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Caffé Letterario

Il caso Saviano

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    mujer
    00 16/10/2009 09:58
    IL RACCONTO
    Io, la mia scorta e il senso di solitudine
    di ROBERTO SAVIANO

    "LO VEDI, stanno iniziando ad abbandonarci. Lo sapevo". Così il mio caposcorta mi ha salutato ieri mattina. Il dolore per la protezione che cercano di farmi pesare, di farci pesare, era inevitabile. La sensazione di solitudine dei sette uomini che da tre anni mi proteggono mi ha commosso. Dopo le dichiarazioni del capo della mobile di Napoli che gettano discredito sul loro sacrificio, che mettono in dubbio le indagini della Dda di Napoli e dei Carabinieri, la sensazione che nella lotta ai clan si sia prodotta una frattura è forte.

    Non credo sia salutare spaccare in due o in più parti un fronte che dovrebbe mostrarsi, e soprattutto sentirsi, coeso. Società civile, forze dell'ordine, magistratura. Ognuno con i suoi ruoli e compiti. Ma uniti. Purtroppo riscontro che non è così. So bene che non è lo Stato nel suo complesso, né le figure istituzionali che stanno al suo vertice a voler far mancare tale impegno unitario. Sono grato a chi mi ha difeso in questi anni: all'arma dei Carabinieri che in questi giorni ha mantenuto il silenzio per rispetto istituzionale ma mi ha fatto sentire un calore enorme dicendomi "noi ci saremo sempre".

    Mi ha difeso l'Antimafia napoletana attraverso le dichiarazioni dei pm Federico Cafiero De Raho, Franco Roberti, Raffaele Cantone. Mi ha difeso il capo della Polizia Antonio Manganelli con le sue rassicurazioni e la netta smentita di ciò che era stato detto da un funzionario. Mi ha difeso il mio giornale. Mi hanno difeso i miei lettori.

    Ma uno sgretolamento di questa compattezza è malgrado tutto avvenuto e un grande quotidiano se ne è fatto portavoce. Ciò che dico e scrivo è il risultato spesso di diversi soggetti, di cui le mie parole si fanno portavoce. Ma si cerca di rompere questa nostra alleanza, insinuando "tanti lavorano nell'ombra senza riconoscimento mentre tu invece...". Chi fa questo discorso ha un unico scopo, cercare di isolare, di interrompere il rapporto che ha permesso in questi anni di portare alla ribalta nazionale e internazionale molte inchieste e realtà costrette solo alla cronaca locale.

    Sento di essere antipatico ad una parte di Napoli e ad una parte del Paese, per ciò che dico per come lo dico per lo spazio mediatico che cerco di ottenere. Sono fiero di essere antipatico a questa parte di campani, a questa parte di italiani e a molta parte dei loro politici di riferimento. Sono fiero di star antipatico a chi in questi giorni ha chiamato le radio, ha scritto sui social forum "finalmente qualcuno che sputa su questo buffone". Sono fiero di star antipatico a queste persone, sono fiero di sentire in loro bruciare lo stomaco quando mi vedono e ascoltano, quando si sentono messi in ombra. Non cercherò mai i loro favori, né la loro approvazione. Sono sempre stato fiero di essere antipatico a chi dice che la lotta alla criminalità è una storia che riguarda solo pochi gendarmi e qualche giudice, spesso lasciandoli soli.

    Sono sempre stato fiero di essere antipatico a quella Napoli che si nasconde dietro i musei, i quadri, la musica in piazza, per far precipitare il decantato rinascimento napoletano in un medioevo napoletano saturo di monnezza e in mano alle imprenditorie criminali più spietate. Sono sempre stato antipatico a quella parte di Napoli che vota politici corrotti fingendo di credere che siano innocui simpaticoni che parlano in dialetto. Sono sempre stato fiero di risultare antipatico a chi dice: "Si uccidono tra di loro", perché contiamo troppe vittime innocenti per poter continuare a ripetere questa vuota cantilena.

    Perché così permettiamo all'Italia e al resto del mondo di chiamarci razzisti e vigliacchi se non prestiamo soccorso a chi tragicamente intercetta proiettili non destinati a lui. Come è accaduto a Petru Birladeanu, il musicista ucciso il 26 maggio scorso nella stazione della metropolitana di Montesanto che non è stato soccorso non per vigliaccheria, ma per paura.
    Sono sempre stato fiero di risultare antipatico a chi mal sopporta che vada in televisione o sulle copertine dei giornali, perché ho l'ambizione di credere che le mie parole possano cambiare le cose se arrivano a molti.

    E serve l'attenzione per aggregare persone. Sarò sempre fiero di avere questo genere di avversari. I più disparati, uniti però dal desiderio che nulla cambi, che chi alza la testa e la voce resti isolato e venga spazzato via com'è successo già troppe volte. Che chi "opera" sulle vicende legate alla criminalità organizzata e all'illegalità in generale, continui a farlo, ma in silenzio, concedendo giusto quell'attenzione momentanea che sappia sempre un po' di folklore. E se percorriamo a ritroso gli ultimi trent'anni del nostro Paese, come non ricordare che Peppino Impastato, Giuseppe Fava e Giancarlo Siani - esposti molto più di me e che prima di me hanno detto verità ora alla portata di tutti - hanno pagato con la vita la loro solitudine. E la volontà di volerli ridurre, in vita, al silenzio.

    Sono sempre stato fiero, invece, di essere stato vicino a un'altra parte di Napoli e del Sud. Quella che in questi anni ha approfittato della notorietà di qualcuno emerso dalle sue fila per dar voce al proprio malessere, al proprio impegno, alle proprie speranze. Molti di loro mi hanno accolto con diffidenza, una diffidenza che a volte ha lasciato il posto a stima, altre a critiche, ma leali e costruttive. Sono fiero che a starmi vicino siano stati i padri gesuiti che mi hanno accolto, le associazioni che operano sul territorio con cui abbiamo fatto fronte comune e tante, tantissime persone singole.

    Sono fiero che a starmi vicino sia soprattutto chi, ferocemente deluso dal quindicennio bassoliniano, cerca risposte altrove, sapendo che dalla politica campana di entrambe le parti c'è poco da aspettarsi. Sono sempre stato fiero che vicino a me ci siano tutti quei campani che non ne possono più di morire di cancro e vedere che a governare siano arrivati politici che negli anni hanno sempre spartito i propri affari con le cosche. Facendo, loro sì, soldi e carriera con i rifiuti e col cemento, creando intorno a sé un consenso acquistato con biglietti da cento euro.

    È stato doloroso vedere infrangersi un fronte unico, costruito in questi anni di costante impegno, che aveva permesso di mantenere alta l'attenzione sui fatti di camorra. È stato sconcertante vedere persone del tutto estranee alla mia vicenda esprimere giudizi sulla legittimità della mia scorta. La protezione si basa su notizie note e riservate che, deontologia vuole, non vengano rese pubbliche. Sono stato costretto a mostrare le ferite, a chiedere a chi ha indagato di poter rendere pubblico un documento in cui si parla esplicitamente di "condanna a morte". Cose che a un uomo non dovrebbero mai essere chieste.

    Ho dovuto esibire le prove dell'inferno in cui vivo. Ho esibito, come richiesto, la giusta causa delle minacce. Sento profondamente incattivito il territorio, incarognito. Gli uni con gli altri pronti a ringhiarsi dietro le spalle. Molti hanno iniziato a esprimere la propria opinione non conoscendo fatti, non sapendo nulla. Vomitando bile, opinioni qualcuno addirittura ha detto "c'è una sentenza del Tribunale che si è espressa contro la scorta". I tribunali non decidono delle scorte, perché tante bugie, idiozie, falsità? Addirittura i sondaggi online che chiedevano se era giusto o meno darmi la scorta.

    Quanto piacere hanno avuto i camorristi, il loro mondo, lì ad osservare questo sputare ognuno nel bicchiere dell'altro? Dal momento in cui mi è stata assegnata una protezione, della mia vita ha legittimamente e letteralmente deciso lo Stato Italiano. Non in mio nome, ma nel nome proprio: per difendere se stesso e i suoi principi fondamentali. Tutte le persone che lavorano con la parola e sono scortate in Italia, sono protette per difendere un principio costituzionale: la libertà di parola. Lo Stato impone la difesa a chi lotta quotidianamente in strada contro le organizzazioni criminali. Lo Stato impone la difesa a magistrati perché possano svolgere il loro lavoro sapendo che la loro incolumità fa una grande differenza.

    Lo Stato impone la difesa a chi fa inchieste, a chi scrive, a chi racconta perché non può permettere che le organizzazioni criminali facciano censura. In questi anni, attaccarmi come diffamatore della mia terra, cercare di espormi sempre di più parlando della mia sicurezza, è un colpo inferto non a me, ma allo stato di salute della nostra democrazia e a tutte le persone che vivono la mia condizione. Sento questo odio silenzioso che monta intorno a me crea consenso in molte parti
    Sta cercando il consenso di certa classe dirigente del Sud che con il solito cinismo bilioso considera qualunque tentativo di voler rendere se non migliore, almeno consapevole la propria terra, una strategia per fare soldi o carriera.

    Ma mi viene chiesta anche l'adesione a un "codice deontologico", come ha detto il capo della Mobile di Napoli, il rispetto delle regole. Quali regole? Io non sono un poliziotto, né un carabiniere, né un magistrato. Le mie parole raccontano, non vogliono arrestare, semmai sognano di trasformare. E non avrò mai "bon ton" nei confronti delle organizzazioni criminali, non accetterò mai la vecchia logica del gioco delle parti fra guardie e ladri. I camorristi sanno che alcuni di loro verranno arrestati, le forze dell'ordine sanno in che modo gestire gli arresti che devono fare.

    Lo hanno sempre detto a me, ora sono io a ribadirlo: a ognuno il suo ruolo. La battaglia che porto avanti come scrittore è un'altra. È fondata sul cambiamento culturale della percezione del fenomeno, non nel rubricarlo in qualche casellario giudiziario o considerarlo principalmente un problema di ordine pubblico.

    Continuare a vivere in una situazione così è difficile, ma diviene impossibile se iniziano a frapporsi persone che tentano di indebolire ciò che sino a ieri era un'alleanza importante, giusta e necessaria. So che è molto difficile vivere la realtà campana, ma c'è qualcuno che ci riesce con tranquillità. Io non ho mai avuto detenuti che mi salutassero dalle celle, né me ne sarei mai vantato, anzi, pur facendo lo scrittore, ho ricevuto solo insulti. Qualcuno dice a Napoli che è riuscito a fare il poliziotto riuscendo a passeggiare liberamente con moglie e figli senza conseguenze. Buon per lui che ci sia riuscito. Io non sono riuscito a fare lo scrittore riuscendo a passeggiare liberamente con la mia famiglia. Un giorno ci riuscirò lo giuro.

    © 2009 Roberto Saviano. Published by arrangement with Roberto Santachiara Literary Agency

    © Riproduzione riservata (16 ottobre 2009)

    da repubblica.it

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    Non trovate qualcosa di stonato?
    vi do un aiutino...leggete bene il copyright
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    sergio.T
    00 16/10/2009 10:29
    senti julia sinceramente di leggere il racconto di Saviano sull'abbandono di cui e' vittima ( ma sembra che gli abbiano aumentato la scorta) non me ne frega meno che niente. O diciamo che non ne ho voglia.
    Si sente solo? ha paura? non e' piu' possibile vivere cosi?
    Mi spieghi allora perche' questa litania va' a ondate? mi sembra che presenzi a mille manifestazioni ( tra un po' anzhe a quella sulle foche ballerine), va in tv, va' alla radio, va' nei teatri.
    A proposito: prima di vedere Saramago il mio vicino imprecava contro Saviano. Lo aveva visto una settimana prima da qualche parte e diceva: " tante parole, tante parole belle, poi ho dovuto pagare 35 euro per il biglietto. Qui, invece, Saramago e' gratis. Come mai. In piu' l'ho visto alla manifestazione sulla liberta' d'informazione e mi sembra che lui pubblichi Mondadori. E mi sembra che possa parlare, e mi sembra che possa continuare a piangere. Sto' Saviano mi ha rotto i coglioni"
    Io ho taciuto e sono stato ad ascoltare il suo monologo.
    Su Saviano non ho niente da dire: non m'interessa. Come non m'interessano le mode.
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    mujer
    00 16/10/2009 10:33
    appunto, se segui il mio suggerimento vedrai che il discorso porta dritto lì...
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    sergio.T
    00 16/10/2009 10:33
    per la questione dell'agenzia? e' questo il suggerimento?
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    mujer
    00 16/10/2009 10:34
    e poi?
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    sergio.T
    00 16/10/2009 10:44
    ho riletto.
    Forse la questione della firma? l'agente che firma anche l'articolo in nome dello scrittore?
    puo' essere questo.
    Morale: la forma parassitaria nell'editoria e' incontenibile.
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    mujer
    00 16/10/2009 10:49
    è un pezzo comprato, Saviano si fa pagare per scrivere su La Repubblica
    (riproduzione riservata)

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    sergio.T
    00 16/10/2009 11:03
    Velino.
    ovvio, ho capito. Anche per ascoltarlo bisogna pagare a teatro.
    In fondo Gomorra non e' un libro. E' una sceneggiatura di film anni 70 , un polpettone alla poliziesca tipo Malavita a Milano.
    Questo libro insomma che cosa dice? Non e' credibile per niente: zero contenuti, zero novita', zero di zero di niente. Per non parlare della poverta' di scrittura.
    Ripete all'infinito ed in modo spettacolare quello che sulla camorra si sapeva da decenni: la cocaina non e' piu' un fenomeno di elite ma di massa. Ma va'? I boss della camorra divenatano ricchi sui traffici internazionali. Caspita questo non si sapeva!
    E poi una lungaggine di pagine riportate da tutti i giornali di verbali della magistrature: forse allora dovevano pubblicare i magistrati.
    Oppure notizie che in qualsiasi trasmissione televisiva tipo Report o persino Annozero ripetono da anni.
    Che ha scrito in fondo Saviano? Niente, e' solo un fenomeno di marketing travolgente per una fascia di lettori che piu' che ingenui sono abboccaloni. Saranno contenti i pescatori di questo passo.
    E l'ultimo libro che fine ha fatto? non ha avuto la stessa risonanza? la raccolta di articoli - una specie di remarke di se stesso - non ha sfondato le classifiche? E allora, poverino, deve ripiegare sull'altra strategia: il piagnisteo per restare in onda.
    Mai visto uno scrittore ( scrittore, ma fammi il piacere!)cosi' ondivago: alla tv da un canale all'altro come una velina.
    Saviano il primo velino nella storia della fiction tv.
    [Modificato da sergio.T 16/10/2009 11:04]
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    sergio.T
    00 16/11/2009 10:11
    Non si riesce a ben capire per quale razza di motivo un Saviano non si possa criticare nemmeno di sfioro. Leggevo in un blog un tag a lui dedicato. Tra le 50 osanne una voce fuori dal coro. Apriti cielo! al malcapitato gli e' stato risposto che era un fascista e uno spara insulti. Meno male che dopo e' intervenuto Sergio Garufi a metter le cose a posto. Non solo si e' detto d'accordo con quel spara insulti ma addirittura ha capito quello che intendeva dire quel malcapitato: Saviano, questo e' il problema, vuole cambiare il mondo in senso letterale e non letterario. E questo e' un grandissimo problema.
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    sergio.T
    00 17/11/2009 10:46
    Non si capisce bene cosa voglia dire che la letteratura debba cambiare il mondo. Uno scrittore da' una sua visione del mondo, ma e' sicuro che non ha nessuna presunzione a cambiarlo. Sarebbe pazzo a pretendere tanto. Se la letteratura potesse cambiare il mondo lo avrebbe gia' cambiato un paio di millenni fa. O no? e dato che nulla e' cambiato , ergo si deduce che la letteratura non ha questa facolta' di cambiarlo. In caso contrario, significherebbe, che in duemila anni tutti i letterati che sono apparsi in questo mondo siano una banda di perfetti idioti. Come? hanno scritto tanto e nulla e' cambiato? milioni di pagine,miliardi di volumi, e tutto rimane tale e quale? No, e' un'ipotesi assurda. Rimane l'unica verita': la letteratura, se vale qualcosa, vale come palcoscenico di quello che si vede. Cambiarlo e' un altro paio di maniche.
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    sergio.T
    00 11/12/2009 09:03
    Ieri Saviano a Milano ha definito Milano la piu' grande citta' meridionale.
    La Lega: Ma va' a ciapa' i ratt!!! Saviano e' l'ultimo maestrino di cui sentivamo il bisogno.
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    mujer
    00 11/12/2009 09:06
    ahahahah
    immagino i leghisti...
    ma si mettono a difendere pure Milan ora?
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    mujer
    00 11/12/2009 09:08
    ''Bisogna capire che con Saviano non si può commettere lo stesso errore che molti a destra fecero con Pierpaolo Pasolini. Perché, con mille differenze, Saviano è un moderno Pasolini. Sarebbe mortificante non riconoscere il valore di un dialogo con un intellettuale che nel 1974 scriveva che fascisti e antifascisti in quella Italia lì erano antropologicamente uguali, che incontrava Ezra Pound e leggeva le sue poesie, chiamandolo “maestro”. Lui sì, superando ogni barriera ideologica in nome dell'uomo''.

    E' quanto si legge oggi su 'Ffwebmagazine, il giornale online della fondazione Farefuturo. ''Fare lo stesso oggi con Saviano, rifiutarne il confronto, non riconoscendogli il suo di valore di intellettuale, che ovviamente ha un suo pensiero sul mondo ma che mai, a oggi, ha messo in secondo piano l'importanza di una lotta comune alle mafie senza separazioni ideologiche, sarebbe buttare via un simbolo italiano vero''.

    ''Sarebbe preferire il grigio a una fotografia a colori di un paese senza più mafie'', prosegue l'articolo che elogia le parole di Roberto Maroni sullo scrittore anticamorra e ricorda, al contrario, ''le interviste in cui ragazzi campani accusano Saviano di essere in buona sostanza un traditore, sentire politici e commentatori svilire l'importanza del suo ruolo''.

    Una cosa che ''sconforta'', scrive Giovanni Marinetti. ''È segno - riflette - che ancora tanto si deve fare, che l'immaginario mafioso-camorristico in certe terre è ancora un riflesso pavloviano da correggere e sconfiggere. È un pensiero da liberare, con ogni sforzo''.

    ''Così come superare la logica politica su certi temi - rimarca il giornale on line della fondazione Farefuturo - è un vizio presentissimo, un eterno errore stucchevole, un gioco al massacro in cui a perdere sono sempre quelli che stanno peggio. E il colore non c'entra, perché poi tutto diventa nero come il lutto, rosso come il sangue, e buonanotte a tutti''.


    MA NON DICIAMO ERESIE!!!
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    sergio.T
    00 11/12/2009 09:44
    senti julia, onestamente non e' giornata, dunque non farmi leggere di un Saviano come di un Pasolini moderno. Sai, la pazienza ha un limite. Che adesso Saviano sia diventato l'intellettuale moderno mi sembra veramente esagerato. Poi un Pasolini!!!! Con Pasolini il confronto da destra o da sinistra era costruttivo al massimo grado: Pasolini era al di sopra di queste cose bislacche. Aveva una coscienza umanistica sociale quasi fisiologica: un istinto. Saviano?
    Dai! Io non sono leghista, lo sai, ma ieri ho visto su Tl l'intervista a Saviano: non la capisco, non ne comprendo il significato.
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    mujer
    00 11/12/2009 09:55
    figurati se posso essere d'accordo con questa assurdità!
    è talmente assurda che non ne voglio nemmeno parlare.
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    sergio.T
    00 11/12/2009 09:57
    "Ma chi sono veramente i milanesi? Quanto hanno dato i meridionali a questa città, che è la più grande città del Sud Italia?».

    Cos'e'? non ci sono piu' milanesi, adesso? mi sembra di ascoltare Domenico. Nessuno mette in dubbio il grande sforzo lavorativo dei meridionali immigrati al nord, ma da qui a domandarsi chi sono veramente i milanesi ce ne passa. Tanto per cominciare Milano non e' stata fondata dai meridionali; ha una storia millennaria, e per secoli c'e' stata gente nata a milano, vissuta a milano, morta a milano, sepolta a milano. Milanesi nel vero senso della parola. Cos'e' questa universalizzazione di tutto e di tutti?

    «ai meridionali di Milano, che sono poi i veri milanesi che hanno fatto grande la città».

    Ecco. Adesso il merito e' loro. Potevano fare grande Napoli, allora.
    Ma va' a ciapa' i ratt, veramente!
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    mujer
    00 11/12/2009 10:10
    sì, hai ragione, questa estremizzazione è persino pericolosa.
    è proprio questo modo di assimilazione che esaspera le diversità.
    ma saviano è ignorante, è risaputo.
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