Ho trovato questa lettera in una vecchia rivista degli anni '50, "Adesso", e mi è sembrata molto interessante.
La leggiamo e la commentiamo poi, io due o tre cosette ho da dirle...
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Milano 1 gennaio 1950
Lasciate la parola anche ai ricchi, non per accusare o difendersi, ma per sfogarsi.
Sono un uomo che chiamano fortunato. Ho un'impresa che, riassestatasi dai colpi della guerra, cammina e mi fa guadagnare bene.
Il lavoro ogni giorno si allarga e sono preso nella morsa degli affari. Gli altri non vedono che la mia falsa prosperità; dico falsa non perché manchi a me e alla mia famiglia il necessario, anzi, lo confesso, c'è anche il superfluo, ma ogni giorno, tanto più essa prospera, tanto più la sento falsa. Sto diventando sempre più schiavo del denaro e degli affari.
Il mio mondo è un mondo di ossessionati dalla paura del domani. Oggi gli affari vanno bene, ma domani riuscirò a garantire l'impegno?
Sono come un cane da caccia: mai un respiro, mai una distensione: sono un condannato.
La vita economica moderna è un ingranaggio spietato. Non so se qualcuno dei pesci più grossi di me abbia ormai fatto il callo al mestiere; ma io mi sento in balia di una lotta sorda e disumana.
Fuori, la concorrenza onesta e disonesta, sempre assillante. I miei operai non mi vogliono male, ma neppure bene: mi sopportano. Per loro rappresento la paga della fine mese; per il resto, un estraneo e un intruso.
In casa ci vogliamo bene; ma il denaro ci impedisce di volerci ancora più bene, di avere una casa magari meno splendente, senza tappeti e lampadari, senza comodità ricercate; ma più intimità, più armonia. Tra noi c'è un equivoco continuo: mi compassionano perché dicono che lavoro troppo, ma i denari non sono mai abbastanza quando entrano in casa, perché le esigenze crescono sempre.
Continuo a lasciarmi invischiare, perché non capisco più dove arriva l'affetto e la previdenza e dove arriva il mercato.
Sono stanco di dovermi comperare una vita che pare così facile ed è così nauseante e stupida. Sì, perchè siamo condannati a star bene, a sembrar felici; siamo condannati a vestire bene e ogni tanto a fare le marionette di lusso alla Scala. Bisogna tenersi su per ingannare e ingannarci, vittime stupide dalla coalizione, della ipocrisia dei vicini e dei lontani.
Sono arrivato sino ad odiare, odiare rabbiosamente la mia automobile, le mie cristallerie, le mie poltrone, i miei lucidi e ingombranti appartamenti: odiare quello che troppi invidiano!
Caro Don Mazzolari, le dica queste cose ai suoi poveri: dica loro che ci perdonino, ma anche che ci compatiscano perché siamo degli infelici più di loro.
Forse essi non ci capiranno; e questo ci fa stare ancora peggio, perché, oltre che condannati, ci sentiamo perfino maledetti.
Venga presto la rivoluzione cristiana, prima per noi che per gli altri, a restituirci la nostra umanità, la nostra famiglia, la pace, la gioia vera.
Scusi lo sfogo. Con stima.
Un industriale milanese.
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