Rodrigo Fresan

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sergio.T
00lunedì 18 maggio 2009 09:57

Peter Hook è uno strano pseudonimo, che rimanda all'idea di un bambino magico e di un cattivo pirata schizofrenicamente uniti in un'unica, mostruosa identità. E' proprio questo il nome del protagonista dell'ultimo romanzo di Fresán, in cui uno scrittore di libri per l'infanzia, in una notte lunga e delirante, racconta le circostanze della sua vita a un personaggio altrettanto enigmatico. Keiko Kai, appellativo che fa pensare a una donna orientale, resta per tutta la durata dell'opera una presenza silenziosa, destinanaria forse inesistente delle riflessioni torrenziali di Hook. La biografia di James Matthew Barrie, inventore dell'icona della letteratura infantile Peter Pan, diventa il pretesto postmoderno per la narrazione della vicenda parallela dell'eccentrico scrittore. A parte il mestiere, sono molte le coincidenze che legano a più livelli le storie personali dei due uomini. Tanto per cominciare, la città di Londra, sui cui tratti vittoriani legati all'epoca di Barrie si sovrappongono le luci psichedeliche della Swinging London degli anni '60 di cui Hook è figlio. L'infanzia di entrambi è fortemente condizionata dalla perdita di un fratello, il preferito dai genitori. Questo evento non solo si ripercuote sulle circostanze di vita dei due ma finisce per tracciare le coordinate dell'ispirazione narrativa. Peter Pan è il bambino che non diventa adulto e si rifugia in un mondo fantastico e impossibile, mentre il protagonista delle opere di Hook, Jim Jang, è un bambino che ha il potere di viaggiare nel tempo grazie a una strana "cronocicletta". Il rifiuto dei limiti temporali e la scelta di situarsi idealmente nel dominio incontrastato dell'infanzia dipende da una comune riflessione: "Gli esseri più amati sono e saranno sempre quelli che non crescono, che non cresceranno mai". I Giardini di Kensington è il terzo romanzo di Fresán e si connota come l'opera che sancisce il successo internazionale dell'autore argentino, che attualmente risiede a Barcellona. I vari riconoscimenti letterari, la traduzione in dieci lingue, i commenti elogiativi da buona parte della critica internazionale; tutto lascia presagire che la nuova voce della letteratura argentina abbia trovato un terreno fertile, pronto ad accoglierla. In Italia manca la traduzione di Mantra (2001), le cui vicende di stesura si intrecciano a quelle di quest'opera, mentre è presente la traduzione del primo romanzo, Esperanto (1995, Einaudi 2000), la storia di un musicista trentacinquenne di successo che si ritrova ad essere il protagonista di un viaggio attraverso l'Argentina le cui tappe scandiscono il ritmo di una ricerca interiore. Il forte richiamo all'oralità e il riferimento alle icone della musica pop sono le più evidenti caratteristiche che legano queste due opere, ma I giardini di Kensington è con ogni evidenza un'opera più matura. In questo romanzo più che mai lo stile di Fresán è molto esigente: il ritmo frenetico, verrebbe de dire "pop", della sua scrittura caleidoscopica, ricca di enumerazioni e di rimandi continui, non agevola un approccio comodo con la lettura. D'altra parte l'audace sperimentazione e il tentativo enciclopedico meritano l'attenzione che il pubblico internazionale gli sta tributando.
sergio.T
00lunedì 18 maggio 2009 10:01
Lette le prime cento pagine. Si insomma, non so che dire. Ha qualcosa di originale , di attraente, di interessante, ma ha anche qualcosa di stonato, di pesante, di non so che.
E' tipico degli autori sudamericani ( tranne i maestri) imbrigliare la loro storia raccontata di orpelli e fronzoli nebbiosi: a volte ci si domanda dove si e' finiti.
Nei casi peggiori, poi, si finisce con il leggere rimpiangendo, per fare un nome a caso, un Dickens che va' dritto per la sua strada , per la sua pagina, per la sua storia.
mujer
00lunedì 18 maggio 2009 10:10
Io non l'ho mai letto, infatti te l'ho regalato per farti fare da cavia.
Da quello che dici capisco certi orpelli, quel modo tortuoso di raccontare una storia.
Ha a che vedere con la percezione della realtà in quei luoghi lì, sembra essere quella ma non è mai quella che sembra.
una cosa così insomma...
sergio.T
00lunedì 18 maggio 2009 10:37
Non so se la cavia resistera' per 420 pagine. [SM=g8431]
mujer
00lunedì 18 maggio 2009 10:39
La cavia ha il diritto di recedere, è previsto dal contratto [SM=g8455]
sergio.T
00lunedì 18 maggio 2009 15:48
e infatti le 20 pagine della sosta pomeridiana sono state la goccia finale: illeggibile, noioso, della serie: quello che sto leggendo mi annoia terribilmente.
Mi sono buttato sulle Lettere Luterane di Pasolini e ho incominciato bene: i giovani? persino esteticamente , oltre che ad essere borghesi, sono persino brutti. E i comunisti lo sono ancora di piu'.

Che dire? fantastica onesta'.
mujer
00lunedì 18 maggio 2009 16:00
hai fatto bene, vai sul sicuro.
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