Memorie del terzo Reich

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sergio.T
00venerdì 28 novembre 2008 14:07
ALbert Speer

Nonostante in gioventù volesse dedicarsi alla matematica, finì per seguire le orme paterne e del nonno, ed intraprese gli studi di architettura. Studiò sotto la guida di Heinrich Tessenow all'Istituto di Tecnologia di Berlino, diventandone anche l'assistente. Dopo il completamento degli studi, nel 1931, sposò Margarete Weber.

Il primo dei suoi sei figli, nato nel 1934, porta il nome del padre; Albert Speer junior è anch'egli architetto. È stato responsabile del progetto dell'Expo 2000, l'Esposizione mondiale svoltasi ad Hannover, ed ha anche disegnato la "Città Internazionale dell'Automobile" di Shanghai.

Nel 1931 Speer venne persuaso da alcuni suoi studenti a partecipare ad una manifestazione del Partito Nazista. Affascinato dalle parole di Adolf Hitler, nel giro di poche settimane entrò a far parte del partito nazionalsocialista.

Il suo primo lavoro in qualità di membro del partito arrivò nel 1933, quando Joseph Goebbels gli chiese di rinnovare il Ministero della Propaganda. Goebbels rimase impressionato dalla velocità e dalla qualità del suo lavoro, e lo raccomandò a Hitler, che lo incaricò di aiutare Paul Troost a ristrutturare la Cancelleria di Berlino. L'opera più ragguardevole di Speer nell'ambito di quest'incarico fu la progettazione della famosa balconata.


Architetto per il Fuhrer [modifica]
Alla morte di Troost, nel 1934, Speer venne scelto per sostituirlo come architetto capo del Partito. Una delle sue prime commesse dopo la promozione divenne uno dei suoi lavori più noti: l'allestimento del raduno di Norimberga, filmato nel capolavoro della propaganda nazista Il trionfo della volontà diretto da Leni Riefenstahl. L'ambientazione era basata su una scenografia in stile dorico che riprendeva l'altare di Pergamo in Turchia, ingrandita su una scala enorme, capace di contenere 240.000 persone. Speer fece poi circondare l'immenso campo di parata da 130 riflettori da contraerea. L'accorgimento creò l'effetto di una "cattedrale di luce", secondo le parole dell'ambasciatore britannico Sir Neville Henderson. Norimberga sarebbe dovuta diventare la sede di numerosi palazzi ufficiali del nazismo, molti dei quali non vennero mai realizzati (ad esempio lo Stadio Tedesco, che avrebbe dovuto contenere 400.000 spettatori ed essere la sede dei "Giochi Ariani" in sostituzione dei Giochi olimpici).

Nella progettazione dei monumentali edifici di Regime, Speer sostenne la teoria del "valore delle rovine". Secondo la teoria, entusiasticamente accolta da Hitler, tutti i nuovi edifici sarebbero stati costruiti in modo tale da lasciare rovine grandiose per migliaia di anni a venire, che avrebbero testimoniato la grandezza del Terzo Reich alle generazioni future, come le rovine dell'Antica Grecia o dell'Impero Romano.

Nel 1937 Speer disegnò il padiglione tedesco per l'Esposizione Mondiale di Parigi, pensato per rappresentare una massiccia difesa contro i massacri del comunismo, e posto sul lato della strada direttamente di fronte al padiglione Sovietico. È da notare che entrambi i padiglioni vennero premiati per il loro design con la medaglia d'oro.

Speer venne anche incaricato di progettare la ricostruzione e la riqualificazione urbanistica di Berlino, la futura Germania, capitale dello stato millenario pangermanico. Il primo passo di questo piano fu la costruzione dello Stadio Olimpico per le Olimpiadi del 1936. Speer progettò anche una nuova Cancelleria, che comprendeva un vasto salone lungo il doppio della Sala degli specchi del Palazzo di Versailles. Hitler volle che egli disegnasse una terza e ancor più grande Cancelleria, che però non venne mai realizzata. La seconda Cancelleria fu distrutta dall'Armata Rossa nel 1945.

Quasi nessuno degli edifici progettati per la nuova Berlino fu costruito. La città avrebbe dovuto essere riorganizzata intorno ad un asse portante largo 120 metri e della lunghezza di 5 chilometri. All'estremità nord, Speer pianificò la costruzione di un enorme edificio a cupola, che richiamava la Basilica di San Pietro di Roma. La cupola dell'edificio doveva essere maestosa, alta oltre 200 metri e con un diametro di circa 250 (tre volte la cupola di San Pietro). Sulla sommità della costruzione avrebbe capeggiato un'aquila dorata che stringe fra gli artigli la croce uncinata (poi sostituita da Hitler con il globo terrestre). All'estremità meridionale dell'immenso viale avrebbe dovuto essere edificato un arco, sul modello dell'Arco di Trionfo di Parigi, ma anche in questo caso molto più grande (almeno 120 metri in altezza), tanto che l'arco parigino avrebbe potuto trovare posto sotto di esso. Sulla superficie in granito di questo grande arco dovevano essere incisi i nomi di tutti i caduti tedeschi nel primo conflitto mondiale. Lo scoppio della seconda guerra mondiale nel 1939 portò all'abbandono di questi progetti.

Hitler aveva un debole per il giovane e aitante Speer, i cui progetti «monumentali» considerava espressione dei principi nazionalsocialisti. Hitler, che in gioventù aveva avuto velleità di artista (tanto da trasferirsi a Vienna per iscriversi all'Accademia di Belle Arti) e che nel profondo si sentiva ancora tale, vide in Speer la personificazione delle proprie ambizioni, nonché un giovane e fedele esecutore che avrebbe potuto portare avanti, dopo la sua morte, i grandi progetti edilizi per rendere «immortale» il ricordo del «grande reich tedesco nazionalsocialista».

Nel 1942, dopo la morte di Fritz Todt avvenuta in un misterioso incidente aereo, Hitler sorprendentemente nominò Speer, che non aveva alcuna esperienza in materia di produzione industriale, "ministro agli armamenti e alla produzione bellica".

Nonostante le difficoltà e la novità dell'incarico, Speer lavorò alacremente per migliorare l'industria bellica e per fronteggiare la riparazione degli impianti danneggiati dai sempre più frequenti bombardamenti alleati. Speer ottenne ottimi risultati raggiungendo l'apice della produzione tedesca nel 1944, quando la situazione militare ed economica della Germania era già decisamente critica. Per arrivare a questi traguardi Speer si circondò di un gruppo di giovani manager, limitando al massimo l'apparato burocratico. Per velocizzare le decisioni fece leva in più occasioni sul particolare rapporto che lo legava ad Hitler, sfruttando inoltre la manodopera a costo zero fornita dagli internati richiusi nei campi di concentramento. Secondo le sue parole di giustificazione dopo la guerra, quest'ultima scelta fu dettata, più che da motivi ideologici, dall'inconsapevolezza riguardo alle reali condizioni degli internati, e dalla necessità di trovare nuovi lavoratori, man mano che le perdite dell'esercito tedesco rendevano necessario il reclutamento militare di un sempre maggior numero di giovani lavoratori tedeschi.

Nonostante questi atti, che portarono Speer ad essere processato a Norimberga insieme agli altri gerarchi nazisti, egli fu uno dei pochi leader ad opporsi alla deriva folle e ossessiva di Hitler. Nel 1945 Speer si rifiutò di portare avanti la strategia della «terra bruciata», che si proponeva di distruggere completamente tutto ciò che si trovava nei territori tedeschi che sarebbero caduti in mano al nemico. Speer, ben cosciente che la guerra era ormai perduta, non eseguì gli ordini impartiti da Hitler, nella consapevolezza che il popolo tedesco sconfitto avrebbe avuto bisogno di un minimo di infrastrutture per potersi risollevare dal baratro nel quale stava precipitando.

Nella situazione tesa e drammatica dell'ultima fase della guerra, Speer pensò addirittura di assassinare il Führer, immettendo gas nervino negli impianti di aerazione del bunker sotto la Cancelleria di Berlino (che lui stesso aveva progettato). Ciò nonostante, nei giorni che anticiparono il suicidio di Hitler, Speer si riavvicinò a lui, ed in un drammatico incontro avvenuto nel bunker stesso confessò di aver sabotato gli ordini del Führer. Hitler, ormai convinto dell'imminente fine, non volle effettuare ritorsioni contro di lui, e Speer poté lasciare, da vivo, il bunker, riparando pochi giorni dopo a Flensburg, dove si era stabilito il nuovo ed effimero governo del grandammiraglio Karl Dönitz, successore nominato da Hitler.


Nel dopoguerra [modifica]
Speer fu arrestato dalle forze alleate a Flensburg subito dopo il termine del conflitto, e processato a Norimberga con l'accusa di aver utilizzato manodopera in condizioni di schiavitù per mandare avanti l'industria bellica tedesca. Speer si distaccò dalla maggior parte dei gerarchi nazisti sotto processo, dichiarandosi colpevole delle accuse a lui rivolte, anche nella speranza che la colpa dei crimini nazisti ricadesse solo sul ristretto gruppo che aveva condotto la guerra. Il suo atteggiamento fu premiato e venne condannato a 20 anni di reclusione, da scontarsi nel carcere di Spandau, a Berlino Ovest.

Il suo rilascio, avvenuto nel 1966, fu un evento mediatico mondiale. Tornato in libertà, pubblicò alcuni libri autobiografici e condusse una vita piuttosto ritirata fino alla morte, che avvenne a Londra il 1° settembre 1981, esattamente 42 anni dopo l'inizio della seconda guerra mondiale.

I suoi libri, il più famoso dei quali è Memorie del Terzo Reich (tradotto in numerose lingue), forniscono uno sguardo unico e personale sulle principali figure dell'era nazista. Tuttavia, parte della critica ritene che nei suoi libri Speer minimizzi il proprio ruolo personale nelle atrocità di quel periodo.
mujer
00venerdì 28 novembre 2008 14:19
vuol dire che hai deciso di leggere questo?

con questo freddo?
sergio.T
00venerdì 28 novembre 2008 14:35
si, ho deciso di leggerlo.
Erano anni che lo avevo in casa e mai ho avuto l'occasione o l'ispirazione di leggerlo.
Oggi e' venuta.
Quando non sai quale romanzo scegliere, allora buttati sulla storia. [SM=g8431]
sergio.T
00venerdì 28 novembre 2008 14:38
E' la gracilita' adolescenziale ad avere irrobustito il mio carattere.
Da grande, sotto la pressione di quegli anni di guerra, fu il ricordo di quando ero bambino e di quanto mi prendevano in giro per la mia magrezza, a far si , che tirassi avanti.

Speer
Memorie del terzo Reich.
sergio.T
00venerdì 28 novembre 2008 14:41
Puo' darsi che i miei ricordi siano soltanto miei: molti dicono che la mia interpretazione storica e' personale, come e' personale la ricostruzione di certe cose.
Sara' vero, ma io a differenza di altri, in quei momenti c'ero, e duqnue i ricordi sono solo i miei.
Come li ho vissuti.

Speer
Memorie del terzo Reich.
sergio.T
00venerdì 28 novembre 2008 14:44
Non fu il processo di Norimberga a condannare le mie colpe.
Dopo venti anni di prigionia , quando uscii, la mia condanna era finita.
Ma non la mia pena.
La pena di una fotografia che mai piu' dimentichero': una famiglia ebra, madre, padre e due figli, che camminavano verso il non ritorno.
Quella foto sara' mia per tutta la vita.

Speer

Memorie del terzo Reich.
sergio.T
00lunedì 1 dicembre 2008 11:27
Sono i Greci, o i Dori, gli avi della concezione archittetonica nazista.
E guarda caso, i Romani, il modello della concezione imperiale, sia nella struttura , sia nella celebrazione dei trionfi.

Speer, architetto e gerarca numero due del regime nazista ( divenne Ministro degli armamenti) ha una visione archietettonoca d'insieme: il rifacimento di Berlino seguiva direttive urbanistiche e sociali gia' avanzate e avveneristiche per quei tempi.
Hitler, invece, si limitava alla circoscrizione di quello che piu' lo esaltava: la magnificenza.
Strano come uno dei peggiori dittatori della storia amasse l'architettura.
Speer racconta che molte volte, di sera, quando s'incontravano le sfere alte del nazismo in cene nelle residenze di Hitler, quest'ultimo molto spesso si annoiava di cose serie e impegnate. Preferiva la leggerezza di una discussione senza impegno, senza troppe pretese, ma appena qualcuno parlava di progetti o di architettura, drizzava le orecchie, si destava e non la finiva piu' di parlare fino alle due di notte.

sergio.T
00lunedì 1 dicembre 2008 11:33
Una cosa molto interessante. La mania del semplice, concetto chiarissimo ai nazisti.
E' un concetto che non solo interessa la sfera filosofica esistenziale ( Tesserew a proposito ha scritto un bellissimo pezzo sull'uomo semplice che pur dovra' venire, un contadino) ma interessa persino gli aspetti piu' pratici della vita quotidiana.
La raffigurazione cinematografica delle cene orgiastiche naziste, appartiene probabilmente o alla degnerazione dello stesso, o a una fantasia da regista .
In realta' i gerarchi nazisti erano ligi a una maniacale semplicita' di tavola: minestra, verdura, e vino di basso prezzo.
Quando le sfere alte si riunivano, il menu' era severissimo. Lo era talmente tanto che , in alcuni casi, gli stessi gerarchi erano disperati per essere stati invitati. Qualcuno arrivo' al punto di bigiare. [SM=g8455]
sergio.T
00lunedì 1 dicembre 2008 11:45
Gorin e Goebbels furono fino all'ultimo contrari alla guerra. Speer lo afferma con decisione.
Fin dall'invasione della Polonia, i due gerarchi dichiararono , nemmeno a voce bassa, che la guerra era un errore e comunque lo era nella misura nella quale non prendeva in considerazione alcuni aspetti politici.

E cosi' per la Campagna di Russia: dissero che era uno sbaglio.
Fu l'onnipotenza di Hitler a condurre su binari sbagliati alcune delle decisioni strategiche piu' importanti.

Gouderian, uno dei generali piu' bravi dell'esercito ( quello per intenderci che una volta scese a spingere il proprio carro armato con i propri soldati in mezzo al fango) diceva che a Berlino poco capivano di guerra.

Speer che responsabilita' ha in tutto questo? Direi nessuna.
Speer era l'architetto. Ad appena 28 anni si ritrovo' architetto dei progetti piu' grandiosi della Germania. Dotato di buon talento e buon intuito, si ritrovo' quasi per caso nelle grazie sia di Hitler sia della sfera dirigenziale.
In seguito fu nominato Ministro degli Armamenti grazie alle sue capacita' organizzative: era l'organizzazione, infatti, uno dei segreti piu' concreti del successo nazista in guerra ( 1939/42).
Piu' volte fece il miracolo di raddoppiare la produzione sia bellica sia sociale nell'industria tedesca.



sergio.T
00lunedì 1 dicembre 2008 12:02
Gli aspetti di HitleR sconosciuti.

Speer frequentandolo moltissime volte, quasi tutti i giorni, ne individuo' alcuni davvero inspiegabili.

Il modo di ridere.
Ad esempio amava tantissimo le barzellette: piu' ne raccontavano e piu' si divertiva fino a piegarsi letteralmente in due dal ridere.

La convinzione di morire giovane.
Hitler era qualcosa di piu' di un ipocondriaco. Era un maniaco della certezza di morire giovane.
Lo stomaco non funziono' mai benissimo fin da giovane e allora si sottopose alle diete piu' inverosimili. Arrivo' al punto di dire: non digerisco nemmeno la minestrina! ma che razza di minestra preparano oggi in Germania?!

I lunghi silenzi.
Davanti alla vista delle montagne di solito taceva a lungo. Sguardo fisso alle vette , si estraniava da tutti coloro che lo circondavano.

Memoria.
Mostruosa. Di dati tecnici, di notizie, di date, di tutto quello che lo interessava

Soggezione.
Dittatore davanti a tutto e a tutti, apriva una parentesi di timidezza davanti a gi esperti.
Ad esempio: se si parlva di chimica lui pensava di essere un genio e lo diceva al proprio staff. Allora fecero in questo modo: Speer quando andava a cena da Fhurer si portava dietro uno specialista dell'argomento previsto come oggetto della discussione. Se era la chimica, un chimico, se era la matematica un matematico e via cosi'.
A questo punto Hitler si imbambolava: stava in silenzio, si costringeva ad ascoltare e si tratteneva ( a fatica) dal dire la sua. Alla fine costretto dalle circostanze dava ragione al suo interlocutore. Caso rarissimo.

Donne: con quello che ho da fare nella storia, non ho nemmeno il tempo di sposarmi! [SM=g8455]

Collera. O non s'incazzava per niente ( davanti a certi errori grossolani taceva persino) o per un nonnulla, si scatenava in furibonde tirate.
Speer osserva: e' vero che s'incazzava di brutto, ma il piu' delle volte l'autocontrollo lo aiutava. Si tratteneva. In tutta la mia vita l'ho visto solo due tre volte perdere il controllo e allora non capiva piu' nemmeno chi era. Rimane il sospetto, dice Speer, che comunque anche arrabbiato gli piacesse recitare una collera superiore a quella realmente provata.

Mania di onnipotenza: il tratto piu' grave e morboso. Un malato di mente, probabilmente schizofrenico, che non si puo' riassumere come un semplice anedotto, ma meriterebbe un discorso a parte.

sergio.T
00martedì 2 dicembre 2008 09:19
Paul Goebbels
Joseph Paul Goebbels nacque il 29 ottobre 1897 a Rheydt, quartiere della città di Mönchengladbach ed importante centro dell'industria tessile della Renania che all'epoca contava circa trentamila abitanti, figlio di Fritz, capo operaio di una fabbrica tessile del luogo, e di Maria Katharina Odenhausen, figlia di un fabbro.

La sua infanzia fu segnata da una grave malattia: l'osteomielite (infiammazione del midollo osseo), o secondo altre fonti una forma di paralisi infantile, che lo colpì a sette anni, attorno al 1904. Un'operazione chirurgica al femore sinistro non riuscì, tanto che la gamba sinistra rimase per sempre rattrappita e più corta dell'altra. A causa di questo difetto, che lo costrinse a camminare zoppicando vistosamente per il resto della propria vita, Goebbels non poté prendere parte alla Prima guerra mondiale rimanendo così privato di un'esperienza che sembrava, almeno in un primo momento, tanto gloriosa ai giovani della sua generazione. Questa forma di invalidità non gli impedì tuttavia di continuare con profitto gli studi; entrambi i genitori erano cattolici devoti, tanto che, ironia della sorte, il futuro ministro nazista della propaganda dovette in massima parte ai cattolici la propria formazione durante gli anni della gioventù.

Dopo essere passato successivamente attraverso otto università, il giovane Goebbels si laureò nel 1922 in filosofia presso l'Università di Heidelberg. Nel giugno dello stesso anno udì parlare Adolf Hitler per la prima volta e, sedotto dalla veemente oratoria del capo nazista, si convertì alle sue idee e si iscrisse al partito nazista.

Nel 1925 Gregor Strasser, deputato nazista eletto già nel 1924 alla Dieta bavarese e poi al Reichstag - cui Hitler aveva affidato il compito di riorganizzare il partito nel nord -, lo udì parlare per la prima volta, e gli offrì il posto di suo segretario personale, posto che era stato fino a quel momento occupato da Heinrich Himmler.

Nella lotta svoltasi all'interno del NSDAP che vide contrapposto Hitler all'ala proletaria e radicaleggiante del partito, Goebbels si schierò inizialmente a favore dei fratelli Strasser e di quest'ultima, facendo proprie molte delle idee dei principali avversari interni del Führer.

Nell'autunno 1925 Goebbels fu in prima linea al fianco di Strasser nel sostenere la campagna per l'espropriazione dei beni dei nobili decaduti, proposta dai deputati comunisti e socialdemocratici: nel novembre 1925 l'assemblea dei capi nazisti dei distretti settentrionali, capeggiata dai fratelli Strasser e dallo stesso Goebbels, scelse ufficialmente di seguire questa linea, ma il 14 febbraio 1926 Hitler stroncò definitivamente la "ribellione" di Strasser e di Goebbels, costringendoli a rinunciare al loro programma. A quel punto Goebbels provò una delusione cocente nei confronti dell'uomo che tre anni prima aveva salutato come un profeta, ma Hitler, positivamente impressionato dal giovane renano, fece in modo di portarlo dalla propria parte: il 29 marzo 1926 offrì a Goebbels di parlare in pubblico a Monaco il successivo 8 aprile. Goebbels accettò, e da quel momento in poi fu completamente riconquistato dal Führer. Nell'agosto del 1926 ruppe ufficialmente con Strasser e passò completamente agli ordini di Hitler, di cui divenne il seguace più radicale e fedele, fino alla fine.

Verso la fine dell'ottobre 1926 Hitler nominò Goebbels Gauleiter di Berlino, con il compito di guadagnare la capitale tedesca, considerata una città «rossa», al nazionalsocialismo. La maggior parte degli elettori era socialista o comunista, e a Goebbels era affidato il compito di portarla dall'altra parte. Egli portò avanti questa operazione, seppur con risultati non sempre soddisfacenti, con fanatismo ed inesauribile energia riuscendo ad affascinare ed attrarre verso il nazionalsocialismo numerosi elettori dei quartieri operai della città (capisaldi elettorali del Partito comunista tedesco, il KPD).

Nel 1928 venne eletto deputato al Reichstag; nel 1929 venne ufficialmente incaricato della propaganda su tutto il territorio nazionale. Infine, nel 1933, Goebbels venne chiamato a rivestire la carica di Ministro della Propaganda (e l'equivalente carica all'interno dello NSDAP come Reichsleiter) del primo gabinetto Hitler, carica che manterrà ininterrottamente fino alla fine sua e del Terzo Reich. In tale veste Goebbels assunse il controllo totale di ogni ramo dell'informazione e della vita culturale e sociale tedesca (stampa, cinema, teatro, radio, sport), ovunque applicando con rigore i principi della "morale nazista" e divenendo così il vero e proprio "dittatore della cultura" del Terzo Reich. Fu il principale artefice delle campagne di "arianizzazione" rivolte contro l'«arte degenerata» e la «scienza ebraica, massonica e bolscevica» che costrinsero all'esilio centinaia di artisti e scienziati, ebrei e non. Rimangono famosi i roghi di libri che egli organizzò a Berlino istigando gli studenti nazionalsocialisti a perlustrare e saccheggiare le biblioteche alla ricerca di opere proibite dal regime.[1]

Durante la guerra, e specialmente dopo i primi rovesci al fronte che resero critica la situazione della Germania, l'abile opera di propaganda portata avanti da Goebbels con perizia e fanatismo riuscì in buona parte convincere il popolo tedesco ad accettare i sempre più numerosi sacrifici che gli erano imposti. Egli creò un nuovo modo di fare propaganda, ancor oggi largamente utilizzato, basato sulla continua ripetizione di notizie parziali o palesemente false rigidamente controllate dal vertice: il futuro «radioso» della Germania, il pericolo delle «orde asiatiche» che non avrebbero avuto pietà della Germania, la crudeltà degli alleati che chiedevano una «resa incondizionata», le «armi miracolose» sono solo alcuni dei temi utilizzati che contribuirono ad alimentare la resistenza quando l'esito della guerra, dopo gli iniziali successi, era già compromesso e ad allontanare l'ora della disfatta.

Durante l'ultimo mese di guerra (aprile 1945), Goebbels ricevette dal Führer due importanti nomine che lo resero ufficialmente il numero due del Terzo Reich; dapprima venne nominato Ministro plenipotenziario per la mobilizzazione alla guerra totale, poi Generale della Wehrmacht con l'incarico della difesa di Berlino. Quest'ultimo incarico significò molto per Goebbels perché, anche se per pochi giorni, era entrato nell'esercito, possibilità sempre negatagli durante la Grande Guerra per via della poliomielite che lo rese non idoneo a prestare servizio militare.

Hitler, nelle sue volontà, lo nominò Cancelliere del Reich della Germania (con Karl Dönitz come Presidente del Reich).[2]

I dettagli delle ultime ore e della morte del ministro della Propaganda, di sua moglie e dei loro sei figli (vedi famiglia Goebbels) sono ancor oggi in parte non completamente chiariti.

La sera del 1° maggio, alle ore 20, la signora Goebbels insieme ad un medico delle SS, Helmut Kunz, narcotizzò i suoi figli con della morfina. Una volta addormentati Magda Goebbels (forse con l'aiuto del dottor Ludwig Stumpfegger), li uccise rompendo dentro la loro bocca una capsula di cianuro, potentissimo veleno.

Poi Goebbels, secondo la ricostruzione fatta da alcuni storici, sparò alla moglie rivolgendo quindi l'arma verso di sé; secondo altri studiosi, invece, egli e la moglie, date disposizioni per la cremazione dei loro corpi, si sarebbero fatti uccidere con due colpi alla nuca esplosi da un attendente. Di fatto, quando i loro corpi vennero ritrovati dai sovietici erano carbonizzati a tal punto da non poter discernere la verità.

I Diari
Nel corso di tutta la vita Goebbels fu un accanito diarista. All'interno dei suoi diari, scritti spesso in maniera frettolosa e poco elegante a differenza dell'ossessiva cura che poneva nella preparazione dei suoi discorsi ed articoli pubblici, si trovano appunti sugli incontri ai quali partecipava, riflessioni personali ed idee.

Al termine del conflitto i Diari di Goebbels vennero ritrovati all'interno del Führerbunker dalle truppe sovietiche ed alleate che se ne appropriarono. L'importanza del ruolo di Goebbels all'interno del Terzo Reich rendono i Diari un importantissimo documento storico del periodo, oggetto di studi ed analisi e spesso utilizzato come fonte primaria.

sergio.T
00martedì 2 dicembre 2008 16:47
Fichte. Manipolazione.
Fichte, nei suoi “Discorsi alla nazione tedesca”, aveva usato nelle sue parole una certa dose di nazionalismo. Hitler portò agli estremi questa tendenza deformando il suo pensiero. Infatti, il filosofo, quando parlava di supremazia del popolo tedesco si riferiva solamente ad una supremazia di tipo spirituale, perché - diceva - il popolo tedesco era l’unico ad aver mantenuto intatta la propria lingua, senza la contaminazione da parte di altri idiomi. E quando affermava che il popolo tedesco aveva il compito di diventare guida per gli altri popoli, si riferiva sempre ad una guida di tipo spirituale. Hitler stravolse, invece, il significato di questi concetti: la supremazia del popolo tedesco si trasformò, così, in disprezzo per le razze inferiori e in un grossolano antisemitismo. La guida di tipo spirituale si trasformò in guida politica a danno degli altri popoli e la purezza della lingua si trasformò in purezza razziale.
sergio.T
00mercoledì 3 dicembre 2008 09:57
Comunicazione
Speer spende parole d'elogio per Goebbels, tipo poco raccomandabile, ma infinitamente in gamba. Inutile nascondersi dietro la maschera: piuttosto bisogna rammaricarsi che a volte uomini di questo talento, nascano dalla parte sbagliata.
Perche' Goebbels era un tipo particolare? Speer innanzitutto dice che il suo grandissimo talento si divideva in due: in parte l'immediata praticita' in tutto, dall'altra un acume psicologico sul comportamento delle masse.
Una sorta di visionario, insomma, ma che invece di allucinazioni, vedeva e presentiva giusto.
La manipolazione dell'aberrante propaganda nazista passa attraverso la cultura di Goebbels. Se la si spoglia del suo nefasto e perverso significato, l'arte della comunicazione nasce in un certo senso nel 1932: Goebbels incomincia a capire che una verita' non e' vera in se', ma e' vera nel momento che la si dice e la si fa credere.
Sembra un passo da poco invece e' un principio che ha del filosofico: il rappresentare il contrario di quel che accade diventa un modo d'agire.
La menzogna come verita' ( Nietzsche prima , e Wilde dopo , tornavano spesso su questo concetto): la necessaria metamorfosi del linguaggio, della rappresentazione, della scenografia, dei silenzi ad intercalare, dell'espressione, del tono, della cadenza oratoria, dei tempi d'intervento, del dire cio' che si vuole ascoltare e dunque dell'indovinarlo: tutto questo Goebbels lo faceva in modo magistrale, naturale.
Parole di Speer.

sergio.T
00mercoledì 3 dicembre 2008 10:26
L'isolamento mentale di Hitler nel 43 divenne pauroso. Ossessionato dalla sua mania di onnipotenza si stacco' dal mondo reale e ne invento' uno suo particolare.
Nelle riunioni con lo staff dirigenziale e con i generali, tutti ma proprio tutti, si accorgevano del suo estraniamento dal reale.
E tutti non sapevano che fare ( fino ai primi intrighi per farlo cadere).

Speer critica soprattutto alcuni generali: quelli a tavolino.
Esiste un libro molto interessante: I generali di Hitler che ripercorre un po' quello sui Generali di Napoleone.
In tutte le guerre , sia quelle del passato come in quelle piu' recenti, l'organizzazione militare non corre su binari politic, ma sulla capacita' organizzativa dei generali e degli ufficiali.
Speer sostiene, come il libro in questione che addirittura seziona in due capitoli l'argomento, che da una parte c'erano i generali di campo ( i migliori) e dall'altra quelli a tavolino.
Questi ultimi non si erano mai spostati dagli uffici di Berlino e muovevano sulle cartine le armate con le bandierine come fosse un Risiko nazista.
Naturalmente non capivano assolutamente niente.
Dunque, in questo modo, si raffiguro' un'assurdo scenario: uno schizofrenico chiuso nel suo mondo circondato da generali virtuali.
Quando questa raffigurazione prese corpo, i generali in campo tipo un Rommel per fare uno dei nomi piu' grandi, giunsero al punto di cessare ogni tipo di rapporto e comunicazione con Berlino. Spariva per giorni, non mandava nessun rapporto, se ne infischiava di ogni direttiva.
Naturalmente Hitler andava su tutte le furie, ma Speer e pochi altri, ormai avevano capito l'avvento dell'imminente disastro.
sergio.T
00mercoledì 3 dicembre 2008 10:30
Rommel .
Rommel non apparteneva all'aristocrazia militare prussiana. Era un ufficiale che proveniva dalla gavetta, e anche per questo godeva della simpatia di Hitler. In condizioni normali avrebbe potuto aspirare al massimo al grado di Colonnello. Ma la partecipazione alle due guerre mondiali dove diede sfoggio delle sue indubbie doti di comando, unita alla militanza nei Freikorps (da cui sarebbe scaturito il partito Nazista), a cavallo tra le due guerre, lo lanciarono in una carriera che lo portò a poco più di cinquant'anni ad ottenere il grado di Feldmaresciallo (il più alto dell'esercito tedesco a quel tempo).

La sua estrazione "popolare" piaceva molto a Goebbels, verso il quale Rommel fu sempre molto disponibile, che ne volle sfruttare l'"immagine vincente" per la sua propaganda. I suoi colleghi generali, provenienti dalle accademie prussiane, non nascondevano l'antipatia, se non il disprezzo, che nutrivano nei suoi confronti.

D'altra parte Rommel non fece mai molto per rendersi simpatico agli occhi degli altri ufficiali superiori. Testardo nelle sue convinzioni, spesso sgarbato, a volte ben oltre i limiti dell'insulto, nei confronti degli altri generali, soprattutto italiani, ma anche della stessa Wehrmacht, era invece adorato dai suoi uomini.

Motivo dell'ammirazione che suscitava tra la truppa era sicuramente il fatto che Rommel, contrariamente agli altri generali, non si limitava a seguire i combattimenti da distanza di sicurezza, ma era sempre presente in prima linea. A bordo del suo panzer, o del "Mammuth" (un centro comando mobile ricavato da un camion blindato inglese catturato in Africa), o in volo sulle linee a bordo di uno Storch da ricognizione, Rommel si muoveva lungo tutta la prima linea impartendo ordini e guidando i suoi uomini in battaglia.

Le sue decisioni in battaglia, spesso improvvise e talvolta ai limiti dell'insubordinazione (avanzare quando gli veniva ordinato di fermarsi), oltre a far infuriare i superiori, resero spesso inutile il lavoro svolto da Ultra (il complesso apparato utilizzato dagli inglesi per la cifra dei messaggi che i tedeschi si trasmettevano con Enigma) per scoprire i piani dei tedeschi.

Vale la pena di citare alcuni episodi della "Campagna d'Africa" che possono aiutare a comprendere il carattere di Rommel. Quando la strada verso Il Cairo e il Canale di Suez sembrava ormai spianata, Mussolini volò in Libia per godersi un trionfo che non arrivò; durante la sua permanenza chiese più volte di incontrare Rommel, ma questi si rifiutò sempre, adducendo come scusa il fatto che fosse "troppo impegnato in prima linea". Rommel trovò però il tempo per recarsi in visita al capezzale di un maggiore italiano (Leopoldo Pardi), che, al comando di un reparto di artiglieria, si era distinto nella difesa del Passo di Halfaya, conquistandosi la stima della "volpe del deserto".

Dopo la battaglia di El Alamein il generale Barbasetti incontrò Rommel alla ridotta Capuzzo e commentò: "È stato molto doloroso il sacrificio del X Corpo d'Armata abbandonato nel deserto" al che Rommel rispose: "È questo forse un rimprovero? Dal Fuhrer non è giunta alcuna parola di disapprovazione". Barbasetti: "Ho risalito l'interminabile colonna dei reparti in ritirata, i camionisti tedeschi si rifiutavano di far salire gli italiani". A queste parole Rommel tacque.[3]

Dopo la presa di Tobruk, il generale sudafricano bianco Klopper, parlando anche a nome dei suoi ufficiali, chiese a Rommel di essere detenuto in un'area separata da quella delle truppe di colore. La risposta di Rommel fu secca: "Per me i soldati sono tutti uguali. I neri vestono la vostra stessa divisa, hanno combattuto al vostro fianco, e quindi starete rinchiusi nello stesso recinto."

Nutriva grande sicurezza nell'uso del sistema di decriptazione Enigma. Questa fiducia mal riposta permise alla Gran Bretagna, durante la seconda guerra mondiale, di avere l'assoluta supremazia navale in tutto il Mediterraneo. Infatti, il sistema di decodificazione tedesco era stato decifrato dal matematico inglese Alan Turing. Il fatto che gli inglesi fossero in possesso di importanti informazioni fece sorgere sospetti di inaffidabilità nei confronti dei servizi segreti italiani. Rommel fu convinto di questo fino alla morte e solo recentemente suo figlio Manfred ha dichiarato, in un documentario di History Channel, che suo padre e dunque sia la Germania che l'Inghilterra, dovrebbero chiedere scusa agli italiani per gli infondati sospetti.

Va ricordato infine che Rommel si guadagnò, pur da nemico, un alto grado di rispetto anche da parte di eminenti personalità tra gli Alleati, come il suo rivale Bernard Law Montgomery, George Patton e perfino Winston Churchill. Alla "Volpe del deserto" erano infatti riconosciute lealtà e cavalleria nei confronti degli avversari e della popolazioni civile: i suoi Afrika Korps non furono mai accusati di crimini di guerra, e Rommel non obbedì agli ordini di fucilare i commando nemici catturati o i prigionieri di origine ebraica. Lo stesso Rommel, riferendosi agli scontri in Africa, parlò di Krieg ohne Hass, guerra senza odio.

sergio.T
00mercoledì 3 dicembre 2008 10:38
Rommel e' un caso atipico: si e' sempre rifiutato di fucilare gli ebrei, non ha mai commesso crimini di guerra e lo ha sempre impedito anche ai suoi soldati; infine e la sua cavalleria e il suo onore lo spediscono dritto nell'olimpo dei piu' grandi Generali di ogni tempo.
Anche se nemico.
sergio.T
00mercoledì 3 dicembre 2008 15:08
Intervista di Biagi alla moglie di Rommel
Il General Feldmarschall Erwin Rommel riposa nel piccolo cimitero di Herrlingen. Una croce di legno, un nome, due date: 1891-1944. Accanto a lui, due coniugi senza storia, i signori Schneider, aspettano il giorno della resurrezione.

Nella villa dove trascorreva la convalescenza, e dove lo raggiunse l’ordine di morire, c’è adesso un asilo; in questa camera allegra, i messaggeri di Hitler parlarono per un’ora; di veleni prodigiosi, di tribunali senza legge, di onoranze funebri solenni. I tedeschi, è noto, hanno il mito della precisione; discussero anche il programma finale: banda che suona la marcia del Crepuscolo degli Dei, bandiere di tutte le armi debitamente abbrunate, truppe sull’attenti.

Rommel salì questa scala, trasformata ora in un deposito di bambole, di cavallucci e di palloni, per dire alla moglie che, entro pochi minuti, le avrebbero annunciato la sua improvvisa scomparsa. Il cianuro – glielo avevano assicurato – agiva in tre secondi.

Sulla parete dov’era affissa la carta con la situazione dei fronti, le maestrine bionde hanno attaccato i disegni dei piccoli. La bimba Christa Blauer è rimasta impressionata dalla favola di Rotkäppchen: Cappuccetto Rosso raccoglie i fiori nel bosco e il lupo è sempre pronto a mangiarla. [...]

La signora Lucie Maria Rommel vive attualmente a Sillenbuch, un sobborgo di Stoccarda.[...] Abbondano, tutt’intorno, le fotografie di Erwin Rommel, ritratto sui diversi campi di battaglia, e ci sono anche due quadri ricavati da immagini vere, riprese durante i combattimenti. Il maresciallo indossa la divisa dell’Afrika Korps o l’uniforme dei carristi. Ha sempre la faccia severa dell’uomo duro, che parla poco e sa quello che vuole.

«Tutto avvenne così in fretta», dice Frau Rommel. «No, non ricordo nemmeno se, dicendomi addio, mi baciò. Quando cominciai a pensare era già andato via. No, non si stupì dell’arrivo degli inviati di Hitler. Stulpnagel, uno dei congiurati del 20 luglio, in una camera operatoria, aveva fatto, smarrito nel delirio, il nome di mio marito. Del resto Erwin, il giorno prima, aveva scritto una lettera al Führer. Sì, fino al 1942, aveva creduto in Hitler, e anche nella vittoria. Anzi, non credeva neppure potesse scoppiare nel settembre del ’39. Diceva sempre che la guerra non si poteva fare, perché la sua generazione l’aveva già provata, e chi c’è stato una volta sa che non è bella, ma stupida e brutale.

«Credeva, fino al 1942, anche in Hitler; lo dicevano in tanti che Hitler aveva un fascino straordinario, proprio qualcosa come l’ipnotismo, una forza alla quale non si resiste. Poi, in Francia, incontrò il generale Blaskowitz, che gli parlò delle stragi degli ebrei; il generale Blaskowitz le aveva viste proprio con i suoi occhi, ma noi, anche se pare impossibile, non ne sapevamo nulla. Mio marito capì che era finita e lo disse anche a Hitler; capì anche che Hitler era un pazzo furioso. Disse a Hitler: “Mio Führer, io farei gli ebrei gauleiter, tutti i gauleiter dovrebbero essere ebrei”. Chi ci perdonerà, pensava, le nostre colpe, le nostre vergogne? “Mio Führer – disse anche – aiutiamoli perché trovino in Palestina una patria”.

«“Palestina? – sorrise Hitler –. Ma scherza? Troppo vicini. Dovrebbero andare almeno in Madagascar”».

Lucie Maria Rommel, nata Mollin (la sua gente era di origine italiana) è una donna forte, che ormai vive soltanto per difendere la memoria e il prestigio di Rommel. «Mein Mann», si dice in tedesco per dire marito, ma si capisce che per lei quel «mio uomo» è qualcosa di più.

«Ora lo discutono nelle scuole – m’informa con una specie di orgoglio –, i ragazzi sanno, lo sanno anche dai libri di lettura che c’è stato questo generale, che ebbe vittorie e sconfitte ma che credeva nell’onore, umanamente. Non era un fanatico. Erwin Rommel era semplice, “rein”, pulito. Lo discutono nelle scuole e questo mi basta, è segno che un Erwin Rommel c’è stato. Erwin amava le cose comuni, lo sport, la neve, la meccanica; si interessava poco di letteratura e molto di storia. Non fumava nemmeno. Quando lo nominarono maresciallo era in Africa e festeggiò la promozione con un bicchiere di whisky e un ananas. Mi scrisse, sa, mi scriveva tutti i giorni, che invece di quel grado avrebbe preferito un’altra divisione. Erwin era giusto. Voleva bene ai soldati, e non concepiva differenze di trattamento per gli ufficiali: “Chi deve morire nello stesso modo – diceva – nello stesso modo deve vivere”». [...]

«Quel giorno – ricorda Frau Rommel, senza intenerirsi, senza vibrazioni –, venne in camera mia per dirmi: “Hitler mi ha offerto la scelta tra il veleno e un processo. Hanno portato il veleno”. Poche parole, poi uscì».

Forse, mentre se n’andava, Rommel sentì la moglie singhiozzare sommessamente, ma si comportò come se nulla fosse accaduto e come se nulla dovesse accadere. Era in ordine con se stesso; aveva risposto a chi gli proponeva di prendere parte a una congiura per rovesciare il regime: «Credo sia mio dovere offrire il mio aiuto alla Germania». [...]

Il 14 ottobre saranno trascorsi 15 anni da quel giorno d’autunno. Sulla tomba della «Volpe del deserto» sono fiorite due rose color sangue e il vento ha portato ai piedi degli abeti che proteggono il riposo del vecchio soldato le prime foglie gialle. Vicino al cimitero c’è la scuola del paese, e si sentono le voci dei bambini che ripetono la lezione. Nel libro di lettura, una pagina racconta la storia del leggendario General Feldmarschall Erwin Rommel, che, con i signori Schneider, che non compirono nulla di memorabile, attende, sotto una croce di legno, l’ultimo giudizio, il solo che conta.
sergio.T
00mercoledì 3 dicembre 2008 15:31
Rommel? Abbiamo di fronte un avversario abile e coraggioso e, se posso dirlo nonostante le miserie della guerra, un grande Generale.

(Winston Churchill)
sergio.T
00giovedì 4 dicembre 2008 09:25
Mago e stregone
Ad un certo punto si arrivo' a parlare dell'armata di Rommel come della aramta fantasma. C'era, non c'era, compariva , scompariva.
Fu emessa persino un'ordinanza per tutto l'esercito inglese: era proibito dire e pronunciare il nome Rommel. Si diveva solo dire: le armate tedesche d'africa, ma mai dire il nome del generale che le comandava.
Motivo? oramai Rommel aveva la stessa considerazione di qualcosa di imprendibile.
Era chiamato il mago o lo stregone e gli psicologi suggerirono di non ripetere troppo il suo nome: bastava quello per paralizzare le truppe inglesi.
sergio.T
00giovedì 4 dicembre 2008 09:42
Rommel: un mito come Ney e Massena
Rommel, un mito della guerra nel deserto

In una tetra giornata dell'autunno 1941 gli ufficiali superiori inglesi che combattono in Africa Settentrionale contro gli italiani e l'Afrikakorps ricevono una strana circolare dal loro comandante in capo, sir Claude J. Auchinleck. Dice: "Esiste realmente il pericolo che il nostro amico Rommel diventi una specie di stregone o di spauracchio per le nostre truppe, che cominciano a parlar troppo di lui. Pur essendo molto energico e abile, egli non è assolutamente un superuomo. Anche se fosse un superuomo, sarebbe deprecabile che i nostri uomini gli attribuissero poteri soprannaturali. Desidero che usiate tutti i mezzi possibili per dissipare l'idea che Rommel rappresenti qualcosa di più che un comune generale tedesco. L'importante è che si eviti di parlar sempre di Rommel quando intendiamo riferirci al nostro nemico in Libia. Dobbiamo dire "i tedeschi" o "le potenze dell'Asse" o "il nemico",e non ricadere sempre sul nome di Rommel. Vi prego di assicurarvi che questo ordine venga posto immediatamente in atto, e di far capire a tutti i comandanti che, da un punto di vista psicologico, si tratta di una questione di grande importanza".
In quell'autunno di guerra nasce il mito di un generale che è forse un Ney o un Murat, non certo un Napoleone, di un condottiero uso, sì, a tutti i sotterfugi e alle astuzie della guerra nel deserto ma la cui mente non spazia mai nei più ampi orizzonti della condotta della guerra, dove la grande operazione diventa soprattutto un problema politico. È indubbio tuttavia che Rommel sa esercitare un enorme fascino sui propri soldati e sconvolgere magistralmente le tradizioni strategiche della guerra moderna di manovra e di movimento nel deserto dell'Africa Settentrionale.
Erwin Johannes Eugen Rommel, appartenente a una borghese famiglia sveva, è nato il 15 novembre 1891 , una domenica, ad Heidenheim, presso Ulm sul Danubio, nel Worttemberg. Anche suo padre si chiama Erwin, è un maestro e figlio di un maestro. Erwin jr. ha quattro fratelli (Helena, poco più anziana di lui, Karl e Gerhardt, entrambi minori; e infine Manfred che morirà giovanissimo).
Un perfetto animale da combattimento
La sua infanzia trascorre fra la casa (dove lo prendono in giro per la sua parsimonia nello spendere i rari soldi) e lo studio, al quale per il vero si dedica con scarso impegno. La sua passione, che si manifesta sui quattordici anni, è quella di diventare ingegnere aeronautico; gliela ha instillata un compagno di scuola e di giochi ma il padre si oppone e allora Erwin jr. sceglie la carriera delle armi. Nel giugno 191O, diciannovenne, è arruolato nel 1240 Reggimento di fanteria a Wiengarten col grado di aspirante; l'anno dopo conosce la ragazza che diventerà sua moglie: è Lucie Maria Mollin, cugina di un collega di corso di Erwin, figlia di un proprietario terriero della Prussia occidentale e di lontana discendenza italiana (a Longarone risiedettero i Molino; la futura signora Rommel andrà a visitare il cimitero del paese bellunese per cercarvi i nomi dei suoi ascendenti).
La grande guerra porta Erwin Rommel sul fronte francese ed a Varennes, col battesimo del fuoco, riceve la sua prima ferita. Non è più lo studente svogliato, il ragazzo timido che andava a stringere la mano agli spazzacamini di Heidenheim: la guerra lo rivela quello che il suo biografo aulico, Desmond Young, definirà "un perfetto animale da combattimento, freddo, instancabile, inflessibile, rapido nelle decisioni, incredibilmente valoroso".




Nel 1915 ha la Croce di Ferro di prima classe, diventa tenente, è ancora ferito nelle Argonne, lo trasferiscono sul fronte romeno e, durante una licenza a Danzica, il 27 novembre '16, sposa Lucie. Nell'estate '17 Rommel è sul fronte italiano col "battaglione da montagna" del Worttemberg. Nell'agosto, per la terza volta, è ferito, una pallottola vagante lo colpisce a un braccio: ad ottobre però è di nuovo in linea per una azione che gli frutta il grado di capitano e una delle più alte decorazioni, la medaglia Pour le Mérite. Rovesciando il principio che "l'artiglieria conquista le posizioni e la fanteria le occupa", i tedeschi mettono a punto applicandola sul terreno, a Riga, contro i russi la tattica dell'infiltrazione che si affida a piccoli nuclei armatissimi, addestrati appositamente a un antico e trascurato principio dell'arte militare: quello di spingersi avanti, autonomi nel comando e nell'azione, contro tutti i punti deboli dell'avversario, scivolando attorno a quelli forti, per arrivare fino alle più lontane retrovie, isolando "sacche" più o meno vaste, troncando strade e ponti, rifiutando sempre i combattimenti frontali, gettando lo scompiglio nei comandi arretrati dell'avversario.
Portato in linea segretamente, spostato soltanto di notte, indossando esclusivamente divise austriache, occupando alloggi protetti in ogni momento dall'osservazione aerea, il reparto di Rommel il 24 ottobre '17 si impadronisce del Kolovrat, poi del Kuk, taglia le linee telefoniche, mina alcuni ponti, occupa la strada di fondovalle Luico-Savogna catturando (sono affermazioni di Rommel) gran parte dei 2800 bersaglieri della 4' Brigata, dà la scalata al Cragonza conquistandolo all'alba del 26 dopo aver sorpreso la guarnigione e attacca il monte Matajur tenuto dalla brigata Salerno. Secondo Rommel è questo uno dei più importanti episodi che determinarono la ritirata italiana di Caporetto. A Monte Matajur il giovane ufficiale svevo fa prigionieri 8850 fanti e 150 ufficiali mentre da parte sua lamenta soltanto sei morti e trenta feriti. Nelle sue memorie Rommel dirà che venne portato in trionfo dai nostri soldati i quali, gridando che la guerra era finita, inneggiavano alla Germania.




L'armistizio e la pace lasciano Erwin Rommel senza professione e senza soldi; né lui né la moglie sono ricchi. Forse per un attimo pensa ad abbandonare le armi e per questo si iscrive alla scuola tecnica superiore di Tubinga ma la rapida carriera compiuta in guerra lo fa notare al generale von Epp, ex governatore delle colonie tedesche in Africa e che, dopo la resa della Germania, è diventato l'organizzatore dei Corpi Franchi: così Rommel entra a far parte del gruppo di 4000 ufficiali consentiti dalle norme del Trattato di Versailles che diverranno l'ossatura del nuovo esercito tedesco.
Sono anni tranquilli, per i Rommel, malgrado la grave crisi economica, l'inflazione, i torbidi politici e la lunga ondata di violenze che precede l'ascesa del nazismo al potere. Erwin è di stanza a Stoccarda. Durante le licenze marito e moglie vanno a sciare e compiono gite sul lago di Costanza; lui trascorre le serate in casa, suona il violino, si diletta di fotografia e porta a termine un libro di scienza militare, In fanterie Greift an, La fanteria attacca, che suscita l'interesse di un lettore di eccezione, Adolf Hitler.




In Francia fa parlare di sé
La vigilia del Natale 1928, dopo dodici anni di matrimonio, nasce l'unico figlio; lo chiameranno Manfred, il nome del fratello morto di Erwin. Ma il primo passo verso l'Africa, che segnerà il culmine della sua carriera, egli lo compie soltanto nel 1937 quando il generale von Brauchitsch visita la Libia e Rommel, che lo accompagna, stende un rapporto a Hitler in cui rileva "la mediocre preparazione militare italiana, sia nella Penisola che in Libia". Gli italiani, scrive in un successivo rapporto, questa volta diretto all'OKW, "non hanno idee precise sulla preparazione militare nella Libia e non hanno studiato neppure in teoria la guerra nel deserto sulle lunghe distanze: nel prossimo conflitto è inutile contare, in Libia, sulle truppe coloniali per quanto celeri possano essere; la guerra nel deserto sarà combattuta con autoblindo, carri armati, aerei".
La risposta di Hitler a questi rapporti sarà quella di affidare a Rommel, più tardi, la costituzione dell' Afrikakorps. Ora, intanto, al giovane colonnello tocca un singolare incarico, la direzione dei quartieri generali mobili del Fuhrer (ferroviario ed aereo). Non è un compito che vada a genio a Rommel, specie quando sa che, per questo, von Rundstedt lo ha definito "quel pagliaccio che comanda il circo Adolf Hitler". Quando il FUhrer, nel marzo 1938, durante l'occupazione dei Sudeti, lo manda a chiamare e gli chiede: "Colonnello, che cosa farebbe al mio posto al momento di entrare in Praga?", Rommel seccamente gli risponde: "Salirei su una vettura scoperta e attraverserei la città, senza scorta, fino al castello di Hradschin". Non è la risposta giusta per un ufficiale che comanda il battaglione addetto all'incolumità del Fuhrer ma Hitler segue quel consiglio, poi promuove Rommel generale e lo assegna ai carri armati.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale Rommel è al comando della 7" Panzerdivision sul fronte occidentale. Sarà chiamata la "divisione fantasma" per la fulmineità con cui essa attacca la Maginot, sfonda a St.-Valéry-en-Caux e cattura otto generali francesi e 25.000 soldati. Questa brillante azione gli fa ottenere la promozione a generale di corpo d'armata e la decorazione di Cavaliere della Croce di Ferro. Ora si conferma il suo destino: l'Africa. Sul finire del' 40 Hitler convoca Rommel. "In Libia" gli dice il Fuhrer "i soldati italiani si battono benissimo per quanto mal comandati e senza mezzi: la ritirata da Sidi EI-Barrani e la caduta di Tobruk sono conseguenza di impreparazione ma se l'aviazione fosse stata dominante, gli inglesi non avrebbero potuto fare un solo passo avanti. L'Afrikakorps", conclude Hitler, "deve risolvere la situazione".




Nei primi mesi del 1941 l'Afrikakorps sbarca in Libia; il 15 febbraio vi giunge Rommel. Il 10 aprile Rommel dà il via all'attacco contro gli inglesi che si trovano dinanzi un nemico guizzante, che rompe con forza al centro di uno schieramento, dilaga, minaccia uno scontro in grande stile e poi, magari, si ritira per attaccare sull'ala. È un nemico che ha il comandante in prima linea, un capo che esercita direttamente sui reparti il potere decisionale. "Nessun ammiraglio ha mai vinto una battaglia navale standosene in un comando costiero" dice al suo aiutante, capitano Aldinger.

Comincia l'avventura africana
Rommel non rinuncia a nessuna tattica. Muove i propri panzer dietro una barriera di pezzi anticarro semoventi, simula attacchi impiegando finti carri armati di legno, inganna la ricognizione aerea avversaria servendosi di camion inglesi catturati oppure spinge una colonna di autocarri nel deserto applicando ad ogni veicolo un tendone che striscia sulla sabbia e solleva un'enorme nube di polvere per far credere che una divisione corazzata sia in marcia. Il segreto delle vittorie è soprattutto nel fatto che Rommel sa cogliere, subito, le occasioni più fugaci e questo avviene perché egli va a vedere con i propri occhi, senza attendere che le informazioni arrivino a lui e senza preparare e fissare sulla carta immutabili piani di battaglia ma, anzi, cambiandoli all'improvviso, a seconda dello scontro.
Un anno dopo il suo arrivo in Libia, il 28 giugno '42, Rommel, nella sua corsa incredibile verso l'Egitto, espugna il campo trincerato di Marsa Matruh e Hitler, telegrafandogli i complimenti, lo nomina feldmaresciallo. Ora è al culmine della sua carriera e per questo giovanissimo feldmaresciallo (ha solo 50 anni) comincia il mito del condottiero Rommel che divide il rancio dei soldati in prima linea, che decolla in Cicogna o gira nel deserto in Volkswagen e col Mammuth, il carro blindato britannico che gli serve da sede di comando; l'uomo perennemente chiuso nella divisa con la Croce di Ferro, il soprabito di cuoio nero, la sciarpa a scacchi, gli occhiali antisabbia, l'uomo che dorme poco come Napoleone, steso su un carro o sul nudo terreno, che si ciba quasi di nulla (pane, miele, sardine, un po' di tè ghiacciato), insensibile alla fatica.




La sua avventura africana termina nel novembre '42 con lo sbarco alleato in Nord Africa: "Per noi è la fine", scrive il feldmaresciallo alla moglie, "le maree nemiche letteralmente ci sommergono. Invidio i morti che hanno già chiuso il loro destino". Ma qualche giorno dopo, con una licenza di malattia, Rommel torna in Germania dove si dedica all'" Operazione Felix" (il piano per occupare Gibilterra). Nell'estate '43, caduto Mussolini, Hitler prima lo invia in Italia, poi lo destina alla Normandia dove, per molti segni, sta per incominciare "il giorno più lungo"
In Normandia, prima al comando del Gruppo di Armate B sotto von Rundstedt e più tardi come capo delle armate tedesche dislocate fra i Paesi Bassi e la Loira, inizia la sua vicenda del complotto contro Hitler.

Un nuovo Hindenburg?
Rommel ha così i primi contatti con un autorevole antinazista: il dottor Karl Strolin, borgomastro di Stoccarda, un uomo che ha avuto il coraggio di inviare nell'agosto '43 un promemoria al ministero dell'Interno chiedendo la fine delle persecuzioni agli ebrei e la restaurazione dei diritti civili. Strolin e gli altri congiurati vedono in Rommel un nuovo Hindenburg, cioè un generale di grande popolarità, capace di trascinare soldati e ufficiali e, dopo alcuni convegni, alla fine del febbraio '44, Rommel accetta di incontrarsi con Hitler per ricondurlo alla ragione: se il tentativo fallirà egli gli scriverà una lettera prospettandogli che non vi è altro rimedio che trattare con gli Alleati; infine passerà all'azione diretta. "Ritengo", dice il feldmaresciallo, "sia mio dovere pensare alla salvezza della Germania".
Le disillusioni di Rommel si fanno più cocenti man mano si avvicina il momento dell'invasione: i suoi consigli di far minare le rotte della Manica e di bombardare con la V-1 la zona Portsmouth-Southampton sono rifiutati dal Comando Supremo. Keitel, Jodl e von Rundstedt respingono la sua strategia di attaccare l'invasore in mare e distruggerlo appena giungerà sulle coste. Il 6 giugno '44, mentre comincia "il giorno più lungo", Rommel è lontano dal suo comando di La Roche-Guyon: è andato al quartier generale di Hitler e, passando per Herrlingen, ha portato in dono alla moglie un paio di scarpe francesi.




Un mese più tardi, il 17 luglio, mentre Rommel torna dal comando del 20 Corpo corazzato SS dove ha avuto un colloquio con Sepp Dietrich, la sua auto è mitragliata da otto cacciabombardieri inglesi lungo la strada della Normandia, fra Livarot e Vimoutiers. Un proiettile raggiunge il feldmaresciallo alla tempia sinistra e allo zigomo, i frammenti del parabrezza gli feriscono gravemente il viso. Ricoverato all'ospedale di Vésinet, .presso St-Germain, i medici lo danno per spacciato. Tre giorni dopo, mentre egli lotta contro la morte, scoppia la bomba di von Stauffenberg nel quartier generale di Hitler e comincia l'ondata delle repressioni e delle vendette. Uno dei congiurati, il generale Heinrich von Stulpnagel, è scoperto e tenta di togliersi la vita con una rivoltella ma la pallottola non lo uccide. Nel delirio egli grida il nome di Rommel. La Gestapo lo fa curare, lo salva, poi lo tortura e lo impicca.
Forse Stulpnagel non rivela nulla del complotto ma il nome del feldmaresciallo, più volte pronunciato, è sufficiente perché Hitler prenda una decisione: Rommel dovrà pagare con la vita l'aver osato alzare la mano sul Führer. Contro le previsioni dei medici, il feldmaresciallo supera rapidamente la crisi.
Il 7 settembre '44 il generale Hans Speidel, capo di Stato Maggiore di Rommel e anch'egli membro della congiura, è arrestato in casa da un ufficiale delle SS. Rommel, che è in convalescenza nella sua villa di Herrlingen, appena ne è avvertito telefona al Comando Supremo ma non ottiene spiegazioni. Il 7 ottobre Keitel convoca a Berlino per discutere "la possibilità di affidargli un nuovo incaric".. Rommel, su consiglio dei medici, rifiuta di compiere il viaggio e all'ammiraglio Ruge che gli fa visita 1'11 ottobre dice: "Non andrò a Berlino. So che non arriverei vivo. So che mi ammazzeranno per strada, simulando un qualsiasi incidente".


"Tra un quarto d'ora sarò morto"
Il 13 ottobre il feldmaresciallo riceve una telefonata da Stoccarda. Il quinto distretto di guerra gli annuncia che i generali Wilhelm Burgdorf ed Ernst Maisel, dell'Ufficio personale dell'esercito, l'indomani saranno da lui a Ulm. I due generali arrivano a mezzogiorno del 14 ottobre, a bordo di un'auto pilotata dall'SS Doose. Il loro colloquio con Rommel dura un'ora, poi il feldmaresciallo raggiunge la moglie.
"Sono venuto a dirti addio. Tra un quarto d'ora sarò morto. Sospettano che io abbia preso parte alla congiura contro Hitler. Sembra che il mio nome fosse su una lista come futuro presidente del Reich [...] Dicono che von Stulpnagel, Speidel e il colonnello Hofacker mi hanno denunciato [...] È il solito trucco [...] Ho risposto che non ci credo e che non può essere vero [ ]. Il Fuhrer mi lascia la scelta tra il veleno e un processo davanti al tribunale del popolo. Hanno portato il veleno. Agirà in tre secondi".
La moglie lo supplica di presentarsi in tribunale. "No" replica Rommel. "Non avrei paura di essere processato in pubblico perché posso difendere ogni mio atto. Ma io so che non arriverei vivo a Berlino". Dà l'addio al figlio, scende in giardino e prende posto sull'auto con i due generali. La vettura si mette in moto, percorre qualche centinaio di metri e si arresta al bivio di Blauberen. Maisel e l'SS Doose scendono e si allontanano di qualche passo; Burgdorf rimane con Rommel, ch'è seduto sui sedili posteriori. Narrerà più tardi Maisel in tribunale: "Dopo circa cinque minuti notammo che il generale Burgdorf era sceso anche lui dalla macchina e camminava su e giù accanto ad essa. Dopo altri cinque minuti ci fece un segno con la mano. Quando ci avvicinammo il feldmaresciallo era riverso contro il sedile posteriore". E Doose aggiungerà: "Vidi Rommel agonizzante. Aveva perso conoscenza e stava singhiozzando. No, non si trattava di gemiti o di rantoli ma proprio di una sorta di singhiozzo. Gli era caduto il berretto, io lo rimisi diritto, con il berretto in testa".
Mezz'ora più tardi la salma di Rommel è portata con la stessa auto all'ospedale di Ulm. L'annuncio ufficiale dice che il feldmaresciallo è morto in conseguenza delle gravi ferite subite in Normandia.. Hitler telegrafa alla vedova che il nome di Rommel resterà sempre legato alle eroiche gesta nel Nord Africa. Il 18 ottobre hanno luogo i solenni funerali di Stato, ad Ulm; davanti al feretro ricoperto dalla bandiera sono deposte su un cuscino nero le decorazioni di Rommel. Von Rundstedt, probabilmente all'oscuro della tragedia, pronuncia il discorso funebre che suona - per chi sa - sinistramente ironico: "Il suo cuore" dice "apparteneva al Fuhrer". Dopo le esequie il feretro viene portato al crematorio e incenerito; i resti sono infine sepolti nel cimitero di Herrlingen, sulla collina. Ventidue anni dopo, il 16 ottobre 1966, una caserma della Bundeswehr, a Osterode, nella Germania federale, verrà intitolata al nome di Erwin Johannes Eugen Rommel.





sergio.T
00giovedì 4 dicembre 2008 14:21
In Normandia quando chiesero a Rommel che si doveva fare, questi rispose: " tutto tranne quello che state facendo. Coprire l'intero arco del fronte costiero con i bunker non serve a nulla. Dovete fermarli allo sbarco quando costruiranno i porti per sbarcare, perche' e' questo quello che faranno ( nessuno lo aveva previsto tranne lui): e' in quel momento che bisogna attaccare. Il giorno dello Sbarco sara' il piu' lungo per la Germania."
Quando lo portarono sulla costa di Arromanches vero Chabourg, ripete' ancora: " non serve proprio a niente quello che state facendo"
( migliaia di bunker per centinaia di km di costa con un investimento di miliardi di marchi)

A.Speer.
sergio.T
00giovedì 4 dicembre 2008 14:40
"Chiunque sia caduto sotto l'incantesimo della sua personalità si è trasformato in un vero soldato. Sembrava conoscere come erano i nemici e come avrebbero reagito".

Theodor Werner.
sergio.T
00giovedì 4 dicembre 2008 14:51
Catturate Rommel!
Nell'autunno del 1941, lungo la frontiera egiziana, l'8ª armata inglese agli ordini del generale Cunningham si stava preparando a mettere in pratica i piani del generale Auchinleck, per porre fine all'assedio di Tobruch. La data fissata per l'offensiva era il 18 novembre. Dall'altra parte del deserto, il generale Rommel progettava di attaccare Tobruch il 23 novembre, sette giorni dopo la data scelta da Auchinleck.

Per appoggiare l'avanzata dell'8ª armata, gli inglesi elaborarono dei piani volti a disorganizzare le comunicazioni nelle retrovie degli avversari, in modo da creare la massima confusione possibile e costringere le armate tedesche e italiane a guardarsi alle spalle.

Nella notte stessa in cui sarebbe scattata l'offensiva, alcune unità dello SAS (Special Air Service, Servizio aereo speciale) sarebbero state paracadutate dietro le linee nemiche per porre fuori combattimento aerei dell'Asse che si trovavano ancora a terra. Ma il più ambizioso di tutti i piani era quello di sbarcare da sommergibili alcuni commando dietro le linee nemiche, con l'obiettivo di mettere fuori combattimento il comando di Rommel, e se possibile, catturare il generale.

All'inízio di ottobre 6 ufficiali e 53 fra sottufficiali e truppa dell'11° commando scozzese della Layforce, al comando del tenente colonnello Geoffrey Keyes, furono posti alle dipendenze del comando operativo dell'8ª armata.

Il lavoro preliminare di ricerca per l'incursione di Keyes era stato svolto dal capitano J.H. Haselden, aggregato alla Libyan Arab Force. Sbarcato il 10 ottobre su di una spiaggia in prossimità di Hamma dal sommergibile Torbay con un arabo della Libyan Arab Force, Haselden dedicò alcuni giorni all'osservazione della regione circostante, e fu riportato ad Alessandria dal Long Range Desert Group (gruppo incursori del deserto) il 27 ottobre.

Fin dall'inizio l'opinione del colonnello Laycock, comandate della LayForce, sulle possibilità di successo dell'incursione, apparve pessimistica. Egli riteneva molto improbabile che qualcuno degli attaccanti potesse ritornare alla base, e giudicava l'attacco al comando di Rommel come un'impresa disperata.

Haselden ritornò nella zona dello sbarco (questa volta paracadutato) e il 10 novembre la pattuglia destinata a compiere l'incursione salì a bordo dei sommergibili Torbay e Talisman; due giorni dopo aver lasciato Alessandria, Laycock e Keyes spiegarono agli uomini il piano, sottolineando che l'obiettivo principale era quello di catturare Rommel. Sul Torbay si trovavano, oltre a Keyes, altri due ufficiali del commando e 25 soldati, compreso un palestinese in qualità di interprete e due guide senusse.

I sommergibili portavano a bordo anche due battelli pieghevoli, con un ufficìale ed un uomo ciascuno, dello Special Boat Service nonché 14 battelli pneumatici, ciascuno in grado di trasportare due uomini del gruppo Keyes con equipaggiamento e munizioni.

Il 13 novembre Haselden si recò a Hamma sulla costa per guidare gli uomini del commando verso l'interno. Quello stesso giorno il Torbay ed il Talisman arrivarono al largo della costa. Fino a quel momento tutto si era svolto secondo i piani, ma intanto il tempo si era messo al brutto e tutto lasciava pensare che volesse peggiorare ancora. Quando scese l'oscurità il Torbay si portò sottocosta, e fu con una certa sorpresa che gli uomini sul ponte del sommergibile videro il segnale luminoso lanciato da Haselden.

Le condizioni si fecero ancora più sfavorevoli per uno sbarco; nonostante ciò si lanciò uno dei battelli pieghevoli per una ricognizione preliminare, si fecero passare attraverso il boccaporto anteriore i battelli pneumatici e si caricò il materiale sistemato in involucri a tenuta d'acqua. Ma poiché il sommergibile rollava in quel mare grosso, i battelli sistemati sul ponte furono spazzati fuori bordo, e quelli che già si trovavano in acqua si capovolsero, dovettero passare sei ore prima che sette imbarcazioni fossero state messe in acqua ed avessero toccato terra.

Nel frattempo il Talisman era rimasto in osservazione al largo, e il colonnello Laycock era sul punto di rinviare gli sbarchi quando giunse il segnale che la pattuglia del Torbay era giunta a terra. Pur avendo a disposizione ormai soltanto tre ore e mezzo di oscurità, egli decise di rischiare lo sbarco. Il mare grosso spinse il Talisman in secca, e sette imbarcazioni e 11 uomini furono gettati in acqua. Quando le operazioni di recupero furono terminate, la luna era già alta in cielo e l'ufficiale al comando del Talisman decise di ritirarsi; in tal modo solo quattro imbarcazioni del Tatisman raggiunsero la spiaggia. Tra di esse vi era quella del colonnello Laycock.

La mattina seguente il sole splendeva e gli uomini del commando, poterono fare asciugare i loro indumenti e pulire le armi. Ma dopo quanto era successo la formazione su cui Keyes aveva basato i suoi piani, era stata molto ridotta e avendo a disposizione solo metà degli effettivi previsti, il piano doveva essere modificato.

Inizialmente l'operazione aveva quattro obiettivi: effettuare una incursione contro la villa che ospitava Rommel e il comando arretrato tedesco, sabotare il comando italiano a Cirene interrompendo le linee telefoniche e telegrafiche, fare un'incursione negli uffici del servizio segreto italiano ad Apollonia e interrompere le linee di collegamento tra El Faidia e Lamluda.

Keyes decise di rinunciare agli attacchi contro Cirene ed Apollonia, di concentrare gli sforzi sul comando tedesco e sulla " villa di Rommel ", mentre una seconda pattuglia avrebbe fatto saltare il pilone di sostegno della linea telegrafica, all'incrocio stradale in prossimità di Cirene dove si intersecavano le linee di collegamento nemiche.



Gli uomini intrapresero la prima tappa del viaggio accompagnati da un persistente cattivo tempo. Essi raggiunsero la sommità del primo ciglione, circa 800 m all'interno, verso le 21 del 15 novembre, dopo aver faticato per attraversare un tratto di terreno ripido e cosparso di macigni. A mezzanotte la guida araba lasciò la pattuglia, da quel momento in poi Keyes dovette basarsi su di una carta geografica e su di un compasso. Le condizioni atmosferiche riducevano quasi a zero la possibilità di orientarsi osservando le stelle.

Poco prima che spuntasse il giorno gli uomini del commando si dispersero tra i cespugli per passare la giornata al riparo, durante quella giornata Keyes fu avvicinato da un gruppo di arabi, uno dei quali infine accettò di guidarli fino al comando di Rommel dietro un compenso di 1.000 lire; quando scese l'oscurità gli uomini si rimisero in marcia verso Beda Littoria, dove erano situati il comando arretrato e la " villa di Rommel ". Dopo due ore e mezzo di cammino essi raggiunsero una grotta che gli arabi dissero distare circa 8 km da Beda Littoria, e che a Keyes sembrò un posto ideale per accamparsi e trascorrere la notte.

Il mattino seguente Keyes uscì in ricognizione per predisporre l'attacco, ma la pioggia torrenziale lo indusse a rientrare alla grotta e ad inviare un ragazzo arabo a osservare la natura del terreno. Le informazioni riportate dal ragazzo permisero a Keyes di tracciare una carta illustrante il collegamento esistente tra il comando e la villa, tra questi e il parcheggio automezzi. Il ragazzo gli indicò anche la posizione della tenda delle guardie, e suggerì che in caso di pioggia probabilmente le guardie se ne sarebbero rimaste al coperto.

Quello stesso pomeriggio Keyes riassunse brevemente lo svolgimento dell'operazione, specificando quali uomini dovevano entrare nella casa, quali porre fuori uso l'impianto elettrico di illuminazione e quali sorvegliare la strada che conduceva al comando e sabotare gli automezzi che si trovavano nel parcheggio.

Le parole d'ordine erano Island Arran (dal nome della prima base del commando), e alle ore 18 di quella sera gli uomini si misero in marcia con le facce annerite e calzando scarpe da tennis. Tenendo conto delle condizioni atmosferiche, del buio pesto e del fatto che le condizioni del terreno peggioravano di ora in ora, Keyes si concesse sei ore di tempo per raggiungere l'obiettivo. Effettuata l'ultima sosta a circa 500 m da Beda Littoria, proseguirono la marcia lungo il sentiero che conduceva dietro il villaggio.

Quando gli uomini del commando raggiunsero la piazza, indubbiamente convinte di essersi ormai guadagnato il loro compenso le guide rifiutarono di spingersi oltre e si fermarono quindi ad aspettare il ritorno della pattuglia, in quanto solo allora avrebbero ricevuto il compenso pattuito.

Poi accadde un incidente che mise a dura prova i nervi degli inglesi. Mentre Keyes ed il sergente Terry erano andati avanti per dare un'occhiata all'edificio principale, un uomo del gruppo lasciato indietro inciampò in un barattolo di latta, e prima che l'eco del rumore si fosse spenta i cani del villaggio cominciarono ad abbaiare, inducendo uno degli abitanti più irascibilì a dare il via ad una serie di urli ed imprecazioni. Due ufficiali italiani uscirono da una baracca vicina per vedere che cosa stesse accadendo e si imbatterono nella pattuglia, ma l'interprete palestinese tradusse le loro domande in tedesco ed il capitano Robin Campbell, cui Keyes aveva affidato temporaneamente il comando, rispose con sufficiente arroganza da convincerli che si trattava di una pattuglia tedesca.

Keyes aveva intanto tagliato la rete metallica che circondava il giardino della villa, la pioggia aveva indotto la guardia ad abbandonare la tenda e a rifugiarsi nella casa; all'ingresso del viale si trovava un'unica sentinella. Keyes si avvicinò e l'uccise senza fare il minimo rumore. Terry fece allora il segnale convenuto e la pattuglia si portò avanti per l'attacco finale, portando con se una quantità di esplosivo sufficiente a distruggere il comando tedesco e la vicina centrale elettrica.

Keyes guidò la pattuglia sul retro dell'edificio, costeggiandolo, ma giuntovi scoprì che la porta posteriore era bloccata e le finestre, molto alte, chiuse da pesantì imposte; egli si vide quindi costretto a lanciare l'attacco attraverso l'ingresso principale. Quando vi furono giunti, Campbell bussò alla porta e, in tedesco, chiese di entrare. La porta si aprì ed apparve un tedesco senza perdere tempo Keyes gli cacciò la pistola nelle costole, ma poiché l'uomo riuscì a divincolarsi e cominciò a gridare, Campbell fu costretto a sparargli. Poiché non si poteva più contare ormai sul fattore sorpresa e l'allarme era stato dato, Keyes ordinò ai suoi uomini di affrettarsi ad entrare.

Essi si trovarono in un grande atrio con un pavimento di pietra e, sulla destra, una scala che conduceva al piano superiore. Numerose porte si aprivano sull'atrio e da una di quelle situate sulla sinistra filtrava un barlume di luce. Un uomo scese rumorosamente le scale di pietra, e non appena gli giunse a tiro il sergente Terry lo abbatté con una raffica di mitra. Dal giardino arrivò un uomo con una torcia: qualcuno lo abbatté con un colpo di pistola. Keyes spalancò le porte che davano sull'atrio finché aprì quella di una stanza nella quale si trovavano una decina di tedeschi; dopo aver sparato una mezza raffica all'interno della stanza, richiuse con violenza la porta aspettando che Campbell strappasse la sicura da una bomba a mano difensiva; dopo di che riaprì la porta in modo da consentire a Campbell di gettarvi la bomha, ma prima che riuscisse a chiudere la porta, dall'interno partì un colpo d'arma da fuoco, e una pallottola colpì Keyes proprio sopra il cuore, mortalmente ferito, si abbatté al suolo. Subito dopo la bomba esplose, nella stanza le luci si spensero e subentrò un completo silenzio.

Campbell trascinò il corpo di Keyes nel giardino davanti all'edificio e ritornò dentro. Nell'oscurità regnava un profondo silenzio rotto soltanto da alcuni gemiti provenienti dalla stanza in cui era esplosa la bomba. Non udendo più alcun suono che denunciasse la presenza di nemici all'interno dell'edificio, Campbell uscì nuovamente per raggiungere un gruppo che era stato lasciato sul retro con funzioni di copertura; troppo tardi si ricordò degli ordini che queglì uomini avevano ricevuto, e fu raggiunto da una scarica sparata da uno dei suoi stessi uomini, ad una gamba, che più tardi dovette essere amputata.

Poiché la pattuglia non aveva più ufficiali, Campbell ordinò al sergente Terry di sistemare alcune cariche di esplosivo in. modo da far saltare in aria l'intera costruzione e di occuparsi poi della ritirata. Si scoprì allora che la pioggia aveva bagnato le micce in modo tale da renderle inutilizzabili, e tutto ciò che si poté fare fu lanciare una bomba nella condotta di ventilazione del generatore principale, così da mettere fuori uso il sistema di illuminazione.

Dopo aver posto alcune bombe nel parcheggio degli automezzi, i superstiti si allontanarono abbandonando Campbell, in quanto sarebbe stato impossibile trasportarlo fino alla spiaggia. Il sergente Terry fece marciare la pattuglia per tutta la giornata, e nel tardo pomeriggio raggiunse la spiaggia dove il colonnello Laycock stava aspettando. La seconda pattuglia, che si era recata a far saltare il pilone vicino a Cirene, non aveva dato alcun segno di vita, la missione aveva avuto buon esito, ma in seguito tutti gli uomini erano stati catturati. All'imbrunire di quella sera stessa il colonnello Laveock vide il Torbay, completamente emerso, a circa 500 metri dalla riva, e sembrò così che almeno una parte della ritirata si sarebbe conclusa felicemente; ma con grande delusione di tutti gli uomini che si trovavano sulla spiaggia, tutti i segnali fatti da Laycock rimasero senza risposta, e il Torbay non sì avvicinò. Più tardì, gli uomini scorsero segnali provenienti dal Torbay, ma evidentemente la loro risposta fu fraintesa, poiché il sommergibile non inviò nessuna lancia a raccoglierli. La notte trascorse ed apparve così chiaro che l'evacuazione avrebbe dovuto essere rinviata alla notte seguente; i 22 superstiti si ritirarono in un vicino uadi per passarvi la giornata.

Qui, verso mezzogiorno del 19 novembre, furono attaccati da una pattuglia di arabi e più tardi da alcuni soldati italiani. Il colonnello Laycock ordinò ai suoi uomini di dividersi in gruppi, spiegando loro che potevano scegliere tra le seguenti tre alternative:


cercare di raggiungere il Long Range Descrt Group nel settore di Slonta,

ritornare alla spiaggia sperando di essere raccolti da qualche sommergibile,

nascondersi negli uadi vicino a Cirene con la speranza che l'avanzata dell'8ª armata sarebbe prima o poi arrivata a trarli in salvo.
Qualsiasì alternativa avessero scelto, comunque, tutti i membri di tutti i gruppi furono catturati, ad eccezione del colonnello Laycock e del sergente Terry che, quarantun giorni dopo essersi allontanati dalla spiaggia, incontrarono a Cirene le avanguardie dell'8ª armata.

Che cosa ottenne l'incursione contro Rommel?. Le perdite inglesi furono di gran lunga maggiori di quelle tedesche, in quanto se Keyes fu il solo uomo ucciso nel corso dell'operazione, Laycock e Terry furono i soli due a uscirne felicemente. Il fallimento dell'operazione deve soprattutto essere attribuito all'insufficienza delle informazioni preliminari raccolte.

Rommel usava solo di tanto in tanto il comando di Beda Littoria. Al tempo dell'incursione, Rommel si trovava al suo comando avanzato di Ain el Gazala, a circa 55 km da Tobruch. Quando egli si recava a Beda Littoria con gli ufficiali del suo stato maggiore, nel villaggio gli veniva riservata una casa che nella zona era nota come " Rommel Baus "; da questa indicazione, le fonti informative arabe avevano evidentemente tratto la conclusione che Rommel vì risiedeva regolarmente. Aver fatto tanto affidamento su informazioni di fonte araba fu uno degli errori decisivi dell'operazione.

In un primo tempo, i tedeschi pensarono che l'obiettivo dell'incursione fosse quello di sottrarre importanti documenti che erano conservati al primo piano della " prefettura ", ma quando capirono quale era stato il vero scopo non ebbero dífflcoltà ad ammettere che se tutte le cariche dì esplosivo collocate nell'edificio fossero esplose, esso sarebbe saltato in aria uccidendo quanti vi si trovavano.

Gli effetti collaterali dell'incursìone contengono molti aspetti difficilmente valutabili. Come contributo al piano generale volto a suscitare confusione e nervosìsmo dietro le linee tedesche, non mancano le prove che l'incursione ebbe un certo successo, e che, essendosi diffusa nei comandi situati nelle retrovie la voce di imminenti nuove incursioni, a Beda Littoria furono inviate altre truppe. Si deve inoltre considerare quale effetto propagandistico sul morale degli inglesi ebbero gli articoli inviati in patria dai corrispondenti di guerra quando Laycock e Terry riuscirono finalmente a raggiungere le linee dell'8ª armata, in un momento in cui il morale degli inglesi era molto basso.

Per quanto riguarda l'esecuzione dell'operazione, è difficile immaginare in qual modo essa avrebbe potuto essere migliore in simili circostanze. L'inesattezza delle informazioni preliminari e le condizioni atmosferiche inaspettatamente sfavorevoli non potevano certo essere imputate agli uomini del commando; in merito poi alle critiche secondo cui l'elemento sorpresa fu annullato, quasi subito dopo l'arrivo della pattuglia, dal colpo di pistola sparato da Campbell, non si deve dimenticare che la situazione non gli offriva alternative.

Si disse anche, che Keyes si espose ad un inutile rischio facendo fuoco da un atrio illuminato in una stanza buia, ma in realtà tutti gli elementi di prova stanno a dimostrare che l'atrio era debolmente illuminato da una sola lampadina, mentre la stanza nella quale egli fece fuoco e Campbell gettò la bomba era completamente illuminata.

Resta da valutare quanto fattibile fosse l'incursione fin dal suo inizio. Gli uomini impegnati nell'operazìone ne conoscevano pienamente i rischi e avevano deciso di accettarli, e la posta in gioco era altissima. La morte di Rommel avrebbe avuto un effetto considerevole sulla guerra del deserto, in quanto si trattava non solo di un comandante di straordinaria abilità, ma anche di un uomo la cui leggendaria fama fra gli uomini di ambedue gli schieramenti contribuiva enormemente a mantenere alto il morale del nemico.
sergio.T
00giovedì 4 dicembre 2008 14:55
Tenente Colonnello Keyes.
"Quanto lo stesso Rommel fosse rimasto colpito dall'audacia dell'incursione è dimostrato dal fatto che egli inviò il suo cappellano a celebrare, con tutti gli onori militari, il funerale del tenente colonnello Keyes e dei quattro soldati tedeschi rimasti uccisi nell'incursione"
sergio.T
00venerdì 5 dicembre 2008 14:17
Non solo l'esperienza, non solo lo studio, non solo l'applicazione: e' l'istinto viscerale dell'indole della guerra come proprio elemento naturale a fare la differenza tra i grandi Generali e gli altri.
E.Rommel godeva di quella raffinatissima sensibilita' che gli faceva intuire istintivamente la soluzione di ogni agire nella situazione piu' estrema dell'esistenza: la guerra.

Fraser.
sergio.T
00venerdì 5 dicembre 2008 14:28
Speer e i campi di concentramento.
Questo gerarca nazista ha il pudore di non accampare scuse: dice di sentirsi pienamente responsabile di quanto e' accaduto.
Si deve sapere che Speer non apparteneva alle SS - l'istituzione che piu' di ogni altra deve rispondere di questo crimine umanitario - e tanto meno era dell'apparato dell'esercito tedesco.
Speer era un architetto e in seuito Ministro degli armamenti.
Ma ha l'onesta' di riconoscere che non ha avuto il coraggio di andare a vedere cosa succedeva. In molti riferirono di Aushwitz dicendo che non si poteva nemmeno dire cosa succedesse la'. E mentre Speer una volta riusci' ad andare in un campo di lavori forzati per un'ispezione e al seguito di questa diramo' l'immediato ordine di ristabilire un umano trattamento dei prigionieri, con i campi di concentramento veri e propri, non trovo' questo coraggio.
Di questo se ne assume tutta la responsabilita' personale.

sergio.T
00venerdì 5 dicembre 2008 14:34
Leggendo Speer non ho provato nei suoi confronti nessun tipo di odio o astio. Chiunque abbia letto questo libro, penso, potrebbe dirsi stupito della bassezza morale degli ambienti nazisti, ma credo che nei confronti di Speer stesso, ogni lettore non provi nessun tipo di nausea. Diverso, in questo da Hoss e il suo Diario di Auschwitz. ( lo consiglio a tutti)
In quelle pagine Hoss non desta nel lettore il minimo senso di comprensione; si rimane neutrali e distaccati dalle sorti di questo assassino nel vero senso della parola.
Con Speer non e' cosi': non solo perche' non responsabile nella stessa misura dell'olocausto, ma perche' nel leggerlo si ha la sensazione di potere comunque " dialogare " con lui.
C'era qualcosa da salvare e recuperare.
Non per niente il tribunale di guerra di Norimberga che non fu tenero nelle condanne, lo condanno' a 20 anni di reclusione e non si spinse all'ergastolo o alla pena di morte.
Speer un uomo come tanti che si trovo' in mezzo a qualcosa di piu' grande di lui. E di assolutamente incomprensibile.
sergio.T
00mercoledì 10 dicembre 2008 08:59
Speer in attesa della sentenza di Norimberga chiese di leggere Dickens:
il romanzo era Le due citta'.
sergio.T
00mercoledì 10 dicembre 2008 09:26
Nella prima guerra mondiale , a Bleid Belgio, dopo un attacco del battaglione di Rommel ( solo 23 anni!!!), le truppe tedesche invasero il paese rastrellando la popolazione.
Rommel intervenne subito e ordino' di lasciare libera la popolazione , anzi, aiutandola nelle incombenze immediate. Medicinali, viveri, pulizia delle macerie delle case. Le sue truppe, nell'attesa della partenza, divennero una specie di soccorso per i civili.
Per tutta la durata della sua carriera militare, soprattutto nella seconda guerra mondiale, il suo comportamento fu sempre il medesimo: nessun civile, uomo, donna , bambino, o ebreo, poteva essere toccato o preso prigioniero.
sergio.T
00giovedì 11 dicembre 2008 09:08
Nella campagna in Serbia Romaniia nel 1917, Rommel contravvenendo a qualsiasi ordine superiore, con un battaglione di soli 100 uomini s'infiltro' dietro al fronte nemico di ben tre km. Non contento di questo invece di tornare indietro immediatamente, continuo' ad avanzare. Fece 9000 prigionieri in una giornata, conquisto' il caposaldo e permise lo sgondamento all'armata nelle retrovie.



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