N.Ammaniti

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sergio.T
00domenica 13 maggio 2007 12:24
Sei tu il mio tesoro.
Il racconto di Ammaniti in Crimini, raccolta di autori vari, e' qualcosa di assolutamente fantastico.
Scritto a 4 mani con Antonio Manzini, il primo racconto del volume apre questa raccolta nel miglior modo possibile.
La mano e lo stile di Ammaniti sono riconoscibilissimi: il vecchio e classico Ammaniti, per intenderci bene,
quello dell'Ultimo capodanno dell'umanita' e Ti prendo e ti porto via: una miscela pefetta di tragico e comico, il tutto spinto all'inverosimile.
Pag. 27 e' letteralmente illeggibile: si muore dal ridere per l'assurdita' della situazione, l'assurdita' dell'atmosfera, l'assurdita'dei personagggi.
Eppure nonostante il surrealismo spinto all'estremo , tutta la situazione appare del tutto reale e possibile ; solo il talento comico di Ammaniti poteva permettere un dosaggio cosi' calibrato di componenti narrative cosi' disparate tra loro.
So gia' quali sono le critiche rivolte ( per certi versi) a questo autore, ma rimango dell'idea che la sua maestria nel comico " semplice" sia irraggiungibile , in questo momento, da qualsiasi altro autore e scrittore italiano.
L'ho gia' detto una volta: Ammaniti, nel suo genere, e' il piu' grande scrittore italiano.
mujer
00domenica 13 maggio 2007 17:13
Ho preso Fango a Lovere e letto il primo racconto della raccolta, Unico capodanno dell'umanità, che mi è piaciuto molto.
Lo riprenderò per leggere gli altri, pur avendo alcune riserve per Ammaniti che scrive "sui generis" (mettiamola così [SM=g9281] )
sergio.T
00martedì 17 luglio 2007 12:26
Niccolò Ammaniti (Roma, 25 settembre 1966) è uno scrittore italiano.

Il suo primo romanzo, Branchie, è stato pubblicato dalla casa editrice Ediesse nel 1994, per essere poi acquisito dall'Einaudi nel 1997. Il libro racconta la storia paradossale e fantastica di un ragazzo romano malato di tumore che si trova catapultato suo malgrado in India, dove è costretto a vivere una serie di sgradevoli e stravaganti avventure. Dal libro è stato tratto un film omonimo nel 1999, per la regia di Francesco Ranieri Martinotti, che lo ha sceneggiato insieme a Fulvio Ottaviano. Nel film recitavano Gianluca Grignani e Valentina Cervi, ma nonostante l'ingente budget si è rivelato un insuccesso.

Nel 1995 Ammaniti ha pubblicato, insieme al padre Massimo, famoso psicologo, il saggio Nel nome del figlio, edito da Mondadori.

Ha partecipato nel 1996 all'antologia Gioventù Cannibale, curata da Daniele Brolli e pubblicata da Einaudi, con un racconto scritto a quattro mani con Luisa Brancaccio. Quest'opera è stata da molti considerata solo un'operazione commerciale, mentre per altri ha costituito un elemento di rottura nel panorama della letteratura italiana contemporanea.

Sempre nel 1996 pubblica per Mondadori la raccolta Fango, che contiene, tra gli altri, i racconti Vivere e morire al Prenestino e L'ultimo capodanno dell'umanità. Da quest'ultimo è stato tratto nel 1998 un film, L'ultimo capodanno, diretto da Marco Risi, in cui figurano Monica Bellucci, Francesca D'Aloja e Giorgio Tirabassi. Ammaniti ha partecipato insieme al regista alla sceneggiatura. Nello stesso anno Mondadori ha ripubblicato da solo il racconto, con lo stesso titolo del film.

Nel 1999 esce il romanzo Ti prendo e ti porto via (Mondadori). Il libro racconta le vicende di Pietro Moroni e Graziano Biglia, con un notevole intreccio di fatti. Il primo, Pietro, conclusa la seconda media, sa di non potersi aspettare un'estate spensierata; mentre il secondo, Graziano, eterno adolescente e famoso tombeur de femmes, scopre il vero amore in una donna che però non potrà contraccambiarlo. Ammaniti ambienta la storia interamente a Ischiano Scalo, squallidissimo e immaginario paese dell'Italia centrale, dove "il mare c'è ma non si vede", mettendoci davanti alle più inimmaginabili vicende, fatte di casualità così pressanti da diventare colonne portanti della trama del romanzo.

La notorietà a livello nazionale giunge per Ammaniti nel 2001 quando pubblica il romanzo Io non ho paura, diventato nel 2003 un film di Gabriele Salvatores.

Scrive nel 2004 il soggetto per il film Il siero della vanità, diretto da Alex Infascelli.

Nel 2006 esce il ponderoso romanzo Come Dio comanda , edito da Mondadori, accolto con favore dal pubblico, ma che ha diviso la critica.

Dal 17 settembre 2006 Ammaniti è sposato con l'attrice Lorenza Indovina.

Nel 2007 con il suo ultimo romanzo Come Dio comanda vince il premio Strega
mujer
00mercoledì 18 luglio 2007 09:46
Il prossimo libro che leggerò sarà Fango, di cui ho già letto "L'ultimo capodanno dell'umanità" che mi è piaciuto.
Ho criticato molto l'Ammaniti del "Io non ho paura", un libricino pieno di strafalcioni e una scrittura priva di tempra.
Spero di riappacificarmi con il Niccolò leggendo i suoi racconti.
sergio.T
00mercoledì 18 luglio 2007 10:05
tu pensa che gli altri racconti a me piacquero poco, Julia.
Per riappacificarti ( ma non e' un obbligo!!!) io ti consiglio Ti prendo e ti porto via.
Ammaniti rimane buon scrittore quando scrive nel suo modo classico, ovvero, comico e grottesco.
Li' e' impareggiabile; quando invece devia un poco, allora, non ci siamo o per lo meno, a me non piace molto.
sergio.T
00lunedì 15 giugno 2009 09:44
leggendo di teresa mi sono ricordato piu' volte di Graziano Biglia. Nonostante il fatto che tra questi due personaggi, ma anche tra questi due autori, non ci sia la benche' minima somiglianza, leggendo dell'arrabbiatura di teresa, ogni tanto, Biglia facva capolino.
Perche', mi sono chiesto.
Perche' sono personaggi fuori da ogni schema: anzi sono personaggi talmente lontani dal comune sentire, da risultare inevitabilmente impareggiabili e indimenticabili.
In barba ad ogni convenienza sociale ( Biglia) e ad ogni tradizione religiosa ( teresa) questi due tipi incarnano esattamente il modello perfetto dell'individuo sotto certi profili piu' libero di tanti altri.
C'e' una sorta di ribellione in personaggi simili: sono rivoluzionari di un tipo superiore. Legati a pregiudizi o a una forma mentis ben determinata, ognuno di noi cade nel macroscopico errore di pensare che tutti ma proprio tutti, si debba partecipare ad idee e ad impegni sociali di un certo tipo. Risulta impopolare pensare ad un comportamento come quello di Biglia; addirittura blasfemo ( per la tradizione ebraica) quello di Teresa.
Invece Jodorosky e Ammaniti vanno al contrario centrando benissimo il bersaglio: dipingendo personaggi di questa fatta danno voce ad una disubbidienza civile, sociale, educativa, religiosa, che ha un significato ancora piu' profondo. E' la massima liberta' espressa in modo comico e genuino. C'e' persino una sorta di dissacrazione in questi personaggi: criticandoli ( Ammaniti ne fa' persino una caricatura dell'italiano medio) come fossero personaggi stupidi e poco partecipativi, invece, ottengono ( volendo) l'effetto contrario: li innalzono a personaggi unici, forti, incredibili e liberi.
sergio.T
00martedì 16 giugno 2009 10:35
Per altri venti anni e forse qualcosa di piu', in Italia non si scrivera' piu' di un altro Graziano Biglia.
Bisognera' aspettare che nasca un altro Ammaniti, ma si sa, un racconta storie cosi' nasce ogni cinquanta anni.

sergio.T
00martedì 16 giugno 2009 10:41
leggendo quasi con curiosita' alcuni commenti su Ibs a questo romanzo mi sono accorto che qualcuno critica Ammaniti perche' scrive ciliege.
Oppure perche' scrive un bagnoasciuga di memoria mussoliniana.
Ora domando: se uno legge un romanzo di questa portata ( il classico raccontare) e riesce a trovare spunto da queste quisquilie per criticarlo non e' forse il caso che smetta definitivamente di leggere?
Si, perche' molto probabilmente leggere in questo modo ( soffermandosi su singoli vocaboli) non arreca nessun piacere. Piuttosto si fa esercizio di una pedanteria talmente banale e sterile da lasciare attoniti e basiti.
Tra la pedanteria in generale e il gusto dell'ascoltare una storia non c'e' nessuna affinita'.
sergio.T
00martedì 16 giugno 2009 10:48
La classe massificata di lettori commerciali e' composta prevalentemente di modaioli: va di moda Saviano e tutti a leggere Saviano.
Un Saviano rindondante quanto mai ( le prime pagine di Gomorra sono illegibili)
Ma questo non si dice: Saviano e' l'ultima religione della Mondadori e i fedeli devotamente si prostano al suo cospetto.
Poi si prende in mano un altro libro e un congiuntivo sbagliato fa inorridire. Bene, siamo arrivati a questo punto: ci viene dettato qual'e' il Vangelo corrente.

Saviano ha scritto l'ultimo libro. Naturalmente consiste in una raccolta di scritti gia' pubblicati, il cui tema e' facilmente immaginabile. Passeranno secoli e Saviano scrivera' sempre le stesse medesime cose e i lettori commerciali continueranno a prostrarsi devotamente fintanto la Moda ultima Mondadori cosi' vorra'.
E gli altri continueranno a sbagliare congiuntivi o ad usare bagnoasciuga di memoria mussoliniana.
Continuo a preferire i secondi come si continua a preferire il cioccolato con cacao a quello senza cacao come detta la Moda ultima delle normative europee.

sergio.T
00martedì 16 giugno 2009 11:12
La cosa piu' indecorosa di questi tempi bovini e' rappresentata dalla massificazione della letteratura, della lettura ed infine dell'immagine. Inventandosi di sana pianta una raffinatezza del linguaggio di cui in fondo nessuno avvertiva tutta questa necessita' - il racconto orale verteva sul cambiamento di ogni volta che si narrava - si e' determinata la narcosi dello spirito critico. Non si critica piu' cio' che e' osannato e immolato sulla raffinatezza (finta).
Ed ecco allora che per avere un'immagine partecipativa, intellettuale ( quello che non c'e'), sociale, impegnata, guai a dire che un Saviano ( per fare un esempio ma vale per mille altri) e' sopravvalutato all'estremo. Questo non fa tendenza.
Poi se salti fuori a dire che un Ammaniti e' eccelso, arriva sparato come un razzo qualcuno che ti fa notare la tua grossolanita' a non avere visto l'eresia di un congiuntivo sbagliato o di un vocabolo poco consono.
Come hai potuto non accorgerti, ti dicono.

Il fatto e' un altro: Pasolini scrisse su un giornale piu' o meno come Novella duemila curandosi poco, anzi infischiandosene, dell'immagine. La sua cura, la sua attenzione era rivolta a qualcosa d'altro che oggi e' andato irrimediabilmente perduto.

Ecco perche' un Graziano Biglia nella sua semplicita' e' un titano della letteratura italiana moderna.
sergio.T
00martedì 16 giugno 2009 11:18
A volte no a volte si, ma quando dico leggo un Ammaniti o qualcosa d'altro mi si chiede: ah, leggi leggero in questo periodo? ed io: si, e' meglio.
Ma non ne sono convinto.
Leggero sembra che sia diventato un diminutivo.
Ma le cose stanno in modo diverso.


Saramago e' un leggero, potrei arivare a dire questo. Non c'e' nessun spirito di gravita' di pesantezza nei suoi racconti: lo si puo' appunto leggere anche in modo leggero. La sua lettura e' impegnativa , difficile, significativa, ma le sue storie e il suo modo di raccontarele mantengono qualcosa di leggero difficile da descrivere con le parole. Piu' che altro e' una sensazione.
sergio.T
00mercoledì 17 giugno 2009 10:46
L'arrivo di Italo , il bidello, a scuola durante l'atto vandalistico dei quattro ragazzini, da solo merita la lettura di Ti prendo e ti porto via.
Mentre Graziano Biglia e' alle prese con la sciagura piu' grande della sua vita ( e l'affronta a modo suo) Italo se ne piomba in piena notte con una puttana in macchina davanti all'edificio scolastico e preso atto che qualcosa non va' ( la catena al cancello) s'imbestialisce come un bufalo Africano ( Ammaniti dixit) e braccato il fucile va' a caccia dei Sardi!
Si, perche' per Italo ( personaggio straordinario) tutto quello che capita di male nel mondo e' colpa dei Sardi! La straordinarieta' di Ammaniti e' la sua capacita' di rappresentare tragicamente e soprattutto comicamente canoni assolutamente normali della societa'. Raffigura paure, angosce sociali, drammi esitenziali con quella naturalezza che se da un canto ci strappa risate a crepapelle, dall'altro stupisce per il suo assoluto realismo.
L'arrivo di Italo a scuola ne e' un perfetto esempio.
Solo chi da vita ai personaggi in questo modo, non solo li scrive, ma li fa proprio vivere.

sergio.T
00mercoledì 17 giugno 2009 10:49
Scoperto anni fa quasi per caso, Ammaniti e' diventato uno dei miei preferiti tra gli scrittori italiani. Ho gia' scritto piu' volte, che per un certo verso, lo considero il piu' grande in assoluto ora in Italia.

sergio.T
00mercoledì 17 giugno 2009 10:53
Vasco Rossi
Il celebre rocker italiano Vasco Rossi, ha dichiarato in un'intervista a Mtv di aver scritto l'omonima canzone "Ti prendo e ti porto via" ispirato da questo libro, e di aver avuto l'intenzione di trarre un film dallo scritto di Niccolò Ammaniti, con la propria regia. Vasco avrebbe anche indugiato fino all'ultimo sul nome dell'album in cui è contenuta la canzone, perchè era intezionato a intitolarlo proprio "Ti prendo e ti porto via" e non Stupido Hotel, come invece poi ha fatto. In questo album troviamo anche un'altra canzone che può ricordare le vicende del libro, cioè "Standing Ovation", avvicinabile alla vita di Graziano Biglia.

sergio.T
00mercoledì 17 giugno 2009 10:56
Sapere scrivere un romanzo.
Recensione Italialibri.

Ammaniti sa come si scrive un romanzo. Avrà probabilmente letto il saggio di H.Bloom Come si legge un libro, erudito ed affascinante forse più dei romanzi di cui si occupa. E si sarà dato la pena di sbirciare il manuale algebrico-letterario L’officina del racconto di A. Marchese per scoprire la seducente simmetria della schidionata e la magica efficacia stilistica dell’analessi. Si sarà anche posto il problema tormentoso se il Verismo e il Realismo ebbero connotazioni rivoluzionarie per i contenuti e gli oggetti del narrato piuttosto che, invece, per la forma letteraria aderente a una realtà sociale sempre esistita, ma fino ad allora non considerata degna di attenzione artistica.


D’altro canto è probabile che conosca a memoria la storia delle origini del pulp (polpa): il termine anglosassone deriva dai pulp magazines — riviste che negli States venivano stampate su carta economica, ottenuta dal trattamento chimico del legno — che pubblicavano narrativa scontata e popolare, sulla quale si sono esercitati quasi tutti i maestri della letteratura di “genere”. E sarà ben conscio che di “narrativa popolare” si parlò, con malcelata disapprovazione, anche a proposito di autori come Hugo, Balzac, e molti altri geniali letterati (tra i quali l’italiana, premio Nobel, Grazia Deledda).

Di certo, però, Ammaniti ha letto King e lo deve aver molto apprezzato a giudicare dalle frequenti citazioni (volute o accidentali) che s’inanellano nei suoi romanzi e racconti (da Fango a Io non ho paura). Come King infatti, Ammaniti è abilissimo nel creare storie parallele che poi si ricongiungono per comporre il quadro finale, a far entrare i personaggi nel vivo della storia già iniziata, a mescolare azione e pensiero interiore dei protagonisti. Proprio come King mostra una predilezione per i bambini e gli adolescenti, preferibilmente ciclisti (il protagonista di Ti prendo e ti porto via, se non fosse per i riferimenti a Coppi, nella folle cavalcata in sella alla sua bici verso un’impossibile fuga, è il preciso remake del personaggio di un noto romanzo dello statunitense “mago dell’horror”), e su questi si china intenerito, traendoli innocenti e intatti dalla spazzatura quotidiana in cui si trovano immersi loro malgrado. E alla stregua del suo illustre collega americano conosce alla perfezione la forza e la peculiarità dell’orrore quotidiano, che è fatalmente destinato ad avere la meglio su quello, cerebrale e un po’ monotono, frutto della fantasia, fosse anche la più allucinata.

Ti prendo e ti porto via è la storia senza lieto fine di Pietro, figlio “caratteriale” di genitori squallidi e sperduti, ragazzino timido e perseguitato dai compagni teppistelli, il cui destino s’incrocia e si compenetra tragicamente con quello di Graziano Biglia, playboy e frikettone fallito, destinato, per estrema coerenza al proprio personaggio caricaturale, a perdere l’ultima possibilità di redenzione, incarnata dalla professoressa Palmieri, unica ad averlo amato e accettato in tutta la sua desolante spontaneità. Storie di ordinaria periferia, d’amore asfittico e spoetizzato, d’orrore maleodorante e bestiale. La narrazione risulta ben congeniata e avvincente e l’assoluta “assenza di messaggio” al lettore non implica la superficialità dell’intreccio e non esclude l’acutezza dello studio dei caratteri.

L’insieme risulta, alla fine, connotato da una coerenza strutturale quasi perfetta: la descrizione asciutta, la genesi riconoscibile e l’eloquio standardizzato e televisivo dei personaggi, la banalizzazione dell’orrore, che tutto sommerge e tutto, ottusamente, uniforma. Leggendo Ti prendo e ti porto via, non si riesce a comprendere l’affermazione di F.Panzeri che definisce Nicolò Ammaniti uno dei due veri scrittori pulp italiani (con Aldo Nove): Ammaniti infatti, dopo Fango, s’inoltra per una strada che non è più “di genere”, bensì quella dell’immobilizzazione quasi fotografica di una realtà esistenziale diffusa ed epidemica che trova nel linguaggio povero, scontato e spesso scurrile, il veicolo più autentico per affermare se stessa e la posizione di primo piano innegabilmente conquistatasi tra l’accidiosa e rinunciataria civiltà occidentale.

sergio.T
00mercoledì 17 giugno 2009 11:20
Corriere della sera
Grande curiosità intorno al nuovo romanzo che Niccolò Ammaniti ha consegnato a Einaudi Stile libero. Così, mentre allo stand dell' editore si distribuiscono le cartoline di un romanzo in uscita a giugno, Vedi di non morire, l' esordio meglio pagato della storia della narrativa americana, scritto da un medico-scrittore che ha reinventato il romanzo di mafia, a metà tra Tarantino e Doctor House, le indiscrezioni dicono che il nuovo libro di Ammaniti è in dirittura d' arrivo e dovrebbe planare sugli scaffali delle librerie in autunno. Dovrebbe intitolarsi R.S.V.P., acronimo non di «Répondez s' il vous plaît», ma di «Rispondi se vuoi partecipare», dal momento che al centro del libro c' è un grande party a Villa Ada, proprietà di un palazzinaro romano dove, per una strana coincidenza, si incontrano una setta satanista un po' sfigata di Oriolo Romano, uno scrittore molto noto e molto venduto e una cantante. Un libro in cui Ammaniti dà sfogo a una vena comica scatenata per fare a pezzi l' Italia di oggi. Lo sfondo non è più quello della marginalità raccontato in Come Dio comanda, ma entra nel cuore della Roma bene e meno bene.
sergio.T
00venerdì 16 ottobre 2009 11:22
Il 27 Ottobre e' vicino.
Ammaniti rimane l'unico autore italiano che compro a scatola chiusa. Il giorno stesso dell'uscita, se posso, sono in libreria.
Insomma, tutto il contrario di altri, di cui invece, non voglio nemmeno vedere la copertina.
Figuriamoci leggerli.
sergio.T
00martedì 27 ottobre 2009 10:04
Oggi esce l'ultimo di Ammaniti, questo e' l'evento di questo 27 Ottobre.
Ammaniti si compra a scatola chiusa. Inutile domandarsi come sara' il suo libro, e' un Ammaniti e tanto basta.
Rincuora questo ottobre.
Un King, un Vargas, un Ammaniti.
sergio.T
00martedì 27 ottobre 2009 10:17
La quarta di copertina:

Gli ultimi Cavalieri dell’Apocalisse fanno riunioni sataniste in una pizzeria di Oriolo Romano. Uno scrittore di successo da anni non scrive piú una riga. Un palazzinaro si compra dal Comune di Roma un parco pubblico di 170 ettari per farne la sua residenza privata. E organizza la festa esclusiva e imprevista del secolo. Un romanzo spericolato dove Niccolò Ammaniti riunisce tutte le caratteristiche che ne fanno il beniamino di milioni di lettori. Il divertimento piú scatenato insieme all’amore incondizionato per personaggi che non lasceremo piú, fino all’ultima pagina. L’immaginazione anarchica insieme a una lucidità senza scampo che fruga e rivela ogni nostro piú vergognoso segreto.

sergio.T
00martedì 27 ottobre 2009 10:21
se tu hai una serie di libri in attesa sul comodino, se esce Ammaniti, saranno tutti scavalcati.
Succede con pochissimi scrittori: Saramago, MacCarthy, King...e la Vargas.
Generi diversissimi tra loro, ma accomunati da questo insolito destino: sono scavalcatori.
sergio.T
00mercoledì 28 ottobre 2009 10:02
Conosco pochi pochissimi autori in italia - nel caso di Ammaniti diciamo pure scrittori - che si prendono a cuore cosi' fortemente i propri personaggi.
Questo e' un grande pregio.
mujer
00giovedì 29 ottobre 2009 14:39
Preso! [SM=g9931]
sergio.T
00giovedì 29 ottobre 2009 15:00
doppia porca miseriaccia. [SM=g8950]
sergio.T
00domenica 1 novembre 2009 22:37
Pure lui sul comodino.
sergio.T
00giovedì 5 novembre 2009 09:13
Fabrizio Ciba ( caricatura classica degli scrittori italiani di oggi) Saverio, Zombie, Silvietta, Le Belve di Abbedon e tanti altri, stanno dando inizio a qualcosa di perfetto in stile Ammaniti. Non so cosa abbia questo scrittore, non so quale segreto mantenga: so soltanto che ha la capacita' di creare situazioni esiliranti. Una satira profondissima.
mujer
00giovedì 5 novembre 2009 09:19
lo hai iniziato, bene!

vero che King ti ha deluso sul finale? [SM=g9281]
sergio.T
00giovedì 5 novembre 2009 09:19
Come mai un Ammaniti non gironzola su Internet? e poche comparsate in tv? pochissime a dire il vero? si, come mai?
Fabrizio Ciba e' in parte autobiografico ed in parte disegna lo scrittore medio italiano. Proprio quando molti di essi pomposamente rivendicano non so quale letteratura e quale status intellettuale; proprio quando gli altri imperversano in tv, sui giornalini, ad ogni minima occasione di visibilita' oppure scorazzano con blog personali su internet gridando qui' e li', Ammaniti se ne esce bello bello con Fabrizio Ciba caricandolo del peggio del peggio. Non gli concede un minimo di credito e lo definisce un uomo non cattivo ma sicuramente un poveraccio di un disgraziato. Tutto il contrario di quello che dovrebbe essere uno scrittore.
sergio.T
00giovedì 5 novembre 2009 09:27
Un grandissimo Ammaniti
«Racconto il comico dell' editoria in un' Apocalisse all' italiana»
Una fotografia deformata della nostra epoca tra palazzinari e satanisti.
L' impegno «Non nutro speranze Persone simili hanno scelto di stare a destra o a sinistra e combattersi» Nel nuovo romanzo « Che la festa cominci» lo scrittore si diverte a prendere in giro tutti. Anche il mondo dei libri, tra autori superficiali, amministratori delegati cinici, astri nascenti. Dove contano più le vendite e il successo della creatività

S crittori di successo e satanisti di periferia, editori cinici e cantanti pop redente, palazzinari, miss Italie e calciatori, chirurghi estetici e chef d' alto bordo. Tutti a villa Ada, tutti protagonisti di un' Apocalisse per soli vip che li travolgerà come un diluvio universale. Con il suo nuovo romanzo, Che la festa cominci (Einaudi Stile libero), Niccolò Ammaniti consegna al lettore una commedia grottesca ed esilarante, una fotografia deformata dell' Italia di oggi che diverte lasciando quel retrogusto amaro che è diventato un po' il suo marchio di fabbrica. Jeans e maglione grigio, nell' ufficio romano della sua casa editrice, Ammaniti racconta la genesi di un romanzo che porta in un' atmosfera completamente diversa rispetto alla cupa marginalità raccontata da Come Dio comanda con cui nel 2007 ha vinto il premio Strega. «Mi interessava scrivere un libro comico, un' avventura. Mi volevo divertire - spiega - . Quando ho scritto Come Dio comanda sentivo che il tema era il riconoscimento tra padre e figlio, il rapporto tra educazione e natura. Qui non c' era un nucleo narrativo forte, c' era soltanto la voglia di giocare con questi personaggi». Che la festa cominci sembra recuperare la freschezza scanzonata dei racconti di Fango: «Come Dio comanda ha richiesto 5 anni di lavoro durante i quali sono caduto in un pozzo scuro perché il mood del libro poi te lo ritrovi addosso. Ero molto provato da questi sentimenti estremi, dalla solitudine del bambino protagonista, dalla violenza, anche psicologica, di quell' ambiente. Ho cominciato questo libro perché mi facevano ridere certe situazioni, certe scene. Inizialmente era divertimento puro, poi le cose si sono complicate: ho capito che per farne un romanzo dovevo dare spessore a personaggi che inizialmente vedevo come un' unica massa comica». La scena di Che la festa cominci si apre al tavolo della pizzeria Jerry 2 dove quattro satanisti di Oriolo Romano, le Belve di Abbadon, studiano le strategie di rilancio della setta decimata da troppe defezioni: chi ha raggiunto i Figli dell' Apocalisse di Pavia, che fanno i raid nei week end, chi gli Hell' s Angels di Subiaco, chi si è sposato e ha aperto un negozio di termoidraulica all' Abetone. Saverio Moneta detto Mantos, il capo della setta, un' idea ce l' ha, qualcosa di molto più forte delle scritte sul viadotto di Anguillara Sabazia o dell' orgia con una vittima consenziente che, oltretutto, non era nemmeno vergine: imbucarsi a villa Ada dove il re delle acque minerali Sasà Chiatti ha organizzato per la meglio società un safari esclusivo con tigri ed elefanti. Qui le Belve di Abbadon dovranno catturare e sacrificare la star della serata, la cantante Larita, ex musa di un gruppo death metal di Chieti Scalo che inneggiava al Maligno, ora convertita e autrice di hit come «King Karol» e «Unplugged in Lourdes». Ai satanisti Ammaniti è arrivato quasi per caso: «Mi interessava raccontare un gruppo di persone normali, che fanno dei lavori qualsiasi, che vivono situazioni claustrofobiche dove non si possono esprimere e che condividono, quasi sempre di nascosto, delle passioni fortissime - racconta -. La mia fonte di ispirazione non è stata tanto la cronaca, le vicende reali delle sette sataniche, ma il mondo dei giochi di ruolo, dei videogiochi, che io stesso ho frequentato a lungo. Mondi dove incontri persone che magari nella vita subiscono e che invece lì tirano fuori un carisma pazzesco, per cui un parcheggiatore può diventare leader di un gruppo di 150 persone. Era questo aspetto che mi sembrava funzionasse dal punto di vista della commedia. Così come il fatto di vedere un gruppo di sbandati dentro un mondo che non gli appartiene, la festa di villa Ada. Poi, andando avanti, ho sentito il bisogno di dare loro anche uno spessore emotivo, di andare oltre le battute e le situazioni farsesche, di mostrare squarci di umanità, di dolore per una vita non riuscita e per le speranze frustrate». A villa Ada i destini delle Belve si incontreranno con quelli di Fabrizio Ciba, l' altro protagonista del racconto, belloccio e vanesio scrittore in giacca di tweed lisa sui gomiti che appare esattamente come vuole apparire: «giovane, tormentato, con la testa fra le nuvole». In lui si può riconoscere (naturalmente attraverso la visione deformata del genere grottesco) una generazione di scrittori italiani quaranta-cinquantenni, a cominciare dallo stesso Ammaniti. Facile andare a cercare corrispondenze con la realtà anche nella descrizione del grande gruppo editoriale, la Martinelli (Mondadori?), che pubblica Ciba ma anche il nuovo talento, Matteo Saporelli (Paolo Giordano?), un «ventiduenne uscito dal nulla che in un solo anno ha vinto Strega Campiello e Viareggio». «Con Ciba mi sono divertito a prendermi in giro, a giocare con gli stereotipi - dice Ammaniti -. Rappresenta un po' il mister Hyde che c' è in me, con quei pensieri che ogni tanto uno ha e che poi trova repellenti, si vergogna di ammettere. Ciba si sente al centro del mondo pur essendo assolutamente insicuro di quello che dice, il contrario di quello che dovrebbe essere uno scrittore. Non è cattivo, è un poveraccio, un disperato. Dall' esterno si può essere portati a pensare che uno scrittore di grande successo faccia una vita fantastica, invece spesso è ansioso, infelice, insoddisfatto. Se metto qualcosa di autobiografico non può che essere il peggio. Il fatto è che non devi essere una brava persona per scrivere un buon libro. Ci sono persone inette, meschine che però quando scrivono hanno la capacità di tirare fuori qualcosa di unico, di grande, una visione del mondo potente». Ammaniti si diverte a raccontare il peggio dell' editoria, un mondo fatto di editor obesi in nota spese, di scrittori che si portano a letto traduttrici, lettrici, studentesse (e anche, nel caso, agenti letterarie), amministratori delegati pronti a buttare a mare l' autore che li ha arricchiti per accaparrarsi il nuovo astro. «È un ritratto comico di un mondo di cui tutti conoscono i limiti. Certo, io ho calcato su quelli, ma penso che tutti ne rideranno, non ci sono attacchi diretti per cui qualcuno possa risentirsi. In realtà poi il mondo dell' editoria normalmente è più triste, meno sfavillante di quello che racconto io. È un mondo fatto di vendite, di pubblicità, di contratti, insomma di tutto tranne che di romanzi e di creatività. E questa è una cosa che ho scoperto sulla mia pelle. Spesso gli scrittori si perdono dentro questo aspetto, pensano solo a quante traduzioni hanno avuto, a quanto ha venduto quell' altro. Poi arriva sempre qualcuno più giovane di te, che ha più successo di te e tu dall' essere invidiato da tutti diventi quello che invidia. Comunque la verità è che nessuno nel libro è veramente cattivo, neppure i mostri che vivono nelle catacombe di villa Ada». Il parco romano è un altro grande protagonista del libro, con il suo fascino selvaggio e pericoloso. «È un posto che frequento fin da quando ero piccolo, dove puoi trovare di tutto. Una volta un terzo di villa Ada era chiuso al pubblico, ma chiuso per modo di dire perché dentro questa foresta fatta di spine, rovi, immondizia dove ti potevi anche perdere c' era gente di tutti i tipi. Anche adesso, in una domenica di sole se prendi certi sentieri ti puoi infilare in zone dove non trovi nessuno». Nessuno è cattivo nel libro di Ammaniti, ma allo stesso tempo nessuno è buono. Tutti galleggiano in una bolla fatta di indifferenza e apparenza, senza ideali e senza sentimenti, al punto che sono proprio i satanisti a incarnare i valori più forti (amicizia, lealtà, affetto). «La satira della nostra società non era il mio primo intento, anche se naturalmente traspare. La situazione italiana è di per se abbastanza comica, nel libro ci sono suoni, echi di cose che abbiamo vissuto anche recentemente. Diciamo che racconto un baraccone plausibile. Però la mia non era un' intenzione morale, non volevo fare il bacchettone». Per questo, forse, nel romanzo di Ammaniti c' è la società italiana con i suoi vizi, ma non la politica. «Racconto un clima da declino dell' impero romano in cui tutto è possibile, anche che tuo figlio ti riprenda con l' amante e poi ti ricatti. Mi sembrava una cosa assurda, appunto da comica, poi viene fuori la storia di Marrazzo ricattato dai carabinieri. Certo, su Marrazzo scriverei un racconto divertentissimo...». Al di là del caso Marrazzo, sulla sinistra Ammaniti non nutre molte speranze: «Mi sembra che faccia soltanto una guerra di opposizione: ogni volta che sussulta la casa ci mette una pezza senza che ci sia il racconto di un mondo diverso. Persone molto simili hanno scelto di stare a destra o a sinistra in una contrapposizione dove non ci sono vie di mezzo. C' è uno scontro continuo, non si può parlare perché uno deve sempre sotterrare l' altro. Poi, per dire, c' è la votazione sullo scudo fiscale e la sinistra non va a votare. E allora dici: ma di che cosa stiamo parlando? Sai che c' è? Forse è meglio che mi faccia i fatti miei, anche se so che non bisogna». Ammaniti non vede una luce alla fine del tunnel, nemmeno con la vittoria di Bersani alle primarie del Pd. «Mi sembra solo un altro giro di carte. Certo c' è chi è più capace, chi meno, ma nessuno riesce a farti vedere qualcosa di diverso, a farti sperare».
Satira Il nuovo libro di Niccolò Ammaniti «Che la festa cominci», è edito da Einaudi Stile libero (pp.330, 18). Ammaniti è nato a Roma nel 1966, ha esordito nel ' 94 con «Branchie» Il tour Reading e presentazioni da Venezia a Orvieto «Che la festa cominci» condurrà Niccolò Ammaniti in varie città italiane con presentazioni e reading (accompagnato da Antonio Manzini). Un tour che comincia il 10 novembre a Firenze e che toccherà Perugia (l' 11), Cuneo (1l 14), Torino (il 15), Genova (il 16 e il 17), Milano (il 18), Pavia (il 19), Varese (il 20), Padova (21), Venezia (23), Mantova (24), Bologna (25), Forlì (26), Faenza (28), Bari (29), Roma (l' 8 e il 17 dicembre), Orvieto (18 dicembre)
Corriere della Sera

sergio.T
00giovedì 5 novembre 2009 10:21
Fabrizio Ciba scrittore italiano
L' Italia del basso impero è un romanzo
Repubblica

LO SCRITTORE Fabrizio Ciba era fermo al semaforo all' incrocio della Salaria con viale Regina Margherita in sella alla sua vespa che sputacchiava fumo scuro. Era riuscito a recuperarla e rimetterla in moto. Gli inchiodarono accanto, sopra uno scooter, due adolescenti con le chiappe e le mutande che spuntavano dai jeans a vita bassa. L' osservarono un istante, squittirono eccitate e poi quella di dietro gli domandò: - Scusa? Ma sei Ciba? Lo scrittore della televisione? Fabrizio sfoderò la sua espressione ironica mettendo in mostra la dentatura sbiancata. - Sì, ma non ditelo a nessuno. Sono in missione segreta. La biondina gli chiese: - Ma che vai alla festa a Villa Ada? Lo scrittore fece spallucce come a dire: «Mi tocca». L' altra ragazzina masticando la gomma gli domandò: - Non è che ci puoi imbucare? Ti prego... Ti prego... Ti scongiuro... Ci sono tutti... - Magari, ma mi sa proprio che non si può. Mi divertirei molto di più se ci foste pure voi. Il semaforo divenne verde. Lo scrittore ingranò la prima e la vespa scattò. Per un secondo Ciba si vide riflesso nella vetrina di una boutique. Per l' occasione si era messo un paio di pantaloni di tela marrone chiaro, una camicia oxford azzurrina, una cravatta Cambridge blu lisa che era appartenuta a suo nonno e una giacca di cotone madras a tre bottoni di J. Crew, a righine bianche e grigie. Il tutto rigorosamente stropicciato. Più avanzava verso Villa Ada e più il traffico aumentava. Drappelli di vigili cercavano di deviarlo su via Chiana e via Panama. In alto ronzava un elicottero dei Carabinieri. Sui marciapiedi ai lati della strada la folla si accalcava, dietro le transenne controllate da celerini in tenuta antisommossa. Molti erano giovani dissidenti dei centri sociali che manifestavano contro la privatizzazione di Villa Ada. Dai balconi pendevano degli striscioni. Uno lunghissimo diceva: Chiatti mafioso! ridacci il nostro parco! Un altro: giunta comunale manica di ladri! E poi: Villa Ada torni ai romani! Fabrizio decise di parcheggiare la vespa e di riflettere su un aspetto che non aveva considerato. Partecipando alla festa di Chiatti la sua immagine pubblica di intellettuale impegnato ne avrebbe risentito negativamente. Lui era uno scrittore di sinistra. Aveva aperto il congresso nazionale del Pd, chiedendo un impegno urgente per la cultura italiana oramai agonizzante. Non si era mai tirato indietro da una presentazione al Leoncavallo o al Brancaleone. Sono ancora in tempo a tornarmene a casa, nessuno mi ha visto... - A frocione! Fabrizio si girò. Paolo Bocchi alla guida di una Porsche Cayenne gli si fermò accanto. E no! - Scritto' , lascia ' sto catorcio e sali in macchina, va' ! Fai un ingresso come si deve. - Vai vai, ho una telefonata di lavoro, ci vediamo dentro, - mentì Fabrizio. Il chirurgo indicò un gruppo di ragazzotti con la kefiah. - Ma che vogliono ' sti scassacazzi? - E partì strombazzando. Che fare? Se bisognava andarsene era meglio farlo in fretta. Fotografie troupe televisive si aggiravano famelici alla ricerca degli invitati. Mentre osservava i ragazzi dei centri sociali che urlavano ai poliziotti: «Siete merde e merde resterete», a Fabrizio tornò in mente una cosa che ogni tanto inspiegabilmente si scordava: Io sono uno scrittore. Io racconto la vita. Come ho denunciato l' abbattimento delle foreste millenarie finlandesi, posso sputtanare ' sta banda di arricchiti e mafiosi. Un bell' articolo tosto in cultura di "Repubblica" e li sistemo tutti. Io sono diverso. Si osservò il vestito stropicciato. A me non mi comprate! Io vi faccio il culo! Rimontò sulla vespa, ingranò la prima e affrontò la folla. La composizione degli spettatori dietro le transenne stava cambiando. Ora c' erano più ragazzine e famiglie intere coi cellulari, che presero a fotografarlo e a urlargli di fermarsi. Finalmente arrivò al varco presidiato da una ventina di hostess e un drappello di guardie private. Una ragazza bionda fasciata in un tailleur attillato gli si fece incontro. - Buon giorno, felice di averla con noi. Non eravamo certi della sua presenza, lei non ha confermato. Fabrizio si sfilò i Ray-Ban e la guardò. - Ha ragione, sono terribilmente colpevole. Come posso farmi perdonare? La ragazza sorrise. - Lei non ha niente da farsi perdonare... basta che mi dia il suo invito -. E protese la mano verso lo scrittore. Fabrizio prese la busta. Dentro, oltre all' invito, c' era una tessera magnetica. La consegnò alla hostess, che la strisciò su un lettore. Tutto a posto dottor Ciba. La vespa le conviene parcheggiarla qui a sinistra e farsi la passerella a piedi. Buon divertimento. - Grazie, - rispose lo scrittore e inserì la prima. Girò a sinistra oltre il tappeto rosso che portava all' ingresso, verso uno spiazzo dove erano parcheggiate Bmw, Mercedes, Hummer, Ferrari. Mise la vespa sul cavalletto, si tolse il casco e si ravviò la chioma con le mani. Mentre si dava un' occhiata di controllo allo specchietto, dalle transenne sentì un urlo strozzato: - A falsoooo! - Non ebbe neanche il tempo di capire cosa stesse succedendo che qualcosa di pesante lo colpì sulla spalla sinistra. Pensò per un attimo chei Black Bloc avessero lanciato una gragnola di sampietrini. Sbiancò e arretrò terrorizzatoe si acquattò dietro un Suv. Poi ingoiando aria si guardò la spalla offesa. Un arancino siciliano, ripieno di riso e piselli, gli era esploso sulla giacca e colava lentamente sul petto lasciando una bava oleosa di mozzarellae sugo bollente. Fabrizio si strappò dalla spalla l' arancino come fosse una sanguisuga infetta e lo scagliò a terra. Offeso, deriso e umiliato si girò verso la folla. Tre uomini in giacca e cravatta con i capelli ricci e la barba lo guardavano con odio, neanche fosse Mussolini (arrestato tra l' altro proprio a Villa Ada). Lo indicavano con le braccia tese e gli urlavano in coro: - Ciba bastardo! Devi morire! Sei un venduto - . Lo scrittore riuscì a schivare per un pelo un bicchierone da un litro di CocaCola che esplose sul muso del Suv. Giulio Einaudi editore - NICCOLÒ AMMANITI
sergio.T
00giovedì 5 novembre 2009 10:25
NICCOLò AMMANITI
Pavia h. 21.15

Pavia (PV). In occasione dell'uscita del libro Che la festa cominci, reading dell'autore con Antonio Manzini presso il Collegio Nuovo (via Abbiategrasso 404) alle ore 21.15.
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