O.Pamuk

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sergio.T
00venerdì 11 maggio 2007 17:22
Pamuk non e' definibile.
Non e' definibile nel senso che una storia di Pamuk , o almeno questo suo Il castello bianco, non corre con linee precise, demarcate: la concezione di Pamuk e' "doppia".
Pamuk vive " l'ombra" : i luoghi, i personaggi, le situazioni, le personalita', le storie stesse raccontate, non sono sicure, non sono possibili di " conoscenza".
Le pagine dello scrittore turco gridano proprio questo: tutta la conoscenza e' sempre velata come da un'ombra.
Quell'ombra che ofusca quello che noi siamo.
Chi siamo, noi, in fondo?
Chi sono io?
Cosa sei tu?
e questo mondo, questo occidente, questo oriente? siamo sicuri che sono o solamente sono nostre interpretazioni, nostre emulazioni?
Sembra quasi che la vita in Pamuk sia emulare, copiare, identificarsi in altro.

A qualsiasi longitudine e latitudine , l'uomo e' questo: l'io e la sua ombra.


E' un bel libro Il castello bianco: in alcuni tratti dolce, storico, emozionante: in altri inquietante.
La penna dello scrittore non scrive in queste pagine: semplicemente accenna, suggerisce, cerca di svelare.
Persino nella scrittura, nello stile ( che a me non son piaciuti per niente) Pamuk vive questa sua indefinitezza: addirittura non si " conosce" lui medesimo mentre scrive.
Solo quando un autore si immedesima cosi' tanto in una sua opera ( e non come un compitino d'esercizio), solo allora, noi siamo sicuri di avere in mano un libro che ci puo' insegnar qualcosa.
Non lo ha scritto , infatti, uno scrittore ma un uomo che cerca quello che e' e quello che noi tutti siamo; ci accomuna a lui in questo viaggio, in questa scoperta; non porta verita' assolute, non porta annunci, proclami, non porta nulla; semplicemente racconta la sua strada e pagina dopo pagina, non sappiamo piu', chi siamo : siamo i lettori, siamo lo scrittore stesso, siamo l'ottomano atrologo, siamo lo schiavo italiano, siamo...
Ma conta ancora qualcosa?
mujer
00martedì 15 maggio 2007 22:16
Ho letto anch'io Il Castello bianco e mi è piaciuto moltissimo.
L'ultimo capitolo è uno dei più bei pezzi scritti io abbia mai letto, tanto bello da aver voglia di rileggerlo.
Il tema del doppio, tema che è valso a Pamuk sia la gloria del nobel che la minaccia degli integralisti (è uno dei pochi turchi ad aver denunciato l'eccidio armeno), è stato narrato con tale intensità da esserne coinvolti, come ben dice Sergio.

La scrittura per me è perfetta così, questo libro non poteva essere scritto altrimenti. Uno stile scuro capace di "confondere" per trovarsi.

Ho anche letto Neve, e in questo la storia è molto più avvincente, se vogliamo.
Lo stile è prettamente narrativo e i personaggi sono caratterizzati in modo eccezionale, soprattutto sono le donne ad esserne protagoniste.
Anche in questo una doppia visione (sia di genere che culturale) che porta a concepire le differenze tra oriente ed occidente, differenze culturali ma non sociali, da quello che lo scrittore vuol rappresentare.
Penso di leggere gli altri suoi.
sergio.T
00mercoledì 16 maggio 2007 08:38
Hai ragione julia, e' un autore che merita una attenta rilettura.
Leggero' anch'io qualcosa d'altro di suo.
mujer
00giovedì 17 maggio 2007 09:50
Ho letto Neve di Pamuk.
Sono felice di averlo fatto per il semplice fatto che, quando leggo libri come questo, trovo modo di provare le mie emozioni preferite.
Molte scaturite dalla storia, qualcuna dal tema e una in particolare dalla poesia presente ma perduta.
E' uno scrittore bravissimo Pamuk, uno dei pochi viventi che sa narrare mantenendo sempre vivo il margine luce/ombra. E lo fa con uno stile tutto suo, diverso da quello che, finora, gli scrittori contemporanei hanno usato per narrare il chiaro/scuro. Vedo una sorta di bassorilievo, un negativo in controluce: Pamuk riesce a vedere l'Occidente dal suo Oriente amandoli e criticandoli entrambi.
Come non comprendere che nei suoi doppi lo schiavo e ll'astrologo
ne Il castello bianco così come Necip e Fazil, Ka e Orhan stesso in Neve c'è tutta la completezza della storia dell'umanità.
La neve che copre, trattiene, silenzia, nasconde ma che scopre, rimanda, segna e libera.
Non c'è differenza tra i due libri (per ora gli unici da me letti): si legge chiaramente, pur con stili completamente diversi, la ricerca di una spiritualità controversa che non si arrende al presente ma che tende allo sguardo del ciò che è stato per non esserlo più, uno specchio (anche in Neve come ne Il castello bianco la consapevolezza passa attraverso il riflettersi, come se Pamuk imitasse Borges per allontanarsi dal suo realismo magico) davanti al quale fermarsi per ritrovare l'altro.
L'emozione, quella particolare legata alla poesia presente ma perduta, è stata struggente.
E' la mancanza, l'assenza dei versi tanto evocati ma mai citati.
E' talmente insistente il senso di vuoto che non puoi che provare l'emozione più forte e a me più cara, la nostalgia.

Ho amato moltissimo le donne in Neve; la loro presenza è fondante, il loro ruolo centrale. E' come se Pamuk avesse voluto rendere loro il protagonismo vitale che, in ogni contesto culturale, incarnano e meritano.
Non cambiano mai le cose, ma sono le donne a tentare una trasformazione che, grazie alle loro scelte, non avverrà.
E' questo che, in fondo, ci dice Pamuk nelle sue storie: le nostre culture sono due donne altere che si attendono al varco e che si dividono lo stesso uomo sperando di cambiarlo ma...



mujer
00lunedì 15 settembre 2008 08:07
Il 1° ottobre esce il nuovo libro di Pamuk.

Altri colori. Vita, arte, libri e città
Genere: Libri Narrativa Straniera
Autore: Orhan Pamuk
Traduzione: Giampiero Bellingeri e Semsa Gezgin
Editore: Einaudi
Anno: 2008
Informazioni: pg. 524
Codice EAN: 9788806194185

Quando un terremoto, alla fine degli anni Novanta, devastò Istanbul causando più di trentamila morti, Pamuk decise di percorrere le strade della sua città per prestare soccorso alle vittime e osservare, con gli occhi dello scrittore, le conseguenze del sisma. Il terremoto è soltanto l'ultimo dei disastri che hanno colpito Istanbul nel corso dei secoli: incendi, assedi, conquiste, invasioni, rivoluzioni sono gli agenti di una distruzione che ciclicamente ridisegna il volto della città.

Eppure camminare tra le macerie, osservare i palazzi sventrati e le vite annientate, vivere in prima persona l'angoscia della prossima apocalittica scossa, conduce Pamuk a una scoperta sorprendente: epoche, popoli e tradizioni (bizantini, greci, armeni, ottomani...) a Istanbul non si sostituiscono ma si sovrappongono come sedimenti geologici, come gli strati successivi di rovine che si accumulano le une sulle altre.

Tocca al romanziere inoltrarsi nelle profondità di questo territorio e opporre all'opera devastatrice del tempo e della storia il gesto riparatore della scrittura. E veramente è un gesto, un movimento: quello di chi scende in strada e diventa testimone oculare, di chi si addentra nella complessità dei fenomeni con la leggerezza e la sensibilità del flâneur e poi torna alla scrivania, armato solo della sua immaginazione, e scrive.

«Ciò di cui ho bisogno non è tanto la letteratura in sé, ma il rimanere solo in una stanza a fantasticare»: in questo bisogno, in questa necessità di sofferta solitudine, di esilio allo stesso tempo desiderato e subìto, si nasconde la fedeltà alla propria vocazione. Così, all'opera distruttrice del tempo e degli uomini, lo scrittore oppone la forza solitaria, disarmata e necessaria della letteratura.

Istanbul è una fonte inesauribile d'ispirazione per Orhan Pamuk, «cosmopolita dalle forti radici», come l'ha definito il «New York Times». Attraversando la città, davanti ai suoi occhi scorrono immagini di eventi tragici come il terremoto del 1999, ma anche quadri della vita di ogni giorno, come un angolo di strada che riassume la bellezza del mondo o un gabbiano immobile sotto la pioggia. Nell'isolamento del suo studio, poi, l'autore riflette sui libri amati, sulla religione, la politica e il ruolo del romanziere, sulla felicità, il risentimento, il ricordo. Questi sono gli «altri colori» con cui Pamuk dipinge lo stesso soggetto dei suoi romanzi: la vita.

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Ho letto in un'intervista di Pamuk su Venerdì di Repubblica che ha lavorato sei anni a questo libro, facendolo leggere a parenti e amici esperti e lavorando all'editing in modo maniacale.
Mi ha piacevolmente sorpreso vedere la sua foto: seduto ad un tavolo largo, con un blocco grande di fogli a righe e una penna nera.
Scrive in corsivo e fitto fitto.
E' bello sapere che c'è ancora chi scrive veramente.

Leggerò questo Altri colori che mi sembra promettente.
sergio.T
00lunedì 15 settembre 2008 11:16
Interessante.
Pamuk mi e' piaciuto subito fin dal Catello bianco.
E poi Neve.

Magari leggero' anche questa sua esperienza di scrittura in Altri colori.

Ma il concetto di scrittura riparatrice...mi lascia perplesso.
sergio.T
00lunedì 28 settembre 2009 10:50
Il mio nome e' rosso.
Preso. [SM=g8950]
sergio.T
00martedì 29 settembre 2009 14:13
Qui, invece sono andato sul sicuro: Pamuk mi piace molto anche se lo ritengo una lettura molto impegnativa.
Dopo Dostoevskji non era il caso di cominciare Il mio nome e' rosso.
sergio.T
00giovedì 8 ottobre 2009 17:00
Il museo dell'innocenza
Narratore elegante e sottile, Orhan Pamuk torna a raccontare la Turchia e Istanbul, la sua amata città, attraverso le storie, le vite e gli amori dei suoi abitanti, perennemente sospesi tra Oriente e Occidente, tra impellente modernità e stringente tradizione. In questo romanzo, il primo dopo il premio Nobel per la Letteratura ricevuto nel 2006, l’autore indaga nelle profondità dell’animo umano con l’abilità dello scrittore di qualità, portando allo scoperto passioni inconfessabili, irrinunciabili e al contempo irraggiungibili.
Il racconto prende il via nei primi anni Settanta, nel pomeriggio di un bel lunedì di maggio, rischiarato dal “cielo tipico delle giornate di primavera a Istanbul”. È in questa cornice che il protagonista, Kemal, scopre il significato più vero della parola felicità, tra le braccia della donna amata, la diciottenne Füsun, lontana cugina. Tra i due si accende una passione al primo incontro dopo molti anni di lontananza, una folgorazione che li travolge e li trascina in un rapporto che si alimenta di un erotismo intenso e coinvolgente. La passione non si spegne nemmeno di fronte ai sensi di colpa, alle convenzioni sociali e ai doveri familiari che attanagliano Kemal: è infatti fidanzato con Sibel, ragazza giovane, elegante e di buona famiglia, per di più colta (“Ha studiato alla Sorbona”, ama ripetere il padre di Kemal). È la fidanzata ideale per uno come lui, anche se “la belva del desiderio ribelle lo divora”, il miraggio di avere l’una e l’altra lo seduce, l’idea di perdere la fidanzata “approdo sicuro” economicamente e socialmente lo spaventa e la prospettiva di una vita senza l’amante gli procura una sofferenza non solo emotiva ma anche fisica. Nel racconto di questo rovello interiore e nella descrizione dell’anatomia della sofferenza amorosa si concentra e si ammira l’abilità del narratore Pamuk, che affonda a piene mani nel labirinto delle emozioni e dei desideri di una vita.
Sullo sfondo di questo intreccio di sensazioni si snodano le tappe della tormentata esistenza di Kemal: il fidanzamento ufficiale con Sibel, la rottura del loro rapporto, il casto riavvicinamento a Füsun e l’entrata nella nuova vita che lei ha saputo crearsi. E poi l’amore per il cinema, l’impegno come produttore cinematografico, i viaggi per il mondo e infine, sconvolgente e certo insospettabile anche per il lettore più smaliziato, una rivelazione, che avrà il potere di trasformare il sogno in realtà e la realtà in un sogno. Felicità è stare accanto alla persona che si ama recitano i pensieri del protagonista e lo stesso autore, Orhan Pamuk si materializza nelle pagine finali di questo romanzo per aiutarlo a raggiungere il suo obiettivo, in un onirico passaggio di consegne, da cui nascerà, un Museo dell’innocenza, monito perpetuo all’amore, che travalica i confini del libro per raggiungere direttamente il cuore dei lettori.
Narratore vibrante e appassionato, Orhan Pamuk, tratteggia con maestria la storia di un’anima sullo sfondo della Turchia degli ultimi trent’anni, regalandoci un romanzo di grande impatto emotivo, malinconico e travolgente, che farà riscoprire il sottile piacere della lettura.

Recensione Indice
sergio.T
00martedì 20 ottobre 2009 09:33
Il mio nome e' rosso.
Romanzo impegnativo, corposo, solido.
In perfetto stile Pamuk.
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