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Caffé Letterario

T.Mommsen

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    sergio.T
    00 19/01/2009 09:25
    I Romani, fondamentalmente, sono sempre stati rappresentati da una monarchia militare: e' la loro costituzione naturale.
    Cosi' sostiene Mommsen al momento della trasformazione da Repubblica in monarchia militare operata da Cesare.
    Cesare torna indietro di cinque secoli per creare il nuovo modello romano: ma e' un nuovo modello per modo di dire.
    Anche nei tempi Repubblicani il potere si estrinseca in potere militare sia nella politica estera, sia nella politica nazionale latina.
    Mommsen non ravvede un sostanziale cambiamento.
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    sergio.T
    00 06/02/2009 10:15
    Non si viene meno alla parola data.
    I Cartaginesi, desiderosi di finire presto la guerra, pensarono di rimandare a Roma Régolo per trattare la pace.
    Il patto era chiaro: egli doveva ritornare a Cartagine se non avesse ottenuto la pace desiderata.
    Giunto a Roma, Attilio Régolo, incitò, invece, il Senato a continuare la lotta, persuaso che Cartagine non avrebbe resistito a lungo.
    Il valoroso Console sarebbe potuto rimanere tranquillamente a Roma ma, fedele alla parola data, anche se data al nemico, ritornò a Cartagine, dove lo aspettava una sicura morte.
    Agli amici e ai familiari che lo pregavano di restare, rispose che un Romano non poteva venire meno alla parola data.
    Tornato a Cartagine, i Cartaginesi, saputo che egli aveva consigliato Roma di continuare la guerra, niente affatto commossi da un tale esempio di lealtà, lo fecero ruzzolare dall'alto di un'altura dentro una botte irta di chiodi.
    La guerra continuò e fu vinta dai Romani.
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    sergio.T
    00 09/02/2009 20:49
    Un Mommsen da studiare a quantoho visto...Citato.... [SM=g8455]
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    sergio.T
    00 18/06/2009 10:31
    L'esatto contrario
    Nella Roma del 50 a.C. i Romani erano molto piu' severi e coerenti con il concetto di giustizia. In barba ad ogni forma di garantismo e tolleranza democratica ( perche' oggi si spaccia questo) si stabili' una legge molto diversa dalle norme di oggi: una legge che non conosceva deroghe, deviazioni, giustificazioni, intervalli: una legge che veniva inesorabilmente applicata.
    Chiunque, qualsiasi cittadino Romano che solamente era inquisito per qualsiasi motivo ( dal piu' piccolo al piu' grande reato) era interdetto per tutta la vita ( per tutta la vita!) a ricoprire cariche pubblice e politiche.
    Ripetiamolo: non condannato ma solo inquisito.

    Ora leggiamo la lettera al Corriere della Bergamini: questa stessa legge ( che lei stessa cita) viene stravolta nella sua essenza. Non solo Catilina ( Berlusconi di oggi) viene spacciato per santo e martire, ma addirittura il Senato Romano viene inteso come giustizialismo.
    Questa e' la grande storpiatura , il grande imbroglio di oggi: la giustizia viene capovolta nel suo contrario.

    Comunque siano andate le cose, al di la' di questa mistificazione, rimane la consolazione che i Romani lasciarono esempio imperituro della loro rigorosita' con la quale dobbiamo, a distanza di duemila anni, confrontarci ogni qual volta e - diciamolo fino in fondo - lasciarono il monito della "croce" a suggello di quanto se ne infischiassero di un pensiero corrotto come lo e' quello della giustizia moderna.
    La Bergamini sara' tutto tranne che Romana.

    La Bergamini fu, avrebbero detto.
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    sergio.T
    00 18/06/2009 10:51
    La lettera della Bergamini e' illeggibile.
    Un insulto.
    Berlusconi che salva la Reopubblica?

    AH AH AH AH AH AH AH AH AH!
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    mujer
    00 18/06/2009 11:25
    ma dov'è la lettera della Bergamini?
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    sergio.T
    00 18/06/2009 11:31
    Illeggibile
    Il Cavaliere, moderno Catilina e le persecuzioni dei riformatori

    Deborah Bergamini
    Caro direttore, salvare Catilina, salvare la Repubblica. Roma, I secolo A. C.: Lucio Sergio Catilina è un patrizio romano, uomo coraggioso e di parola. In breve tempo percorre con inaspettato successo tutta la carriera politica, coltivando idee di giustizia sociale e libertà. Per tre volte tenta di raggiungere la carica di console, massima autorità repubblicana, spinto da un consenso popolare straordinario frutto di posizioni anticonformiste, progetti di riforma e profondo senso della Patria.

    Per tre volte i poteri forti del tempo utilizzano tutti i mezzi, leciti ed illeciti, per combatterlo e sconfiggerlo. Nella Roma del 50 a.C. esisteva una norma molto lontana dall'attuale concezione del diritto, che alcune moderne marionette del giustizialismo italico vorrebbero applicare anche alla nostra democrazia: ai cittadini romani anche solo inquisiti veniva impedito l'accesso ad ogni carica pubblica. Ed è sulla base di questa norma che Lucio Sergio Catilina viene per due volte accusato di nefandezze a pochi giorni dalle elezioni, interdetto e poi assolto dopo il voto. Ma a chi vede in Catilina e nel suo partito un pericolo troppo grande per i propri interessi, l'esclusione anche solo temporanea del «rivoluzionario conservatore» non può bastare: occorre distruggerne il consenso per intero. Il compito viene affidato al più famoso e abile avvocato del tempo, Marco Tullio Cicerone, alla sua spregiudicatezza e alla sua straordinaria capacità di falsificare i fatti. Cicerone trasforma Catilina in un hostis, un nemico della Patria, servendosi dei più efficaci strumenti dell'epoca: dalle accuse basate su lettere anonime, ai brogli elettorali, ai discorsi retorici tesi a costruire l'immagine più degenerata del suo avversario, fino alle palesi violazioni della legge romana. Tra le accuse più infamanti, Cicerone imputa a Catilina di aver corrotto una giovane vestale, vergine e consacrata alla dea del focolare.

    Ci spostiamo di oltre 2000 anni. Al famoso avvocato pensano di sostituirsi procure politicizzate e redazioni di giornali. Al posto delle orazioni di Cicerone, si ascoltano i teoremi mediatici e giudiziari, si assiste all'uso spesso indecente di foto, video e intercettazioni. La tentazione è sempre la stessa: demonizzare il «rivoluzionario conservatore» di oggi. Gli optimates di ieri che armarono le azioni di Cicerone erano i rappresentanti di una classe senatoriale gelosa custode di privilegi politici ed economici; gli optimates che violentano le regole di oggi sono potentati senza patria, politici mediocri e polverosi intellettuali. Il potere non accetta gli imprevisti e spesso i grandi riformatori, gli uomini in grado di cambiare la storia, si presentano all'appuntamento senza bussare. Questo li rende inaccettabili.

    Ma la storia maledice il suo ritorno. Il suo tragico fugge davanti alla farsa in cui si trasforma. E così accade che oggi, per distruggere l'uomo che sta cambiando l'Italia, si è persino disposti a distruggere l'Italia stessa. Minando la fiducia nelle istituzioni che quell'uomo rappresenta, il valore di una democrazia fondata sul consenso popolare, l'immagine di una nazione all'estero e la percezione che il Paese ha di se stesso. Si è disposti a far precipitare la dignità nazionale dentro il buco di una serratura. Un'opera di demolizione che non dovrebbe giovare a nessuno. O forse sì. Quando l'avversario politico viene trasformato per forza in un nemico della patria, quando diviene normale distruggerne il nome, la famiglia, gli amici, i collaboratori, la vita stessa, quando trionfano coloro che accusano per mestiere, con illazioni e teoremi, dietro il velo di un'informazione che è spesso solo fango, allora il diritto scompare, le Repubbliche cadono, le libertà civili si spezzano e i Cesari, quelli veri, arrivano di lì a poco.

    Dal Corriere della sera

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    sergio.T
    00 18/06/2009 11:58
    ma come cazzo e' finita una Bergamini qualsiasi ( ma chi e' costei? ma da dove spunta questa confusione mentale fatta persona?) in questa stanza di Mommsen?
    Non c'e' nessunissima affinita' tra loro.

    Mah, strani giochi forumistici. [SM=g8455]
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    sergio.T
    00 18/06/2009 14:58
    Quo usque tandem Catilina abutere patienta nostra?
    Duemila e cinquanta anni fa, giorno più giorno meno, a quest’ora o a un’altra, il buon Cicerone declamava la sua indignazione nel senato romano o nel foro: “Fino a quando, Catilina, abuserai della nostra pazienza?”, chiese una volta e molte altre ancora al perfido cospiratore che voleva assassinarlo e acquisire un potere a cui non aveva diritto. La Storia è così prodiga, così generosa, che non solo ci dà eccellenti lezioni sull’attualità di certi avvenimenti passati ma ci lascia anche, a nostro uso, una serie di parole, alcune frasi che, per questo o quell’altro motivo, finiscono per radicarsi nella memoria dei popoli. La frase sopradetta, fresca, vibrante, come se fosse stata appena pronunciata, è senza dubbio una di quelle. Cicerone è stato un grande oratore, un tribuno con grandi mezzi, ma è interessante osservare come, in questo caso, preferì utilizzare termini più comuni, che sarebbero potuti venir fuori anche dalla bocca di una madre che chiamava il figlio irrequieto. Con l’enorme differenza che quel figlio di Roma, Catilina, era una carogna della peggior specie, sia come uomo sia come politico.

    La Storia d’Italia sorprende chiunque. É un lunghissimo rosario di geni, siano essi pittori, scultori o architetti, musicisti o filosofi, scrittori o poeti, scopritori o inventori, una infinità di persone sublimi che rappresenta il meglio che l’umanità abbia pensato, immaginato, fatto. Non le mancarono mai catiline più o meno della stessa pasta, ma da questo nessun paese è esente, è la lebbra che tocca a tutti. Il Catalina odierno, in Italia, si chiama Berlusconi. Non ha bisogno di congiurare per il potere perché è gia suo, ha abbastanza denaro per comprare tutti i complici necessari, inclusi giudici, deputati e senatori. É riuscito nell’impresa di dividere il popolo d’Italia in due parti: quelli che vorrebbero essere come lui e quelli che lo sono già. Adesso ha appena promosso l’approvazione di leggi assolutamente discriminanti contro l’immigrazione clandestina, mette pattuglie di cittadini a collaborare con la polizia nella repressione fisica degli immigranti senza documenti e, il peggio del peggio, proibisce che i figli degli immigrati siano iscritti all’anagrafe. Catilina, il Catilina storico, non avrebbe fatto di meglio.

    Ho detto prima che la Storia d’Italia sorprende chiunque. Sorprende, per esempio, che nessuna voce italiana (almeno tra quelle arrivate al mio orecchio) abbia citato, con una leggera variazione, le parole di Cicerone: “Fino a quando, Berlusconi, abuserai della nostra pazienza?” Sarebbe da sperimentare, chissà che non dia risultati e che, per questa ulteriore ragione, l’Italia non torni a sorprenderci.


    Saramago.


    La riporto anche di qui' in contrapposizione alla lettera di quella cosa la'. ( innominabile)

    Si rimetta in ordine la storia. Storia che piu' volte si e' tentato di travisare riguardo all'episodio Catiliniano.
    I Romani non erano immuni alla corruzione, la conoscevano anche loro; Cicerone non era uno stinco di santo politico, a volte ondeggiava di qui e di li'; ma rimane il fatto che l'esempio Catiliniano riportato dai maggiori storici ( e comprovato) testimonia soprattutto una cosa: i Romani non tolleravano che l'ordine pubblico e la politica fossero infangati da fenomeni oscuri. Chi sbagliava veniva messo in luce sotto accusa, preso, condannato, punito . Stop.

    Catilina era un criminale con una accozzaglia di delinquenti di ogni specie al seguito; opportunisti, affaristi, criminali ricercati, debitori insolventi, falliti, reietti: ce n'erano di tutti i gusti.
    E Roma questo non poteva sopportarlo: rimase chiaro molto chiaro che Catilina non era quel rivoluzionario democratico portatore di valori di liberta' e democrazia che tentava di abbattere il Potere. Anzi, voleva il SUO potere.
    Lui e i suoi, naturalmente, finirono come a Roma finivano queste storie. Con giustizia.

    E sia chiaro: non si spacci Berlusconi per un rivoluzionario e riformatore moderno in nome della democrazia e dei valori della liberta' contro il Potere.
    Berlusconi deve ringraziare di non essere nato a Roma Antica.


    Si rileggano le parole di Saramago come monito e appello a far si che si levi una voce come quella di Cicerone per ripetere quella frase cosi' fresca e cosi' vibrante : una minaccia che nasconde gia' la soluzione definitiva del problema.

    Ora tutto questo, una Bergamini qualsiasi, lo chiama desiderio giustizialista di poveri italici.
    Incredibile davvero.
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    mujer
    00 18/06/2009 15:24
    Incredibile davvero, ho letto il delirio dei questa Bergamini e spero di leggere una risposta di Saramago.
    Secondo me non tarderà ad arrivare.

    Ma mi chiedo, sono in grado gli italiani di capire quello che quest'ignorante sta blaterando?
    O peggio, gliene frega qualcosa al popolo italiano?

    Ci risiamo con le solite storielle da bagaglino...il fatto è che la situazione è tragica, secondo me. E non c'entrano niente i nani e le ballerine.
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    sergio.T
    00 15/02/2010 10:44
    leggendo Tucidide salta evidente un'altra grande differenza: la dichiarazione di guerra greca e' prettamente politica e territoriale.
    Quella Romana e', invece, non solo politica ma rituale e sacra.
    I Feciali , unici venti sacerdoti leggitimati alla dichiarazione di guerra al nemico, consumavano il rito psicologico e sociale.
    Quando il Senato delegava i Feciali questi ultimi ritualizzavano la dichiarazione di guerra in un atto di colpevolizzazione del nemico.
    Non gli si dichiarava solo guerra, ma gli si dichiarava colpevoli.
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    sergio.T
    00 15/02/2010 10:57
    Rito Feciale Romano
    Il passaggio alla situazione guerra è sancito da riti, alcuni dei quali implicano la ma­ledizione, altri un vero e proprio atto di accusa verso il nemico. Il rito dei feciali romani può essere considerato un rito di colpevolizzazione del nemico, attraverso una vera e propria litis contestatio, alla quale veniva chiamato come. testimone tutto il creato (dei, piante, animali, uomini, ma­gari passanti ignari). Parte integrante di tale rito di testimonianza era lo spezzare un bastone di corniolo — che rotto diventava rosso e il gettarlo nel territorio nemico.

    La riflessione psicoanalitica sulla cerimonia , dei feciali ci suggerisce che la fantasia ad essa collegata può essere cosi espressa: “Sia ben chiaro a tutti — al mondo terreno e ultraterreno — che il nemico è nel torto — che è cioè cattivo.” La formula rituale è infatti: “Se il mio ricorso alle armi è ingiusto, che io non veda più la mia patria.”

    La espulsione della colpa nel nemico, così tipica del rito dei feciali, ci apparirà nel suo pieno significato quando avremo chiaro il meccanismo di elaborazione paranoica del lutto come meccanismo della psicologia della guerra.

    La colpevolizzazione del nemico sembra pertanto di im­portanza fondamentale per evitare il senso di colpa che la guerra provoca nell’uomo e segna un momento essenziale nella vicenda di rottura tra tempo di pace e tempo di guer­ra, nella cerimonia di apertura del mondo psicologico nuovo instaurato dalla guerra.

    Dopo tale rito l’omicidio, il saccheggio, il ratto e lo stu-pro diventano leciti, per un periodo determinato. Da quelmomento gli uomini accettano di dare e di ricevere la morte violenta e di cercare di impossessarsi dei beni dell’avversario con la violenza, come di mettere a repentaglio il loro proprio, come se, benché eluso attraverso la proiezione, il sentimento di colpa implicasse tuttavia meccani­smi autopunitori. L’istinto di conservazione entra pertanto in crisi o meglio in una vicenda drammatica governata da un manicheismo radicale, regolato dalla scissione del mon­do in amico e nemico.

    Tale scissione del mondo in amico e nemico ha il carat­tere di un’estrema semplificazione, per cui il bene e il male non vengono più integrati in una stessa situazione istintiva e m uno stesso rapporto oggettuale, ma la stessa situa­zione acquista caratteri diversi a seconda che venga consumata su sé o sull’altro nell’aforisma paranoico del “mors tua vita mea.” Tutto l’enorme peso umano dell’ambivalen­za si alleggerisce di colpo in quanto l’amore e l’odio tro­vano due oggetti diversi in cui investirsi.

    La guerra acquista il carattere- della festa, che ha come compito essenziale quello di rendere più salda la solidarietà dei gruppi, aumentando il senso di unione.

    Gli aspetti psicologici più tipici della festa in senso socio­logico sono: 1) il produrre un’unione materiale dei membri del gruppo; 2) l’essere un rito di spesa e di sperpero; 3) il costituire una modificazione più o meno grande delle regole morali; 4) l’essere un rito di esaltazione collettiva; 5) l’instaurare una specie di annullamento della sensibilità fisica; 6) l’instaurare riti sacrificali. La guerra sarebbe quindi la festa suprema.

    Studio di Bouthoul
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