Un grandissimo Ammaniti
«Racconto il comico dell' editoria in un' Apocalisse all' italiana»
Una fotografia deformata della nostra epoca tra palazzinari e satanisti.
L' impegno «Non nutro speranze Persone simili hanno scelto di stare a destra o a sinistra e combattersi» Nel nuovo romanzo « Che la festa cominci» lo scrittore si diverte a prendere in giro tutti. Anche il mondo dei libri, tra autori superficiali, amministratori delegati cinici, astri nascenti. Dove contano più le vendite e il successo della creatività
S crittori di successo e satanisti di periferia, editori cinici e cantanti pop redente, palazzinari, miss Italie e calciatori, chirurghi estetici e chef d' alto bordo. Tutti a villa Ada, tutti protagonisti di un' Apocalisse per soli vip che li travolgerà come un diluvio universale. Con il suo nuovo romanzo, Che la festa cominci (Einaudi Stile libero), Niccolò Ammaniti consegna al lettore una commedia grottesca ed esilarante, una fotografia deformata dell' Italia di oggi che diverte lasciando quel retrogusto amaro che è diventato un po' il suo marchio di fabbrica. Jeans e maglione grigio, nell' ufficio romano della sua casa editrice, Ammaniti racconta la genesi di un romanzo che porta in un' atmosfera completamente diversa rispetto alla cupa marginalità raccontata da Come Dio comanda con cui nel 2007 ha vinto il premio Strega. «Mi interessava scrivere un libro comico, un' avventura. Mi volevo divertire - spiega - . Quando ho scritto Come Dio comanda sentivo che il tema era il riconoscimento tra padre e figlio, il rapporto tra educazione e natura. Qui non c' era un nucleo narrativo forte, c' era soltanto la voglia di giocare con questi personaggi». Che la festa cominci sembra recuperare la freschezza scanzonata dei racconti di Fango: «Come Dio comanda ha richiesto 5 anni di lavoro durante i quali sono caduto in un pozzo scuro perché il mood del libro poi te lo ritrovi addosso. Ero molto provato da questi sentimenti estremi, dalla solitudine del bambino protagonista, dalla violenza, anche psicologica, di quell' ambiente. Ho cominciato questo libro perché mi facevano ridere certe situazioni, certe scene. Inizialmente era divertimento puro, poi le cose si sono complicate: ho capito che per farne un romanzo dovevo dare spessore a personaggi che inizialmente vedevo come un' unica massa comica». La scena di Che la festa cominci si apre al tavolo della pizzeria Jerry 2 dove quattro satanisti di Oriolo Romano, le Belve di Abbadon, studiano le strategie di rilancio della setta decimata da troppe defezioni: chi ha raggiunto i Figli dell' Apocalisse di Pavia, che fanno i raid nei week end, chi gli Hell' s Angels di Subiaco, chi si è sposato e ha aperto un negozio di termoidraulica all' Abetone. Saverio Moneta detto Mantos, il capo della setta, un' idea ce l' ha, qualcosa di molto più forte delle scritte sul viadotto di Anguillara Sabazia o dell' orgia con una vittima consenziente che, oltretutto, non era nemmeno vergine: imbucarsi a villa Ada dove il re delle acque minerali Sasà Chiatti ha organizzato per la meglio società un safari esclusivo con tigri ed elefanti. Qui le Belve di Abbadon dovranno catturare e sacrificare la star della serata, la cantante Larita, ex musa di un gruppo death metal di Chieti Scalo che inneggiava al Maligno, ora convertita e autrice di hit come «King Karol» e «Unplugged in Lourdes». Ai satanisti Ammaniti è arrivato quasi per caso: «Mi interessava raccontare un gruppo di persone normali, che fanno dei lavori qualsiasi, che vivono situazioni claustrofobiche dove non si possono esprimere e che condividono, quasi sempre di nascosto, delle passioni fortissime - racconta -. La mia fonte di ispirazione non è stata tanto la cronaca, le vicende reali delle sette sataniche, ma il mondo dei giochi di ruolo, dei videogiochi, che io stesso ho frequentato a lungo. Mondi dove incontri persone che magari nella vita subiscono e che invece lì tirano fuori un carisma pazzesco, per cui un parcheggiatore può diventare leader di un gruppo di 150 persone. Era questo aspetto che mi sembrava funzionasse dal punto di vista della commedia. Così come il fatto di vedere un gruppo di sbandati dentro un mondo che non gli appartiene, la festa di villa Ada. Poi, andando avanti, ho sentito il bisogno di dare loro anche uno spessore emotivo, di andare oltre le battute e le situazioni farsesche, di mostrare squarci di umanità, di dolore per una vita non riuscita e per le speranze frustrate». A villa Ada i destini delle Belve si incontreranno con quelli di Fabrizio Ciba, l' altro protagonista del racconto, belloccio e vanesio scrittore in giacca di tweed lisa sui gomiti che appare esattamente come vuole apparire: «giovane, tormentato, con la testa fra le nuvole». In lui si può riconoscere (naturalmente attraverso la visione deformata del genere grottesco) una generazione di scrittori italiani quaranta-cinquantenni, a cominciare dallo stesso Ammaniti. Facile andare a cercare corrispondenze con la realtà anche nella descrizione del grande gruppo editoriale, la Martinelli (Mondadori?), che pubblica Ciba ma anche il nuovo talento, Matteo Saporelli (Paolo Giordano?), un «ventiduenne uscito dal nulla che in un solo anno ha vinto Strega Campiello e Viareggio». «Con Ciba mi sono divertito a prendermi in giro, a giocare con gli stereotipi - dice Ammaniti -. Rappresenta un po' il mister Hyde che c' è in me, con quei pensieri che ogni tanto uno ha e che poi trova repellenti, si vergogna di ammettere. Ciba si sente al centro del mondo pur essendo assolutamente insicuro di quello che dice, il contrario di quello che dovrebbe essere uno scrittore. Non è cattivo, è un poveraccio, un disperato. Dall' esterno si può essere portati a pensare che uno scrittore di grande successo faccia una vita fantastica, invece spesso è ansioso, infelice, insoddisfatto. Se metto qualcosa di autobiografico non può che essere il peggio. Il fatto è che non devi essere una brava persona per scrivere un buon libro. Ci sono persone inette, meschine che però quando scrivono hanno la capacità di tirare fuori qualcosa di unico, di grande, una visione del mondo potente». Ammaniti si diverte a raccontare il peggio dell' editoria, un mondo fatto di editor obesi in nota spese, di scrittori che si portano a letto traduttrici, lettrici, studentesse (e anche, nel caso, agenti letterarie), amministratori delegati pronti a buttare a mare l' autore che li ha arricchiti per accaparrarsi il nuovo astro. «È un ritratto comico di un mondo di cui tutti conoscono i limiti. Certo, io ho calcato su quelli, ma penso che tutti ne rideranno, non ci sono attacchi diretti per cui qualcuno possa risentirsi. In realtà poi il mondo dell' editoria normalmente è più triste, meno sfavillante di quello che racconto io. È un mondo fatto di vendite, di pubblicità, di contratti, insomma di tutto tranne che di romanzi e di creatività. E questa è una cosa che ho scoperto sulla mia pelle. Spesso gli scrittori si perdono dentro questo aspetto, pensano solo a quante traduzioni hanno avuto, a quanto ha venduto quell' altro. Poi arriva sempre qualcuno più giovane di te, che ha più successo di te e tu dall' essere invidiato da tutti diventi quello che invidia. Comunque la verità è che nessuno nel libro è veramente cattivo, neppure i mostri che vivono nelle catacombe di villa Ada». Il parco romano è un altro grande protagonista del libro, con il suo fascino selvaggio e pericoloso. «È un posto che frequento fin da quando ero piccolo, dove puoi trovare di tutto. Una volta un terzo di villa Ada era chiuso al pubblico, ma chiuso per modo di dire perché dentro questa foresta fatta di spine, rovi, immondizia dove ti potevi anche perdere c' era gente di tutti i tipi. Anche adesso, in una domenica di sole se prendi certi sentieri ti puoi infilare in zone dove non trovi nessuno». Nessuno è cattivo nel libro di Ammaniti, ma allo stesso tempo nessuno è buono. Tutti galleggiano in una bolla fatta di indifferenza e apparenza, senza ideali e senza sentimenti, al punto che sono proprio i satanisti a incarnare i valori più forti (amicizia, lealtà, affetto). «La satira della nostra società non era il mio primo intento, anche se naturalmente traspare. La situazione italiana è di per se abbastanza comica, nel libro ci sono suoni, echi di cose che abbiamo vissuto anche recentemente. Diciamo che racconto un baraccone plausibile. Però la mia non era un' intenzione morale, non volevo fare il bacchettone». Per questo, forse, nel romanzo di Ammaniti c' è la società italiana con i suoi vizi, ma non la politica. «Racconto un clima da declino dell' impero romano in cui tutto è possibile, anche che tuo figlio ti riprenda con l' amante e poi ti ricatti. Mi sembrava una cosa assurda, appunto da comica, poi viene fuori la storia di Marrazzo ricattato dai carabinieri. Certo, su Marrazzo scriverei un racconto divertentissimo...». Al di là del caso Marrazzo, sulla sinistra Ammaniti non nutre molte speranze: «Mi sembra che faccia soltanto una guerra di opposizione: ogni volta che sussulta la casa ci mette una pezza senza che ci sia il racconto di un mondo diverso. Persone molto simili hanno scelto di stare a destra o a sinistra in una contrapposizione dove non ci sono vie di mezzo. C' è uno scontro continuo, non si può parlare perché uno deve sempre sotterrare l' altro. Poi, per dire, c' è la votazione sullo scudo fiscale e la sinistra non va a votare. E allora dici: ma di che cosa stiamo parlando? Sai che c' è? Forse è meglio che mi faccia i fatti miei, anche se so che non bisogna». Ammaniti non vede una luce alla fine del tunnel, nemmeno con la vittoria di Bersani alle primarie del Pd. «Mi sembra solo un altro giro di carte. Certo c' è chi è più capace, chi meno, ma nessuno riesce a farti vedere qualcosa di diverso, a farti sperare».
Satira Il nuovo libro di Niccolò Ammaniti «Che la festa cominci», è edito da Einaudi Stile libero (pp.330, 18). Ammaniti è nato a Roma nel 1966, ha esordito nel ' 94 con «Branchie» Il tour Reading e presentazioni da Venezia a Orvieto «Che la festa cominci» condurrà Niccolò Ammaniti in varie città italiane con presentazioni e reading (accompagnato da Antonio Manzini). Un tour che comincia il 10 novembre a Firenze e che toccherà Perugia (l' 11), Cuneo (1l 14), Torino (il 15), Genova (il 16 e il 17), Milano (il 18), Pavia (il 19), Varese (il 20), Padova (21), Venezia (23), Mantova (24), Bologna (25), Forlì (26), Faenza (28), Bari (29), Roma (l' 8 e il 17 dicembre), Orvieto (18 dicembre)
Corriere della Sera