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Il consolato Romano
Nell'antica Roma i consoli (latino: consules, "coloro che camminano insieme") erano i due magistrati eponimi[1] che esercitavano collegialmente il supremo potere civile e militare ed eletti ogni anno, al quale davano il proprio nome.

La magistratura del consolato era la più importante tra le magistrature maggiori della Repubblica romana, immediatamente al disotto della dittatura, che era però magistratura solo straordinaria. In età imperiale, la carica consolare sopravvisse, ma divenne di nomina imperiale e, dopo la fondazione di Costantinopoli, un console venne regolarmente eletto per l'Occidente ed uno per l'Impero Romano d'Oriente, perpetuandosi tale pratica a Roma anche dopo la caduta dell'Occidente, sino al 566, ed a Costantinopoli sino al VII secolo.

Durante la repubblica, l'età minima per l'elezione a console era di 40 anni per i patrizi e di 42 per i plebei.

Le competenze consolari investivano tutto l'agire pubblico, in pace come in guerra. Nei fatti, tutti i poteri non appannaggio del Senato o di altri magistrati erano in capo ai due consoli.

Ognuno dei due consoli era titolare del potere nella sua interezza e poteva esercitarlo in via del tutto autonoma, salva la facoltà del collega di porre il veto (intercessio). Per evitare possibili inconvenienti, si escogitarono diversi sistemi, grazie ai quali - in forza di un accordo politico tra i due - certi periodi o in determinati settori di attività un solo console esercitava effettivamente il potere, senza che l'altro ponesse il veto. Il più noto è quello dei turni, in base al quale i due consoli dividevano l'anno in periodi - in genere mensili - in cui si alternavano nel disbrigo degli affari civili (nell'esercizio del comando militare, nel caso in cui entrambi i consoli fossero alla guida dell'esercito, i turni erano giornalieri). Un altro sistema era quello che si basava sulla ripartizione delle competenze tra i consoli eletti, in base al quale ciascuno dei due esercitava in maniera esclusiva alcuni poteri. È comunque importante sottolineare che la divisione di competenze o i turni di esercizio non interessava alcune forme di esercizio del potere (come le proposte di legge).

I consoli erano eponimi, ossia l'anno di servizio era conosciuto con i loro nomi. Ad esempio, il 59 a.C. per i Romani era quello del "consolato di Cesare e Bibulo", poiché i due consoli erano Gaio Giulio Cesare e Marco Calpurnio Bibulo (anche se il partito di Cesare dominò la vita pubblica impedendo a Bibulo di esercitare il proprio mandato tanto che l'anno fu ironicamente chiamato "il consolato di Giulio e Cesare").[2]

In latino, "consules" significa "coloro che camminano assieme". Se un console moriva durante il suo mandato (fatto non raro quando i consoli erano in battaglia alla testa dell'esercito), un altro veniva eletto, e veniva detto consul suffectus.

L'ufficio di console era ritenuto come risalente alla data tradizionale della fondazione della Repubblica, nel 509 a.C., anche se la storia remota è in parte leggendaria e la successione di consoli non è continua nel V secolo a.C. I consoli erano incaricati sia dei doveri religiosi che di quelli militari; la lettura degli auspici era un passo essenziale prima di condurre l'esercito in battaglia.

Durante i periodi di guerra, il criterio primario di scelta del console era l'abilità militare e la reputazione, ma in tutti i casi la selezione era connotata politicamente. Inizialmente solo i patrizi potevano divenire consoli. Con le c.d. Leges Liciniae Sextiae (367 a.C.), i plebei ottennero il diritto ad eleggerne uno; il primo console plebeo fu Lucio Sestio, nel 366 a.C.[3]

Con il passare del tempo, il consolato divenne il normale punto d'arrivo del cursus honorum, la sequenza di incarichi perseguiti dai Romani ambiziosi.

In via eccezionale i consoli potevano ricevere dal senato i pieni poteri: il provvedimento era chiamato senatus consultum ultimum estremo provvedimento del senato e la formula era Caveant consules ne quid detrimenti res publicam capiat, "Provvedano i consoli affinché lo stato non abbia alcun danno". A tale formula si ricorse poche volte:

nella prima metà del II secolo a.C. per regolamentare i misteri bacchici a Roma,
durante la scalata al potere di Gaio Gracco, nel 121 a.C.,
in occasione della marcia su Roma di Lepido nel 77 a.C., della congiura di Catilina nel 63,
quando Cesare attraversò il Rubicone nel 49 a.C.

Consolato in età imperiale
Quando Augusto fondò l'Impero, cambiò la natura dell'incarico, spogliandolo di gran parte, se non di tutti i poteri. Pur rimanendo un grande onore, e un requisito per altri incarichi, molti consoli, durante il suo lungo regno, lasciavano l'incarico prima del termine, per permettere ad altri di reggere il fascio littorio come consul suffectus. Quelli che erano in carica il 1º gennaio, conosciuti come consules ordinarii avevano l'onore di associare il proprio nome a quell'anno. Come risultato, circa la metà di coloro che avevano il grado di pretore potevano raggiungere anche quello di console ora non più a 40 anni, ma a 33.

Talvolta, questi suffecti si ritiravano e un altro suffectus veniva nominato. Questa pratica raggiunse il suo estremo sotto Commodo, quando nel 190, venticinque persone furono nominate a console.

Un altro cambiamento durante l'Impero fu che gli Imperatori spesso nominavano loro stessi, dei protetti o dei parenti, senza guardare all'età minima. Ad esempio, ad Onorio venne conferito il titolo di console al momento della nascita.

Reggere il consolato era apparentemente un tale onore che il secessionista Impero delle Gallie, ebbe la sua coppia di consoli durante la sua esistenza (260 - 274). La lista di consoli di questo stato è incompleta, ricostruita dalle iscrizioni e dalle monete.

L’antica magistratura romana sopravvisse fino a tarda epoca, anche se come semplice dignità priva di potere reale. Una delle riforme di Costantino I fu quella di assegnare uno dei consoli alla città di Roma e l'altro alla città di Costantinopoli. Quindi, quando l'Impero Romano venne diviso in due, alla morte di Teodosio I, l'imperatore di ognuna delle due metà acquisì il diritto di nominare uno dei consoli - anche se un imperatore permise al suo collega di nominarli entrambi per vari motivi. Come risultato, dopo la fine formale dell'Impero Romano d'Occidente, molti anni vennero denominati da un singolo console.

Sebbene avesse perduto di fatto ogni potere politico, il console ordinario godeva di un grande prestigio e il consolato era ancora considerato come il massimo onore che l’imperatore potesse concedere a un suddito. I due consoli designati entravano in carica ancora alle calende di gennaio, con una cerimonia solenne che comportava un corteo (processus consularis) e una distribuzione di denaro alla folla (sparsio), proibita dall’imperatore Marciano di Bisanzio ma poi reintrodotta da Giustiniano I nel 537.

Questa carica decadde durante il regno di Giustiniano: prima con il console di Roma Decio Teodoro Paolino nominato nel 534 dalla regina Amalasunta alle soglie della guerra gotica, e quindi con il console di Costantinopoli, Anicio Fausto Albino Basilio, nel 541. In seguito il consolato venne assunto dall'imperatore come parte della propria carica, e nessun altro poteva assumerlo, tanto che, quando il generale bizantino Eraclio coniò monete assumendo il titolo di console, in effetti si proclamò anche imperatore, in opposizione all'imperatore allora in carica Foca.[4]

Ci sono notizie di consoli onorari anche nel VII secolo. Il 24 settembre 656, il vescovo di Cesarea in Bitinia si recò in visita da san Massimo di Costantinopoli assieme ai due consoli Teodosio e Paolo.