00 14/11/2008 14:54
Anche tristi.
Un po' di tristezza fa bene alla salute
guai a parlare subito di depressione

di SARA FICOCELLI La Repubblica


ROMA - I poeti maledetti francesi la trasformavano in poesia, gli attori come James Dean e River Phoenix in fascino e seduzione. Oggi invece la tristezza viene associata quasi sempre alla depressione. Stravolgendo, secondo lo studio di alcuni scienziati americani, la natura di uno stato d'animo di per sè nobile e tutt'altro che negativo.

Il libro The loss of sadness: how psychiatry transformed normal sorrow into depressive disorder parla di quanto sia labile il confine fra tristezza e depressione. Gli autori sono Allan Horowitz, professore di sociologia presso la Rutgers University, e Jerome Wakefield, professore di lavoro sociale della Università di New York. Gli studi effettuati dimostrerebbero che la tristezza è qualcosa di intrinseco e naturale alla natura umana, riscontrabile persino negli animali, e che niente ha a che vedere con il fenomeno - più complesso e originato da sintomi precisi - della depressione.

I due autori americani sottolineano invece come la tristezza sia una risorsa, un peso capace di controbilanciare quell'euforia che spesso ci avvicina al pericolo. Sarebbe, dunque, uno dei tanti colori della tavolozza dell'anima, dal tono sfumato, un po' cupo e freddo. Ma il buon pittore sa che escludere grigio, nero e marrone da un quadro non ha senso.

Lo psichiatra Cassano: "Utile sentirsi un po' tristi". La posizione di Horowitz e Wakefield è condivisa dal professor Giovanni Battista Cassano, primario di Psichiatria presso l'Università di Pisa. "La tristezza è una sensazione molto importante, che aiuta a rivedere criticamente gli errori commessi e porta a correggerli", spiega. "Pensiamo ad esempio ai rischi dell'euforia primaverile: acquisti smodati, relazioni amorose rischiose... Sembra assurdo, ma la gioia incontrollata può causare dei danni alla nostra vita. Il corpo e la mente hanno bisogno di fermarsi un attimo e la tristezza, in questi casi, aiuta".

La depressione, invece, è tutta un'altra cosa. Essa si diagnostica se una persona presenta almeno cinque dei nove sintomi standard: umore depresso, perdita di interesse nei confronti di qualsiasi attività, calo dell'appetito, insonnia, ipersonnia, perdita di energia, senso di colpevolezza, difficoltà nel concentrarsi e prendere decisioni, pensieri ricorrenti di morte e suicidio. Ma soprattutto, come precisa Cassano, la depressione è una malattia genetica, ereditaria. Che sboccia a seguito di un trauma - una separazione amorosa, la perdita del lavoro o di una persona cara - sulla base di una precisa predisposizione. Chi non è "segnato" geneticamente soffrirà moltissimo, ma alla fine supererà l'accaduto.

"La prima cosa che si insegna a un aspirante psichiatra è il saper distinguere tra uno stato depressivo e uno di profonda tristezza. Se lo studente non sa riconoscere queste due situazioni viene bocciato. E comunque il vero psichiatra non sbaglia questo tipo di diagnosi". La depressione, continua Cassano, è comunque ben riconoscibile, perché tocca le corde del dolore profondo. "Un dolore morale fortissimo - spiega - che solo la terapia farmacologica può curare. Per chi invece non è depresso, assumere psicofarmaci non serve". E' più utile forse fare una chiacchierata con un amico o una passeggiata al sole.

Il libro degli studiosi Usa ha convinto anche Robert Spitzer, professore di clinica psichiatrica presso il Columbia University Medical Centre e autore del celebre Diagnostic and statistical manual of mental disorders, manuale di riferimento per gli psichiatri di tutto il mondo. Spitzer, che del libro ha scritto la prefazione, ha dichiarato di aver "rivisto, dopo averlo letto, la mia posizione in materia". Convinto che la tristezza fosse comunque un disturbo mentale, è stato costretto a ricredersi.

Persino gli scimpanzè, conclude la ricerca, conoscono la malinconia, e i ciechi, quando si sentono tristi, assumono un'espressione identica a quella di tutti gli altri esseri umani, pur non avendo mai visto com'è fatto un volto imbronciato. Sentirsi triste, dunque, è naturale. Una volta capito ciò, non resta che impiegare il tempo che resta per costruire la propria felicità.