Camera con vista

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sergio.T
00mercoledì 18 giugno 2008 11:49
Si è quel che si ha. Superficiali gli accumulatori di ricchezza, semplice nascondiglio il rifugio dorato. C’è una casa che sembra accoglierli ma che crollerà al primo nubifragio. Siamo tutti lì a ridosso della collina e aspettiamo. Verrà il tempo delle piogge con le nostre lacrime ad inondare la costruzione delle nostre fragilità.

Superficiali un bel niente, o meglio, superficiali gli esosi, ma solo se superano la misura.
"Si e' quel che si ha" parte da una premessa errata e per lo piu' in malafede: si equipara l'avere con l'essere per dispregio del concetto di proprieta' " fisica" Ma questo non dimostra niente! assolutamente niente! piuttosto tutto il contrario: "si ha quel che si e'!" cosi', in questo modo, correggiamo una premessa errata.
Dire io sono questo perche' posseggo queste cose e questa casa ( ah, su questa eresia ci si tornera') significa non esserci o credere di essere soltanto a posteriori: ci si identifica e si prende corpo soltanto nel momento che si ha una cosa ( transitorieta').
Si ha quel che si e', e' ben diverso, diversissimo, assolutamente stradiverso: si ha quel che si e', presuppone una scelta originale, autentica, decisiva. Voglio questo e non quello; mi prendo quello e non questo. Qui l'esserci e' a priori, e soltanto a posteriori la proprieta' viene scelta come consona a quello che si e'. Dunque : io sono colui che decidera' di avere o non avere, ma in ogni caso, nulla cambiera' della mia volizione.
Il lupo vuole appropriarsi della lepre , ma se non ci riesce, e dunque non ne diventa " proprietario!" famelico, rimane lupo lo stesso.
mujer
00mercoledì 9 luglio 2008 01:23
Non esistono scelte originali e cambiare soggetto non trasforma ciò che siamo. Si è quel che si ha o si ha quel che si è fa di noi esseri avidi. E’ quell’essere eternamente connesso all’avere che stride con il mondo naturale dei seguaci di Thoreau che vorrebbero vivere a Walden. Ci sono voleri che trascendono dal possesso, ed è il caso del tuo lupo affamato.

O della sua lupa, no?
No


Me la ricordo ancora quella storia, lei che ruba per sfamare i suoi figli e le sevizie per un tozzo di pane. Più che avere per quel che si è questa donna ha avuto quel che non era, una morte da donna sola. Sarebbe sopravvissuta accompagnata ai suoi dieci figli.

Secondo me certe cose le inventi.
A volte sì.
Ecco.
Ma questa no.


Hai deciso di partire da sola. Non credo di esserne contento, un po’ sì. E’ che se parti mi pesa e non so come dirtelo, dovresti andartene senza dirmi niente. Mi risparmierei quei saluti melensi. Una volta partisti per avere un bacio da me, unicamente, e me lo dicesti dopo tanto tempo.

Sai che non ricordo?
Certo.


E’ una questione di comodo, ricordare o non ricordare. E’ tipico delle persone accomodanti. I borghesi, infatti, non ricordano mai nulla, nemmeno il presente. Basta la moquette per trattenere le orme e un fermo immagine racchiuso in cornice d’argento per fingere ricordi. Conosco due che, pur di non ricordare, dicono di essere felicemente scomparsi.

Così sono gli amanti.
Come i borghesi?
Come gli scomparsi.


Avevo deciso di spogliarmi in mezzo alla piazza. Buttai i vestiti nell’aiuola delle margherite e scomparvero. Li rividi, giorni dopo, indosso alla mia amica Raquel. La gonna le sfiorava le ginocchia, a me arrivava alle caviglie. Raquel era bella e triste, mi sorrideva se aggrottavo le sopracciglia.

Questa cosa è vera.
Invece no.
E’ inventata?
Neanche.
Allora?
E’ futura.


Mi urta questo tuo modo di parlare, di scrivere, di esprimerti, di pensare. Mi urti tu e il tuo tono di voce, la tua cadenza, i tuoi dialoghi e le tue fisse. Sei banale, complicata, stupida e mi irriti. Scrivi e parli, parli, parli per non dire niente. Prima o poi la smetterai e io sarò l’uomo più felice del mondo.

Non posso farlo.
Perché no?
Perché non posso.
Invece puoi ma non vuoi.
Non voglio e non posso.
O una o l’altra.
L’altra.


Qualche anno fa ero a mille miglia da qui, in un'altra casa e in un’altra città. Avevo un’altra vita, un’altra donna e un’altra macchina. Un altro lavoro, un altro cane e un’altra collega. Altri orari, altra giacca e altro libro. Anelavo a un’altra vita che, però, non è questa di ora a mille miglia da allora, in un’altra casa e in un’altra città.

La tua città è antica.
Sembra.
Il ponte è di legno.
Non è un ponte.
Cos’è?
Un confine.


C’è una linea ben demarcata tra ciò che si è e ciò che si ha. Se oltrepasso il confine scompaio.
sergio.T
00mercoledì 9 luglio 2008 09:23
E’ una questione di comodo, ricordare o non ricordare. E’ tipico delle persone accomodanti. I borghesi, infatti, non ricordano mai nulla, nemmeno il presente.


Buona cosa è la dimenticanza!

Altrimenti come farebbe

il figlio ad allontanarsi dalla madre che lo ha allattato?

Che gli ha dato la forza delle membra

e lo trattiene per metterlo alla prova?


Oppure come farebbe l'allievo ad abbandonare il maestro

che gli ha dato il sapere?

Quando il sapere è dato

l'allievo deve mettersi in cammino.


Nella casa vecchia

prendono alloggio i nuovi inquilini.

Se vi fossero rimasti quelli che l'hanno costruita

la casa sarebbe troppo piccola.


La stufa riscalda. Il fumista

non si sa più chi sia. L'aratore

non riconosce la forma di pane.


Come si alzerebbe l'uomo al mattino

senza l'oblio della notte che cancella le tracce?

Chi è stato sbattuto a terra sei volte

come potrebbe risollevarsi la settima

per rivoltare il suolo pietroso,

per rischiare il volo nel cielo?


La fragilità della memoria

dà forza agli uomini.


( BERTOLT BRECHT)

sergio.T
00mercoledì 9 luglio 2008 09:35
E ancora
E’ una questione di comodo, ricordare o non ricordare. E’ tipico delle persone accomodanti. I borghesi, infatti, non ricordano mai nulla, nemmeno il presente.


Ma che razza di discorso e': non tanto quello dei borghesi ( il mondo stesso e il suo equilibrio e' borghese) ma quello del ricordare.

Il ricordo e' una malattia se diventa ossessivo: ricordare, rimembrare, riportare, portano un individuo all'inazione.
La forza, la volonta' ma anche la stessa felicita' esistenziale e' l'agire in modo non storico ( ne' personale, ne' sociale) perche' solo l'attimo presente e' scevro e libero da ogni forma di condizionamento . L'istinto non ricorda ma agisce d'impulso perche' formato a questo compito, propulsore autentico di ogni azione. Che serve ricordare in certi momenti? forse quello di mediare l'attimo con l'esperienza? o forse solo quello di incatenare una presa di coscienza ad un obbligo imparato tempo prima? Un individuo vive in se' il proprio passato plasmandolo nella dimenticanza proprio nel momento che torna ad agire. Quante cose non s'intraprenderebbero se si ricordasse! quante paure ci assalirebbero! quanta inazione scenderebbe su di noi se ci limitassimo a ricordare.
Si rilegga Nietzsche e si faccian proprie le sue parole: all'individuo oltre alla luce necessita' anche l'oscurita', per agire ci viole anche l'obrio!
Si, lo so, piu' che borghesi, siamo niciani!
sergio.T
00mercoledì 9 luglio 2008 09:56
Non ricordo.
Ha qualcosa di religioso il ricordare in modo ossessivo: ha qualcosa venato di quella morbosita' tipica della paralisi. Ricordare e' una contraddizione in termini contro il divenire.
Ma noi, fortunatamente, non amiamo la storia monumentale: quella storia che fissa, che ferma, che innalza barricate su un episodio, su un qualcosa che conta poco piu', poco meno, come un granello di sabbia nel deserto. Non vogliamo nemmeno pensare ad una storia del ricordo.
Tutto accade e nulla ha importanza estrema per un ricordo per sempre.
Che vuol dire " per sempre"? questa abominevole etichetta renderebbe senza senso il mondo stesso, lo depriverebbe della sua bellezza, della sua inconstanza, della sua stupenda casualita'. Nulla va' ricordato per sempre.
Come in Anatole France per fare un esempio che nella chiusa del bellissimo racconto Il procuratore della Giudea, fa rispondere a Ponzio Pilato - guarda caso un Romano par excellence ! - interpellato anni dopo su quel Figlio di Dio: " Gesu'? non ricordo...nessun Gesu'"
Certo! Ponzio Pilato amava il divenire!
parapalla
00lunedì 14 luglio 2008 22:49
questa camera con vista è davvro interessante, mi piace come scrive mujer
mujer
00mercoledì 12 novembre 2008 11:37
Leggo contando le metafore che è come parlare senza mai guardare negli occhi. Uno fissa l’altro solo se lo sguardo è limpido ed è sempre più difficile trovare pupille svelate. I tuoi occhi blu erano lontani e la metafora era il faro che squarciava la notte.

Eravamo lontani?
Sì, ma non più di adesso


Quando ti sogno sei sempre vicino. Ti attacchi e mi respiri in faccia per farmi sentire il tuo alito di vita. Anche i sogni sono metafore ma il simbolo non è reale, è inventato. Se inventi troppo resti deluso e non sogni più, ti dici che non serve a nulla e tiri fuori i piedi che dovrebbero essere piantati a terra. Ma tu non sai usare il badile.

Eri riuscita a star zitta per un po’.
Anzi.
Non scrivevi più?
Sognavo.


Lei mi sta raccontando una storia d’amore che io conoscevo già. La sapevo ma non ricordavo l’inizio e la fine, che è come non voler rivivere la nascita e la morte. Il fatto è che lei non sa riconoscere il suo amato e mi chiede di raccontarglielo, e io – che ricordo quasi tutto ora – non so farlo. Qui la metafora è scomparsa, urge la realtà.

Sei troppo emozionata.
Anche tu però.
No, io sono arrabbiata.


Hai sempre da ridire su tutto. Lo fai e te ne penti subito, lo vedo dalla tua faccia impaurita. Non è vero che non ti manco, è vero che non ti basto. Sei tu che della solitudine fai un baluardo malandato, rattoppi i buchi per non lasciare passare gli spifferi. Eccotene uno carico d’amore.

Sei la solita scema.
Claro que sì.
Comunque non è come dici tu.
Anche se lo fosse cosa cambierebbe?
Ti ripudierei.
No, non ce la faresti.
Perché?
La tua solitudine resterebbe sola.


Se sto scrivendo è perché sto ancorando alcune assenze. Un luogo può crearne molte di più, ci hai pensato? Non c’è assenza senza spazio, e non mancano gli uomini e le donne ma ciò che lasciano di sé durante il passaggio. Io vedo la scia della tua coda a strisce e raccolgo le tue piume. Mi manchi se non trovo indizi per seguirti.

Il tuo pavone si è perso.
Tornerà.
Sa la strada?
No, non la sa.


La realtà si riempie di immagini sovraesposte. L’eccessiva luce ci fa socchiudere gli occhi e sembriamo due sfingi che si danno le spalle. Tu guardi a nord e io a sud: ognuno lancia il suo oracolo.

Lunghe distese, sverneremo.
Montagne assolate, rincaseremo.


Ho troppo lavoro, non posso ascoltarti. Se vuoi ci vediamo l’anno prossimo, d’estate, e mi racconti come va la vita. Tanto, se hai bisogno di parlare, c’è sempre qualcuno disposto ad ascoltare, così come fa il vento quando grida il suo passaggio.
Ecco la metafora.
mujer
00mercoledì 17 dicembre 2008 23:46
POLITICHESE
resoconto del 17/12/2008


“con una mano
avanti
e
l’altra
in basso
preferisco
così”

è scoppiato il finimondo tra gli speculatori del palazzo
(la procura serba segreti che imboccherà col cucchiaino)
e la stampa elude
allude che
presumibilmente
non durerà per molto
lo si sapeva
si è sospesa l’attività sociale
la città è commossa
la giustizia trionfa
fino al prossimo rilascio
e al viaggio premio dei seguaci
dieci persone indagate,
ma quale ingiustizia?
bevi al calice rosso orientale ora
che a noi non la dài a bere

(ora usciranno le registrazioni
a bizzeffe le troveranno
e ci piomberanno addosso
cifre
nomi
banche svizzere
e case di pietra bianca
degne della nave di cascella)

Nell’altro palazzo il nuovo eletto
fingerà dedizione
indignazione
erudizione
e, se ci va bene,
valutazione della clientela
il voto si paga

Dall’alto reclamano la legge
e dal basso l’accordo è arrivato
degni figli della democrazia barattata
e donata al miglior offerente

Chi è comunista alzi la mano
(la maggior parte degli astenuti
mostra i calli con orgoglio)

Sopra gridano allo scandalo
e al tradimento
In basso c’è fermento
e profumo di sandalo

La signora con il cane
dice che al posto della scarpa ci stava bene
una pallottola
“mi faccio tutta la vita in carcere ma quello muore”
(saggezza popolare)

Sopra sputano, gridano, insultano
i presunti profeti raccolgono tra le macerie
dicerie
consegnano alla storia
diserzione
finte partecipazioni
condoglianze miste ad accuse
tristezze inaudite
(prima erano gioie mal riposte,
ricordi di chi ha buona memoria)

Sotto resistono, lottano, urlano
gli ultimi burlati e derubati
defraudati
riportano alla storia
l’orgoglio
potere al popolo
resistenze cariche di forza
azioni condivise
(vi diranno qualunquisti,
sarà la parola d’ordine per la futura battaglia)


Le parole non mentono
nero su bianco
che non è il riscatto del mio amico
anzi, bianco era il lenzuolo
disteso sul suo corpo
l’altro giorno che cercava lavoro
e si è trovato sul cargo in partenza
per la fine dei suoi giorni.
Lo aveva detto un giorno
“se ritorno a casa mi uccidono”
ma non hanno fatto in tempo

I suoi padroni si dicono provati
rinnoviamogli il contratto
e diamogli un tetto
un’auto e un buono pasto

Assassini di un sogno
caduto in disuso

Vediamo se la giustizia processa
gli sfruttatori di pene
ma si sa
non si condanna
chi commette reati contro gli oppressi

Sentirò domani i compari del recluso
diranno che è colpevole
toccandosi le cravatte blu a strisce rosse
mentre cercano il nuovo candidato
che garantisca il posto
la pratica
nuove cravatte
e l’elemosina per un sollievo
“siamo tutti una famiglia”
io invece sono singola
e odio le cravatte

Condanneranno i vecchi amici
e accarezzeranno i loro cani
fino alla prossima tornata

Alzi la mano con calli
chi si impegna a identificare
quelle sporche facce.
sergio.T
00giovedì 18 dicembre 2008 09:52
La si deve mettere in poesia o in strofa questa nuova avventura abruzzese.
Un resoconto delle tante malfatte italiane: abitudini truffaldine dure a morire o forse immuni ad ogni punizione.
L'alto e il basso: il potere e il popolo; la giustizia e l'ingiustizia.
Per le prime due dicotomie si puo' ancora parlare di coerenza e di conflitto: la prima nega l'altra o viceversa.
Per la terza , invece, e' quasi ridicolo parlarne ancora.
Giustizia e ingiustizia? dov'e' la differenza? qualcuno la vede ancora?
La verita' sta' altrove: la verita' vuole che non si ha piu' il coraggio di "fare" giustizia. In questi tempi di chiacchere , in questi tempi di discorsi - in quest'epoca, insomma, all'insegna del gran parlare - ogni "fare" e' bandito, e' negato, e' visto con sospetto.
Figuriamoci il " fare" giustizia, questo fare cosi' difficile, cosi' orgoglioso, cosi' impegnativo.
La' dove la vigliaccheria ha negato ogni intrapresa forte e perche' no? dura, si e' riposto la tolleranza, il reciproco patteggiamento.
Finira' cosi' anche in Abruzzo: bolle di sapone momentanee.

Poi se la prendono , ovvero, " fanno" contro i deboli, contro coloro che non hanno cravatte.
Segno dei tempi, segno di questa infinito rammollimento.
sergio.T
00giovedì 18 dicembre 2008 10:10
Nascosti tutti insieme appassionatamente
(vi diranno qualunquisti,
sarà la parola d’ordine per la futura battaglia)

Si, ecco, proprio cosi'. Questo verso riassume benissimo il nocciolo del discorso.
Vi diranno qualunquisti perche' questo permette loro di nascondersi, di svicolare, di generalizzare, di fare nebbia, confusione, poca chiarezza. E loro, nella poca chiarezza ci vivono, ci mettono le radici, germogliano uno dietro l'altro.
Ma il qualunquismo e' quella malattia al contrario: e' qualunquista proprio colui che ha voluto questo stato di cose. Questa idea liberal progressista del garantismo ad ogni costo; della tutela dei diritti di ciascuno; questa privacy sopra ogni cosa; questa mania dell'innocenza immutabile; questa cultura del recupero, del patteggiamento, dello sconto, della repulsione verso tutte le pene anche le piu' modeste. Questo nuovo altare moderno dell'impunibilita' assoluta.
Un nuovo vangelo, questo, propugnato e avallato proprio da quelli poi finiti oppressi, da sempre oppressi: come un boomerang si e' rivoltato contro il popolo, quel popolo liberal progressista di idee illuministe - idee di estrema sinistra diciamolo pure - che gridavano a piena voce la parita' dei diritti per tutti, idee socialiste, umanitarie, di un mondo nuovo, un mondo ideale.
E' questo il " vero" qualunquismo: avere perso di vista le distinzioni in tutte le azioni sociali, politiche, individuali; non avere piu' distinto il ben fare dal mal fare; avere voluto - ciechi ad ogni evidenza - fare di tutto una massa informe, un gruppone, un insieme quale mai si era visto prima.
Questa e' un'idea quasi "terroristica": qui si idealizza un " tutti insieme ugualmente" che ha tutta l'aria di assomogliare ad un condono generale, ad un ognuno fa quello che vuole e dice quello che vuole.
Si e' persa la nobilta' del cecchino, quella nobilta' di " mirare" a chi doveva essere mirato, preso, portato via, e infine chiamato a rispondere del suo fare individuale.
Oggi, no. Oggi l'ideale dell'insieme sociale nasconde ogni malefatta, ogni responsabilita', anzi, la giustifica , la legittima, la rende cosa normale.
Proprio da veri qualunquisti tutti insieme appassionatamente in gruppo, nascosti nel gruppo.

sergio.T
00giovedì 8 gennaio 2009 15:40
Degenerati
L'ultima che ho sentito alla radio: i medici del nord/est si rifiutano di curare i clandestini che stanno male.
Bene, di meglio in meglio , in quel vorticoso fenomeno degenerativo italiano. Una degenerazione senza fine, vedo.
mujer
00mercoledì 4 febbraio 2009 00:49
Sto aspettando il ripudio mentre guardo Chiloé, l’isola lontana. Ricordo le barche colorate e i pescatori che ballavano il tango. Cercavo il poeta canticchiando e nessuno badava a me; camminavo assorta sulla spiaggia.

Sei ripartita.

C’è sempre qualcuno fuori che bussa e aspetta. Se chiedo chi è non risponde, se sto zitta continua a bussare. I colpi sono come il suono delle tue dita mentre leggi, ritmo irregolare e sordo che continua anche quando ti fermi.

Leggi?
Sì.


Mi racconta a occhi chiusi che è deluso, è arrabbiato, è stanco. E’ anche intelligente al punto di riuscire a vedere bene la scena anche se ha gli occhi chiusi: un uomo, una donna e una coppa di champagne. Ne parla e non è sorpreso di vedere così chiaro.

Sei un uomo libero.
Mi lasci?
No, ti bacio gli occhi.


Lei sgambetta e ascolta musica che io non sento. Canta a squarciagola e fa arrabbiare il vicino che batte sul tetto con la scopa. Le faccio cenno di stare zitta e sgambetta più in alto aggiustandosi le cuffie. Il cugino le punta la matita in faccia e minaccia di ucciderla, lei impugna il microfono e lo trafigge.

Mi saluti la nonna?
Certo, e tu salutami la musica.
Allora ti saluto la zia.


Non c’è più tempo per i racconti. Ci sono cose più importanti come i soldi, le revisioni, le scadenze, i rinnovi, gli sgravi, le maggiorazioni, le rettifiche e i contraddittori. Non c’è più tempo per la terra, la semina, i raccolti e gli incontri. Dei contraddittori siamo esperti, parliamo, parliamo, parliamo. Degli incontri non sappiamo granché.

Ti ho mai raccontato di Juan José?
No, chi è?
Il mio primo ragazzo.
Scusa, ho da fare.


Io chiedo un nuovo incontro e cinquanta persone gridano no all’unisono. Il professore diventa rosso e dice che gli ricordo i compagni degli anni settanta. Quando dico partecipazione la ragazza che è accanto a me mi dice all’orecchio che parlo troppo. La guardo e le poggio il braccio sulla spalla.

Avevo 10 anni.
E amavi già le assemblee?
No, passavo le giornate da sola.
A fare?
A imitare i comizi del nonno.


Ho passato due giorni a scrivere di sogni umanitari e scopi statutari. I soci si sentiranno tutelati da uno che si vanta di essere liberale ma antidemocratico. Saremo tutti amministratori dell’azione pedagogica integrata attivata partecipata soggiogata surrogata malpagata supportata sperimentata, ‘na cagata.

Sono riuscita a rinunciare
Brava
E’ stato facile però
Brava comunque


A fine anno farò un nuovo viaggio. Andrò a Chiloé per poetare un tango, mentre i pescatori canticchieranno le sorti del mio ripudio.
mujer
00martedì 5 maggio 2009 16:06
Tremava come se fosse nudo al centro di un iceberg. Il suo corpo in punta, il resto nascosto. Le gambe rigide, le braccia immobili e i denti traballanti; unico suono le crepe sul muro.

E’ venuto il terremoto.
Ho avuto paura.
Anch’io.


Siamo seduti in cerchio e aspetto il mio turno per parlare. Prima di me una ragazza con le trecce e dopo di me un anarchico incazzato. Sento più il contatto dei miei piedi sulla terra fredda che quello del mio corpo sulla sedia. Mi alzo per cercare il sole.

Dal dolore alla rabbia, dalla rabbia alla lotta.

Le dipartite stanno diventando consuetudine. “Strumenti di diritto” direbbe il mio vecchio professore. Mi daranno – prima o poi – il diritto di chiedergli “quando resterai?” e l’uso – altro strumento – del diniego per ripristinare la norma.

Il tuo spirito critico si sta trasformando in spirito tecnico.
E’ la crisi.
Economica?
Emotiva.


Il colore predominante della mia terra ora è il blu. Tende allineate con tiranti su cui è facile inciampare. L’altro giorno un bambino con triciclo incorporato li ha schivati come fossero gimcana al sole. Nessun premio, solo un palloncino a forma di spada.

Favorisca i documenti.
Prego.
Cosa viene a fare qui?
A respirare aria sporca.


Non si traslocano soltanto i cooperativismi ma anche i singolarismi. Un tavolo equivale ad un mattone, un sistema ad un’idea, un proclama ad un’azione. Qui una volta c’era un popolo, oggi c’è uno sparuto gruppo di donne sole. Vanno al fiume a lavarsi.

E questo lo teniamo?
Cos’è?
Un rotolo di cielo.
No, non ci serve.


Verrà, prima o poi, il momento di unirci. Sarà un incontro naturale, senza scelta, necessario. Accadrà in una giornata d’inverno, di quelle freddissime e buie. Sarà come arrendersi all’inevitabile.

Parto.
Di nuovo?
Non io.
Allora chi?
Parto, nuovo, nascita.


La terra trema.
Il cuore trama.
sergio.T
00mercoledì 6 maggio 2009 10:41
Quel bambino faceva l'unica cosa possibile per un bambino: giocare. E forse era uno dei pochi, forse l'unico a non incazzarsi.
Il bambino e' meglio di quell'anarchico.
mujer
00martedì 9 giugno 2009 09:46
Nessuna foto di me nella sua casa. Immagini che lo circondano e che l'hanno circondato. Io non ci sono in nessuna delle foto della sua casa.

Si sposa mio nipote.
Di già?
Hanno pure una bambina.
Bello.


Ci sono figli che appartengono a una sola metà del cielo. Crescono imparando la solitudine di genere. Nessuno osa chiedere della parte mancante. Si fingono maternità estese.

Sei un'egoista.
Io le ho dato la vita.
.........
Cosa può esserci di più bello?


Ci sono posti in cui siamo ospiti inattesi. Si sa di turbare l'andamento e la quiete che si muove in quei rituali di volti e persone che non siamo noi. Eppure c'è qualcosa di familiare in questo regno dell'intimo in cui siamo figuranti.

Dammi la mano.
Dov'è la mia foto?
L'ho tolta perchè prendeva polvere.
Dammi l'altra mano.


Nel centro Azvub rendono felici le donne. Raphaella voleva portare in grembo l'amore di entrambe ma è toccato a Maria. Sarà il destino di un nome. Se la bambina dovesse morire, resterà orfana.

Io sono qui dentro.
Quando uscirai vedrai due sorrisi.


Chi non beve ha un segreto da custodire. Gli astemi ingannano l'attesa fumando o, se non fumano, osservando. Guardano l'ansia del beone e la frenesia del segreto che sta per tradirsi.

Un litro di latte e due buste di vanillina.
Quanto liquore ne esce?
Una vagonata di segreti


I ritorni lasciano facce sorridenti di parenti, amici, ex fidanzate. Qualcuno troverà ristoro, un altro la vita difficile pronta a tallonarlo. Io trovo la bolletta della luce.

Vieni al mare con me?
Non ancora.
E in montagna?
Sì, se mi porti tu.


Tra le tende si sentono proteste. Oggi si decidono le azioni, gli anziani sono maestri e gli adulti stupidi demagoghi. Ascolteremo migliaia di parole e poi la scelta: a casa senza cena.

Hai fame?
Non ancora.
Dimmi tu quando vuoi mangiare.


Se resto immobile, qui distesa nel suo letto, mi troveranno ricoperta di polvere.
mujer
00domenica 21 giugno 2009 11:35
Annotare le cose da fare è un modo per lasciarle scritte e non farle. Ce ne sono tante, alcune utili, come lavare le tende in un giorno di luna piena. Quella inutile è uno scarabocchio sulla parola lavoro.

Hai mandato il curriculum?

E cosa ne pensi?
Farà fede il timbro postale


Viaggio sempre in compagnia dell’aulin, ultimamente. Lo prendo due volte l’anno ma l’aulin, ultimamente, negli ultimi mesi, mi fa scrivere cose così burocratiche che l’avvocato in persona mi avrebbe assunto come portavoce della borsa che ho accanto.

Ci hanno cancellato
E ora?
Dovremmo fare ricorso
Al Tar?
No, ricorso alla Storia, ma non abbiamo soldi


Qui sul treno il cielo è tutto rosso chiaro, sporco azzurro, di quei cieli che dalle mie parti direbbero “está enfermo”. Io per me sono inquieta, ti tengo chiuso nei miei pensieri. Ora sei i tuoi brevi messaggi nel quadrante di un cellulare.

Cosa leggi?
Agonia della notte
Io, Chiedi alla polvere
L’ho letto
Arturo e Camilla
Già…


Ho una certa nostalgia. Io per me pensavo, per volontà e per forza, di essere diversa da certe altre, e quando lui me ne parlava, e le incontravo, mi credevo talvolta superiore. Talvolta guardandole pensavo invece di voler essere loro, e che mai sarei stata. Talvolta ancora, le vedevo semplicemente diverse, e non mi infastidivano, e volevo io non infastidire loro, come due rette parallele che non si incontrano.

Stiamo vivendo una vita parallela
In che senso?
Alcune cose le stiamo cambiando
Sì, ma la retta è infinita



Anche tu sei una retta parallela, e oggi io vado a coincidere con quel gruppo femminino, e me ne faccio capo. Io per me funziono a brevi tratti, a segmenti, a pezzi. Il tuo tratto, che mi conservo, è quando sistemi gli occhiali sul comodino accanto ai libri. Di te mi porto questo gesto, la concentrazione delle tempie, l’immobilità di quelle intenzioni e un mancato bacio. Tutto questo te lo scrivo in treno, in piena emergenza di puzza stagnante, di piscio, di lattine accartocciate.

A presto amore
Mi mancherai
Anche tu


Di fronte a me due poliziotti hanno chiesto i documenti a Naim. Sono fermi ad aspettare la telefonata della centrale, e Naim guarda fuori dal finestrino. Anch’io guardo fuori, e mi dico “fa che Naim sia regolare, fa che Naim sia regolare”. Poi i poliziotti se ne sono andati, e io mi sono vergognata della mia preghiera pregiudiziale, e mi sono vergognata di tutta quella nostalgia di te, e allora ti ho lasciato andare.

Vado alla manifestazione
Stai qui, fa troppo caldo
Vieni anche tu
No, io non credo in queste cose


Il cielo è tornato ad essere azzurro nel punto in cui si fonde con il mare. Naim è sceso nella stazione sul porto, come se questo treno fosse un barcone con migliaia di clandestini che si nascondono. Qualcuno ha dimenticato un foulard rosso. Una bella ragazza con pancia scoperta e cuffie bianche lo prende e se lo arrotola al collo. Gli uomini guardano tutto fuorché il foulard. Si sa che i clandestini sono sporchi stupratori.


Io vado via di qui
Dimmi dove che ti seguo
A Bordeaux
Dev’essere bella
Non lo so, non ci sono mai stata
Cosa vai a fare?
A crescere



Voglio essere come la bambola gigante di High Park, guardare tutti dall’alto in basso e aspettare la fine del mondo seduta su una sdraio.
sergio.T
00lunedì 22 giugno 2009 09:02
c'e' gia' una vita parallela. Il fatto stesso che non si condivida il pensiero unico dominante, o meglio ancora, si mantenga la forza per una piccola critica qui' e la' e per una mancata adesione a tutto quello che ci propinano- questo - e' gia' vita parallela.
mujer
00lunedì 22 giugno 2009 09:20
sì, ma è una retta e, come tutte le rette, è infinita
sergio.T
00lunedì 22 giugno 2009 09:42
Tutte le cose dritte mentono. Ogni verita' e' ricurva
"Guarda questa porta carraia! Nano! continuai: essa ha due volti. Due sentieri convengono qui: nessuno li ha mai percorsi fino alla fine.
Questa lunga via fino alla porta e all'indietro: dura un'eternità. E quella lunga via fuori della porta e avanti è un'altra eternità.
Si contraddicono a vicenda, questi sentieri; sbattono la testa l'un contro l'altro: e qui, a questa porta carraia, essi convengono. In alto sta scritto il nome della porta: "attimo".
Ma, chi ne percorresse uno dei due sempre più avanti e sempre più lontano: credi tu, nano, che questi sentieri si contraddicano in eterno?".
"Tutte le cose diritte mentono, borbottò sprezzante il nano. Ogni verità è ricurva, il tempo stesso è un circolo".
[...] Ognuna delle cose che possono camminare, non dovrà forse avere già percorso una volta questa via? Non dovrà ognuna delle cose che possono accadere, già essere accaduta, fatta, trascorsa una volta?
E se tutto è già esistito: che pensi, o nano, di questo attimo? Non deve anche questa porta carraia esserci già stata? E tutte le cose non sono forse annodate saldamente l'una all'altra, in modo tale che questo attìmo trae dietro di sé tutte le cose avvenire? Dunque anche se stesso?
[...] E questo ragno che indugia strisciando al chiaro di luna, e persino questo chiaro di luna e io e tu bisbiglianti a questa porta, di cose eterne bisbiglianti non dobbiamo tutti esserci stati un'altra volta? e ritornare a camminare in quell'altra via al di fuori, davanti a noi, in questa lunga orrida via non dobbiamo ritornare in eterno?".
Così parlavo, sempre più flebile: perché avevo paura dei miei stessi pensieri e dei miei pensieri reconditi. E improvvisamente, ecco, udii un cane ululare.
Non avevo già udito una volta un cane ululare così? Il mio pensiero corse all'indietro. Sì! Quand'ero bambino, in infanzia remota: allora udii un cane ululare così. [...]
D'un tratto mi trovai in mezzo a orridi macigni, solo, desolato, al più desolato dei chiari di luna.
Ma qui giaceva un uomo! E proprio qui! il cane, che saltava, col pelo irto, guaiolante, adesso mi vide accorrere e allora ululò di nuovo, urlò: avevo mai sentito prima un cane urlare aiuto a quel modo?
E, davvero, ciò che vidi, non l'avevo mai visto. Vidi un giovane pastore rotolarsi, soffocato, convulso, stravolto in viso, cui un greve serpente nero penzolava dalla bocca.
Avevo mai visto tanto schifo e livido raccapriccio dipinto su di un volto? Forse, mentre dormiva, il serpente gli era strisciato dentro le fauci e lì si era abbarbicato mordendo.
La mia mano tirò con forza il serpente, tirava e tirava invano! Non riusciva a strappare il serpente dalle fauci. Allora un grido mi sfuggì dalla bocca: "Mordi! Mordi! Staccagli il capo! Mordi!", così gridò da dentro di me: il mio orrore, il mio odio, il mio schifo, la mia pietà, tutto quanto in me buono o cattivo gridava da dentro di me, fuso in un sol grido. [...]
Voi che amate gli enigmi!
Sciogliete dunque l'enigma che io allora contemplai, interpretatemi la visione del più solitario tra gli uomini!
Giacché era una visione e una previsione: che cosa vidi allora per similitudine? E chi è colui che un giorno non potrà non venire? Chi è il pastore, cui il serpente strisciò in tal modo entro le fauci? Chi è l'uomo, cui le più grevi e le più nere fra le cose strisceranno nelle fauci?[6]
Il pastore, poi, morse così come gli consigliava il mio grido: e morse bene! Lontano da sé sputò la testa del serpente; e balzò in piedi.
Non più pastore, non più uomo, un trasformato, un circonfuso di luce, che rideva! Mai prima al mondo aveva riso un uomo, come lui rise!
Oh, fratelli, udii un riso che non era di uomo, e ora mi consuma una sete, un desiderio nostalgico, che mai si placa.


La nostalgia di questo riso mi consuma: come sopporto di vivere ancora! Come sopporterei di morire ora! »

Nietzsche.
mujer
00lunedì 22 giugno 2009 09:48
questo è un brano splendido...
sergio.T
00lunedì 22 giugno 2009 09:57
si, certo, tutte le cose dritte mentono. E' l'errore psicologico di ognuno di noi. Pensiamo che la verita' sia fissa e dritta; sia la' in fondo ad aspettarci, nel prima o nel dopo, in avanti o indietro.
Ma la verita' e' ricurva: e' un andare e tornare. La verita' non si contraddice perche' non esiste come scopo, come compito. La verita' e' ricurva su quello che viviamo come se fosse sempre la prima volta, ma che da sempre e' gia' stata vissuta da noi stessi e che sempre vivremo.
La retta infinita in verita' e' un circolo.
mujer
00venerdì 3 luglio 2009 01:34
Dovrebbe essere una notte insonne per molti questa.
Sicuramente lo sarà per coloro che guardano a questo due di luglio come a una giornata nefasta. Ricorderò spesso questa notte insonne, ricorderò soprattutto il dicotomico senso di certezza ignota.

Avemus securitate.

Dormono tranquilli quegli italiani che confidano nelle ronde e nella mano dura di un governo costituito da irresponsabili. Dormono tranquille le signore al primo piano che soffrono la calura a finestre serrate. Dormono tranquilli i commercianti, gli ambulanti, i mercanti di questa nostra italia agiata.
Dormono tranquilli i nazionalisti e i patriottici dell’ultima ora.

Non dormiranno per molto le migliaia di persone che si recano quotidianamente a lavorare nei luoghi di schiavitù, dove l’ottenimento di un permesso è un miraggio e la richiesta del riconoscimento di un diritto causa di licenziamento.
Non dormiranno coloro che saranno considerati pericolosi estranei da bande di criminali in pettorina gialla.
Non dormiranno sicuramente i profughi, le puttane, i barboni, i meninhos, le coppiette, i notturni, i taciturni, i pacifisti, gli autonomi, gli artisti e i saltimbanchi, i gatti, le badanti, i dottori, alcune maestre, molti bambini e bambine, e anche Azad.

Chi dorme sonni tranquilli, stanotte, è un consapevole complice.
sergio.T
00lunedì 6 luglio 2009 09:19
Si, sono d'accordo con te.
Ho letto poco i giornali riguardo questo decreto sicurezza ma l'idea che me ne sono fatto e' di una soluzione senza capo ne' coda.
La solita soluzione radicale che invece di risolvere, peggiora una situazione un po' reale un po' immaginaria.
L'aspetto piu' sconsolante rimane l'assoluta ovvieta' di questo problema: da una parte la gente comune che convinta di essere in un certo " pericolo" appoggia e si dice felice di questi interventi governativi; dall'altra parte, invece, una cecita' assoluta nell'individuare i veri aspetti del fenomeno " immigrazione".
La gente comune: per un certo verso credo fermamente che l'italiano medio si rispecchi in questo tipo di spettatore e a dirla tutta non so se fargliene una colpa o un demerito: probabilmente e' sbagliato pretendere o aspettarsi che un italiano ( tutti) si renda per forza di cose partecipe di questo problema.
Valido rimane l'assioma che un individuo non puo' certamente caricarsi le spalle tutti i santi giorni di problemi " universali": non ne ha il dovere e per lo piu' ha il diritto di vivere i suoi problemi ( quelli meno universali e piu' personali)
Dall'altra parte, pero', sono in aumento vertiginoso quegli italiani che interessandone prendono la posizione piu' sbagliata: l'immigrato e' un nemico e i nemici vanno sbattuti fuori da casa con le buone o con le cattive.
Dunque: sembra paradossale ma succede che chi se ne disinteressa e' piu' responsabile e misurato di chi se ne preoccupa.
Questo dovrebbe fare riflettere su una cosa: l'italiano misurato o almeno non ossessivo nella sua " presunta " intolleranza , una volta sceso in campo oggi, non dovrebbe guardarsi dal clandestino ( o se lo fa dovrebbe guardarsi solo da alcuni) ma deve guardarsi ben bene da coloro che invece si dicono " attivissimi" : le ronde e tutte quelle istituzioni governative, regionali, provinciali, comunali che si schierano a favore di una certa politica.
E deve guardarsi dai vicini di casa; dai comitati "contro"; da tutta una mentalita' provinciale e chiusa che si esterna in tutta la sua profondita' proprio in casi simili.
Lo dico subito: e' un problema in italia irrisolvibile.
Qui' non e' una badante il vero problema: il vero problema ( grave) e' la direzione che prende l'interessamento degli italiani.
Se si schierano, infatti, si schierano contro.



sergio.T
00lunedì 6 luglio 2009 09:28
Io non credo che una badante clandestina e non in regola rappresenti un problema di sicurezza. Non lo credo perche' crederlo e' assurdo.
Dall'altra parte non credo che il problema immigrazione non sia un problema: ha aspetti difficili da gestire, questo e' oggettivamente innegabile.
Il discorso e' talmente sfaccettato in una miriade di casi particolari che diventa impossibile non finire nelle classiche generalizzazioni- tutte in un certo senso molto valide- ma che non possono distinguere casi da casi diversi.
Se incominciassimo non la finiremmo piu'.
Bisogna riflettere sulla reazione a questo fenomeno della gente comune.
mujer
00giovedì 17 settembre 2009 01:06
È come il mattino di un film, la finestra spalancata, e lontano il rumore di un telegiornale.
Silenzio nei ricordi, silenzio al tramonto, silenzio nelle tue giunture.

Che fatica balorda.
Otto ore guardando quello stralcio di muro.


Volevo chiederti se adesso che sei agli antipodi del paese c’è luce, ma al solito non ti ho chiamato e sono uscita a numerare le stelle, le poche intraviste attraverso la pioggia di settembre.

Uomo mio, uomo composto di ore, mio uomo di vene profonde, mio uomo ricolmo d’amore.

La notte, a questo punto, si presenta tersa, serena. Inganno la fame col pensiero che poi mangerò, continuo a promettermi di incrociare le braccia perché mi dipinga sana e snella. E’ il fardello che la vita occidentale ti fa covare in seno: la fatica, la tensione, il perfettibile.

Non male, ma devi cambiare.
Discorso?


A vent’anni mi dicevo che si ama poco, presi dal tran tran delle esperienze. Ci fermiamo a guardare molto dopo quando abbiamo inciampato. Non è una bella idea quella di concederci affetti frettolosi, poi viene l'autunno e il binomio carne-sacro lascia poche prospettive, poco scampo.

E’ morto un altro uomo?
No, è la pioggia.


Tutto il giorno aspettando che la notte arrivasse. Alla sera ipotizzavo: se fossimo stati liberi - senza questo andirivieni - avremmo potuto vedere il segno della fine, né cavallette, né sangue sulle porte, neanche la quiete dopo il sovraffollamento che qui non ci toccava.

Cercasi vacanzieri last minute per consapevolezza singles

Sono poco descrittiva. Forse. E’ una scarnezza di comodo, un poetare poco adatto al mio gergo meticcio. Peccato, questo sì, non conoscere i nomi, non poter nominare le cose.

Hai perso troppo tempo.
Ti confondi, non è proprio passato di qua.
Sei sorda, non hai sentito i rintocchi.


Sono le ore lunghe queste – ne ho un tot alla settimana – in cui finalmente sta zitto il chiacchiericcio esistenziale. Dove non si trovano i miei più alti ideali, dove la ricchezza prende forma, è quel che è, pane, gateau, melanzane (lontane le idee, le grida, l’amore). In queste ore si allunga il sonno, la veglia, la pigrizia, i desideri come i sogni vanno, intermittenti, senza tracce di dolore.

Non si era detto di ritrovarci in un punto?
Non sei scaltra.
E tu lo chiami affetto?
No, al massimo fuoco (fuochetto?) di paglia.


Avevo una poesia per definire il poco in cui consiste l’esistenza; l’ho riassunta in scarpe strette, acqua calda, una crema per gli occhi e le mani, piedi nudi, emozioni. Alla fine si è ridotta – unica valida soluzione – in una grammatica astratta, parecchio imbecille, poco divulgata. Per il resto troppo spirito, ideale elevato e in uno scontento l’ho buttata.

Stai correndo, neanche il tempo di ...
Tu sai, tu sai.
Calma, calma.
Pazienza.


C’era una volta un re con una gatta, una princesa, un drago e una bella spossata e non dormiente; il risultato di una semantica violenta e divertita con cui ribaltare le fiabe per farle aderenti al presente.
Le ballate, al contrario, sono il presente travestito da fabula.
sergio.T
00giovedì 8 ottobre 2009 09:14
Bellissimo articolo sul Corriere di oggi: Guadagnare di meno per vivere di piu'.

La riacquisizione del proprio tempo.
mujer
00giovedì 8 ottobre 2009 09:19
Bello che tu lo abbia messo qui in Camera con vista [SM=g10529]

lo leggerò
sergio.T
00giovedì 8 ottobre 2009 09:28
leggilo per che' ne vale davvero la pena-
Articolo interessantissimo.
mujer
00mercoledì 2 dicembre 2009 13:46
Il mio compagno legge libri in cui lo scrittore spiega le cose nei minimi dettagli. Anche lui mette gli occhi nelle crepe e perlustra. Sembra che voglia vedere l’invisibile ma riesce solo a distrarsi fissando l’irrealtà.

Io quale sono?
Quello senza braccia.


E’ difficile dare voce a qualcuno quando continua ad essere in grado di urlare. Di solito, si dà voce a chi non l’ha. Darla ad una madre che grida in piazza ti fa diventare rauca, delle volte anche muta. Il tuo timbro è basso e da qui non ti si sente molto bene.

Non senti che vai di gola?
Sì.
Àlzati.


Certe assemblee sono inutili in partenza. C’era uno che cercava il punto di caduta e rotolava verso il suo vuoto autogestito. Non notava che, al suo fianco, la donna compagna soffriva di un attacco feroce di esclusività. Nei suoi occhi ho letto il futuro di una perdita. L’uomo, cieco, ha continuato a demolire il suo amore.

Vi aggiorno sulle adesioni.
Nessuno ha letto l’art. 114 del Testo Unico degli Enti Locali?
Va bene, parla soltanto tu!


Mi è venuta voglia di couscous con peperoni e ceci in salsa curry. Pensavo di mangiarlo seduta sul divano con il telecomando sulle ginocchia e la bottiglietta di succo ace posata a terra. In un momento di eccentricità ho avuto un’idea malsana.

Ragazze, venite a cena da me?
Sì! Quando? Cosa portiamo? Dove abiti? Chi viene?
Abito in culo al mondo.


Lui dice di essersi accorto di avere delle idee strane riguardo all’amore. Gli sembra che sia un modo per concentrarsi, una cosa su cui stare attenti, da non lasciarsi scappare, da tenere d’occhio. Soprattutto se l’oggetto ha un bel culo e due tette enormi. Quando dice questo, però, diventa rosso e continua spiegando che l’amore è una risorsa limitata e non rinnovabile e che anche il numero delle persone è limitato, per forza.

Mettiamoci a letto.
Però non voglio dormire.
Dài, ti racconto una barzelletta.
No!


La bellezza, in effetti, è un’altra cosa. Io la metto tra l’eleganza e la pulizia intellettuale e, ogni tanto, accanto a una forma inspiegabile di spirito divino. Niente di trascendentale, piuttosto un’evanescenza ben ancorata al terreno. Molto al di là di quello che dicono certi poetastri da strapazzo.

Lui com’è?
E’ bello dentro.
Allora prendilo dalle labbra e rigiralo!


Le sue labbra sono la cosa più calda di questo inverno. E’ un vero peccato doverle baciare a rate.
sergio.T
00mercoledì 2 dicembre 2009 16:22
Ma scusa, le barzellette. Nei tuoi soliti scritti enigmatici, ermetici, bellissimi, mai era venuto fuori il discorso barzellette.
Sono forse quelle che racconti tu? no, sai, se lo sono, bisogna rivedere il concetto stesso di barzelletta.
Si e' fatta confusione a proposito: in origine la barzelletta, dalla notte dei tempi, era una chiacchera satirica e divertente su un tema. Sociale, politico, erotico, sessuale, ecc.ecc. La parodia e l'assurdo su questi temi facevano e fanno ridere. Infine, sempre in origine, le barzellette andavano raccontate in un certo modo. Non so quale, ma uno di certo c'era. Uno che risultava foneticamente e mimicamente divertente, leggero, strabiliante. Insomma le barzellette si recitavano, in un certo senso.
Ora? da come le racconti tu tutto il discorso suddetto e' andato a ramengo: a meta' barzelletta uno si dice: ma non finisce piu'? cavolo e' terrificante ascoltare sta' roba. Mi sembra di ascoltare Radio Maria.
Dirai: sei tu che non sai piu' ascoltarle. Rispondero' io: mah! sara', ma a me sembra proprio Radio Maria. [SM=g8455]
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