Pellicani Luciano

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sergio.T
00martedì 24 marzo 2009 11:24
I rivoluzionari di professione

Una delle più significative conseguenze della Rivoluzione francese è stata la nascita e la diffusione planetaria del potente mito della rivoluzione, concepita come rovesciamento del mondo rovesciato e come rigenerazione materiale e morale dell'uomo tramite la prometeica costruzione di un Regno di Dio senza Dio. Tale mito ha generato un inedito tipo antropologico: il rivoluzionario di professione, dedicato anima e corpo alla demolizione degli ordinamenti esistenti, tutti in qualche misura corrotti dallo spirito borghese e pertanto degni di perire. Un tipo antropologico che, a partire dalla Rivoluzione bolscevica e sino al collasso del sistema sovietico, ha dominato la scena mondiale con la sua straordinaria capacità di attivare poderose passioni e di mobilitare le masse.
sergio.T
00martedì 24 marzo 2009 11:31
Io non ho quanto postato, ma bensi', Dinamica delle rivoluzioni , opera oramai fuori catalogo. ( edizioni Sugar e co. Lo si puo' trovare su Ebay, comunque)
Ho deciso di leggerlo per il semplice motivo che in tempi moderni ogni cambiamneto, anche del senso critico, deve essere a sua volta criticato.
E questo l'ho imparato leggendo lentamente Pasolini. Pasolini mi ha insegnato a pensare: ma se io voglio cambiare il mondo, dissentirne l'essenza, allontanarmi da esso, non e' il caso prima di ogni altra cosa a guardare dentro questo cambiamento?
Chi cambia?
perche' cambia?
quali modi adotta per cambiare?
non e' che semplicemente capovolga il concetto di "cambiamento" in qualcosa di simile se non uguale al prima?
il cosidetto dopo che dopo sara'?
forse omologato?

La nostra attenzione e' sempre rivolta verso il "chi" debba essere sconfitto e sostituito.
Ma il " chi" che cambia chi e'?

Ecco Pasolini cosa m'insegna nel modo piu' onesto.
Ah! ma Pasolini, in un certo senso, non era italiano.
mujer
00martedì 24 marzo 2009 11:46
invece lo era, e voglio sperare che ci siano ancora italiani così che, in questo momento, stanno passeggiando sulla riva del Po, o dando da mangiare a qualche papero su un laghetto sperduto, o che stiano seduti su una panchina in qualche parco a leggere.

Mi piace molto questo argomento che stai proponendo, e ti anticipo che è molto attuale il senso che gli sto dando: dal massimo sistema a me stessa.
Ne trarremo conclusioni molto interessanti, vedrai...

Buon pranzo Se'! [SM=g10529]
sergio.T
00martedì 24 marzo 2009 11:59
Ci sono di sicuro, ma sono pochi, pochissimi, gli ultimi.
Stanno resistendo, stanno facendo resistenza.
Solitaria, perche' questa e' l'estrema difesa.

Non e' uno scappare, e' un preservarsi, e' un rispetto di se stessi e per coloro che gli osserveranno. Magari.

Se oggi passi in un campo e vedi un vecchio contadino, tu ti fermi e lo guardi, lo osservi: cosa ti incuriosisce? ti incuriosisce la sua perseveranza, la sua tenacia silenziosa.

Cosi' non sarebbe, se fosse li' a gridare e ad sventolar bandiera in mezzo a mille persone.
Da li' oramai arriva chiasso, rumore strumentale e con secondo fine: li 'in mezzo ci sono infiltrati, opportunisti, affaristi - e diaciamolo - anche parassiti: contestano ma non credono.

Quel contadino non urla. Lavora la sua terra e tu ti fermi e lo guardi.
A me capita cosi'.

Sono soli gli italiani d'esempio.
sergio.T
00martedì 24 marzo 2009 12:07
L'altra sera sono passato dal Brutto Anatroccolo,baretto e localino comunista vecchia maniera.
Comunista in tutto: persone, abbigliamento, arredamento, atmosfera.
Un baretto demode'.
Un baretto quasi schifoso.
E sapete dov'e' questo baretto comunista che frequentavo da ragazzo, io che non sono mai stato comunista) Sta' nella costa dei Navigli una delle zone piu' ricche di Milano, piu' di moda, piu' in voga.
Sta' in mezzo ad una pletora di mille locali "in" "hit" "top".
I migliori locali di Milano, in un certo senso.
Non ha luci abbaglianti, questo baretto. Non espone effetti speciali; non ha cubiste come cameriere; non si suona; non ha tavolini e tende all'aperto; non ha richiami particolari; non partecipa a nessun evento organizzato; non ha clienti vip, ma solo 4 disperati; gli altri mille locali della zona, hanno tutto questo.
E' un baretto silenzioso.
Eppure resiste li', in quella via, da trenta anni e passa.

Intendete quello che voglio dire?
Quel baretto e' rivoluzionario "seriamente"
sergio.T
00martedì 24 marzo 2009 18:55
Innanzitutto: rivoluzione come rottura veloce, rapida, immediata dei costumi sociali, politici, di potere.
Un cambiamento piu' lento e' sempre un'evoluzione, ma mai una rivoluzione.

Rivoluzione: dal basso e dall'alto ( proletariato e borghesia, in certi casi anche aristocrazia)
Colpo di stato: dalle elites.
Jaquerie: dalle masse, dal masso ( destinata alla sconfitta)

La Jaquerie e'destinata alla sconfitta perche' manodopera sovvertitrice mancante della copula creativa ( manca una forte idea contraria a quella vigente)

Condivido questa analisi.
sergio.T
00martedì 24 marzo 2009 19:02
poi, cos'e' una societa'? come ho sempre sostenuto non esiste una societa'. La societa' e' un'idea mistica perche' non corrisponde al reale.
La societa' per esistere ha bisogno di due requisiti: consenso e coercizione tra le varie classi.

Modello A: consensuale e collaborativo.
Modello b: coercitivo, basato su un conflitto di classi opposte tra loro.
Dominati e dominatori

Una societa' reale, comunque, non corrisponde mai ad un modello piuttosto dell'altro, ma e' un insieme dei due modelli.

La societa' e' dunque un " controllo di tensione tra gli individui che la compongono"

Vedo molte assonanze tra Marx , Nietzsche e Trasimaco: e' il rapporto di forza a instaurare un potere e un contro potere.

La rivoluzione interviene in questo gioco di forze come lacerante sovvertimento dei valori di potere o contropotere: il fascismo e il nazismo rientrano in pieno diritto nella definizione di Rivoluzione.
La rivoluzione non e' sempre progresso ( idea di sinistra mistica) ma bensi' e' solo rottura.

Interessantimo l'inizio di questo volume.
sergio.T
00mercoledì 25 marzo 2009 19:21
Massa - sperequazione tra input e autput del sistema politico -
credenze che traballono
Individuo energico, deciso, volitivo: nuova cultura.
Intellettuali che interpretano la sincronia tra queste componenti.

Non c'e' nessuna rivoluzione senza gli intellettuali e senza il concetto di individuo non omologato e creativo.

Ma non mi si dica!
sergio.T
00giovedì 26 marzo 2009 09:47
Una forte massa disorganizzata non potra' mai dare il via a una rivoluzione sia borghese sia proletaria.
Anzi, secondo Pellicani, sia la borghesia europea sia il proletariato non sono mai gli artefici di una rivoluzione.
E', quasi sempre, una classe marginale al sistema politico che desta i moti rivoluzionari.
La borghesia sola non puo' per il semplice motivo che e' una classe affine agli interessi economici del poetere.
Il proletariato, invece, non puo' perche' non ha la creativita' per farla: non si rende conto che il suo sfruttamento e' un'idea contraria al suo stato sociale.

La classe marginale ( intellettuali, liberi professionisti) sono invece quella classe che sta' ai margini di un cambiamento economico.
Non partecipa a questo nuovo sistema ( non viene ineteressate e beneficiata) e capisce bene che il suo stato scociale rimane estraneo sia al potere sia al proletariato: insomma e' una classe senza coscienza cosciente di esserne senza.

La rivoluzione nasce da una estraneita' al sistema.
sergio.T
00giovedì 26 marzo 2009 09:49
Quando il sistema o il Potere abbraccia tutte le classi ( seppur sfruttandole) mai si avra' una rivoluzione. La rivoluzione non nasce da un bisogno o dalla fame: questa rimane un'idea romantica che inetressa semmai la ribellione o un forte malcontento popolare.
La rivoluzione profonda che investe il sistema politico nasce da un senso di estraneita': si e' estranei alla nuova cultura ( politica e economica) e non si riesce piu' a trovare un ruolo in essa.
sergio.T
00giovedì 26 marzo 2009 09:56
Il materialismo storico di Marx e' profondamente sbagliato: la dialettica tra potere e rivoluzione non e' intersecata sullo sviluppo economico in quanto tale, ma in una causa che nasce da questo sviluppo.
Il ricco o il povero non vengono a collusione per questa differenza , ma bensi' entrano in collisione l'aristocratico, il nobile, con quanti non hanno piu' un ruolo in questo sistema.
Il potere delega sempre ruoli: il potere riconosce la gerarchia sociale, la forma, la modella; il potere investe i cittadini ognuno di una propria maschera.
Quando questo non avviene come per la Rivoluzione Francese, quando insomma il potere non definisce uno status sociale coltivando i sentimenti sociali ( il potere innanzitutto e' autorita' e autorevolezza del proprio essere), questo determina uno sgretolamento della propria immagine ancora prima di un malcontento sociale.
La rivoluzione non nasce dalla rabbia sormontante il popolo: se il poetre e' fore e autorevole nessuna rabbia lo puo' abbattere.
Quando in vece il Potere non pone piu' valori( qualsiasi siano) viene destituito della sua Autorita'
Il Potere sopravvive allora con una dittatura, un colpo militare, con la repressione, ma questa non bastera' e crollera' in poco tempo.
sergio.T
00giovedì 26 marzo 2009 10:11
Il rivoluzionario intellettuale ha un solo requisito: l'energia.
Straordinario ricordare come Mommsen nei sui bellissimi volumi su Roma, parla della grandezza Romana intesa innanzitutto come energia.
Il 1789 apre la via alla Rivoluzione Francese, la prima rivoluzione anticapitalista dopo la rivoluzione industriale inglese del 1600.
Ma Pellicani ricorda: in occidente quella francese non e' stata la prima grande rivoluzione borghese intellettuale ( escluse quelle contadine che hanno matrici diverse) ma e' stata quella Repubblicana di Roma e quella in Grecia. Guerra civile come rivoluzione ( Cesare)
Cosa fa capire questo? fa capire che e' l'energia creativa la molla che sospinge ad un nuovo potere.
La Rivoluzione senza potere in essa e' inimmaginabile: il Potere si ri-instaura come nuova cultura, come nuova tavola di valori.

A questo proposito la rivoluzione messicana ai suoi inizii e fortemente criticata.

Cos'e' il Potere scevro da pregiudizi tipicamente marxisti?
Non e' lo sfruttamento.
Non e' dittatura.
Non e' imposizione di sudditanza.

Il Potere e' la creativita' di una cultura che si riannoda nella sua tradizione e riannodandosi riconosce un ruolo ai propri componenti.
E' l'AUTOREVOLEZZA del suo apparire e del suo essere vissuto dalla societa' che governa.
Un Potere simile e' un potere forte, persino voluto; e' un Potere che non emargina e non estrania nessuno nella sua stessa esistenza.
Persino gli sfruttati ( economici) si riconoscono dunque parte viva di questa dialettica nel momento che i loro input al Potere stesso, vengano in minima parte riconosciuti e data loro una risposta.
Il Potere che non si esercita solo militarmente e' dunque quella dialettica tra le classi sociali che riconoscendosi sempre ed immancabilmente un ruolo, riconoscono in questo modo anche la gerarchia.

sergio.T
00giovedì 26 marzo 2009 10:39
Una grande differenza.
Un potere militare ( tutte le dittature come quella fascista, argentina, nazista , cilena ecc.ecc.) e' un potere che estrania l'esercito dal popolo.
Questo potere militare si trasforma da autorevolezza in dittatura non riconosciuta come ruolo dialettico e non riconosciuta come collante di un sistema.
Diverso, per fare un esempio, l'esercito e dunque un Potere Militare che appare come partecipativo di una cultura e autoriflettivo di questa.
Per dirla in un altro modo: se il popolo nelle sue alte e basse classi sociali si riconosce " anche" nell'esercizio militare, intendendo questo non come usurpazione e obbligo, ma come forma modellante di un possibile " esercizio di forza" per difesa o tutela - questo popolo - non si sollevera' contro l'esercito perche' non espressione di una dittatura.
E' sbagliato dunque pensare che l'esercizio militare sia sempre espressione di una cultura dittatoriale ed e' sbagliato anche pensare che l'esercito sia sempre vicino al Potere in quanto classe privilegiata.

A Roma nelle guerre macedoniche tutta la cittadinanza Romana ( senatori, patrizi, plebei, liberti, schiavi) partecipavano alle collette spontanee per mantenere in vigore l'esercito.

Oppure: la storia insegna che in molte ribellioni l'esercito non risponde piu' al Potere ma al popolo stesso con il quale s'instaura una dialettica di reciproco riconoscimento dei propri ruoli.
sergio.T
00venerdì 27 marzo 2009 09:30
La rivoluzione in fondo e' un dis-conocimento della realta': e' una frattura lacerante tra l'idea e il reale.
"Il mondo dei pensieri prende il posto del mondo dei fatti" cosi' molti storici e molti sociologi si pronunciano sulla rivoluzione.
Questo aforisma vale per molte altre analisi, a mio avviso.
Perche' la rivoluzione ha una fine ineludibile? perche', come la storia insegna, finisce sempre nel terrore e nella dittatura? ( non si ricorda una rivoluzione finita in altro modo).
Ci pensino i rivoluzionari per idea o i romantici della ribellione: la rivoluzione nel suo sviluppo diventa potere. Non puo' farne a meno percheì ogni societa' complessa e' IMMANCABILMENTE gerarchica e verticale.
La storia, poco incline a generosita' o a divagazioni filosofiche, sentenzia il capovolgimento dell'ideale in reale: il potere rivoluzionario si trasforma in potere coercitivo. E' un potere che non sfugge al proprio destino.
Da una parte deve resistere alla Re - staurazione, dall'altra parte si scinde in due: i moderati e i radicali ( i puri). I primi prendono il sopravvento e vengono accusati di avere tradito lo spirito rivoluzionario: liberta' per tutti e eguaglianza sociale.
Ma ogni rivoluzione e' un tradimento: questo tradimento si sviluppa dal " pensiero" al fatto, non per libera scelta ma per ineludibilita'.
Non potrebbe corrispondere nel reale di ogni societa' complessa, un modello egualitario e senza potere.
E' una societa' in disgregazione quella societa' senza potere.
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