Stellar Blade Un'esclusiva PS5 che sta facendo discutere per l'eccessiva bellezza della protagonista. Vieni a parlarne su Award & Oscar!

Caffé Letterario

Stendhal

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    sergio.T
    00 10/05/2007 16:15
    Nacque a Grenoble in Via dei Vecchi Gesuiti (oggi Jean-Jacques Rousseau) in una famiglia borghese; la madre, alla quale era molto legato, morì quando lui aveva appena sette anni. Il padre invece venne imprigionato nel 1794 durante il terrore e lo affidò ad un precettore, l'abate Raillane.
    Nel 1796 entrò alla scuola di Grenoble e nel 1799 si recò a Parigi dove ottenne un impiego presso il Ministero della Guerra, dove lavorava anche il cugino Pierre Daru.

    L'anno successivo partì per l'Italia, come sottotenente nei dragoni. Il soggiorno italiano gli dette l'opportunità di conoscere la musica di Domenico Cimarosa e di Gioachino Rossini (del quale scrisse una celebre biografia, Vita di Rossini) nonché le opere di Vittorio Alfieri; nel 1801 partecipò alla campagna d'Italia nell'esercito napoleonico, servendo nello Stato maggiore del generale Stéphane Michaud. Fu a Brescia per tre mesi come aiutante di campo del maresciallo Michaud, ospite nei palazzi delle maggiori famiglie nobiliari.
    Del suo soggiorno manterrà un ricordo profondo. La coinvolta partecipazione alla vita mondana dei salotti bresciani rimane testimoniata nei suoi diari, nei quali compare anche il racconto della violenta gelosia d'un conte bresciano.
    In quegli anni Stendhal entrò in contatto con gli intellettuali della rivista Il Conciliatore, e si avvicinò alle esperienze romantiche.
    Nel 1802 si congedò dall'esercito assumendo la posizione di funzionario dell'amministrazione imperiale in Germania, Austria e Russia, ma senza partecipare alle battaglie dell'esercito napoleonico.
    Nello stesso anno divenne amante di Madame Rebuffel, la prima della decina di amanti delle quali si conobbe nome e cognome, e la seguì a Marsiglia dandosi al commercio, senza grandi motivazioni e con scarsi risultati.
    Ma questi anni di apprendistato ebbero una grande influenza sul personaggio di Julien Soren nel "Il rosso e il nero".
    Fu nominato revisore al Consiglio d'Estate il 3 agosto 1810.
    Nel 1812 lavorò a "La storia del disegno italiano". In agosto fu inviato a Mosca dove fu testimone dell'incendio che rase la città dopo l'entrata della Grande armata in settembre. A novembre, durante la ritirata russa, perse il manoscritto.
    Nel 1814, con la caduta di Napoleone, partì alla volta dell'Italia e, istallatosi a Milano, si ritrovò trentunenne con l'amante Angéla Pietragrua. Visitò per la prima volta Parma, la città che ispirò il suo celebre romanzo "La Certosa di Parma". Due anni dopo pubblicò Roma, Napoli e Firenze, un inno di simpatia per l'Italia.


    Tomba di StendhalNel 1818, lavorò alla Vita di Napoleone; fu anche l'anno del grande incontro con con Mathilde Dembowski (Métilde), con la quale visse intense passioni. Nel 1821, accusato di simpatia per i carbonari (strettamente collegata alla simpatia verso Vanina Vanini) fu espulso da Milano. Nel 1823 visitò la Cella del Tasso a Ferrara.

    Fu il periodo delle opere sull'Italia e sull'amore. Roma, Napoli, Grenoble, Parigi, e poi per la prima volta, Londra: delinearono quasi un vagabondaggio per l'Europa. A Parigi iniziò la collaborazione ad un giornale, attraverso il quale poté delineare il suo programma essenzialmente romantico, caratterizzato ed avvalorato dal riconoscimento della storia quale componente fondamentale della letteratura.

    Dopo la morte del padre, entrò a far parte dei migliori circoli letterari fintanto ad averne uno proprio con seguaci come lo scrittore Prosper Mérimée. Nel 1827 pubblicò il suo primo romanzo, Armance, poi, nel 1830 Il rosso e il nero, influenzato dalla rivoluzione di luglio.
    Nel 1831 fu a Trieste poi fu nominato console a Civitavecchia e riiniziò i suoi viaggi.

    Nel 1833, Stendhal discese il Rodano da Lione a Marsiglia in compagnia di George Sand e di Alfred de Musset.Quindi, si spostò in Italia, e verso la fine del 1837, effettuò due lunghissimi viaggi nella madrepatria. Nel 1839 si recò a Napoli accompagnato dall'amico Mérimée.
    Nel 1841 ebbe un primo colpo apoplettico e fece rientro nella capitale francese; morì dopo aver terminato il suo capolavoro "La Certosa di Parma", nella notte tra il 22 e il 23 marzo 1842 di un attacco cardiaco.
    Riposa al cimitero di Montmartre a Parigi; la dicitura sulla tomba reca l'iscrizione "Henry Beyle milanese".
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    mujer
    00 11/05/2007 10:09
    Gli uomini si capiscono solo nella misura in cui sono animati dalle stesse passioni




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    sergio.T
    00 11/05/2007 10:23
    Stendhal era un grande psicologo.
    Un realismo della psicologia, lo definirei cosi'.
    Pur analizzando sentimenti, passioni, irrazionalita' dei comportamenti umani , e dunque una sfera decisamente emotiva, il grande scrittore francese e' riuscito a oggettivatizzare i sensi piu' profondi dei comportamenti.
    Il rosso e il nero o la Certosa di Parma, o ancora Armance e soprattutto Sull'amore, testimoniano come Stendhal, anche quando si abbandonava alla narrativa ( con spunto storico), incentrava tutta la sua analisi sul psicologico emotivo.
    E la lucidita' con la quale scriveva e rendeva chiara la sua visione ( comportamentale) ha qualcosa di stupefacente.

    Uno scrittore strano: il culto di Napoleone,( ricorrente nei suoi romanzi, basti ricordare l'inizio con J.Sorel in Il rosso e il nero)lo porto' a seguirlo in battaglia.

    I personaggi di Stendhal , in un certo senso, sono scorretti politicamente ( socialmente): diciamo piu' sinceri.
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    mujer
    00 11/05/2007 10:36
    Ai tempi in cui lessi il Rosso e il Nero, ricordo di aver valutato una specie di omologazione, il modo in cui Stendhal concepisce l'uomo: vittima della sua condizione "finita".
    Non fui molto d'accordo con questa visione, tanto da farmi credere che l'esperienza militare fosse la ragione di tale pensiero.
    Dovrei rileggerlo per rivedere questa mia posizione.
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    sergio.T
    00 11/05/2007 10:46
    Re:
    mujer, 11/05/2007 10.36:

    Ai tempi in cui lessi il Rosso e il Nero, ricordo di aver valutato una specie di omologazione, il modo in cui Stendhal concepisce l'uomo: vittima della sua condizione "finita".
    Non fui molto d'accordo con questa visione, tanto da farmi credere che l'esperienza militare fosse la ragione di tale pensiero.
    Dovrei rileggerlo per rivedere questa mia posizione.



    Beh , allora, anche Sartre defini' l'uomo come un tempo finito.
    Conchiuso in se' e nelle sue possibilita' ( quelle infinite).
    Stendhal non credo omologhi l'uomo; io non l'ho interpretato in questo modo.
    I suoi personaggi piu' famosi, quel Sorel e quel Del Dongo, sono tutto tranne che chiusi.
    Politicamente e socialmente scorretti, sono due rivoluzionari: individuali, profondamente egoisti, cinici al punto giusto, dolci e crudeli, caparbi, tenaci, accaniti.
    Sorel e' l'antitesi stessa del conformismo: e' la sfrenatezza dell'istinto e dell'affermazione di se'.
    Stendhal dipinge molto bene le molle del comportamento ( Ricordi d'egotismo) e non si sbaglia quando mette in primissimo piano quella volizione individuale superiore ad ogni etica sociale, o morale.
    Non per niente Nietzsche , in seguito, disse che Stendhal e Dostoevskij erano i piu' grandi psicologi che l'europa mai ebbe.
    Non tanto per quello che dissero, ma per come lo dimostrarono.
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    sergio.T
    00 08/01/2008 15:13
    Stendhal : antidoto contro la " decadence"
    E che dire di Stendhal? a leggere l'altro " tipo" ( forse un Hugo? per dirla alla LLosa...) si rimpiange la sua Certosa, il suo Rosso e il Nero.
    Si rimpiange la sua cristallina visione, il suo puro realismo, il suo andar dritto al sodo.
    Pochi dettagli, poche ciance, poche " visioni": al contrario di quello strambo personaggio - sempre Hugo? - che si perde in fiorellini colorati, in rose che sbocciano, i canti di fringuelli, in Angeli che scendono in terra o che svolazzano come api, in personaggi talmente molli da assomigliare a gomma piuma, in animi pietosamente schiavi, rassegnati, malvagi, elemosinieri di se stessi - al contrario di tutta questa marmaglia - in Stendhal si abbraccia un carattere forte, individuale, ben delineato, ben costituito, passionale, animato da volonta', caparbieta', onore: scevro da " visioni", da delirii, e soprattutto da ideologie e ideali.
    In Stendhal si e' oggettivi fino in fondo, o per dirla in maniera diversa in Stendhal ci si compiace dell'esistenza malgrado il suo aspetto tragico.
    Si vuol mettere un animo simile con un Hugo e il suo rimpianto?
    Si vuol preferire ad un " ridere" , una litania miserabile?,
    no! suvvia, tranne il caso di essere gia' in discesa, in declino, o meglio ancora in decadenza.
    Hugo, infatti, e' per antonomasia la " decadence"!
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    sergio.T
    00 08/01/2008 15:29
    La purezza di un Julian Sorel, l'egregissimo Sig. Hugo, se la scorda, anzi, non sa nemmeno dove sia di casa.
    Quest'ultimo moralista ( uno dei peggiori della sua specie) proprio decantando la purezza d'animo di alcuni suoi personaggi, fa l'esatto contrario, abbassandoli a qualcosa di falsamente " illuminato", falsamente morale: li destituisce, li depriva dell'aspetto " umano" passionale.
    In Hugo, questo depravato, viene a mancare del tutto la volizione, lo slancio; al loro posto quella purezza che sa tanto di morigiatezza, moderazione, astinenza, repressione. Tutto e' controllato, tutto e' " sociale: l'individuo si annula nell'insieme e nella virtu' di Dio.
    La purezza di Stendhal e' di natura piu' alta: in lui si rispetta l'individuo dal sociale; in lui c'e' ancora il viscerale, la pulsione caratteriale; in lui la distinzione tra " io e noi, voi, essi " - dall'insieme insomma - e' ancora viva, e soprattutto rispettata.
    La purezza di un Julian Sorel e' proprio quella di rimanere uomo singolo in antitesi con la sua epoca, la sua politica, la sua societa', la religione dei tempi.
    Julian Sorel e' puro perche' non massificato in una ideologia democratica tipica di quel tipo sinistro che di nome fa Victor Hugo.
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    sergio.T
    00 15/02/2008 09:47
    Ah, Stendhal!
    Bastano poche pagine , le prime, della Certosa di Parma per respirare tutta la giocosita' , tutto il brio, tutta la baldanza di uno Stendhal.
    Quei Milanesi tetri e tristi, quegli Austriaci oscuri un poco grigi, immalinconiti da uno peso greve, infiacchiti nell'animo e nello spirito.
    Il suo incedere, la sua entrata in scena in questa storia, e' accompagnata - come controaltare di questo panorama malaticcio - dallo spirito vitale, dallo spirito "allegro" di quel vento nuovo, forte, intenso, d'oltre alpe, quel vento che di nome fa la Grand Armee'.
    Questa Grand Armee' che incomincia nel 1796 a spazzare le piane d'europa, a ristabilire certi valori, a rinnovare uno spirito europeo monarchico non solo nelle istituzioni, ma nel profondo del suo cuore.
    Questa Grand Armee' che scende nel Milanese, passando dal Lodigiano, con tutta la sua baldanza, tutta la sua profonda leggerezza, e infine con quella sua spinta vitale, in movimento.
    E al pari del movimento della guerra, questa grande danza, questo grande ballo, le pagine del grande scrittore, incominciano da par loro, a " muoversi, a prendere corpo, a definirsi.
    Si respira aria nuova! sia a Marengo, sia nelle sue pagine : quell'aria degli spiriti superiori.

    [Modificato da sergio.T 15/02/2008 09:49]
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    sergio.T
    00 15/02/2008 11:53
    Realismo
    Il realismo o la dignita' di uno Stendhal sta tutto nel suo lasciare i personaggi liberi, assolutamente liberi: nel bene nel male, nella morigiatezza nell'efferatezza delle loro azioni, Stendhal non mette naso.
    Sarebbe ben stupido farlo: un'idea riformatrice, correttiva, ideale, moralizzante - insomma un'idea becera come questa, tipica di un nano come Hugo per fare un esempio - non puo' correre nella testa di uno Stendhal: e' una testa troppo fine, troppo acuta per inciampi simili.
    Nella Certosa di Parma il grande scrittore francese si permette persino un vezzo: nella premessa dice che i suoi personaggi sono riprovevoli per molte azioni,ma sono le " loro" azioni, sono i "loro" atteggiamenti reali e quindi , lui, non ha il diritto di cambiarli, di modificarli, di migliorarli.
    Persino i protagonisti stessi lo chiedono. Non toccateci, raccontateci per quello che siamo.
    In questa leggera presa in giro, splende un realismo Stendhaliano sul mondo e sugli uomini.
    Forse uno scrittore cosi' non e' da amare? forse in questo non si legge chiaramente tutto il suo " vitalismo" sfrenato verso ogni direzione? o forse questa sua onesta' psicologica e' troppo pesante da digerire per stomaci indigesti e un po' debolucci?
    Soltanto la limpidezza di un Balzac sta al pari di questo lucido sguardo.
    [Modificato da sergio.T 15/02/2008 11:55]
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    sergio.T
    00 15/02/2008 14:41
    Oh! quel pizzico giusto, misurato, ben dosato di severita', di intransigenza, di sano realismo, di velata durezza.

    A memoria approssimativa:

    " Non ponetevi mai la domanda se quello che vi insegnano e' giusto o sbagliato: cosi' e' la societa'.
    Non vi sognerete per caso di discutere delle regole del gioco: piuttosto non giocate "

    Stendhal


    Vautrin a Lucien De Rupembre' nelle Illusioni Perdute":
    " Quando vi sedete al tavolo del wist, forse volete criticarne le regole del gioco? No, giocate e basta"

    Balzac.

    Mi sembrano due teste con le ide chiare: pericolosamente realiste, poco inclini all'idealismo, ma propensi semmai a una forte volonta' d'imposizione.
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    sergio.T
    00 15/02/2008 16:24
    Uno scrittore postumo ( da una recensione)
    Energia, passione, orrore dell'ipocrisia, desiderio della natura, inseguimento della felicità, egotismo: tutte queste parole disegnano il profilo di Stendhal. Se si aggiunge a ciò il gusto per lo scherzo leggero e chic, l’attrazione per i pseudonimi e per i mascheramenti, la certezza infine di essere capito soltanto nel XX secolo – che immaginava meno conformista del suo -, si ottiene un ritratto esatto di ciò che la modernità ha affermato in termini d'individualismo e di libertà, e a cui Stendhal ha arrecato il suo innegabile contributo.
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    sergio.T
    00 15/02/2008 16:30
    La passione in Stendhal : l'energia , la crudelta', l'istinto.
    Opera : Cronache italiane.

    Cronache italiane (la cui l'idea germinerà nel 1833), rifacimenti di storie tragiche e di gusto romantico e gotico scritte in Italia nei secoli XVI e XVII. Sedotto dalla loro forza di immediata verità, Stendhal li riscrive in funzione di sue suggestioni cui non sono estranee la visione di un’Italia primitiva ma verace, crudele ma vitale, dove la forza della natura ha il sopravvento sugli sfinimenti e i “disagi della civiltà”. E’ il mito romantico e personale di Stendhal di un’Italia “fortunatamente” arretrata dove l’uomo non è che sensazione e che, a differenza dell’uomo civilizzato, ha la sufficiente energia richiesta dai delitti. Ne La Badessa di Castro, La duchessa di Palliano o I Cenci regnano perciò la violenza, l'omicidio, la crudeltà, e i crimini passionali rivelano il desiderio, la forza, l'energia; sentimenti tratteggiati al di là di, o meglio contro, ogni considerazione morale
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    sergio.T
    00 15/02/2008 16:32
    La certosa di Parma ( scheda)
    La Certosa di Parma esprime il distacco più completo di Stendhal dal mondo contemporaneo e il suo trionfo più completo su di esso; il romanzo è l’espressione più completa della sua alienazione rispetto alla sua epoca e del suo rifiuto di lasciarsi bloccare da quella alienazione. La Parma di Stendhal non appartiene né al XIX° secolo né, come hanno sostenuto alcuni critici, all’epoca di Machiavelli; è indipendente dal tempo e dallo spazio, un modello in formato ridotto di governo autocratico; qui la politica, per un paradosso che è la molla segreta della grandezza di Stendhal, si presenta ai nostri occhi con l’evidenza rappresentativa di una parabola e con la stilizzata illogicità di un’opera lirica. La maggior parte dei romanzieri che volgono la loro attenzione alla politica - penso soprattutto a Conrad - tendono a considerarla un ostacolo che il mondo interpone sulla strada che porta alla felicità. Anche Stendhal vede la politica sotto questa luce, ma il suo modo di considerarla e di accostarsi ad essa è molto più complesso. La politica impedisce al conte Mosca e alla duchessa Sanseverina di godersi quella felicità che sarebbe alla loro portata, impedisce a Fabrice di fuggire con la sua cara, piccola Clelia; la politica è quella forza dei mondo esterno che impedisce agli uomini di seguire i loro più sani istinti ma è anche qualcos’altro e di ciò si tendono conto pienamente solo Stendhal e Dostoevkij tra i romanzieri dell’Ottocento: è un modo di sfogare quelle stesse passioni che essa soffoca; essa non è solo un ostacolo per la volontà ma anche uno stimolo e una sfida; essa non è semplicemente un invito alla pusillanimità ma, a volte, un invito all’eroismo.
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    sergio.T
    00 18/02/2008 10:48
    Il leggero spirito con cui Fabrizio parte per la battaglia; con cui arriva a Waterloo accompagnadosi, per caso, al Generale Ney; quello spirito che lo preme al desiderio di partecipare alla guerra pur non sapendone molto; questo spirito e' tipico di Stendhal.
    Un'innocenza che fara' da antitesi per tutto il romanzo: l'innocenza di uno spirito superiore in tutte le minime e massime cose della vita, come l'amicizia, l'amore, la politica.
    Antitesi perfetta di tutta quell'altra malizia sociale, di classe, politica per l'appunto.
    Mosca, la duchessa Sanseverina, Rassi, il principe stesso Eugenio, tutti personaggi di sfondo carichi e sovracarichi di quella pesantezza sociale di facciata, di recita.
    Fabrizio Del Dongo non sa nulla di tutto questo; non sa niente di intrighi politici, ancor meno sa di tutte quelle intrecciate congiunture d'interessi; non si cura del futuro, della propria poszione; non pesa sulla bilancia della convenienza nessun atto della propria vita; passionalmente, parte per la guerra, sfida a duello, uccide un brigante, s'innamora e si disinnamora; non aprofitta del suo nome, della sua casata; non accetta compromessi, non scappa, non fugge quando potrebbe farlo, si stupisce di certo maneggi, di certi calcoli; infine pone il suo volere come ricerca dell'amore e della passione.
    Fabrizio e' l'ingenuita' in un mondo dove tutto e' calcolo e convenienza. La lotta di Fabrizio, in fondo, e' una lotta al concetto di Potere.
    E si sa bene, anzi benissimo, i colori con i quali Stendhal dipinge i suoi beniamini, i suoi eroi come nel caso del Del Dongo: colori accesi, forti, volitivamente intensi.
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    sergio.T
    00 18/02/2008 11:34
    La felicita' in Stendhal
    Stendhal gia' un secolo fa aveva visto bene cos'era la politica in Italia: un'associazione di politicanti e politicastri vari.
    Un imbroglio di proporzioni inimmaginabili.
    Una politica che sposata al concetto di potere non e' piu' in funzione del sociale, ma bensi' dell'esatto contrario: e' la funzione dei pochi che comandano e vessano i molti in nome dell'interesse.
    La politica come festival dell'ipocrisia, della vergogna, della furfanteria.
    Non c'e' una coscienza di classe nei politici.
    Mosca, il primo Ministro del Ducato di Parma ( nella fantasia di Stendhal) si salva in un certo senso: si e' adattato a questo andazzo ma ne sente l'assoluta infondatezza. Non c'e lealta', non c'e' onore (
    anche nella politica e' fondamentale)
    Si adatta contro voglia e cerca , per quanto gli e' possibile di aderire ai suoi principii personali: Mosca e' l'esempio di un uomo retto preso in un meccanismo troppo perverso per combatterlo da solo.
    Quando Fabrizio nomina la possibilita' di presentarsi davanti ai magistrati che lo giudichino con serenita' e correttezza, Mosca, questo personaggio " strano" gli risponde: " se sai dove abitano mandami l'indirizzo".
    La rassegnazione di queste parole indica l'immensa esperienza del primo Ministo.
    Esperienza realista, che sembra cinica ma non lo e'.
    Stendhal a piu' riprese e per vari motivi avverte i lettori francesi:
    gli italiani sono fatti in un certo modo, da loro le cose vanno in un certo senso.
    Mosca e' un tipo particolare: ha un senso dell'onore spiccato e questo lo contraddistingue.
    La duchessa Sanseverina: altro personaggio particolare, poco incline al concetto sociale, poco incline a conoscere l'essenza politica.
    Di quest'ultima ne fa solo un mezzo, un pretesto: la usa a suo piacimento, si adatta alla sua funzionalita' multivalente, la prende e la direziona a suo favore.
    E' un donna dura". E piace per questa sua forza.

    Stendhal in questo affresco immenso ( affresco umano polito sociale)
    fa cadere la sua sentenza, la sua definitiva opinione, il suo giudizio: la sua penna saltando qui e la' in questo marasma, in questo piccolo spaccato del mondo che sara' il mondo moderno, l'unico ad essere veramente felice, facendo il paio con Fabrizio stesso, sara' proprio colui che e' il piu' distaccato, il piu' lontano e diciamolo di passaggio, il piu' disimpegnato di tutti: disimpegnato dalla politica stessa, dalla lotta di classe, dalla considerazione sociale, e dedito alla poetica, all'arte, alla letteratura: quel Ferrante Palla, brigante da rapina, e poeta.
    Un Palla deliziosamente dipinto come matto, un poco folle, ma che proprio per questo ( sono matti coloro che non partecipano agli occhi dell'imbroglioni) e' il modello dell'uomo innocente, solido, ma soprattutto felice.
    Felice di non partecipare alla farsa della societa' civile.
    [Modificato da sergio.T 18/02/2008 11:36]
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    sergio.T
    00 18/02/2008 11:50
    Quello che crede uno Stendhal.
    Distacco, disimpegno, lontananza dal mondo: sono le tre componenti dei grandi personaggi di Stendhal.
    Julian Sorel, Fabrizio Del Dongo, Ferrante Palla, per fare tre esempi, sono molti piu' forti e piu' attivi del consesso civile dipinto e scritto nelle pagine Stendaliane.
    Sono piu' forti perche' istintivi, volitivi, esatti nel loro vedere il mondo e la sua dinamica.
    La loro e' una visione passionale e dunque solitaria: non partecipano per principio , per onore, pèrche' hanno un'altra fede.
    Vicini all'arte, alla natura, a tutto lo scombussolamento del divenire ( amano la guerra), sono fedeli a quello che sono: non si adattano, si rifutano di cambiare in meglio o in peggio, sono quello che sono.
    Personaggi cosi' " resistono" perche' e' il caso di parlare di resistenza, in casi simili.
    Non sopprimono, non combattono, non violano lo stato delle cose: semplicemente bvanno per la loro strada, per la loro direzione.
    Non abbandonano il cuore e la loro innocenza che sembra di primo acchitto egoista, individualista, e' in realta' indipendente da tutto quello che non sentono affine alla loro natura, come profondamente loro.
    Fabrizio un giorno, da grande, tornera' invece a rivedere un suo posto, un albero di noci dove da piccolo andava.
    Questa e' la fede in Stendhal.
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    sergio.T
    00 18/02/2008 14:20
    Alessandro Piperno
    Piacevolissima coincidenza durante la mia rilettura della Certosa di Parma, oggi apro il Corriere e un'intera pagina e' dedicata a Stendhal. A firma di Alessandro Piperno.
    Non ho mai letto nulla di questo autore, ma sono d'accordissimo sulla sua interpretazione di Stendhal ( mi fa quasi felice avere indovinato alcune cose.)
    Stendhal con la sua Certosa, scrisse innanzitutto un libro immortale: Balzac, cosa di cui non sapevo, non la smetteva piu' di idolatrare questo libro definito capolavoro.
    E un capolavoro viene solo a ispirazione ( La Certosa fu scritta in 53 giorni soli) e solo uno Stendhal poteva fare una cosa simile.
    I critici cercarono di sminuirlo in parecchi modi: innanzitutto una scrittura non rotonda, non perfetta, ma Piperno dice una cosa: a differenza degli scrittorini che cercano nella scrittura la propria autocelebrazione, Stendhal racconta fatti e la scrittura prende la piega di modo di raccontare, conciso, preciso, determinato.
    Gia' nell'800 qualcuno a proposito di stile ( esistevano gia' all'epoca i frustrati dello stile , i racconta-nulla) dissero che lo stile stendaliano non era perfetto e lo invitarono a rileggersi Chateaubriand , ma Stendhal rimando' al mittente il consiglio: " Gia' dal 1802 mi sembra ridicolo Chateaubriand e il suo stile"
    Stile vuoto, privo di contenuto, quando con il grande Stendhal, come dice giustamente Piperno, si ha il miracolo della " forma che si piega all'interiorita'" ed e' un gran miracolo, un avvento nel vero senso della parola.
    La forma che si piega al vero, alla storia, a quello che noi siamo e che vogliamo semplicemente raccontare: i fatti.
    Nietzsche defini' Stendhal il piu' grande psicologo dell'800, uno dei piu' grandi di sempre, proprio per questa sua lettura dell'interiorita'.
    Qualcuno insistette: come ! -salto' su a dire - la struttura del romanzo e' difettosa perche' alla morte di uno dei protagonisti, Stendhal non dedica una serie di pagine, ma la racconta solo in due paginette e questo pecca di completezza.
    Mi rimetto a Piperno, occhio fine almeno come critico romanzesco, che demolisce questa critica :
    " Se la morte dura solo un secondo, perche' dargli tanta importanza?
    La morte raccontata in poche righe e' l'ultimo colpo di genio di un grande scrittore"


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    sergio.T
    00 18/02/2008 14:40
    Il Rosso e il nero ( scheda)
    La storia narrata nel romanzo fu ispirata a Stendhal da un fatto di cronaca la cui conclusione ebbe per cornice il Tribunale di Corte d'Assise dell' Isère, il suo Dipartimento d'origine. Nel 1827, un giovane seminarista, Berthet, fu giudicato e condannato a morte per aver tentato di assassinare in una chiesa la sua ex amante. Il Rosso e il Nero riprende, sviluppa e arricchisce questo aneddoto nel quale l'autore vede la manifestazione di una energia popolare che la società conservatrice della Restaurazione rintuzza e reprime (l'opera fu pubblicata col sottotitolo Cronaca del 1830).



    Il romanzo ritrae l'ascesa sociale di Julien Sorel, giovane di origine modesta ma che, sotto lo stimolo di una intelligenza precoce, ambisce ardentemente ad una migliore collocazione sociale. Affascinato dal prestigio delle guerre napoleoniche, è inizialmente allettato dalla vita militare, ma i suggerimenti del curato del suo villaggio natale lo inducono ad entrare in seminario. (I colori del titolo dovrebbero sinteticamente richiamare le due divise, il nero della tonaca talare e il rosso della divisa militare). È infatti questa la via più praticabile per una scalata sociale nell'epoca della Restaurazione, in una società stagnante e in cui la nascita plebea è ridiventata un handicap dopo la grande mescolanza egualitaria operata dalla Rivoluzione e dall'Impero napoleonico.

    Il primo gradino si presenta a Julien sotto le vesti di precettore presso la casa di M. de Rénal, della cui moglie ben presto egli diventa l'amante. Ambizioso, concentrato a vivere sotto lo sforzo di una volontà tesa a conseguire indefettibilmente il proprio obiettivo, ma anche preoccupato di nasconderlo sotto una coltre di dissimulazione "tartufesca" (dal personaggio di Molière), Julien Sorel dedica ogni sforzo "per diventare qualcuno". Ma il carattere scandaloso della sua relazione con M.me de Rénal lo costringe a lasciare la piccola città di Verrières, nel Jura, per il seminario arcivescovile di Besançon. Questo distacco non intaccherà affatto l'amore profondo che egli nutre per la signora de Rénal, e che resterà al centro della sua esperienza emotiva.

    A Besançon, città della Franca Contea, il marchese de la Mole, lo prende al suo servizio. Quest'ultimo ha una figlia, Mathilde, con la quale il giovane Sorel intesse ben presto una relazione contrastata, passionale, ma forte. All'amore ipergamico (di origine roussoiana, M.me de Warens), borghese, caldo, sensuale e materno, succede l'amore con la coetanea - una Julien in gonnella - e sarà un amore aristocratico, "freddo", di testa, geometrico, ma altrettanto incandescente.

    L'ascesa di Julien continua grazie alla protezione del marchese ed alla sua personalità brillante e fiera al tempo stesso. Potrebbe accontentarsene, ma una lunga missione all'estero ed un incontro fortuito con uno dei suoi vecchi compagni di seminario eccitano in lui il demone dell'intrigo. Tenta allora di irretire intenzionalmente una grande aristocratica (si vede in controluce il magistero di Laclos, che Stendhal conobbe e apprezzò), ma tale decisione, nei fatti, determinerà la sua rovina. Ben presto Julien è visto come un vile arrivista. D'altra parte, Mathilde è incinta di lui. Il marchese decide di procurarsi informazioni sul suo conto, e scrive alla signora de Rénal che , ormai preda di scrupoli religiosi, risponde con una lettera dettata dal suo confessore e dove Julien è messo in cattivissima luce. Allarmato, il marchese de la Mole ingiunge alla figlia di abbandonare Julien. Reso furioso dal tradimento di M.me de Rénal, Julien perde la testa e, in un impulso omicida, si reca a Verrières dove tenta di uccidere con un colpo di pistola la sua vecchia amante. Imprigionato, è indotto a misurare nel gelo della sconfitta sociale l'abnorme vanità egotistica (l'egotismo è neologismo stendhaliano) e l'inanità degli sforzi compiuti per migliorare la propria condizione. Giudicato, è condannato alla pena capitale, nonostante i molteplici e congiunti interventi in suo favore delle sue due amanti. La sua morte precede di qualche giorno quella di M.me de Rénal a suggello di uno struggente amour- passion (altro termine stendhaliano) che ha pochi riscontri nelle storie amorose dei romanzi di ogni epoca.

    Profonda e penetrante analisi di un'epoca e di personaggi complessi, Il rosso e il nero intreccia con uno stile secco - in cui la parola è tutta tesa a dare la cosa - la vivisezione psicologica e amorosa della narrativa francese iniziata con M.me de Lafayette con la disamina appassionata dell'ambiente sociale ed economico, che sarà preoccupazione del "romanzo sociale" di qualche decennio dopo. È un classico della letteratura francese e uno dei vertici della narrativa mondiale.
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    sergio.T
    00 18/02/2008 15:00
    Opere principali
    1. Vite di Haydn, Mozart e Metastasio (1815)
    2. Storia della pittura in Italia (1817)
    3. Roma, Napoli e Firenze (1817)
    4. Sull'amore (1822)
    5. Racine e Shakespeare (1823)
    6. Vita di Rossini (1823)
    7. Di un nuovo complotto contro gli industriali (1825)
    8. Armance (1826)
    9. Passeggiate a Roma (1829)
    10. Il rosso e il nero (1830) [Scheda]
    11. Cronache italiane (1837)
    12. Ricordi di un turista (1838)
    13. La Certosa di Parma (1839) [Scheda]
    14. Idées italiennes sur quelques tableaux célèbres (1840)
    15. Lamiel (1889-1928, postumo)
    16. Vita di Henri Brulard (1890-1949, postumo)
    17. Ricordi di egotismo (1893, postumo)
    18. Lucien Leuwen (1894, postumo)
    19. Molière, Shakespeare, la comédie et le rire (1930, postumo)
    20. Voyage dans le midi de la France (1930, postumo)
    21. Filosofia nova (1931, postumo)
    22. Scuole italiane di pittura (1932, postumo)
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    sergio.T
    00 19/02/2008 10:11
    Durante i 53 giorni per la stesura della Certosa di Parma, il cameriere della casa Stendhal ebbe l'ordine di non fare entrare nessuno.
    A chi si presentava per essere ricevuto si rispose immancabilmente: " il signore e' fuori a caccia"
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