00 25/09/2009 11:22
Filippo Tuena sceglie, ancora una volta, dopo la straziante ricostruzione dell'estinzione della famiglia ebrea Reinach e della puntuale analisi degli ultimi misteriosi anni della vita di Michelangelo, di raccontare una vicenda così estrema da essere diventata il punto di non ritorno nella storia delle grandi spedizioni. Si tratta del tragico viaggio del capitano della marina inglese Robert Falcon Scott, che nel 1911, accompagnato da un nutrito gruppo di militari, medici, scienziati, fotografi e semplici marinai, raggiunse il limite estremo del Polo Sud ventitre giorni dopo che il norvegese Roald Gravning Amudsen era già riuscito a toccarlo. La delusione di Scott e dei suoi uomini fu cocente. La "ritirata"si risolse con la morte per congelamento e sfinimento di tutto l'equipaggio. A testimoniare il fallimento sono rimasti i diari del capitano e due rullini di pellicole fotografiche. Filippo Tuena ripercorre nel dettaglio la preparazione, le ansie, i desideri di gloria, le nostalgie, le personalità e tutto il corredo materiale e spirituale che furono caratteristici di quegli anni e di quegli uomini. A costo di apparire feroce, la voce esterna che, come un ombra, a tratti malevola, insegue l'allucinata epopea di Scott, non indulge mai nella retorica ma piuttosto cerca di far emergere corrispondenze, presagi e ossessioni di morte. Ci sono pagine evocative, e ricchissime, come quelle che descrivono il carico delle slitte: i cibi, gli indumenti, i materiali tecnici, gli oggetti d'intrattenimento (fu caricato persino un pianoforte), i libri (soprattutto poesia), i medicinali (tra cui l'oppio per alleviare le ansie della traversata) e i messaggi d'incoraggiamento lasciati dalle ditte che furono sponsor dell'impresa. Altre atroci, come quelle che descrivono il ritrovamento dei corpi congelati da parte della missione di soccorso che giunse alla tenda abbandonata otto mesi dopo: "Devi averli riconosciuti subito nonostante il congelamento, i nasi andati, la brina che incrosta le sopraciglia. Sono quasi statue di ghiaccio o di cera e la loro pelle è liscia come se fosse stata unta con l'olio". Difficile definire il genere al quale questo lavoro di Tuena appartiene, perché in Italia i racconti di esplorazione, che tanta tradizione hanno in Inghilterra o negli Stati Uniti, contano ben pochi esempi. Certo è che se la domanda sul senso attuale dell'avventura e dell'esplorazione ha assunto modulazioni e varianti assai diverse da quelle d'inizio Novecento, Tuena, con uno sforzo davvero impari, riesce a rendere quell'esperienza ancora viva e parlante. Perché di quello straordinario fallimento dà una versione insieme epica e umanissima, intensamente cerebrale.
Camilla Valletti