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Caffé Letterario

Cormac McCarthy

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    sergio.T
    00 24/11/2009 11:27
    Il capo batteva leggermente la spada, di piatto, contro il pomo della sella, e sembrava formare le parole nella mente una a una. Si chinò lievemente verso di loro. Quando gli agnelli si perdono sulla montagna, disse. Gridano. Qualche volta arriva la madre. Qualche volta il lupo.

    Meridiano di sangue o Rosso di sera nel West
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    mujer
    00 24/11/2009 11:28
    glieli regaleremo al compimento dei 18 anni...
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    sergio.T
    00 24/11/2009 11:32
    Si, si, sicuro. Prima non e' davvero possibile. Uno scrittore difficile e impegnativo: troppo per un ragazzino. Bisogna leggerlo quando e' il momento.
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    sergio.T
    00 30/11/2009 11:25
    Non esiste in McCarthy una morale: non spende una parola per il suo Suttre e per il suo mondo. Succede poco se poco si puo' definire la miseria, la poverta', la morte reietta, la fame, la disperazione, la sporicizia, la malattia, la morte, l'efferatezza. Per McCarthy e' semplicemente vita. Vita furiosa, vita di una natura crudele ( come nei suoi western capolavori) che non concede pieta' ne' perdono.E poi perdonata per cosa, questa vita? non ha senso parlare di perdono per la vita senza senso di cui l'uomo e' solo spettatore di se stesso.
    Un grande personaggio, questo Suttre
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    sergio.T
    00 30/11/2009 11:40
    In McCarthy , in tutti i suoi libri in tutti i suoi personaggi, non esiste la questione psicologica. Non c'e' la benche' minima questione emotiva: tutto accade, tutto ci accade, tutto diviene in modo inarrestabile. Determinato. Il soggetto stesso in McCarthy e' negato. Non esprime nessuna visione soggettiva. Il grande scritore americano puo' benissimo essere paragonato ad Avalon il grande fotografo della natura statunitense. Grandi scenari osservati con disincanto.
    Ed ammirazione.
    McCarthy non esprime nessuna benevolenza verso i propri personaggi: non distingue il buono dal cattivo; il benevolo dal malvagio; non aiuta i poveri; non si dispiace per i bambini; non una parola pietosa.
    Il tempo: tutto e' ora , il passato non esiste, il futuro e' gia' qui. Se c'e' un futuro.
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    sergio.T
    00 09/12/2009 11:51
    Lettera32 olivetti: la macchina da scrivere del grande scrittore statunitense battuta all'asta per 255.000 dollari. Un record. Con questa macchina ha scritto tutti suoi romanzi inclusi i tre mai pubblicati. Non mi stupisco. Non me lo vedevo, conoscendo il tipo, davanti ad un computer.
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    sergio.T
    00 10/01/2010 17:38
    Repubblica: Intervista a McCarthy
    Repubblica di oggi, lunga intervista di John Jurgensen per il Wall Street Journal a Cormac McCarthy. Eccola. San Antonio (Stati Uniti) il romanziere Cormac McCarthy rifugge le interviste, ma apprezza le conversazioni. Siamo a novembre e l´autore è seduto nel frondoso patio del Menger Hotel, costruito circa vent´anni dopo l´assedio di Alamo, di cui accanto sorgono i resti. La conversazione pomeridiana, a cui prende parte anche John Hillcoat, il regista di The Road, la versione cinematografica de La strada, va avanti fino al tramonto, poi ci trasferiamo in un ristorante lì vicino per cenare. Vestito in jeans con le pieghe e stivali da cowboy marroni con le fossette, McCarthy comincia la cena con un Bombay Gibson, Up (un Martini con una cipollina al posto dell´oliva). Il primo grande successo del 76enne scrittore americano fu il romanzo Meridiano di sangue, o Rosso di sera nel West, una storia di mercenari americani che vanno a caccia di indiani al confine con il Messico. Il successo commerciale arrivò più tardi, nel 1992, con Cavalli selvaggi, vincitore del National Book Award e prima puntata della Trilogia della frontiera. I critici hanno sviscerato approfonditamente la dettagliata visione del West, le vivide descrizioni delle scene violente e la prosa muscolare, quasi sprovvista di punteggiatura, di McCarthy. L´autore si è rivelato più sfuggente. Non si fa mai vedere alle fiere del libro, alle letture e negli altri posti dove si riuniscono i romanzieri. Preferisce vedersi con «gente brillante» estranea al suo settore, come giocatori di poker professionisti e pensatori del Santa Fe Institute, una fondazione di scienze teoretiche del Nuovo Messico dove McCarthy insegna da tempo. Negli ultimi anni il grande scrittore si è gradatamente fatto strada a Hollywood. Molti nuovi lettori lo hanno scoperto grazie al film del 2007 (tratto dall´omonimo romanzo di McCarthy) Non è un paese per vecchi, un thriller che ruota intorno a una valigetta piena di narcodollari e a un killer spietato. Diretto da Joel e Ethan Coen, il film si è aggiudicato quattro Academy Awards. Ora è uscito The Road, adattamento per il grande schermo di un romanzo che ha segnato un´altra fase importante nella carriera di McCarthy. Intimo quanto lugubre, il libro racconta la storia del legame di un uomo con il figlio di undici anni sullo sfondo di una lotta per la sopravvivenza, anni dopo un cataclisma che ha cancellato la società. Il romanzo ha vinto un premio Pulitzer nel 2007. Il film, che ha come protagonista Viggo Mortensen nella parte del padre e Kodi Smit-McPhee (undici anni al momento delle riprese) nella parte del figlio, segue da vicino la cupa trama del libro, inclusi gli scontri con i cannibali. Hillcoat, il regista, è un australiano che nel 2005 ha girato La proposta, un violento western ambientato nell´Outback australiano. Per riprodurre gli scenari desolati del romanzo, Hillcoat ha girato gran parte del film in inverno, a Pittsburgh, dove le rovine dei tempi in cui la città era un grande centro dell´industria carbonifera e siderurgica offrono il giusto grado di squallore. L´antefatto del romanzo è profondamente personale, perché nasce dal rapporto fra Cormac e John, il figlio di undici anni avuto dalla terza moglie, Jennifer. Con la morte sempre in agguato, il protagonista de La strada protegge ossessivamente il figlio e lo prepara a proseguire da solo«Sapeva solo che il bambino era la sua garanzia. Diceva: se lui non è la parola di Dio, allora Dio non ha mai parlato». [...] McCarthy e Hillcoat mostrano grande affabilità, nonostante una collaborazione che avrebbe potuto rivelarsi spinosa. Hillcoat gli dice: «Mi hai tolto un peso enorme dalle spalle quando hai detto: “Guarda, un romanzo è un romanzo e un film è un film, e sono due cose diversissime”». Con un tono di voce basso, inframmezzato da frequenti risatine e accompagnato dallo sguardo intenso dei suoi occhi grigio-verdi, McCarthy ci parla delle differenze fra libri e film, dell´apocalisse, di padri e figli, di progetti passati e futuri, di come scrive; e di Dio. Quando vende i diritti dei suoi libri, nei contratti si riserva una qualche forma di supervisione sulla sceneggiatura o li cede per intero? «No, li vendi, te ne torni a casa e ti metti a letto. Non ti vai a immischiare nel progetto di qualcun altro». Quando si è recato per la prima volta sul set, quanta differenza c´era con la visione che aveva nella sua testa del romanzo? «Beh, sicuramente la mia idea di quello che succedeva nella storia non includeva sessanta-ottanta persone e un mucchio di telecamere. Una trentina d´anni fa feci un film con il regista Dick Pearce nella Carolina del Nord e pensai: “Ma questo è l´inferno. Come si fa a fare una cosa del genere?”. Io invece mi alzo dal letto, mi faccio una tazza di caffè, cincischio un po´, leggo qualcosa, mi metto seduto e batto qualche riga al computer e guardo fuori dalla finestra». Ma non c´è qualcosa di trascinante nel processo collaborativo, rispetto al lavoro solitario dello scrittore? «Sì, ti trascina a evitarlo a tutti i costi». Quando ha discusso con John dell´ipotesi di ricavare un film dal suo romanzo, lui le ha chiesto maggiori dettagli su che cosa fosse stato a provocare il disastro? «Molti me lo chiedono. Io non ho un´opinione al riguardo. Al Santa Fe Institute ci sono scienziati di tutte le discipline, e alcuni geologi mi hanno detto che a loro sembrava un meteorite. Ma avrebbe potuto essere qualsiasi cosa, l´attività vulcanica o una guerra nucleare. Non è veramente importante. La questione essenziale ora è: che cosa fai? L´ultima volta che la caldera di Yellowstone ha sbuffato tutto il continente nordamericano è finito sotto trenta centimetri di cenere. Quelli che vanno a fare le immersioni nel lago di Yellowstone dicono che sul fondo c´è una protuberanza che adesso è alta quasi trenta metri, e sembra quasi che pulsi. Se chiedi a persone diverse ti danno risposte diverse, ma potrebbe succedere fra tre o quattromila anni o potrebbe succedere giovedì prossimo. Nessuno lo sa». Che tipo di cose la inquietano? «Se pensi ad alcune delle cose di cui parlano scienziati intelligenti e riflessivi ti rendi conto che fra cento anni la razza umana sarà diventata qualcosa di irriconoscibile. Potremmo essere in parte delle macchine, avere dei computer impiantati. Impiantare nel cervello un chip che contenga tutte le informazioni di tutte le biblioteche del mondo è già ora qualcosa che non è possibile solo a livello teorico. Come dicono le persone che discutono di queste cose, si tratta solo di capire come fare i collegamenti. Ecco una questione su cui ragionare». La strada è una storia d´amore fra padre e figlio, ma non dicono mai «ti voglio bene». «No. ho pensato che non avrebbe aggiunto nulla alla storia. Ma molti dei dialoghi del libro sono conversazioni, trascritte parola per parola, fra me e mio figlio John. È questo che intendo quando dico che lui è il coautore del libro. Molte delle cose che dice il ragazzino del libro sono cose che ha detto John. John diceva: “Papà, che cosa faresti se io morissi?”; e io: “Vorrei morire anch´io”; e lui: “Così potresti stare con me?”; e io: “Sì, così potrei stare con te”. Semplicemente una conversazione che potrebbero avere due persone». Perché non firma mai copie de La strada? «Ci sono copie autografate del libro, ma appartengono tutte a mio figlio John, così quando avrà diciotto anni potrà venderle e andarsene a Las Vegas o quello che vuole. No, quelle sono le uniche copie autografate del libro». Quante ne ha? «Duecentocinquanta. Ogni tanto mi arrivano lettere da librerie o altri che dicono: “Ho una copia autografata de La strada”, e io dico: “No, non è vero”». Com´è stato il suo rapporto con i fratelli Coen per Non è un paese per vecchi? «Ci siamo incontrati e abbiamo chiacchierato qualche volta. È stato piacevole. Sono intelligenti e molto dotati. Come John, non hanno avuto bisogno di nessun aiuto da parte mia per fare il film». Anche Cavalli selvaggi è stato trasformato in un film (uscito in Italia col titolo di Passione ribelle), con Matt Damon e Penélope Cruz come protagonisti. È rimasto soddisfatto del risultato? «Poteva venire meglio. Se lo si tagliasse potrebbe venir fuori un film piuttosto buono. Il regista aveva l´idea di poter mettere su schermo tutto il libro. È impossibile. Devi scegliere la storia che vuoi raccontare e far vedere quella. Perciò ha fatto questo film di quattro ore e poi ha scoperto che se voleva farlo uscire davvero nelle sale avrebbe dovuto tagliarlo della metà». Questo discorso della lunghezza si applica anche ai libri? Un libro di mille pagine è troppo? «Per i lettori moderni, sì. La gente apparentemente è disposta a tollerare la lunghezza solo per i gialli. Per i gialli e i polizieschi più è lungo meglio è, la gente leggerà qualunque cosa. Ma quei libroni compiaciuti di ottocento pagine che scrivevano un centinaio di anni fa oggi non li scrivono più, la gente non ci è abituata. Se qualcuno ha in mente di scrivere qualcosa come I fratelli Karamazov o Moby Dick, si accomodi. Nessuno lo leggerà. Non importa quanto sia bello, non importa quanto siano acuti e intelligenti i lettori. Sono diverse le loro intenzioni, il loro cervello». Qualcuno ha detto che Meridiano di sangue non può essere trasformato in film perché è una storia troppo cupa e violenta. «Sono tutte stronzate. Il fatto che sia una storia cupa e sanguinosa non ha niente a che vedere con la possibilità o meno di ricavarne un film. Non è questo il punto. Il punto è che sarebbe molto difficile da fare e richiederebbe qualcuno con un´immaginazione sfrenata e due palle così. Ma il risultato potrebbe essere straordinario». L´idea dell´invecchiamento e della morte che effetti produce sul suo lavoro? La spinge a lavorare più in fretta? «Il tuo futuro si accorcia e tu te ne rendi conto. Negli ultimi anni non ho voglia di fare nient´altro che lavorare e stare con mio figlio John. Sento qualcuno che parla di andare in vacanza o cose del genere e io penso: ma a che serve? Non ho nessun desiderio di fare un viaggio. La mia giornata perfetta consiste nello starmene seduto in una stanza con un po´ di fogli bianchi. Questo è il paradiso. È oro puro e tutto il resto è solo una perdita di tempo». Questo orologio ticchettante come influenza il suo lavoro? La spinge a voler scrivere storie più brevi, oppure a coronare il tutto con un´opera grande, a tutto campo? «Non mi interessa scrivere storie brevi. Qualunque cosa che non ti occupi anni interi della vita e non ti spinga al suicidio mi sembra che sia qualcosa che non vale la pena». Gli ultimi cinque anni sono sembrati molto produttivi per lei. Ci sono periodi di stanca nella sua scrittura? «Non credo che ci siano periodi ricchi o periodi di stanca. È solo una percezione che ricavate voi basandovi su quello che viene pubblicato. Il giorno più impegnato può essere quello in cui te ne stai a guardare delle formiche che trasportano briciole di pane. Qualcuno ha chiesto a Flannery O´Connor perché aveva fatto la scrittrice e lei ha detto: “Perché ero brava a farlo”. E secondo me questa è la risposta giusta. Se sei bravo a fare qualcosa, è molto difficile non farla. Se parli con persone anziane che hanno avuto una vita felice, inevitabilmente uno su due ti dirà: “La cosa più significativa della mia vita è che ho avuto una fortuna straordinaria”. E quando senti dire questo, sai che stai sentendo la verità. Non è uno sminuire il loro talento o il loro impegno. Puoi averne quanto ti pare e non farcela lo stesso». Può dirmi qualcosa del libro su cui sta lavorando, riguardo alla storia, all´ambientazione? «Non sono molto bravo a parlare di queste cose. È ambientato per lo più a New Orleans intorno al 1980. Parla di un fratello e di una sorella. Quando il libro comincia lei si è già suicidata e il libro parla di come lui affronta la cosa. Lei è una ragazza interessante». Alcuni critici fanno notare che lei di solito non approfondisce molto i personaggi femminili. «Questo è un libro lungo e parla in gran parte di una giovane donna. Ci sono scene interessanti inframmezzate nel libro, e hanno tutte a che fare con il passato. Lei si è suicidata sette anni prima. Erano cinquant´anni che volevo scrivere su una donna. Non sarò mai competente abbastanza da farlo, ma a un certo punto bisogna provare». Lei è nato nel Rhode Island ed è cresciuto nel Tennessee. Perché è finito nel Sudovest? «Sono finito nel Sudovest perché sapevo che nessuno ne aveva mai scritto. Oltre alla Coca Cola, l´altra cosa conosciuta in tutto il mondo sono i cowboy e gli indiani. Se vai in un villaggio di montagna in Mongolia scopri che tutti conoscono i cowboy. Ma nessuno prendeva l´argomento sul serio, da due secoli a questa parte. Ho pensato: ecco un buon soggetto. Ed era vero». Lei è cresciuto cattolico irlandese. «Sì, un pochino. Non era granché rilevante. Andavamo in chiesa la domenica. Non ricordo nemmeno che si parlasse mai di religione». Il Dio con cui è cresciuto in chiesa ogni domenica è lo stesso Dio che il protagonista de La strada interroga e maledice? «Forse sì. Ho una grande simpatia per la visione spirituale dell´esistenza e penso che sia significativa. Ma personalmente sono una persona spirituale? Mi piacerebbe esserlo? Non nel senso che penso a un qualche aldilà dove mi piacerebbe andare, semplicemente nel senso di essere una persona migliore. Ho degli amici al Santa Fe Institute. Sono persone brillantissime che fanno un lavoro veramente difficile risolvendo problemi difficili, e loro dicono: “È molto più importante essere buoni che essere intelligenti”. E io sono d´accordo, è più importante essere buoni che essere intelligenti. È tutto quello che posso offrirvi». La strada è un romanzo molto personale, ha avuto qualche esitazione a lasciare che venisse trasformata in film? «No. Avevo visto il film di John, La proposta, e lo conoscevo un po´ di fama, e ho pensato che probabilmente avrebbe fatto un buon lavoro rispetto al materiale. Inoltre la mia agente, Amanda Urban, è eccezionale. Non avrebbe venduto il libro a qualcuno se non avesse avuto fiducia in quello che ci avrebbe fatto. Non è solo una questione di soldi». John Hillcoat: Non avevi scritto inizialmente Non è un paese per vecchi come una sceneggiatura? «Sì, l´avevo scritta. L´ho fatta vedere a qualcuno, ma non erano sembrati interessati. Anzi, dicevano che non avrebbe mai funzionato. Anni dopo l´ho ritirata fuori e l´ho trasformata in un romanzo. Non ci è voluto molto. Ero agli Academy Awards con i Coen. Prima della fine della serata il loro tavolo si era riempito di premi, lì in fila come lattine di birra. Uno dei primi premi è stato quello per la migliore sceneggiatura, e Ethan quando è tornato al tavolo mi ha detto: “Beh, io non ho fatto niente, però me lo tengo”». Per romanzi come Meridiano di sangue ha fatto un´approfondita ricerca storica. Che tipo di ricerche ha fatto per La strada? «Non so. Ho semplicemente parlato con alcune persone di come potrebbero essere le cose in una serie di situazioni catastrofiche, ma non ho fatto grandi ricerche. Ogni tanto ho questi dialoghi al telefono con mio fratello Dennis e spesso viene fuori qualche scenario terribile da fine del mondo, e finiamo sempre a riderci su. Quando qualcuno ascolta queste conversazioni dice: “Perché non ve ne tornate a casa, vi infilate in una vasca piena d´acqua calda e vi tagliate le vene?”. Parlavamo di uno scenario in cui restava viva solo una piccola percentuale della popolazione umana e ci chiedevamo che cosa avrebbero fatto questi sopravvissuti. Probabilmente si sarebbero divisi in piccole tribù e, quando non c´è più niente, l´unica cosa che resta da mangiare è il prossimo. Sappiamo che è storicamente vero». Che cosa fa suo fratello Dennis? È uno scienziato? «Sì. Ha un dottorato in biologia ed è anche un avvocato, una persona riflessiva e un caro amico». Una chiacchierata tra fratelli che sfocia nell´apocalisse, così, naturalmente? «Più spesso di quanto non sarebbe logico». I padri che tipo di reazioni hanno avuto a La strada? «Ho ricevuto la stessa lettera da sei uomini diversi. Uno dall´Australia, uno dalla Germania, uno dall´Inghilterra, ma tutti dicevano la stessa cosa. Dicevano: “Ho cominciato a leggere il suo libro dopo cena e l´ho finito alle 3.45 del mattino, poi mi sono alzato, sono salito di sopra, ho svegliato i miei figli e sono rimasto lì seduto sul letto a tenerli stretti”». [...] JH: Qualcuno all´istituto ti ha dato qualche informazione riservata? Ci puoi dire una data? «Per cosa, per la fine del mondo? [Ride] No, non hanno la data». JH: La tua scrittura è una forma di poesia, ma moltissimo di quello che leggi e studi è tecnico e basato sui fatti. C´è un confine fra l´arte e la scienza, e dove cominciano a confondersi? «C´è sicuramente un´estetica nella matematica e nella scienza. È anche così che Paul Durac finì nei guai. Durac era uno dei grandi fisici del Ventesimo secolo, ma lui era davvero convinto, come altri fisici, che dovendo scegliere fra qualcosa di logico e qualcosa di bello, fosse più verosimile affidarsi all´estetica. Quando Richard Feynman mise insieme la sua versione aggiornata dell´elettrodinamica dei quanti, Durac non la giudicò vera perché era brutta. Era caotica. Non aveva la chiarezza, l´eleganza che lui associava alla grande matematica o alla fisica teorica. Ma si sbagliava. Non esiste una formula per questo». C´è una differenza nel modo in cui viene rappresentata l´umanità ne La strada e il modo in cui viene rappresentata in Meridiano di sangue? «In Meridiano di sangue di personaggi buoni ce ne sono pochi, mentre La strada parla proprio di persone buone. È l´argomento principe». JH: Ricordo che mi avevi detto che Meridiano di sangue parla della malvagità dell´uomo, mentre La strada parla della bontà dell´uomo.Solo quando è nato mio figlio mi sono reso conto che una personalità è qualcosa di innato in una persona. La puoi vedere mentre si forma. Ne La strada, il ragazzo è nato in un mondo in cui la morale e l´etica sono al di fuori, quasi come in un esperimento scientifico. Ma lui è il personaggio più morale. Pensi che la bontà sia innata nelle persone? «Io non penso che la bontà sia qualcosa che impari. Se vieni lasciato alla deriva a imparare dal mondo a essere buono, non è facile. Ma ogni tanto la gente mi dice che mio figlio John è proprio un bambino d´oro. Io dico che lui è talmente superiore a me che mi sento stupido a correggerlo su certe cose, ma qualcosa devo fare, sono suo padre. Non puoi fare molto per cercare di trasformare un bambino in qualcosa che non è. Ma qualunque cosa sia, di sicuro puoi distruggerla. Se sei meschino e crudele, puoi distruggere la persona migliore del mondo». Che cosa fate insieme, lei e suo figlio? Dove trovate un terreno comune? «La mia sensazione è che la consanguineità in realtà significhi poco. Io ho una grande famiglia e c´è solo uno di loro a cui mi sento vicino, ed è il mio fratello minore Dennis. Lui è il mio tipo di persona. E anche John è il mio tipo di persona». Siete tutti e due padri di bambini piccoli. Guardandoli, avete la sensazione che il talento artistico sia qualcosa che si trasmette dai genitori ai figli? «John sta sempre a disegnare, ma devo dire che non è molto bravo, mentre io lo ero. Ero un artista bambino, un bambino prodigio. Facevo tutte quelle cose là. Grandi disegni vistosi di animali. Sono anni che non lo faccio più. Tutto svanito. Non gli ho mai dato seguito [...] Ho fatto delle mostre a otto anni. Era solo per la gloria. Mostre locali. Mi ricordo alcuni di quei dipinti. Uno raffigurava un rinoceronte alla carica. Non era male. Un grande acquerello, una cosa a tecnica mista. Un altro era un rosso molto acceso, un vulcano in esplosione. Era divertente. Successivamente ho dipinto uccelli e cose del genere. Quadri naturalistici». Ha la sensazione, nella sua opera, di cercare di affrontare gli stessi grandi interrogativi, solo in modi diversi? «Il lavoro creativo spesso è stimolato dal dolore. Se non avessi qualcosa nel profondo del tuo cervello che ti fa diventare matto, forse non faresti niente. Non è una buona soluzione. Se fossi Dio, non avrei fatto le cose a questo modo. Certe cose di cui ho scritto ormai non rivestono più alcun interesse per me, ma certamente mi interessavano prima di scriverle. C´è qualcosa, sul fatto di scrivere di determinate cose, che le appiattisce. Le hai consumate. Io dico alla gente che non ho mai letto nessuno dei miei libri, ed è vero. Loro pensano che li stia prendendo in giro». Prima ha accennato al ruolo che gioca la fortuna nella vita. In che momento è intervenuta la fortuna per lei? «Non c´è persona dai tempi di Adamo più fortunata di me. Non mi è successo nulla che non fosse perfetto. E non lo dico per fare lo spiritoso. Non c´è mai stato un momento in cui non avevo soldi ed ero infelice, un momento in cui qualcosa non arrivava. E questo ogni volta, ogni volta, ogni volta. Ce n´è abbastanza di che renderti superstizioso».
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    mujer
    00 11/01/2010 10:53
    Avevi ragione, è un dialogo/intervista bellissimo.

    “È molto più importante essere buoni che essere intelligenti”

    come dici sempre tu!
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