora nel 71 a.C. più di 6.000 uomini che avevano seguito Spartaco nella sua rivolta contro Roma furono crocefissi lungo le strade consolari e nei primi secoli dell'era volgare i cristiani, ritenuti colpevoli di sovvertire l'ordine pubblico, erano dati in pasto alle belve negli anfiteatri.

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    sergio.T
    00 14/11/2008 09:48
    Uno spirito all'altezza.
    Non so che dire.
    Piu' guardo a questo mondo e piu' mi rammarico di non essere Romano.
    Perche' i Romani sono ancora oggi la "civilta'" par excellence.
    Lo sono per mille motivi: per la concezione di vita, per la guerra, per le tradizioni, per i costumi, per l'istinto, per il modo di rapportarsi, per destino, e in ultimo - forse - lo sono per il semplice motivo di essere Romani.
    E seppur non condivida il loro modo d'intendere la giustizia ( pene capitali), ne ammiro la durezza: durezza che presupponeva uno spirito all'altezza, tutto il contrario di oggi, dove capovolgendo ogni logica possibile, si e' arrivati al punto di tutelare piu' i diritti dei carnefici di quelli delle vittime : insomma, quello spirito infrollito moderno che non e' piu' nemmeno capace di punire.

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    sergio.T
    00 10/12/2008 10:05
    Bella la puntata di ieri sera su la 7. Questo Cesare, questo Antonio, questo Augusto Ottaviano.

    Terzo volume di Mommsen , La rivoluzione, e' una invitante lettura.
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    sergio.T
    00 10/12/2008 10:08
    Girovagando per la storia; curiosando diversi periodi; analizzando varie filosofie; insomma facendo l'impertinente nel corso di due millenni e passa, si finisce inevitabilmente per tornare da dove si era partiti: a casa.
    A casa dei Romani o di quei tempi Napoleonici.
    Non vedo altri momenti della stessa intensita', e diciamolo pure, dello stesso carattere.
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    mujer
    00 10/12/2008 10:09
    Ci hai fatto caso?
    Un volume all'anno e sempre in questo periodo...
    Mommsen ti ispira pensieri di fine anno [SM=g8130]
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    sergio.T
    00 10/12/2008 10:16
    grato per sempre di questo tuo splendido regalo. I 4 volumi sui Romani
    non sono solo 4 libri, sono di piu': sono il compendio di quello che a mio parere, rappresenta la piu' alta vetta della storia dell'uomo, il piu' alto carattere.
    Rifacendomi ai versi di Vernant, " dopo i romani piu' nulla", anch'io sostengo che dopo di loro c'e' solo il vuoto. Manca la tempra, il temperamento, la decisione, la volonta' di potenza, la bellezza, la sensibilita', l'autorevolezza, la magnificenza, la guerra. Manca tutto.
    Non per niente, nei secoli a venire, nei tempi imperiali tutta la simbologia ( in qualsiasi angolo dell'occidente) risplende e si rifa'
    a quella romana.
    Mille emulazioni, mille richiami, mille ricopiature, ma tutto rimane un poco sbiadito: tranne che per la Grande Armee' e lo spirito che la sosteneva, a tutto il resto rimane irrangiugibile l'unica cosa che o si ha o non si ha: il "carattere romano".
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    sergio.T
    00 10/12/2008 10:31
    Per far arrabbiare Julia
    Deportazione senza nessuna speranza.

    Perchè preparassero la guerra, i romani decisero di condurre i liguri apuani dai monti ai luoghi campestri lontani da casa, affinchè non avessero la speranza di tornare. Avendo deciso il senato di trasportare i liguri nel Sannio, furono mandati a quelli due consoli con l'esercito per riferire i mandati del senato. I consoli dissero di allontanarsi dai monti con i figli e i coniugi, e di portare con loro tutte le cose. I liguri promisero, perchè non pensassero di lasciare i penati, la sede, le case, i sepolcri degli antenati, armi e prigionieri. Ma non avendo ottenuto niente e non avendo nè uomini nè opere, per diffondere la guerra, si conformarono all'editto. Furono trasportati a spese pubbliche quattrocentomila uomini con donne e bambini.

    Tito Livio
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    mujer
    00 10/12/2008 10:40
    Non se ne approfitti Lei...
    Aspetto il responso del volume RIVOLUZIONI per contrapporre le Sue teorie romaniche alle mie libertarie.

    Certo, la questione Propaganda mi ha molto interessato e ne trarrò spunto per i miei incontri/scontri con i seguaci del militarismo decaduto.
    Prossima lezione: "non esistono fatti ma solo interpretazione dei fatti"

    Il furbo Augusto ne fu il precursore.
    Saluti dall'Aprutium Citeriore!
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    sergio.T
    00 10/12/2008 10:44
    hai ragione: la propaganda augustea , di cui raccontavano ieri sera, e' stata il primo tipo di propaganda sia politica, sia sociale, sia militare.
    E' nella comunicazione che si incomincia ad istituire il potere.

    Goebbels lo capi' benissimo. [SM=g8273]
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    sergio.T
    00 10/12/2008 10:56
    Polibio. Il popolo che distingue tra premio e pena, tra guerra e pace.
    A questo punto si ha il diritto di domandarsi quale mai sia la parte di governo lasciata al popolo, dal momento che, come abbiamo detto, il Senato è arbitro di tutte le questioni particolari e soprattutto amministra completamente le entrate e le uscite, mentre i consoli decidono di quel che concerne i preparativi di guerra e durante le spedizioni godono di pieni poteri. Eppure anche al popolo è lasciata una parte non trascurabile del governo. Il popolo infatti è il solo arbitro dell'assegnazione degli onori e delle punizioni, esercita cioè il potere sul quale si fondano le dinastie, le repubbliche e tutta quanta la vita consociata. I popoli che non conoscono la distinzione fra premi e pene o che, pur conoscendola, la applicano malamente, non possono infatti amministrare i loro sudditi come si conviene: come potrebbero, se i buoni e i malvagi godono di uguale stima? Il popolo interviene anche ad applicare le multe quando la colpa sia meritevole di una pena grave e particolarmente a danno degli alti magistrati ed è il solo che possa giudicare di delitti capitali. A proposito di questi vige presso i Romani una usanza degna di lode e di menzione: dopo che è stata pronunciata una sentenza capitale, anche se manca solo il voto dell'ultima tribù, per rendere esecutiva la condanna, essi concedono per legge al reo la facoltà di allontanarsi in volontario esilio. I condannati possono riparare a Napoli, a Preneste, a Tivoli e in qualunque altra città federata. Il popolo poi assegna le pubbliche cariche a chi ne è degno, ed esse sono considerate il miglior premio della virtù; ha inoltre il potere di approvare le leggi e soprattutto di decidere della pace e della guerra; gli spetta infine di confermare con la sua sanzione o di annullare i patti di alleanza, di pace e di tregua, di modo che si potrebbe dire a ragione che il popolo ha la massima autorità nel governo e che la costituzione romana è democratica.

    Polibio

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    sergio.T
    00 16/12/2008 10:32
    I Gracchi
    Tiberio Sempronio Gracco

    Tribuno della plebe (162 circa 133 a.C.). Cresciuto con il fratello Caio in una famiglia che, nell'attività del padre e nell'opera educatrice della madre Cornelia figlia di Scipione l'Africano, continuava la tradizione di un illuminato riformismo, a diciassette anni partecipò alla presa di Cartagine e a venticinque, come questore in Spagna con il console Mancino, riuscì a ottenere la liberazione dell'esercito romano catturato dai Numantini, in base a un accordo respinto poi dal senato.

    Da allora incominciò la sua attività politica, con un programma che si fondava sulle teorie socialistiche di Blossio di Cuma e di Diofane di Mitilene, non meno che sulla esperienza personale della miseria delle campagne d'ltalia, sulla convinzione che le sorti dello Stato dipendevano dalla ricostituzione della piccola proprietà e della classe media contadina e dal ripristino del potere del popolo.

    Eletto tribuno nel 133, propose una riforma agraria (Lex Sempronia I) che, ricollegandosi alle leggi Liciniae-Sextiae, disponeva che i possessori dell'agro pubblico consegnassero soltanto cinquecento iugeri per sé e duecentocinquanta per ogni figlio maschio (fino a un totale di 1.000 iugeri) che il resto venisse distribuito fra i nullatenenti in porzioni di trenta iugeri, sotto il controllo di una commissione di triumviri, e che per le migliorie dei poderi vi fosse un corrispondente indennizzo.

    Il senato rifiutò e allora Tiberio presentò la proposta ai comizi tributi; quivi un tribuno, Ottavio, guadagnato alla causa degli oligarchi, pose il veto e allora Tiberio ne fece votare la destituzione dall'assemblea stessa come organo popolare sovrano, con la conseguenza dell'approvazione immediata della legge.

    Per la sua attuazione si associò il fratello Caio e il suocero Appio Claudio e, quando si trovò nella necessità di reperire i fondi per le aziende agricole dei nuovi piccoli proprietari, non esitò a chiedere all'assemblea tributa di usare per tale scopo i beni lasciati in eredità al popolo romano da Attalo III.

    La richiesta suscitò una violenta opposizione, che si accrebbe quando egli, nel timore che allo scadere della carica, la riforma venisse inceppata, pretese, contro la consuetudine, di essere rieletto tribuno per l'anno successivo.

    Fu conveniente allora per gli avversari credere e far credere che egli mirasse alla tirannide. Il senato non emise contro di lui provvedimenti di emergenza, ma nel giorno delle elezioni un gruppo di nobili, capitanati da Scipione Nasica, si scontrarono con lui e con i suoi partigiani prima nel Foro e poi sul Campidoglio.

    Nella zuffa che seguì egli rimase ucciso con trecento seguaci e il suo corpo fu gettato nel Tevere. Tiberio Gracco, oggetto nel tempo ora di recriminazioni, ora di esaltazioni, per noi resta, al di sopra degli errori di procedura e di calcolo, I'uomo generoso e sensibile che nell'attuazione di una maggior giustizia sociale e nella libera sovranità del popolo fissò i principi che avrebbero potuto salvare dal dispotismo la repubblica romana.





    Caio Sempronio Gracco



    Tribuno della plebe, fratello del precedente (154 circa 121 a.C.). Oratore brillante, educato anch'egli secondo i principi liberali della tradizione familiare, continuò l'opera riformatrice del fratello Tiberio con maggior concretezza e più ampia visione dei problemi.

    Membro del triumvirato per l'attuazione della Lex Sempronia I, nel 126 venne inviato come questore in Sardegna, donde nel 124 a.C. ritornò di sua iniziativa a Roma con l'intento di conseguire il tribunato, che ottenne per il 123 e poi per il 122.

    I due tribunati furono densi di una attività legislativa che mirava ad abbattere il predominio dei nobili con l'inserire nello Stato le forze popolari la classe dei cavalieri e gli Italici e a risolvere la crisi economica e sociale con la deduzione di colonie, l'assistenza pubblica e l'intrapresa di grandi lavori stradali.

    Ancora sotto lo stimolo di vendicare il fratello, ottenne con due plebisciti l'esclusione perenne dalle altre cariche dei magistrati destituiti e l'invalidità delle condanne senza l'appello al popolo, con una legge agraria (Lex Sempronia II) la continuità dell'assegnazione dell'agro pubblico; con una frumentaria la vendita sottocosto del grano ai nullatenenti e con quella de coloniis deducendis lo sfollamento dalla capitale dei proletari e dalle campagne dei braccianti disoccupati, mediante la fondazione di colonie.

    Ad accrescere l'importanza economico-politica dei cavalieri provvide con la concessione in appalto del tributo della provincia d'Asia e con la loro immissione nelle giurie dei tribunali permanenti che trattavano soprattutto cause di concussione, in numero doppio dei senatori (secondo Livio). Con la determinazione della procedura nelle elezioni dei comizi tributi e nella assegnazione delle province l'opera rivoluzionaria poteva dirsi compiuta.

    Mancava la riforma più ardita, cioè la concessione della cittadinanza agli Italici. Caio nel maggio del 122 ne fece la proposta (cittadinanza romana ai Latini e latina agli Italici) e fu la sua rovina. L'opposizione al suo disegno di legge trovò concordi il senato, la maggior parte dei cavalieri e pressoché tutta la plebe egoisticamente gelosa dei propri privilegi.

    I nobili gli suscitarono contro il collega Livio Druso che praticava la politica demagogica delle grandi promesse e il triumviro Papirio Carbone che proclamava opera invisa agli dei la deduzione di una colonia a Cartagine Caio perse molta della sua popolarità e non fu rieletto quando pose la candidatura per un terzo tribunato.

    Ilgiorno poi in cui si presentò in Campidoglio per difendere dinanzi all'assemblea del popolo la relativa legge scoppiò un grave tumulto tra le parti avverse.

    Il senato proclamò allora lo stato di emergenza (senatus consultum ultimum) mentre Caio si ritirava con i suoi fedeli sull'Aventino dove, attaccato dalle truppe del console Opimio, come si vide sopraffatto fuggì al di là del Tevere e, secondo la tradizione più accreditata, si fece uccidere da un servo nel bosco delle Furie. Con lui perirono, vittime di una repressione feroce circa tremila cittadini.

    Riabilitato dalla critica storica moderna, Caio Gracco ci appare uno dei politici più lucidi e originali del mondo romano, che seppe cogliere con chiarezza i gravi problemi della società del tempo e indicarne la soluzione, con audacia non disgiunta da moderazione, in riforme concrete e attuabili. Ebbe la sorte degli uomini superiori ai loro tempi e incompresi da quelli stessi per cui operano.
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