00 30/09/2008 22:25
Hoy, en esta isla, ha ocurrido un milagro; el verano se adelantó. Puse la cama cerca de la pileta de natación y estuve bañándome, hasta muy tarde. Era imposible dormir. Dos o tres minutos afuera bastaban para convertir en sudor el agua que debía protegerme de la espantosa calma. A la madrugada me despertó un fonógrafo. No pude volver al museo a buscar las cosas. Hui por las barrancas. Estoy en los bajos del sur, entre plantas acuáticas, indignado por los mosquitos, con el mar o sucios arroyos hasta la cintura, viendo que anticipé absurdamente mi huida. Creo que esa gente no vino a buscarme; tal vez no me hayan visto. Pero sigo mi destino; estoy desprovisto de todo, confinado al lugar más escano, menos habitable de la isla; a pantanos que el mar suprime una vez por semana.

Così La invención de Morel nella sua prima pagina.

Ma prima del racconto c’è il prologo di Borges che così dice:

Le finzioni di carattere poliziesco – altro tipico genere di questo secolo che non può più inventare argomenti- riferiscono fatti misteriosi che in seguito giustificano e illustrano un fatto ragionevole.
Adolfo Bioy Casares, in queste pagine, risolve con felicità un problema forse più difficile. Dispiega un’odissea di prodigi che sembrano non voler ammettere altra chiave che l’allucinazione o il simbolo, e li decifra pienamente attraverso un solo postulato fantastico e non soprannaturale. Il timore di incorrere in premature o parziali rivelazioni mi vieta l’esame dell’argomento e delle molte delicate saggezze dell’esecuzione. Mi basta dichiarare che Bioy rinnova in modo letterario un concetto che Sant’Agostino e Orígenes hanno refutato, che Louis Auguste Blanqui ha ragionato e che, con musica memorabile, disse Dante Gabriel Rossetti:

I have been here before,
But when or how I cannot tell:
I know the grass beyond the door,
The sweet keen smell,
The sighing sound, the lights around the shore…

In spagnolo sono insolite e rarissime le opere d’immaginazione ragionata. I classici hanno esercitato l’allegoria, le esagerazioni della satira e, a volte, la mera incoerenza verbale; non ricordo in date recenti altro racconto oltre Le forze estranee e qualcuno di Santiago Dabove: dimenticato con ingiustizia.
La invención de Morel (il cui titolo allude ad un altro inventore isolano, Moreau) trasla nelle nostre terre e nella nostra lingua un nuovo genere.
Ho discusso con il suo autore i dati salienti della sua trama, l’ho riletta; non mi sembra un’imprecisione o un’iperbole qualificarla come perfetta.



Questo prologo è nella mia edizione del 1953, casa editrice emecé; spero che ci sia anche nelle edizioni italiane.

La invención de Morel è più di un racconto fantastico. E’ la storia di un fuggitivo che, scappando dalla giustizia, arriva in un’isola deserta. Un giorno, però, arrivano altri uomini; il fuggitivo li segue, ascolta i loro discorsi, li osserva.

Dopo uno dei colloqui tra gli uomini, Bioy Casares espone il pensiero centrale del suo protagonista. Scrive:

Ora la realtà mi si propone cambiata, irreale. Quando un uomo si sveglia o muore, ritarda il disfarsi dei terrori del sogno, delle preoccupazioni e delle manie della vita. Ora mi costerà perdere l’abitudine di temere questa gente.

L’album delle presenze che Morel illustra – e che il protagonista teme – non è che l’eterna ricerca dell’arresto del tempo. Stessa esigenza del fuggitivo è quella dello scrittore che, pur scappando sempre da se stesso, necessita di fissare il tempo e le sue immagini.
Il fantastico (e non il soprannaturale, come dice Borges) è proprio quella realtà che ci inventiamo per sfuggire alla paura dell’inesistente, condizione che non ha niente a che vedere con la morte. E’ per questo che “la settimana” deve essere ripetuta per non scomparire.
La scomparsa è la vera morte e, mentre lo scrivo, sussulto per così nefasta profezia.