Il film.
"MATEO FALCONE" di ERIC VUILLARD
Paesaggio, tradimento e morte
di Ada Guglielmino
Un ragazzino lasciato dai genitori a custodire un casale isolato ode in lontananza degli spari. Poco dopo si presenta un uomo in fuga e ferito che chiede aiuto e asilo, inseguito da un gruppo di soldati. Dopo un primo momento di esitazione, il ragazzino acconsente, in cambio di denaro, a nasconderlo. All’arrivo dei soldati, il ragazzino tradisce il fuggitivo in cambio di un orologio. Ma il tradimento sarà punito in modo violento e distruttivo.
Caccia all’uomo, tradimento, morte. Come nella omonima novella di Prosper Mérimée da cui è tratta, sono questi gli ingredienti dell’opera prima di Eric Vuillard, scrittore quarantenne che si stacca dalla parola scritta per tentare di esprimersi con il linguaggio della macchina da presa.
Nel film tutto accade negli ultimi dieci minuti: gli altri 55 sono dedicati a definire un paesaggio brullo, spazzato dal vento, in cui i colori e i movimenti delle ombre sono il presagio funesto dei futuri accadimenti.
Mentre nell’opera letteraria Mérimée si concentra sulle motivazioni che portano il padre a sopprimere il proprio figlio in una società di pastori in cui il tradimento va comunque punito con la morte, nel film tutto è avvolto in un alone di mistero. I dialoghi sono scarni e i tempi dilatati, la violenza degli uomini è figlia di un ambiente che, per quanto spettacolare, resta ostile. Il paesaggio diventa il fulcro narrativo intorno a cui si sviluppa tutta la vicenda.
Film volutamente incomprensibile per chi non ha letto la novella di Mérimée, la pellicola di Eric Vuillard appare più un esercizio di stile da scuola di cinema: tutta la prima parte, ancorché rischiarata dalla bravura del giovane e silente interprete Hugo de Lipowski, è una sequenza di suggestive diapositive che ritraggono le asperità del Massiccio Centrale, dove il film, ambientato in Corsica, è stato girato, utilizzando solo la luce naturale con un meticoloso lavoro di ricerca e sopralluoghi che si è protratto per oltre quattro mesi.
Molto viene detto dalla colonna sonora, con il violento epilogo che si dipana sui suoni di un brano polifonico del compositore medioevale Perotin. Un canto religioso che assume una importanza fondamentale in un opera pressoché priva di dialoghi e si eleva sopra le inascoltabili voci umane. Per farci pensare che il bambino traditore, morto per mano del padre, troverà la pace nell’aldilà, forse.