Imperium

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sergio.T
00venerdì 9 gennaio 2009 10:11
Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto (in latino Gaius Iulius Caesar Octavianus Augustus)

Roma, 23 settembre 63 a.C. – Nola, 19 agosto 14) meglio conosciuto come Ottaviano o Augusto, fu il primo imperatore romano.

Il Senato gli conferì il titolo di Augustus il 16 gennaio 27 a.C. e il suo nome ufficiale fu da quel momento Imperator Caesar Divi filius Augustus (nelle epigrafi IMPERATOR•CAESAR•DIVI•FILIVS•AVGVSTVS). Nel 23 a.C. gli fu riconosciuta la tribunicia potestas e l'Imperium proconsulare a vita, mentre nel 12 a.C. divenne Pontefice Massimo.

Restò sul trono sino alla morte, e il suo principato fu il più lungo della Roma imperiale (44 anni dal 30 a.C., 37 anni dal 23 a.C.)

L'età di Augusto rappresentò un momento di svolta nella storia di Roma e il definitivo passaggio dal periodo repubblicano al principato. La rivoluzione dal vecchio al nuovo sistema politico contrassegnò anche la sfera economica, militare, amministrativa, giuridica e culturale.

Augusto, negli oltre quarant’anni di regno, introdusse riforme d'importanza cruciale per i successivi tre secoli:

riformò il cursus honorum di tutte le principali magistrature romane, ricostruendo la nuova classe politica e aristocratica, e formando una nuova classe dinastica;
riordinò il nuovo sistema amministrativo provinciale anche grazie alla creazione di numerose colonie e municipi che favorirono la romanizzazione dell’intero bacino del Mediterraneo;
riorganizzò le forze armate di terra (con l’introduzione di milizie specializzate per la difesa e la sicurezza dell’Urbe, come le coorti urbane, i vigiles e la guardia pretoriana) e di mare (con la formazione di nuove flotte in Italia e nelle provincie);
riformò il sistema di difese dei confini imperiali, acquartierando in modo permanente legioni ed auxilia in fortezze e forti lungo l’intero limes;
fece di Roma una città monumentale con la costruzione di numerosi nuovi edifici, avvalendosi di un collaboratore come Marco Vipsanio Agrippa;
favorì la rinascita economica ed il commercio grazie alla pacificazione dell’intera area mediterranea, alla costruzione di porti, strade, ponti e ad un piano di conquiste territoriali senza precedenti, che portarono all’erario romano immense ed insperate risorse (basti pensare al tesoro tolemaico o al grano egiziano, alle miniere d’oro dei Cantabri o quelle d’argento dell’Illirico);
promosse una politica sociale più equa verso le classi meno abbienti, con continuative elargizioni di grano e la costruzione di nuove opere di pubblica utilità (come terme, acquedotti e fori);
diede nuovo impulso alla cultura, grazie anche all'aiuto di Mecenate.
introdusse una serie di leggi a protezione della famiglia e del mos maiorum chiamate Leges Iuliae.

Biografia
Origini della sua famiglia
era figlio di Gaio Ottavio, ricco uomo d'affari che, per primo nella sua famiglia, la gens Octavia (ricca famiglia di Velletri), aveva ottenuto cariche pubbliche ed un posto in Senato (era quindi un novus homo). La madre, di nome Azia, proveniva, invece, da una famiglia da parecchie generazioni di rango senatorio e dagli illustri natali: era infatti imparentata sia con Cesare che con Gneo Pompeo Magno. Azia era più precisamente la figlia della sorella di Cesare, Giulia minore, e di Marco Azio Balbo; Ottaviano, pertanto, era pronipote di Cesare, il quale lo prediligeva per la sua grande intelligenza e serietà.


Giovinezza (63-44 a.C.)
Nel 44 a.C. fu adottato per testamento come figlio ed erede dal prozio e, secondo la consuetudine, assunse il nome del padre adottivo, aggiungendovi la denominazione della famiglia di provenienza e divenne quindi Gaio Giulio Cesare Ottaviano (Gaius Iulius Caesar Octavianus). Si narra che poco prima di venire assassinato, Cesare lo avesse nominato magister equitum in seconda, accanto a Lepido, in vista della grande spedizione d'Oriente che stava preparando contro i Parti, inviandolo appena diciottenne a sorvegliare i preparativi per la futura guerra ad Apollonia. È qui che Ottaviano fu informato dell'uccisione del prozio (15 marzo 44 a.C.), e decise di tornare a Roma per reclamare i suoi diritti di figlio adottivo e di erede di Cesare.


Ascesa al potere (44-23 a.C.)
Tornato a Roma il 21 maggio 44 a.C., dopo che Bruto e Cassio avevano già lasciato la città, dichiarò pubblicamente di accettare l'eredità di Cesare. Chiese, pertanto, ad Antonio il versamento dell'eredità, ma gli fu risposto che doveva attendere che una lex curiata la ratificasse. Ottaviano decise, impegnando i propri beni, di anticipare al popolo le somme che Cesare aveva lasciato nel suo testamento e di eseguire i giochi per la vittoria di Farsalo. Ottenne così che molti dei cesariani si schierassero dalla sua parte contro Antonio, suo diretto avversario nella successione politica a Cesare.

Il senato, e in particolare Marco Tullio Cicerone, lo vedevano come un principiante inesperto data la sua giovane età, pronto ad essere manovrato dall'aristocrazia senatoria - in realtà da subito il giovane rivelò un'autonomia e un'abilità politica notevole.

Tra i due avversari alla successione di Cesare intercorsero sia momenti di accomodamento, sia momenti di forte tensione al limite di una guerra aperta tra i due, come nell'episodio del 43 a.C. quando, su incarico del senato, il console Pansa, insieme ad Ottaviano, portò aiuto al pretore Decimo Bruto e sconfissero Marco Antonio nella battaglia di Modena, nella quale, però, rimasero uccisi i consoli di quell'anno. Subito dopo Ottaviano marciò su Roma con l'esercito e si fece eleggere console, malgrado la giovane età, ottenendo compensi per i suoi legionari e facendo approvare dal Senato una legge contro i cesaricidi.


Dal secondo triumvirato alla Battaglia di Filippi
Aiutato da Lepido, riuscì ad avere un colloquio privato con Antonio, da cui nacque un accordo a tre, tra lui, Antonio e Lepido della durata di cinque anni. Si trattava del secondo triumvirato, riconosciuto per legge in quello stesso anno (triumviri rei publicae constituendae consulari potestate, ovvero "triumviri per la costituzione dello stato con potere consolare", era il titolo ufficiale).

Il patto prevedeva la divisione dei territori romani: ad Ottaviano toccarono Siria, Sardegna ed Africa proconsolaris; vennero contestualmente redatte delle liste di proscrizione contro gli oppositori di Cesare, che portarono alla confisca dei beni e all'uccisione di un gran numero di senatori e cavalieri, tra cui lo stesso Cicerone; vennero fatti i preparativi per portare la guerra contro Bruto e Cassio.

Nell'ottobre del 42 a.C. Antonio e Ottaviano, lasciato Lepido al governo della capitale, si scontrarono con i cesaricidi Marco Giunio Bruto e Gaio Cassio Longino e li sconfissero in due scontri a Filippi, nella Macedonia orientale. I due anticesariani trovarono la morte suicidandosi.[12] La battaglia fu vinta soprattutto per merito di Antonio e la parte di Ottaviano non fu certo gloriosa visto che Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis Historia, afferma che "alla battaglia di Filippi [Ottaviano] cadde malato, fuggì e si nascose per tre giorni in una palude". La versione ufficiale fu che Ottaviano era stato esortato a fuggire in un sogno avuto dal suo medico.


Ottaviano, Antonio e Lepido trovandosi padroni, ora, dei territori orientali procedettero ad una nuova spartizione delle province: a Lepido furono lasciate la Numidia e l'Africa proconsolaris, ad Antonio, la Gallia, la Transpadania e l'Oriente romano, ad Ottaviano spettarono l'Italia, la Sicilia, l'Iberia, e la Sardegna e Corsica.

Successivamente nacquero i primi contrasti: Lucio Antonio, fratello di Antonio, nel 41 a.C. si ribellò ad Ottaviano poiché pretendeva che anche ai veterani del fratello fossero distribuite terre in Italia (oltre ai 170.000 veterani di Ottaviano), ma fu sconfitto a Perugia nel 40 a.C. Non si può provare che Antonio fosse a conoscenza delle azioni del fratello ma, dopo la sconfitta di quest'ultimo, entrambi decisero di non dare troppo peso all'accaduto (Lucio Antonio fu risparmiato e perfino inviato in Spagna come governatore).[14] Contemporaneamente a questi fatti, il legato di Antonio in Gallia, un certo Fufio Caleno, morì e le sue legioni passarono dalla parte di Ottaviano, che poté appropriarsi di nuove province del rivale.

Ottaviano a questo punto cercò un'intesa con Sesto Pompeo, e per sancire l'alleanza, sposò Scribonia, parente di Sesto Pompeo: da questa donna, Ottaviano ebbe la sua unica figlia, Giulia.[15] In realtà, però, né l'intesa, né il matrimonio durarono a lungo. Nell'estate del 40 a.C. Ottaviano ed Antonio vennero ad aperte ostilità: Antonio cercò di sbarcare a Brindisi con l'aiuto di Sesto Pompeo, ma la città gli chiuse le porte. I soldati di ambedue le fazioni si rifiutarono di combattere e i triumviri, perciò, misero da parte le discordie. Con il trattato di Brindisi (settembre del 40 a.C.) si venne ad una nuova divisione delle province: ad Antonio restò l'Oriente romano da Scutari, compresa la Macedonia e l'Acaia; ad Ottaviano l'Occidente compreso l'Illirico; a Lepido, ormai fuori dai giochi di potere, l'Africa e la Numidia; a Sesto Pompeo fu confermata la Sicilia per metterlo a tacere, affinché non arrecasse problemi in Occidente.[16] Il patto fu sancito con il matrimonio tra Antonio, la cui moglie Fulva era morta da poco, e la sorella di Ottaviano, Ottavia minore. Sempre dopo il trattato di Brindisi, Ottaviano ruppe l'alleanza con Sesto Pompeo, ripudiò Scribonia, e sposò Livia Drusilla, madre di Tiberio.

Nel 39 a.C., a Miseno, Ottaviano attribuì a Sesto Pompeo le province di Sardegna e Corsica, promettendogli l'Acaia, ottenendo in cambio la ripresa dei rifornimenti a Roma (Pompeo con la sua flotta bloccava le navi provenienti dal Mediterraneo). Sesto Pompeo, però, stava diventando un alleato scomodo e Ottaviano decise di disfarsene di lì a poco. L'anno successivo, infatti, Ottaviano ripudiò Scribonia, prendendo in sposa Livia Drusilla, e ruppe l'alleanza con Pompeo. Si arrivò così ad una prima serie di scontri non particolarmente felici per Ottaviano: la flotta preparata per invadere la Sicilia (38 a.C.) fu, infatti, distrutta sia da Sesto che da un violento fortunale.[17] Ottaviano, dopo aver rinnovato il triumvirato per altri cinque anni a Taranto, fu costretto nel 36 a.C. a far ricorso all'amico e generale Marco Vipsanio Agrippa, per porre fine a questa guerra. Sesto Pompeo, grazie anche ad alcuni rinforzi inviati da Antonio, fu sconfitto definitivamente presso Mile. La Sicilia cadde e Sesto Pompeo fuggì in Oriente, dove poco dopo fu assassinato dai sicari di Antonio.[18] Ottaviano si liberò così di un altro rivale.

Poco dopo fu anche la volta di Lepido: quest'ultimo riteneva che la Sicilia dovesse toccare a lui ma, dopo che i suoi soldati lo abbandonarono passando dalla parte di Ottaviano, fu confinato al Circeo (pur conservando la carica pubblica di pontifex maximus), e riducendo, di fatto, il contendere a due soli partiti, quello di Ottaviano in Occidente e di Antonio in Oriente. Questa eliminazione graduale di tutti i contendenti nell'arco di sei anni, da Bruto e Cassio, a Sesto Pompeo e Lepido, determinò un inasprimento dei contrasti tra i due triumviri, tanto da sfociare in una vera e propria guerra civile.

Si consideri, infine, che i successi ottenuti nelle campagne militari di Ottaviano in Illirico (35-33 a.C.) non erano stati altrettanto compensati da Antonio in Oriente che, al contrario, fu sonoramente battuto dai Parti (pur conquistando in dote l'Armenia), che il triumvirato non fu rinnovato alla sua scadenza (33 a.C.), e cosa ben più grave, che la sorella di Ottaviano fu ripudiata da Antonio poco dopo.

Il conflitto era ora inevitabile. Mancava solo il casus belli, che Ottaviano trovò nel testamento di Antonio, in cui risultavano le sue decisioni di lasciare i territori orientali di Roma a Cleopatra VII d'Egitto ed ai suoi figli, compreso Cesarione, figlio di Gaio Giulio Cesare.

Il Senato di Roma dichiarò guerra a Cleopatra, ultima regina tolemaica di Egitto, sul finire del 32 a.C. Antonio e Cleopatra furono sconfitti nella battaglia di Azio, del 2 settembre 31 a.C. e si suicidarono entrambi, l'anno successivo in Egitto.[19]


Da Ottaviano ad Augusto (30-23 a.C.)
Dopo Azio, Ottaviano non solo ordinò di uccidere il figlio di Cleopatra, Cesarione (la cui paternità veniva attribuita dalla regina a Cesare), ma decise di annettere l'Egitto (30 a.C.), compiendo l'unificazione dell'intero bacino del Mediterraneo sotto Roma, e facendo di questa nuova acquisizione la prima provincia imperiale, governata da un proprio rappresentante, il prefetto d'Egitto. L'imperium di Ottaviano su questa provincia venne probabilmente sancito da una legge comiziale già nel 29 a.C., due anni prima della messa in opera del nuovo assetto provinciale.

Per la storiografia moderna più datata, la nuova forma di governo provinciale riservata all'Egitto ebbe origine dal tentativo di compensare gli Egiziani della perdita del loro monarca-dio (il faraone), con la nuova figura del Princeps;[20] in realtà, la scelta di Ottaviano di porre a capo della nuova provincia un prefetto plenipotenziario (figura che derivava direttamente dal prefetto della città tardo-repubblicana), il cosiddetto praefectus Alexandreae et Aegypti, titolo ufficiale attribuito al neo-governatore collegato alla soppressione della Bulè di Alessandria, fu dettata dal contesto in cui avvenne la conquista del paese: la guerra civile, ragioni di ordine strategico-militare nella lotta fra le due factiones tardo-repubblicane pro-occidente o pro-oriente, l'importanza del grano egiziano per l'annona di Roma e, non da ultimo, il tesoro tolemaico. L'aver, infatti, potuto mettere le mani sulle risorse finanziarie dei Tolomei consentì ad Ottaviano di pagare molti debiti di guerra, nonché decine di migliaia di soldati che in tanti anni di campagne lo avevano servito, disponendone l'insediamento in numerose colonie, sparse in tutto il mondo romano.

Ottaviano era divenuto, di fatto, il padrone assoluto dello stato romano, anche se formalmente Roma era ancora una repubblica e Ottaviano stesso non era ancora stato investito di alcun potere ufficiale, dato che la sua potestas di triumviro non era stata più rinnovata: nelle Res Gestae riconosce di aver governato in questi anni in virtù del "potitus rerum omnium per consensum universorum" ("consenso generale"), avendo per questo motivo ricevuto una sorta di perpetua tribunicia potestas (certamente un fatto extra-costituzionale).

Finché questo consenso continuò a comprendere l'appoggio leale degli eserciti, Ottaviano poté governare al sicuro, e la sua vittoria costituì, di fatto, la vittoria dell'Italia sul vicino Oriente; la garanzia che mai l'impero romano avrebbe potuto trovare altrove il suo equilibrio ed il suo centro al di fuori di Roma.

Il senato gli conferì progressivamente onori e privilegi, ma il problema che Ottaviano doveva risolvere consisteva nella trasformazione della sostanza dei rapporti istituzionali, lasciando intatta la forma repubblicana. I fondamenti del reale potere vennero individuati nell'imperium e nella tribunicia potestas: il primo, proprio dei consoli conferiva a chi ne era titolare il potere esecutivo, legislativo e militare, mentre la seconda, propria dei tribuni della plebe, offriva la facoltà di opporsi alle decisioni del senato, controllandone la politica. Ottaviano cercò di ottenere tali poteri evitando di alterare le istituzioni repubblicane e dunque senza farsi eleggere a vita console e tribuno della plebe ed evitando inoltre la soluzione cesariana (Giulio Cesare era stato eletto, prima annualmente e poi a vita Dittatore).

Nel 27 a.C. Ottaviano, restituì formalmente nelle mani del senato e del popolo romano i poteri straordinari assunti per la guerra contro Marco Antonio, ricevendo in cambio: il titolo di console da rinnovare annualmente, una potestas con maggiore auctoritas rispetto agli altri magistrati (consoli e proconsoli), poiché aveva diritto di veto in tutto l'Impero, a sua volta non assoggettato ad alcun veto da parte di qualunque altro magistrato[23]; l'imperium proconsolare decennale, rinnovatogli poi nel 19 a.C., sulle cosiddette province "imperiali" (compreso il controllo dei tributi delle stesse), vale a dire le province dove fosse necessario un comando militare, ponendolo di fatto a capo dell'esercito;[24] il titolo di Augusto, cioè "degno di venerazione e di onore", che sancì la sua posizione sacra che si fondava sul consensus universorum di senato e popolo romano; l'utilizzo del titolo di Princeps ("primo cittadino"); il diritto di condurre trattative con chiunque volesse, compreso il diritto di dichiarare guerra o stipulare trattati di pace con qualunque popolo straniero.

Questi poteri decretarono che le province fossero divise in senatorie, rette da magistrati eletti dal senato, ed imperiali, rette da magistrati sottoposti al diretto controllo di Augusto; faceva eccezione l'Egitto, retto da un prefetto di rango equestre, munito di un imperium delegato da Augusto ad similitudinem proconsulis. L'imperium gli consentì di assumere direttamente il comando delle legioni stanziate nelle province "non pacatae" e di avere così costantemente a disposizione una forza militare a garanzia del suo potere, nel nesso inscindibile tra esercito e proprio comandante che era stato creato dalla riforma di Gaio Mario, ormai vecchia più di un secolo. L'imperium gli garantiva, inoltre, la gestione diretta dell'amministrazione e la facoltà di emanare decreta, decisioni di carattere giurisdizionale, ed edicta, decisioni di carattere legislativo.

Sotto il controllo del senato restarono le truppe di stanza nelle province senatoriali, le quali furono rette da un proconsole o propretore. Il senato stesso avrebbe potuto in qualunque momento emanare un senatus consultum limitando o revocando i poteri conferiti.

Nel 23 a.C. fu conferita ad Augusto, la tribunicia potestas a vita (che secondo alcuni gli era stata attribuita già dal 28 a.C.), la quale divenne la vera base costituzionale del potere imperiale: comportava infatti l'inviolabilità della persona e il diritto di intervenire in tutti i rami della pubblica amministrazione, e questo senza i vincoli repubblicani della collegialità della carica e della sua durata annuale. Particolarmente significativo fu il diritto di veto, che garantì ad Augusto la facoltà di bloccare qualunque iniziativa legislativa che considerasse pericolosa per la propria autorità. Nello stesso anno l'imperium di cui già godeva venne ampliato fino a comprendere anche le province senatorie: tutte le forze armate dello stato romano dipendevano ora da lui.[26]

Ed ancora gli furono conferiti nuove onorificenze negli anni a venire. Nel 12 a.C., quando il pontefice massimo Lepido morì, Ottaviano ne prese il titolo divenendo il capo religioso di Roma.[27] Nell'8 a.C. fu emanata la Lex Iulia maiestatis in cui per la prima volta venne punita l'offesa alla "maestà" dell'imperatore, foriero poi di conseguenze negative per tutto il periodo successivo. E per finire, nel 2 a.C., anno dell'inaugurazione del tempio di Marte Ultore e del Foro di Augusto, gli fu conferito il titolo onorifico di "Padre della patria" (Pater Patriae).


Il principato (23 a.C. - 14 d.C.)
L'ambizione di Augusto era quella di essere fondatore di un optimus status, facendo rivivere le più antiche tradizioni romane e nel contempo tenendo conto delle problematiche dei tempi. Il mantenimento formale delle forme repubblicane, nelle quali si inseriva il nuovo concetto della personale auctoritas del princeps (primo fra pari), permise di risolvere i conflitti per il potere vissuti nell'ultimo secolo della Repubblica.

Ottaviano, una volta ricevuti i necessari poteri da parte di Senato e Popolo romano, cominciò ad assumere misure atte a dare all'Italia ed alle Province il sospirato benessere, dopo oltre un decennio di guerre civili: riordinò il cursus honorum delle magistrature repubblicane e promosse leggi che frenavano il diffondersi del celibato ed incoraggiavano la natalità, emanando la lex Julia de maritandis ordinibus del 18 a.C. e la lex Papia Poppaea del 9 d.C. (a completamento della prima legge).


Amministrazione dell'Italia
Divise l'Italia in undici regioni arricchendola di nuovi centri e migliorò la situazione di Roma, capitale dell'impero.

Fece di Roma una monumentale città di marmo e istituì due curatores aedium sacrarum et operum locorumque publicorum per preservare i templi e gli edifici pubblici; aumentò l'approvvigionamento idrico con la costruzione di due nuovi acquedotti e creando un corpo di tre curatores aquarum per l'approvvigionamento idrico; la divise in 14 regiones per meglio amministrarla oltre ad istituire cinque curatores riparum et alvei Tiberis, per proteggere Roma da eventuali inondazioni; curò personalmente gli approvvigionamenti di cibo necessari alla popolazione della capitale, con la creazione del praefectus annonae (di rango equestre) e di due praefecti frumenti dandi (di rango senatorio) per somministrare i sussidi; incrementò, infine, il livello di sicurezza cittadina ponendo a salvaguardia dell'Urbe tre nuove prefetture: la praefectura vigilum, affidata ad un prefetto (di rango equestre), a capo di sette coorti di vigili per far fronte agli incendi di Roma, la praefectura Urbi, affidata ad un prefetto di estrazione senatoria o consolare, ai cui ordini erano poste tre cohortes urbanae (di circa 1.000 uomini ciascuna) al fine di mantenere l'ordine pubblico, la Guardia pretoriana (praefectura Praetorii), affidata ad un prefetto di rango equestre a capo di nove coorti, quale guardia personale del Princeps.

Amministrazione provinciale
Nel 27 a.C., riorganizzò le province da un punto di vista fiscale ed amministrativo, delegando l'amministrazione delle province nel seguente modo:

Per se stesso, tenne le cosiddette province non pacate, ovvero quelle limitanee, in cui erano stanziate le legioni, con il fine, mal celato, di giustificare il potere sull'esercito. Tali province, poi dette imperiali, o provinciae Caesaris, furono affidate ai legati Augusti pro praetore di rango senatorio, scelti tra ex-consoli ed ex-pretori, con legati legionari, prefetti e tribuni come subalterni. Faceva eccezione l'Egitto, in cui venne riconfermato il praefectus Alexandreae et Aegypti, un membro del ceto equestre munito di imperium. Per l'aspetto tributario, tali province erano affidate ad agenti del principe, cavalieri, ma anche liberti, col titolo di procuratores Augusti; le entrate andavano a confluire sulla neonata cassa del principe, il fiscus.
Le rimanenti province, quelle di più antica costituzione (pacate) e prive di stanziamenti legionari (tranne che per la provincia d'Africa), vennero lasciate al governo delle promagistrature tradizionali, affidandole a proconsules, estratti a sorte secondo il costume repubblicano, tra ex-consoli o ex-pretori a seconda dell'importanza della provincia. Tali province presero poi il nome di provinciae Populi Romani. I tributi venivano raccolti dai quaestores e confluivano nell'aerarium, l'antica cassa dello stato romano.
Altri distretti, di dimensioni ed importanza minore, non elevate al rango di provincia e nelle quali erano stanziate solo truppe ausiliare, furono affidate a ufficiali, col titolo di prefetti civitatum o semplicemente prefetti. Questi distretti dipendevano dal legato della provincia (o dell'esercito) più vicino: così la prefettura di Giudea dipendeva dal legato di Siria e le prefetture alpine dal legato dell'esercito germanico.
Creò, inoltre, nuovi e numerosi municipi e colonie, al fine di portare avanti l'opera di romanizzazione nelle province.


Amministrazione finanziaria ed economica
Augusto riorganizzò l'amministrazione finanziaria dello Stato romano. Attribuì infatti un salario e una gratifica di congedo a tutti i soldati dell'esercito imperiale (legionari e ausiliari compresi); assegnò un salario (salaria) per il servizio pubblico, per tutti i rappresentanti del senato, per poi estenderlo gradualmente anche alle magistrature ordinarie. La magistratura di tipo repubblicano fu retribuita con indennizzi e cibaria, piuttosto che con salaria, costituì il fiscus (ovvero la cassa delle entrate dell'imperatore), accanto al vecchio aerarium, che rimase la cassa principale (ora affidata dal 23 a.C. a due pretori, non più a due questori), ma Augusto fu autorizzato ad attingere da esso le somme necessarie per tutte le funzioni amministrative e militari. L'imperatore, di fatto, poteva dirigere la politica economica di tutto l'impero ed assicurarsi che le risorse fossero equamente distribuite in modo che le popolazioni sottomesse potessero considerare il governo di Roma una benedizione non una condanna. Creò infine un aerarium militare per i compensi da dare ai veterani.

Promosse, quindi, la rinascita economica, del commercio e dell'industria attraverso l'unificazione dell'area mediterranea, debellando completamente la pirateria e migliorando la sicurezza lungo le frontiere ed internamente alle Province, creò una fitta rete stradale con un ottimo livello di manutenzione, istituendo numerosi curatores viarum per la manutenzione delle strade in Italia e nelle Province, nuovi porti commerciali e nuove attrezzature portuali come moli, banchine, fari oltre all'escavazione di canali, nuove esplorazioni (a volte anche militari oltreché commerciali) in terre lontane come in Etiopia, nella penisola arabica (fino all'attuale Yemen), nelle terre dei Garamanti, dei Germani del fiume Elba e in India. In questa maniera restaurò la pax romana in tutto l'impero.[30]


Riorganizzazione dell'esercito
Augusto riorganizzò l'esercito legionario ed ausiliario. Introdusse un esercito permanente di volontari, disposti a servire inizialmente per sedici anni, e poi per vent'anni dal 6, unicamente dipendente da lui; istituì un cursus honorum anche per coloro che aspiravano a ricoprire i più alti incarichi nella gerarchia dell'esercito, con l'introduzione di generali professionisti, non più comandanti inesperti mandati allo sbaraglio nelle province di confine; creò l'aerarium militare.

Delle legioni sopravvissute alla guerra civile, 28 rimasero dopo Azio, e 25 dopo la disfatta di Teutoburgo; vennero istituite le ali di cavalleria e le coorti di fanteria (o misti) di auxilia provinciali, traendoli da volontari non-cittadini, desiderosi di diventare cittadini romani al termine della ferma militare (della durata di 20-25 anni); furono formate le coorti pretoriane, quelle urbane (di Roma, Cartagine, Lione e d'Italia) e dei Vigili di Roma; la flotta imperiale divisa in squadre a Ravenna, Miseno e Forum Iulii, e quelle provinciali di Siria e Egitto, e le flottiglie fluviali su Reno, Danubio e Sava.[31]

Politica estera [modifica]

Prime campagne dalmato-illiriche (35-33 a.C.),
Campagne lungo il fronte africano ed arabico (30 a.C.-6 d.C.),
Politica orientale augustea (30 a.C.-14 d.C.),
Guerre cantabriche (29-19 a.C.),
Conquista di Rezia ed arco alpino (26-7 a.C.),
Seconde campagne dalmato-illiriche (13-9 a.C.),
Occupazione della Germania (12 a.C.-9 d.C.),
Rivolta dalmato-pannonica (6-9),
Battaglia della foresta di Teutoburgo (9).
Quasi a dispetto dell'indole apparentemente pacifica di Augusto, il suo principato fu il più travagliato da guerre di quanto non lo siano stati quelli della maggior parte dei suoi successori. Solo Traiano e Marco Aurelio si trovarono a lottare contemporaneamente su più fronti, al pari di Augusto. Sotto Augusto, infatti, furono coinvolte quasi tutte le frontiere, dall'oceano settentrionale fino alle rive del Ponto, dalle montagne della Cantabria fino al deserto dell'Etiopia, in un piano strategico preordinato che prevedeva il completamento delle conquiste lungo l'intero bacino del Mediterraneo ed in Europa, con lo spostamento dei confini più a nord lungo il Danubio e più ad est lungo l'Elba (in sostituzione del Reno).[32]

Le campagne di Augusto furono effettuate con il fine di consolidare le conquiste disorganiche dell'età repubblicana, le quali rendevano indispensabili numerose annessioni di nuovi territori. Mentre l'Oriente poté rimanere più o meno come Antonio e Pompeo lo avevano lasciato, in Europa fra il Reno ed il Mar Nero fu necessaria una nuova riorganizzazione territoriale in modo da garantire una stabilità interna e, contemporaneamente, frontiere più difendibili.


Sottomissione delle "aree interne"

Prima di tutto, Augusto in persona si dedicò, con l'aiuto di Agrippa, a portare a compimento una volta per tutte la sottomissione di quelle "aree interne" all'impero non ancora conquistate completamente.

La parte nord-ovest della penisola iberica, che ormai creava problemi da decenni, fu condotta sotto il dominio romano, dopo una serie di pesanti campagne militari in Cantabria durate 10 anni (dal 29 al 19 a.C.), l'impiego di numerose legioni (ben sette) insieme ad un numero altrettanto elevato di ausiliari, oltre alla presenza dello stesso Ottaviano sul teatro delle operazioni (nel 26 e 25 a.C.). La vicina Aquitania fu, intanto, percorsa dalle truppe di Marco Valerio Messalla Corvino che vi riportava l'ordine turbato dagli indigeni nel 28 a.C.

La conquista dell'arco alpino, per dare maggior sicurezza interna ai valichi ed alle relazioni fra Gallia ed Italia: nel 26-25 a.C. furono sottomessi i Salassi con la fondazione di Augusta Praetoria (Aosta); nel 23 Tridentium (Trento) fu fortificata; nel 16 furono vinti i Camuni della Val Camonica e le tribù della Val Venosta; nel 14 i Liguri Comati delle Alpi sudoccidentali erano in parte sottoposti ai praefecti civitatum, in parte aggiunti al vicino regno di Cozio, divenuto egli stesso prefetto, anche se solo formalmente. Questi successi furono commemorati con l'erezione del celebre trofeo di La Turbie nella Francia mediterranea.

Ma fu la frontiera dell'Europa continentale che preoccupò Augusto più di ogni altro settore strategico. Essa comprendeva due settori principali: quello danubiano e quello renano.


Frontiera danubiana
Al termine della rivolta dalmato-pannonica del 6-9, tutti i territori dell'area illirica a sud del fiume Drava furono sotto il definitivo controllo romano. Per approfondire, vedi le voci Campagne militari di Ottaviano in Illirico (35-33 a.C.), Campagne dalmato-illiriche (13-9 a.C.) e Rivolta dalmato-pannonica del 6-9.

Publio Silio Nerva, governatore dell'Illirico, tra il 17 ed il 16 a.C., riuscì a portare a termine la conquista dell'fronte alpino orientale, oltre al Norico meridionale, ottenendo una forma di vassallaggio da parte del regno del Norico settentrionale (popolazione dei Taurisci). I figliastri di Augusto, Druso e Tiberio, nel 15 a.C., sottomisero la Rezia, Vindelicia e Vallis Poenina, con un'operazione "a tenaglia", il primo proveniente dal Brennero ed il secondo dalla Gallia.

Dal 29 al 19 a.C. si procedette ad azioni combinate insieme ad i re "clienti" traci, contro le popolazioni pannoniche, mesie, sarmatiche, getiche e bastarne fino ai confini macedoni. Il primo ad intraprendere campagne nell'area balcanica fu il proconsole di Macedonia, Marco Licinio Crasso, in quale batté ripetutamente le popolazioni di Mesi, Triballi, Geti e Daci (nel 29 e 28 a.C.). Attorno al 16-15 a.C. i Bessi vennero ricacciati dalla frontiera macedone, mentre le colonie greche tra le bocche del Danubio e del Tyras chiesero la protezione di Roma; dal 14 al 9 a.C. i legati di Dalmazia e Macedonia, sotto l'alto comando prima di Agrippa e poi di Tiberio, domarono Scordisci (sottomessi da Tiberio nel 12 a.C.[33]), Dalmati e Pannoni e respinsero le scorrerie di Bastarni, Sarmati e Daci d'oltre Danubio, mentre Pannonia e Dalmazia furono finalmente condotte sotto il dominio romano. I Traci, da poco ribellatisi, furono pesantemente sconfitti dal proconsole di Galazia e Panfilia, il consolare Lucio Calpurnio Pisone, in tre feroci campagne (12-10 a.C.), al termine delle quali era loro imposto un protettorato, da parte di Roma, sia sul regno di Tracia, sia su quello di Crimea e del Ponto. Dopo un quindicennio di relativa tranquillità, nel 6, il settore danubiano tornò ad essere agitato. I Dalmati si ribellarono, e con loro anche i Breuci di Pannonia, mentre Daci e Sarmati compirono scorrerie in Mesia. Fu necessario sospendere ogni nuovo tentativo di conquista a nord del Danubio, per sopprimere questa rivolta durata per ben tre anni, dal 6 al 9. Tiberio, in questo modo, fissò definitivamente il confine dell'area illirica al fiume Drava.


Frontiera renana
Le campagne germaniche di Domizio Enobarbo del (3-1 a.C.), di Tiberio e del suo legato, Gneo Senzio Saturnino, del 4-6. Per approfondire, vedi le voci Occupazione romana della Germania sotto Augusto e Battaglia della foresta di Teutoburgo.

Le popolazioni germaniche avevano più volte tentato di passare il Reno: nel 38 a.C. (anno in cui gli alleati germani, Ubi, furono trasferiti in territorio romano)[34] e nel 29 a.C. i Suebi, mentre nel 17 a.C. i Sigambri, insieme a Usipeti e Tencteri (clades lolliana).[35] Augusto ritenne fosse giunto il momento di annettere la Germania, come aveva fatto suo padre Gaio Giulio Cesare con la Gallia. Desiderava portare i confini dell'Impero romano più ad est, dal fiume Reno al fiume Elba. Il motivo era di ordine prettamente strategico, più che di natura economico-commerciale. Si trattava infatti di territori acquitrinosi e ricoperti da interminabili foreste ma il fiume Elba avrebbe ridotto notevolmente i confini esterni dell'impero. Contemporaneamente si dovette operare anche sul fronte danubiano nell'area illirica per completare questo progetto. Dopo la morte di Agrippa, il comando delle operazioni fu diviso tra i due figliastri dell'imperatore, Tiberio e Druso maggiore. Toccò a quest'ultimo il gravoso compito di operare in Germania. Le campagne che si susseguirono furono numerose, discontinue, e durarono per circa un ventennio dal 12 a.C. al 6 portando alla costituzione della nuova provincia di Germania con l'insediamento di numerose fortezze legionarie (ad Haltern, l’antica Aliso sede amministrativa provinciale, Oberaden ed Anreppen lungo il fiume Lippe; oltre a Marktbreit sul Meno). Tutti i territori conquistati in questo ventennio furono definitivamente compromessi quando nel 7 Augusto inviò in Germania Publio Quintilio Varo, sprovvisto di doti diplomatiche e militari, oltreché ignaro delle genti e dei luoghi. Nel 9 un esercito di 20.000 uomini composto da tre legioni venne massacrato nella selva di Teutoburgo, portando alla definitiva perdita di tutta la zona tra il Reno e l'Elba.[36]


Frontiera orientale

La presenza di Augusto in Oriente subito dopo la battaglia di Azio, nel 30-29 a.C. e dal 22 al 19 a.C., oltre a quella di Agrippa fra il 23-21 a.C. e ancora tra il 16-13 a.C., dimostrava l'importanza di questo settore strategico. Fu necessario raggiungere un modus vivendi con la Partia, l'unica potenza in grado di creare problemi a Roma in Asia Minore. Per questi motivi la politica di Augusto si differenziò in base a due aree strategiche dell'Oriente antico.

Ad occidente dell'Eufrate, dove Augusto provò ad inglobare alcuni stati vassalli, trasformandoli in province, come la Galizia di Aminta nel 25 a.C., o la Giudea di Erode Archelao nel 6; rafforzò vecchie alleanze con re locali, divenuti "re clienti di Roma", come accadde ad Archelao, re di Cappadocia, ad Asandro re del Bosforo Cimmerio, e a Polemone I re del Ponto,[37] o ai sovrani di Emesa e Iturea.[38]

Ad oriente dell'Eufrate, in Armenia, Partia e Media, Augusto ebbe come obbiettivo quello di ottenere la maggiore ingerenza politica senza intervenire con dispendiose azioni militari. Ottaviano mirò infatti a risolvere il conflitto con i Parti in modo diplomatico, con la restituzione nel 20 a.C., da parte del re parto Fraate IV, delle insegne perdute da Crasso nella battaglia di Carre del 53 a.C. Augusto avrebbe potuto rivolgersi contro la Partia per vendicare le sconfitte subite da Crasso e da Antonio, al contrario ritenne invece possibile una coesistenza pacifica dei due imperi, con l'Eufrate come confine per le reciproche aree di influenza. Di fatto entrambi gli imperi avevano più da perdere da una sconfitta, di quanto potessero realisticamente sperare di guadagnare da una vittoria. Infatti, durante tutto il suo lungo principato, Augusto concentrò i suoi principali sforzi militari in Europa. Il punto cruciale in Oriente era, però, costituito dal regno d'Armenia che, a causa della sua posizione geografica, era da un cinquantennio oggetto di contesa fra Roma e la Partia. Egli mirò a fare dell'Armenia uno stato-cuscinetto romano, con l'insediamento di un re gradito a Roma, e se necessario imposto con la forza delle armi, come avvenne nel 2 d.C. quando, di fronte ad una possibile invasione romana dell'Armenia, Fraate V riconobbe la preminenza romana davanti a Gaio Cesare, mandato in missione da Augusto.[39]


Frontiera africana l
a frontiera meridionale africana, per finire, poneva problemi diversi nei suoi settori orientale ed occidentale.

Ad oriente, dopo la conquista nel 30 a.C., l'Egitto divenne la prima provincia imperiale, retta da un prefetto di rango equestre, il prefetto d'Egitto, a cui Ottaviano aveva delegato il proprio imperium sul paese, con ben tre legioni di stanza (III Cyrenaica, VI Ferrata e XXII Deiotariana). L'Egitto costituì negli anni seguenti una base di partenza strategica per spedizioni lontane; il primo prefetto, Cornelio Gallo, dovette reprimere un'insurrezione nel sud dell'Egitto, Elio Gallo esplorò l'Arabia Felix, Gaio Petronio si spinse in direzione dell'Etiopia (25-22 a.C.) fino alla sua capitale.

Ad occidente la provincia d'Africa e la Cirenaica conobbero due guerre: fra il 32 ed il 20 a.C. contro i Garamanti dell'attuale Libia, mentre fra il 14 a.C. ed il 6 d.C. fu la volta dei Nasamoni della Tripolitania, dei Musulami della regione di Theveste, dei Getuli e dei Marmaridi delle coste mediterranee centrali.


Nuovo sistema clientelare
I Romani intuirono che il compito di governare e di civilizzare un gran numero di genti contemporaneamente era pressoché impossibile, e che sarebbe risultato più semplice un piano di annessione graduale, lasciando l'organizzazione provvisoria affidata a principi nati e cresciuti nel paese d'origine. Nacque quindi la figura del re clienti, la cui funzione era quella di promuovere lo sviluppo politico ed economico dei loro regni, favorendone la civilizzazione e l'economia. Così, quando i regni raggiungevano un livello di sviluppo accettabile, essi potevano essere incorporati come nuove province o parti di esse. Le condizioni di stato vassallo-cliente erano, dunque, di natura transitoria.

Tale disegno politico fu applicato all'Armenia, alla Giudea (fino al 6 d.C.), alla Tracia, alla Mauretania ed alla Cappadocia. A questi re clienti fu lasciata piena libertà nell'amministrazione interna, e probabilmente non furono tenuti a pagare tributi regolari, ma dovevano provvedere a fornire truppe alleate al bisogno oltre a concordare preventivamente la loro politica estera con l'imperatore.

sergio.T
00lunedì 12 gennaio 2009 11:45
Tiberio
TIBERIO

"Eccellente condottiero ed ottimo amministratore, Tiberio cerca di consolidare l'impero piuttosto che ampliarlo. E' senza dubbio un grande sovrano la cui cattiva fama, specie quella relativa alle dissolutezze a cui si sarebbe abbandonato negli ultimi anni della sua vita, dipende in gran parte dai cronisti dell'epoca"

Tiberio fu l’erede di Augusto. L'erede non voluto, l'erede non amato, l'erede imposto crudelmente dal destino.

Tutta la sua vita fu segnata, fin dall’infanzia, dalla presenza di Augusto, prima patrigno e poi suocero. Ed anche dopo la morte di questi, la sua ombra si proietterà a lungo sull’attività di Tiberio condizionandone decisioni ed azioni.

La chiave per dare una valutazione del suo operato, sta tutta qui: nel riuscire a mettere a fuoco, soprattutto sul piano psicologico, il rapporto fra i due.

Aveva 56 anni quando Augusto morì, ma in realtà non era mai stato giovane. L’adolescenza, la giovinezza e la maturità erano state vissute sotto l’ombra pesante e non sempre favorevole del patrigno. Ne fu, con Agrippa, il miglior Generale, operando sempre vittoriosamente su tutti i fronti. Quasi tutte le nuove conquiste di Augusto portano in realtà il suo nome.

Fu leale, disciplinato ed obbediente. Ebbe un solo momento di orgoglio e di sussulto, quando si ritirò in esilio volontario a Rodi per sette anni. Richiamato a Roma per la forza tragica degli eventi, fu ancora eccezionale ed unico collaboratore. La sua devozione non gli fece, però, guadagnare l’affetto del suocero-patrigno. Augusto fu perfido con lui anche dopo la morte. Nel testamento, pur designandolo erede, confermava di averlo fatto solo perché il destino gli aveva portato via tutti gli altri eredi individuati.

Nonostante tutto, fu campione di coerenza continuando la politica di Augusto.

Sarà Imperatore per 23 anni. Ad un primo splendido periodo, seguiranno mediocri e torbidi anni di governo dal “buen retiro” di Capri. Alla determinata e prudente politica estera ed alla saggia e corretta amministrazione delle provincie si accompagnerà la tirannide nei riguardi della città di Roma.

Morirà a 78 anni. Almeno in questo, aveva superato Augusto, l’uomo che gli aveva “strozzato” la vita, che era morto a 76 anni.



L’adolescenza, la giovinezza e la maturità

Era nato il 16 nov. del 42 a.C. a Roma. Il padre, membro della famiglia Claudia, aveva parteggiato per i congiurati e poi per Antonio. Per questo, nell'inverno 41-40, era fuggito in Grecia. In queste peregrinazioni aveva condotto con sé la moglie Livia Drusilla e il piccolo Tiberio. Tornarono a Roma nel 38.

E qui successe un primo evento importante. Ottaviano s’innamorò di Livia, vedendo in ciò anche la possibilità di unire i destini delle due grandi famiglie patrizie Giulia e Claudia. A Livia fu imposto il divorzio anche se era prossima a partorire il secondo figlio Druso. Tiberio non aveva, quindi, ancora quattro anni quando dovette abbandonare il padre e trasferirsi con la madre nella casa di Ottaviano. Il padre morì quando lui aveva nove anni.

Insieme con Druso fu adottato da Ottaviano diventandone il figliastro. I meriti militari ne fecero, per sua esclusiva virtù, il miglior Generale del tempo. Cominciò le campagne militari quando aveva solo sedici anni. A 22 anni andò presso il Re dei Parti per ritirare le insegne delle Legioni di Crasso.

Insieme al fratello Druso, sviluppò l'attività militare più intensa che doveva portare la frontiera romana fino al Danubio. Operò Macedonia, in Mesia, in l'Illiria. A lui si deve la conquista della Pannonia (odierna Ungheria).

Nel 9 mentre era ancora in Pannonia, seppe della morte del caro fratello. A lui spettava ora proseguire la guerra in Germania e vi ottenne nuove vittorie.

Augusto gli combinò il matrimonio con Vipsania, la figlia di Agrippa e fu un grande amore. Ma, dopo alcuni anni, nell'11 a.C., Augusto s’intromise, ancora una volta, nella sua vita imponendogli di divorziare da Vipsania e di sposare la figlia Giulia, diventata vedova di Agrippa.

Era il terzo uomo cui Augusto dava in sposa la figlia. I primi due, Marcello ed Agrippa, entrambi deceduti, erano stati indicati come successori di Augusto.

Il matrimonio con Giulia non sembrava, però, innalzarlo automaticamente nell'attenzione di Augusto, qualificandolo come suo erede. Anzi l'interesse dell'Imperatore si orientò verso i due nipoti Caio e Lucio Cesari, figli di Giulia ed Agrippa. Tutto ciò, unito allo sfrontato comportamento di Giulia, lo indusse all'esilio volontario a Rodi dal 5 a.C. al 2 d.C..

Per nascita, beni di fortuna e educazione sarebbe stato destinato al successo, e tuttavia ogni cosa per lui era andata male; aveva dovuto rinunziare a sua moglie, aveva perso il fratello, aveva adempiuto con energia e coscienza qualunque missione gli fosse affidata, dimostrandosi valoroso Soldato e capace Comandante, ed ora si vedeva messo da parte per uomini più giovani. La condotta immorale della moglie avrebbe ben meritato il ripudio. Ma Giulia era la figlia di Augusto e Tiberio non ebbe il coraggio di farlo. All'età di 36 anni, deluso e disgustato, improvvisamente, si ritirò in un volontario esilio di studioso a Rodi, dove sarebbe rimasto sette anni.

Tornò il 2 d.C., riportato a Roma dalla tragicità degli eventi e dai maneggi della madre. Tre anni prima Giulia era stata relegata a Ventotene e nello stesso anno era morto Lucio Cesare. Il rientro al servizio dello Stato avvenne solo il 4, dopo che nel frattempo era morto anche Caio Cesare. I soldati delle Legioni germaniche e danubiane salutarono con gioia il suo ritorno.

Finalmente avvenne l'adozione da parte di Augusto con il conferimento del potere proconsolare e della tribunicia potestas per 10 anni.

Tiberio collaborò nel governo dell'Impero, impegnato quasi sempre in dure campagne militari in Illiria ed in Germania.

Nel 14, alla morte di Augusto aveva 56 anni.

Augusto doveva aver avvertito il problema della differenza di carattere fra sé ed il successore. Ma il carattere serio e scrupoloso di Tiberio costituiva la migliore garanzia di continuazione della nuova amministrazione da lui imposta.



Il carattere

Il rapporto fra un figlio ed il patrigno è sempre difficile e questo fra Augusto e Tiberio lo fu in modo particolare. La sua vita sarebbe stata sicuramente diversa, se non avesse avvertito il duraturo astio del patrigno e se non fosse stato costretto a lasciare la donna amata. Il ricordo di quella violenta intromissione nella sua vita intima lo perseguitò fino alla morte. Quando gli avveniva di incontrare la sua ex moglie gli occhi di quest'uomo acido si velavano di pianto. E questo, in parte, lo riscatta ed in parte ci aiuta a comprenderlo maggiormente.

Rude ed amante dei fatti più che delle parole. Severo prima con se stesso e poi con gli altri. Disumanamente gelido e rigido nell'autocontrollo, pedante ed apprensivo nell'amministrazione. Ma i Soldati, il cui sangue egli risparmiava con la massima cura, lo apprezzavano anche per questo e, al momento buono, lo preferivano ai Capi più brillanti e più popolari.

Tiberio fu considerato un arido, ma aveva anche sentimenti forti, come dimostrò nei riguardi del fratello Druso e della moglie Vipsania da cui fu costretto a divorziare per volontà d’Augusto che gli dette in moglie la figlia Giulia. E sentimento forte fu anche quello d’ubbidienza e lealtà nei confronti del patrigno-genero, in tutte le numerose missioni che gli furono affidate.

Si considerava doverosamente "servitore della comunità", formulando così il principio reso famoso da Federico II che il Sovrano è il primo servitore dello Stato. Aveva un carattere tetro e chiuso. Rifuggiva dai segnali d’ossequio. Aveva un viscerale odio per la superficialità, l’ipocrisia e l'adulazione. Non voleva che gli fossero dedicati templi o erette statue.

Tanto Cesare che Augusto avevano accettato gli uomini per quello che erano, ma Tiberio non ne fu capace: gli mancava la grazia nel trattare con gli uomini e il tatto che Augusto aveva posseduto in grado così alto.



Gli inizi del Principato

Aveva 56 anni quando fu chiamato al potere. Era ormai scontento e stanco, capace e pieno di esperienza, con un'ampia conoscenza delle necessità dell’Impero, ma con le virtù di un subordinato piuttosto che di un Capo. Era un Generale cauto ed abile, ma nella vita civile e nei rapporti con il Senato non era a suo agio. Lunghi anni passati obbedendo l'avevano reso diffidente ed autocritico, cosicché, chiamato ad affrontare una situazione improvvisa o un caso senza precedenti, soleva vacillare ed esitare.

Tiberio non era fermamente convinto ad accettare il pesante fardello dell'eredità di Augusto. Fu spinto ad accettare anche dalla volontà del Senato. Gli furono consessi l'imperium proconsolare e la tribunicia potestas non per un determinato periodo, ma a vita.

Era dichiarato esplicitamente il primo Imperatore di Roma. Cesare lo è stato per gli storici, Augusto lo fu sul piano sostanziale, Tiberio fu il primo ad esserlo anche sul piano formale. Il 17 settembre del 14 d. C. era iniziato il Principato.

Unico era il modello che il nuovo Princeps poteva seguire: quello del suo predecessore. Durante tutto il suo regno, infatti, dimostrò un rigido rispetto per la tradizione augustea e osservò con cura tutte le istruzioni di Augusto.

Dette subito un esempio di moderazione rifiutando gli onori verso la madre Livia che il Senato aveva decretato. Le negò anche la concessione di un littore e l'erezione di un altare.

Altro problema cui si trovò subito di fronte fu una ribellione dei soldati delle Legioni della Pannonia e del Reno, queste ultime comandate dal nipote Germanico. Con l'ammutinamento delle Legioni entrava in crisi lo strumento che difendeva la sicurezza dell'Impero. Esse protestavano contro l'aumento della ferma da 16 a 20 anni e chiedevano un aumento del soldo. Le proteste erano anche innescate dall’invidia per il più comodo, più breve e più lautamente pagato servizio dei pretoriani.

Tiberio affrontò e risolse la questione con prudenza e fermezza. Non vi furono sensibili conseguenze. Il soldo dei Legionari rimase com'era sotto Augusto (225 denari all'anno) e la ferma, qualche anno dopo, fu riportata a 20 anni. L'esercito rimase saldamente nelle mani di Tiberio, sicuro strumento della forza dell'Impero.

Come Augusto, fu rispettoso delle prerogative del Senato. Proprio all'inizio del suo Principato l'importanza del Senato fu accresciuta da un importante cambiamento, cioè dal completo trasferimento delle funzioni elettive dal popolo al Senato, che diventava corpo elettorale. Tiberio non fu l'autore di questo cambiamento, ma, semplicemente, realizzò un progetto che Augusto aveva formulato e lasciato scritto. Da allora in poi il Senato divenne l'unico organismo elettorale, mentre il popolo chiaramente non aveva voce in capitolo. Questa fu una delle ragioni per cui, fin dall'inizio, presso le classi umili, la figura dell'Imperatore apparve sotto una cattiva luce.

Dopo essere diventato un corpo elettorale, il Senato diventò anche Corte di giustizia sotto la presidenza dei Consoli per giudicare i reati dei propri membri o dei Cavalieri oppure quale sede d’appello. L'appello supremo era riservato al Principe (sono qui le radici del concetto dei tre gradi di giudizio previsti ancora oggi dall'ordinamento giuridico italiano).

Durante tutto il suo Principato, Tiberio si comportò con il Senato con gran deferenza e rispetto, consultandolo spesso, anche su questioni minori. Fu, comunque, deluso dall’apatia e dall’incapacità di un Senato che non raccolse i suoi stimoli. Lentamente, venne una crescente irritazione per l'incompetenza e l'esitazione di un Senato che non osava decidere da solo ed era solito rinviare tutte le questioni importanti al Princeps. Ogni tanto, riferendosi ai Senatori, esclamava: "Uomini fatti per servire".

Di fronte all'inerzia del Senato finì per adoperarsi da solo e ricorrere all'ordine equestre che sotto di lui proseguì la sua ascesa.

Per alcuni anni riuscì a governare con successo. Tutte le fonti parlano concordemente di un buon inizio del suo regno, ma non sono altrettanto concordi sul periodo finale. Una conveniente linea di delimitazione tra i due periodi può essere considerato l'anno 26 in cui Tiberio si ritirò da Roma.

Odiava i giochi, la lotta dei gladiatori. Vedeva in essi solo uno spreco di danaro. Non gli erano graditi neppure i poeti e quei circoli letterari che tanta parte avevano avuto nella propaganda a favore d’Augusto. Una proposta di denominare Tiberius il mese di novembre fu da lui respinta con questa domanda: "Che cosa farete quando avrete tredici Cesari ?"



Germanico

Germanico era nipote di Tiberio poiché figlio del fratello Druso. Alla morte di questi era stato adottato da Tiberio. Fu impegnato al comando di azioni militari in Germania senza effetti risolutivi. Tiberio avrebbe desiderato una condotta più diplomatica, tendente a fomentare discordie fra le tribù germaniche, secondo il vecchio motto "divide et impera". Non gli piacevano le imprese da dilettante. Inoltre lo urtava la popolarità di Germanico e di sua moglie Agrippina.

Dopo il periodo renano, Germanico fu inviato a combattere sulla frontiera orientale. Ma, poco dopo, cadde malato e morì. Si era nel 19 d.C.. La sua morte aprì un solco tra Agrippina e Tiberio; nulla poteva persuadere la vedova che l'Imperatore non avesse in qualche modo voluto la morte del marito.



La strategia
Anche in termini strategici, Tiberio si attenne strettamente alla politica avviata da Augusto. Egli era stato sempre un Soldato, ma non si fece trascinare dalla sua estrazione militare e, condividendo in pieno l’impostazione strategica del predecessore, tento di evitare ulteriori espansioni del territorio dell’Impero. Ed in questo dimostra, ancora un volta, che i militari sono i più sensibili alle esigenze della pace sia per la profonda conoscenza della natura e degli effetti del fenomeno guerra sia per intima convinzione culturale.

Ebbe la pronta intelligenza di abbandonare i tentativi di riprendere la guerra con i Germani per vendicare le Legioni di Taro e per riportare il confine all'Elba. Conosceva bene quell’ambiente naturale ed umano ed era convinto che fosse possibile ottenere più con le arti diplomatiche che con le armi. Aveva a cuore la vita dei suoi Soldati e sapeva bene che un atteggiamento offensivo avrebbe comportato sensibili perdite. Era più opportuno raccogliere i frutti dei semi della discordia gettati fra le fiere popolazioni avversarie ove già emergevano i contrasti fra Arminio e Maroboduo.

I romani si attennero al motto “Divide et impera” ed assistettero, da spettatori, alle lotte intestine fra i Germani che si conclusero fra il 7 ed il 19. Gli eventi dimostrarono la validità della sua strategia: Arminio e Maroboduo caddero entrambi vittime del tradimento. Arminio fu assassinato, Maroboduo costretto a ritirarsi in Italia. Sorsero i primi regni clienti alla frontiera settentrionale. Questi eventi coronavano la sua paziente diplomazia. Ed aveva ragione. Dovevano, infatti, passare ancora 50 anni prima che si verificassero gravi turbamenti da parte delle tribù germaniche. Reno e Danubio segneranno il confine tra Romani e Germani per circa un secolo, fino a Traiano.

La stessa strategia fu adottata alla frontiera orientale. Da buon militare, in quest’area, Tiberio vedeva, oltre alle complesse implicazioni politiche, anche le difficoltà operative vere e proprie che avrebbero reso estremamente difficile ogni azione. In fondo, vi era una serie di Stati che con un ordinamento o con l’altro rientravano tutti sotto il controllo diretto od indiretto di Roma. Di fronte all’Impero romano si ergeva il Regno dei Parti, quasi della stessa ampiezza sia pure con minori vincoli istituzionali. La conquista di questo regno avrebbe teso all’estremo la tensione delle capacità operative delle Legioni romane. E, d’altronde, grazie anche all’abile politica condotta da Augusto, non vi era un sostanziale contenzioso con quel regno. Unico motivo di frizione era l’influenza da esercitare nei riguardi del regno dell’Armenia, ma la cosa poteva essere controllata con un atteggiamento di equilibrio e fermezza ed alimentando le discordie nel campo avversario.



La seconda parte del suo Impero ed il ritiro a Capri
Nel 23 d.C., fu colpito da un altro grande dolore. Morì in circostanze mai chiarite Druso, l'unico figlio che Tiberio aveva avuto da Vipsania e perciò doppiamente caro. Il fato gli aveva inferto un altro colpo crudele. Si trovò, all'età di sessantaquattro anni, privo del figlio e dell'erede.

Una triste figura venne ad assumere progressivamente molta importanza, Seiano, Prefetto del Pretorio. Questi, con grande abilità, era riuscito a riscuotere la fiducia dell’Imperatore (e fu uno dei pochi, considerata la sua natura diffidente). Tiberio si fidava di lui anche perché lo aveva salvato coprendolo con il suo corpo in occasione del crollo di una grotta.

Il prestigio del Capo pretoriano aumentò tanto che, lentamente, Seiano arrivò addirittura ad ipotizzare una successione allo stesso Tiberio.

L’influenza di Seiano era favorita dalla situazione di solitudine in cui, col tempo, venne a trovarsi l’Imperatore. La morte del figlio Druso era stato un colpo doloroso che lo aveva portato a rinchiudersi maggiormente in se stesso. Ebbe il sospetto che in questa morte avessero avuto una loro parte gli intrighi di corte e questo fece aumentare ancora di più la sua avversione per l'ambiente romano. In realtà, dietro la morte di Druso vi era la potente mano dello stesso Seiano che circuì Livilla, moglie di Druso, spingendola ad avvelenare il marito.

In quei giorni moriva anche Vipsania, l’adorata prima moglie, quell'amore mai dimenticato. Ormai aveva 63 anni, si sentiva stanco e sul declino della vita.

Cominciò sempre più frequentemente a ritirarsi nelle sue ville campane. Lo allontanava dal popolo il suo carattere, ombroso, scontroso, senza sorriso. Quanta differenza con le personalità pur così diverse di Cesare ed Augusto da cui il popolo si era lasciato sedurre!

Negli ozi campani si rendeva sempre più conto di non amare Roma, una città ormai mostruosa con il suo milione d’abitanti. Non amava la città degli sprechi, dei complotti, della corruzione, dell’adulazione e della iattanza dei nobili.

Tutto ciò lo convinse a realizzare un piano da qualche tempo accarezzato ed a ritirarsi da Roma. Aveva 67 anni. Alla decisione concorse anche il fatto che il suo volto era sfigurato da un erpete.

Per il suo allontanamento dalla vita pubblica scelse l'isola di Capri, che Augusto aveva acquistato da Napoli cinquant'anni prima. Su quest'isola di quattro miglia quadrate, dotata di un clima divino, si ritirò nel punto più alto e più inaccessibile. Poteva finalmente sperare nell’isolamento e nella pace e curare il suo genuino amore per la cultura e la scienza. L’isola assecondava un desiderio di solitudine che ormai sconfinava nella misantropia.

Si stabilì a Capri nel 27. Dopo 13 anni, governava Roma attraverso Seiano esautorando quel Senato di cui, all'inizio del suo Impero, aveva aumentato dignità e poteri. Per agevolare le comunicazioni si realizzò un sistema di segnalatori ottici fra Capri e la costiera sorrentina.

Il ritiro fu un fatale errore ed ebbe le più serie conseguenze. Sebbene Tiberio lavorasse costantemente e non diminuisse per nulla la sua cura per l'impero, il suo comportamento era giudicato disperazione e diserzione al dovere, e mentre egli perdeva il prestigio sul popolo, il Senato sentiva sottolineata in modo evidente la propria inferiorità e dipendenza dal Princeps. Da allora in poi il Senato ricevette lettere, dispacci, richieste, suggerimenti, ordini e si sentì impotente di fronte alla volontà di un despota inaccessibile. Cosa più sinistra ancora, la posizione di Seiano era ulteriormente rafforzata.

Questo periodo fu caratterizzato anche dalla celebrazione di un elevato numero di processi per "lesa maiestatis". A Tiberio è stata fatta risalire la grave responsabilità di questo turpe fenomeno. In realtà, occorre riconoscere che proprio con Augusto erano state introdotte due leggi (Papia Poppaea e Julia de maiestate) che, oltre ad essere lesive della libertà personale, erano formulate in maniera vaga e soggette, quindi, nell'applicazione, all'arbitrio di denuncianti, inquirenti e giudici. In sintesi esse permettevano ogni persecuzione legale.

Questa manchevolezza del sistema giudiziario fu abilmente sfruttata per lotte personali o politiche specie ad opera di Seiano, il Prefetto del Pretorio. Tiberio tentò di esercitare un'influenza moderatrice. Egli non volle, per prima cosa, considerare imputabili di maiestas le espressioni diffamatorie contro la sua persona. Rimane comunque sua grande colpa, il fatto di non aver capito od intuito l'ampiezza e la profondità del fenomeno e non aver operato, quindi, interventi correttivi più risolutivi.

I frequenti processi, i maneggi di Seiano, le ricorrenti congiure furono tutti momenti di una sordida lotta, disgraziatamente introdotta dal sistema dinastico, che caratterizzerà la seconda parte del regno di Tiberio e ne circonderà la figura di luce sinistra.

La crisi non si estese all'Impero, ma fu limitata solo all'Urbe ed alla Corte.

Non tornò più a Roma. Non lo fece neanche nel 29 d.C., quando morì la madre Giulia che tanta parte aveva avuto nella sua designazione ad erede di Augusto.

Seiano era diventato potentissimo a Roma ed aveva riunito nella Capitale tutte le nove Coorti Pretorie, alloggiate nell'area che ora è chiamata Castro Pretorio.

Continuavano i reciproci complotti di Seiano e d’Agrippina. Il primo per raccogliere l'eredità di Tiberio e la seconda per imporre un figlio nella linea di successione.

Seiano riuscì ad avere la meglio e fece relegare Agrippina sull'isola di Ventotene dove morirà nel 35. Fu esiliato anche il figlio Nerone, inviato a Ponza (poi si ucciderà). L’altro figlio di Agrippina, Druso fu incarcerato ed ivi morirà.

Ma anche i raggiri di Seiano furono scoperti e portati a conoscenza di Tiberio.

La sua vendetta non fu immediata, ma quando arrivò fu la più perfida poiché condita dalla beffa. Il 18 ottobre del 31, Seiano fu convocato in Senato facendogli credere che gli sarebbe stata comunicata la designazione quale erede. In realtà fu letta una lettera con cui l'Imperatore rivelava le sue nefandezze, lo incolpava di tradimento e ne ordinava l'immediato arresto. Il Senato lo condannò a morte per strangolamento e la sentenza fu eseguita nella stessa serata.

Si scatenò a questo punto la caccia ai familiari ed ai seguaci di Seiano, Ed in questo quadro, a Tiberio fu inviato un documento della moglie di Seiano che dava il colpo finale alla sua agonia spirituale: apprendeva che suo figlio Druso non era morto di morte naturale; Livilla, la sua consorte, aveva commesso adulterio con Seiano e i due lo avevano avvelenato.

La sua ragione cedette alla paura, alla commiserazione di se stesso ed alla brama di vendetta. Seguì qualcosa molto simile ad un regno del terrore. Scamparono pochissimi sostenitori di Seiano mentre Livilla fu costretta a uccidersi.

La tradizione, non contenta di abbandonarlo alla vecchiaia e alla miseria, lo stigmatizzò in modo tale che il nome di Tiberio è divenuto simbolo di vizi contro natura e sensualità. La sua misantropia si avvicinava sempre più alla follia. Si vociferò anche di perversioni sessuali.

Tuttavia, anche nella vecchiaia e nella solitudine, Tiberio trovò il tempo di sovrintendere accuratamente, come sempre, all'Italia ed all'Impero: negli affari esteri non vi fu un ristagno di potenza o d'interesse e lo stesso accadde per la politica interna.

Nel 35 fece testamento designando quale erede il nipote Caligola, terzogenito di Germanico. La scelta gli sembrò coerente con la volontà di Augusto che, per lui, era ancora legge. Ma gli si può formulare l’addebito di non aver coinvolto l’erede in incarichi di responsabilità in campo militare o di governo.

Nel 37 abbandonò l'isola per una battuta di caccia nel Circeo. Ma ebbe una crisi, fu creduto morto e si avviarono già i festeggiamenti per il nuovo Imperatore Caligola. Ma, fra lo stupore di tutti, si riprese. Provvide allora il Prefetto del Pretorio a soffocarlo con vari cuscini.

Era il 16 marzo del 37. Aveva regnato per 23 anni. Aveva 78 anni. Morendo non disse una parola e questo si addiceva ad uno scorbutico come lui.



Conclusione

Così finì il successore di Augusto. L’esame della sua opera, mettendo in luce virtù e difetti, meriti e colpe, conduce ad un giudizio nettamente positivo per l’amministrazione dell’Impero, parzialmente negativo per l’uomo, come capo della sua famiglia e depositario dell’idea del Principato.

Era stato impegnato fortemente nel servizio dello Stato, con la coscienza del dovere caratteristica dell'aristocratico romano di vecchio stampo.

Nell'amministrazione delle provincie aveva fatto sentire la sua mano forte, senza essere oppressivo ("Il buon pastore tosa le pecore, non le scortica") e controllando assiduamente i Governatori. Se uno di essi non si dimostrava adatto al suo compito era subito rimosso dalla carica. La sua severità era celebre: un Procuratore richiamato dalla sua provincia, si uccise prima di affrontare il processo.

All’esterno, quindi, riuscì totalmente ad assolvere il suo compito, tanto che l’Impero non solo non risentì delle sordide lotte condotte a Roma, ma assorbirà senza scosse anche i gravi momenti di crisi dei successivi Imperatori Caligola, Claudio, Nerone ed altri.

All’interno, invece, fu condizionato in modo determinante dai suoi limiti caratteriali, dall’ambiente familiare e di corte, che era portato a disprezzare, ma soprattutto, dal Senato. Quel Senato che all’inizio volle più indipendente ed efficiente e che, alla fine, fu lasciato ancora più servile ed incapace, tanto da rendere possibile l’avvento della tirannide come, talvolta, succederà con gli Imperatori successivi.

In Tiberio si salva, in ogni caso, l’onestà delle intenzioni che, in un giudizio complessivo, lo porta ad essere considerato come uno dei migliori Imperatori.

La guida dell’Urbe e dell’Impero era passata dalla famiglia Giulia a quella Claudia. Lo splendore andrà via via affievolendosi fino a quando le sorti non saranno affidate alla famiglia Flavia, con Vespasiano e Tito.
sergio.T
00giovedì 15 gennaio 2009 11:14
Caligola
Gaio Giulio Cesare Germanico (latino: Gaius Iulius Caesar Germanicus; Anzio, 31 agosto 12 – Roma, 24 gennaio 41) , meglio conosciuto come Gaio Cesare o Caligola, fu il terzo imperatore romano, appartenente alla dinastia giulio-claudia, e regnò dal 37 al 41. Le fonti storiche pervenute lo hanno reso noto per la sua stravaganza, eccentricità e depravazione, tramandandone un'immagine di despota. L'esiguità delle fonti fa comunque di Caligola il meno conosciuto di tutti gli imperatori della dinastia. Fu assassinato da un gruppo delle sue guardie.


Il problema delle fonti, nel caso di Caligola, è una questione complessa. Le Vite dei Cesari di Svetonio sono lo scritto principale da cui è possibile trarre informazioni sul suo regno. Tuttavia, così come gli altri documenti a noi tramandati (ad esempio gli scritti di Cassio Dione Cocceiano), gli scritti di Svetonio tendono a focalizzare l'attenzione su aneddoti riguardanti la crudeltà e la supposta instabilità mentale di Caligola, tanto che alcuni storici moderni hanno espresso dubbi sull'attendibilità di questi resoconti (Svetonio dedica nove capitoli della sua biografia a Caligola principe e 39 a Caligola mostro).

Si trattava certamente di un personaggio discusso, molto popolare fra la gente romana ma politicamente avverso alla classe sociale e al ceto dal quale provenivano gli storiografi. Purtroppo non è giunta sino a noi la parte su Caligola degli Annales di Tacito, lo storico del periodo generalmente ritenuto più rigoroso.


Biografia

Caligola (così chiamato da caliga, particolare tipo di calzari che usava indossare) era il terzo figlio di Agrippina Maggiore e Germanico, generale molto amato dal popolo romano. Il padre era figlio di Druso maggiore (fratello di Tiberio e figlio di Livia, moglie di Augusto) e di Antonia Minore (figlia di Marco Antonio e Ottavia, sorella di Augusto). La madre era figlia di Marco Vipsanio Agrippa (amico di Augusto) e di Giulia (figlia di primo letto di Augusto).

Inoltre suo padre Germanico era stato adottato da Tiberio, che era stato adottato da Augusto, che a sua volta era stato adottato da Giulio Cesare.

Questa particolare situazione familiare (che tramite Augusto poteva risalire a Cesare e quindi persino alle origini stesse di Roma, ad Enea e Venere) rendevano Caligola, il più probabile successore di Tiberio.


Giovinezza
Da ragazzo accompagnava i genitori nelle spedizioni militari in Germania (14 - 16) ed indossava nei campi la calzatura dei legionari (Caliga), da cui il soprannome affettuoso "Caligola", datogli dai soldati.

Nel 17, dopo aver assistito al trionfo del padre a Roma, parte con la famiglia al seguito di Germanico inviato in missione a Oriente. Solo due anni più tardi il padre morirà e Caligola, insieme alla madre, farà ritorno in Italia.

L'ipotesi avanzata da taluno che Caligola a sette anni si fosse reso responsabile della morte del padre in Siria non è supportata da fonti storiche.

Nel 27 andrà a vivere a casa della bisavola paterna Livia, sul Palatino e nel 29 a casa della nonna Antonia Minore dove incontrerà i tre giovani principi traci, Polemone II (a cui darà il regno del Ponto e del Bosforo), Rhoimetalkes (a cui darà metà dell'antico regno di Tracia) e Kotys III (a cui darà l'Armenia Minore).

L'imperatore Tiberio, ritiratosi a Capri già nel 26, vorrà Caligola con lui nel 31, anno in cui divenne Pontifex (sacerdote). Nel 33 divenne questore, e qui si chiude il cursus honorum di Caligola.

Tiberio nonostante tutto nominerà suoi successori nel testamento (35) Caligola e Tiberio Gemello.

Ebbe quattro mogli: Giunia Claudilla, Livia Orestilla, Lollia Paolina, già sposata a Publio Memmio Regolo ed, infine, Milonia Cesonia, dalla quale ebbe una figlia che chiamò Giulia Drusilla in onore della sorella deceduta


Ascesa al trono
Dopo la morte di Tiberio, avvenuta il 16 marzo 37, il Senato ne annullò il testamento, che lasciava la guida dell'impero a Caligola e a Tiberio Gemello, nipote del defunto imperatore, sostenendo che al momento della stesura Tiberio fosse insano di mente e proclamò Imperator Caligola il 18 marzo 37. Caligola salì al potere con l'appoggio di tutti: Senato, esercito e popolo. Le ragioni di questa approvazione sono varie: la sua giovane età (25 anni all'avvento), la popolarità del padre, la lunghezza del regno di Tiberio (23 anni), l'infanzia trascorsa negli accampamenti, la sfortuna della sua famiglia, la parentela sia con Augusto che con Marco Antonio e la sua devozione verso i familiari.


Politica interna [modifica]
Si pensava che Caligola avrebbe proseguito la politica del padre, Germanico, ma non fu così. Il breve impero di Caligola fu caratterizzato da una serie di massacri nei confronti degli oppositori interni e da atti che tendevano a una continua umiliazione della classe senatoria. Caligola si comportava in modi assai strani che lo identificavano come un "pazzo". Le fonti antiche vedevano in lui un esempio di "pazzia sanguinaria". Infatti nominò, secondo un tradizionale racconto, senatore il proprio cavallo (che si chiamava Incitatus), anche se è evidente che il suo decreto di nomina esprimeva il suo totale disprezzo per il Senato che avrebbe potuto benissimo essere arricchito dalla sua bestia.

Altri racconti attestano che aveva frequenti attacchi d'ira. Tacito racconta che, durante un banchetto, Caligola scoppiò a ridere improvvisamente. Un commensale che sedeva con lui gli chiese il motivo della sua risata e Caligola rispose che stava pensando alla morte di quest'ultimo che in seguito fece uccidere. Caligola adottò una politica di assolutismo monarchico, voleva diventare un sovrano cui si rendevano onori divini sul modello delle monarchie orientali, esasperando il noto processo di divinizzazione degli imperatori defunti. Caligola assunse atteggiamenti autocratici e pretese che gli venisse eretto un tempio. Egli si rese popolarissimo con elargizioni alla plebe e costosi giochi circensi.

Se gli imperatori prima di lui avevano optato, almeno nella parte occidentale dell'impero, a mantenere i legami con le tradizioni repubblicane del potere romano, egli virò sensibilmente verso oriente, verso una forma di potere assoluto a quel tempo ancora sconosciuto in Italia, anticipando in tal modo una tendenza divenuta maggioritaria tra gli imperatori romani a partire dal II secolo della nostra era.

Il nuovo imperatore, per evitare problemi dinastici, nominò Tiberio Gemello princeps iuvenutis e lo adottò, nominandolo suo erede. Per evitare comunque che Tiberio Gemello reclamasse la coreggenza che gli spettava, nel 38 lo fece uccidere o lo indusse al suicidio. Stessa sorte toccò al prefetto del pretorio Macrone. Probabilmente Caligola non si fidava più di determinati personaggi che potevano, con il loro potere, carisma, denaro ecc. eliminarlo. Più che crudeltà, in questo caso, si può parlare di machiavellismo della politica di questo giovine.

Stando alle fonti, Caligola, al culmine del suo regno, avrebbe voluto essere proclamato dio. Potrebbe trattarsi dell'ennesima manifestazione della sua follia, oppure di una subdola politica per aumentare il suo potere presso i popoli ellenici, abituati da tempo a considerare il loro sovrano una divinità. Insomma, il tentativo religioso di un principe giovane di mantenere il potere con tutti i mezzi. Questo, comunque, provocò molto scontento, soprattutto, presso quelle popolazioni che già avevano problemi con la semplice autorità civile di Roma senza contare quella religiosa, per esempio i Giudei, che scatenarono moti di rivolta.


Spiegazione contemporanea delle follie dell'Imperatore [modifica]
Studi recenti fanno risalire queste strane manifestazioni di Caligola e di altri imperatori, come una intossicazione da piombo, che in termini tecnici si chiama saturnismo. Il saturnismo di Caligola sarebbe causato da un'usanza antico-romana di bere il vino leggermente addolcito tenendolo in otri di piombo. Riguardo alle condutture romane di piombo, di cui si fa menzione in qualche articolo, non provocavano saturnismo, perché l'acqua formava un leggero strato di ossido di piombo biancastro, nell'acqua insolubile, mentre la leggera acidità del vino faceva sciogliere questo sale, che è appunto dolciastro.


Alla morte di Tiberio nelle casse del fiscus romano c'erano 2.700.000.000.000.000.000.000.000.000 di sesterzi [1] che Caligola spese in circa un anno. Alcune delle spese sostenute dal nuovo imperatore furono inevitabili: elargizioni varie al popolo, all'esercito, ai pretoriani (a cui diede un donativo doppio rispetto a quello promesso da Tiberio, 2000 sesterzi a testa [2] e ai regni vassalli di Roma (dette 100.000.000 di sesterzi ad Antioco IV di Commagene). Non bisogna dimenticare, inoltre, che Caligola rispettò il testamento di Tiberio, nonostante fosse stato annullato formalmente dal Senato, e diede quanto stabilito a tutti. Non vanno dimenticati gli enormi banchetti e feste varie organizzate per tenere buono e calmo il popolo. A tutto questo si aggiunsero, tuttavia, diverse stravaganze, citate dagli storici contemporanei, come la stalla del suo cavallo tutta in avorio e marmo, i 2 milioni di sesterzi donati ad un auriga e il milione donato a Livio Geminio (che giurò di aver visto Drusilla salire in cielo e conversare con gli dei). Va, inoltre, citata l'abolizione della tassa sulle compravendite.

Anche allo scopo di migliorare la situazione economica Caligola, come molti altri imperatori successivi, espropriò il patrimonio di molti senatori accusandoli di tramare contro la sua persona (accusa non sempre falsa).

Gli storici moderni tendono a sminuire le voci che parlano di dissesto finanziario delle casse statali, così come presentato dalle fonti antiche, poiché non si spiegherebbe né la diminuzione del peso fiscale avvenuto sotto il suo regno, né quella avvenuta sotto il suo immediato successore.


Amministrazione giudiziaria
Diversi furono gli atti interessanti di questo imperatore, l'abolizione, nel primo anno di governo, della legge di lesa maestà, una legge molto odiata dai senatori, reintrodotta però nel 39. Interessante anche il progetto, attuato nel 38 di restituire ai comizi e alle magistrature, almeno formalmente, le antiche prerogative, con la conseguenza diretta che il popolo eleggeva i magistrati. In generale si può dividere la politica giudiziaria di questo imperatore in due periodi, il primo molto liberale, filo-popolare, nel quale si cercava l'accordo con i senatori e il secondo nel quale il princeps faceva di tutto per mantenere il potere.


Politica estera
Con i regni alleati non seguì una stessa linea politica, si basò molto sulla simpatia e sulla fiducia che ogni singolo sovrano era in grado di trasmettergli. Esiliò Mitridate, re d'Armenia; mandò a morte Tolomeo, re della Mauritania, e ridusse il suo regno a provincia; nominò re di Commagene, regione ridotta a provincia nel 18, Antioco IV, al quale dette 100 milioni di sesterzi.

Affidò regni anche ai tre giovani principi traci che aveva incontrato in gioventù, a casa della nonna Antonia: a Polemone II darà il regno del Ponto e del Bosforo nel 38, a Rhoimetalkes metà dell'antico regno di Tracia e a Kotys l'Armenia Minore.

Aiutò in tutti i modi Erode Agrippa, al quale affidò, in un primo tempo, la Palestina nord-occidentale, che dalla morte di Erode Filippo II (34) era sotto il controllo diretto di Roma, successivamente anche i territori del tetrarca di Galilea, Erode Antipa, accusato di volersi impadronire dei territori di Erode Agrippa, che verrà prima esiliato e poi eliminato nel 40.


Politica militare
Caligola aveva importanti ascendenti che si erano guadagnati la gloria con le imprese belliche, è probabile, quindi, che fosse intenzionato a emulare le loro gesta e nel caso a superarle. Se Druso maggiore e Germanico si erano concentrati sulla Germania, egli per superare le loro gesta doveva, non solo conquistare la stessa regione, ma varcare l'oceano e giungere in Britannia. Sarebbe stato il primo imperatore dopo le campagne di Augusto in Spagna nel 26-25 a.C. a guidare un esercito in battaglia.

Stando a Svetonio egli fece leve in tutto l'impero e ammassò un ingente quantitativo di vettovagliamenti. Secondo Cassio Dione egli arruolò per le sue imprese tra i 200 e i 250 mila uomini. Nel 39 Caligola represse una rivolta fra le sue truppe nell'alto Reno e marciò verso la costa settentrionale della Gallia, apparentemente intenzionato ad invadere la Britannia. Invece, ordinò alle truppe di scendere in acqua a cercare conchiglie, come ci racconta Svetonio; o più probabilmente lasciò perdere una spedizione male preparata.


Morte
Caligola morì assassinato in una congiura di Pretoriani guidati da due tribuni, Cassio Cherea e Cornelio Sabino, il 24 gennaio del 41. Insieme a lui persero la vita sua moglie Milonia Cesonia e la loro figlia bambina, Giulia Drusilla (così chiamata in ricordo della sorella di Caligola da lui divinizzata alla morte) che fu schiacciata brutalmente contro un muro. A lui succedette lo zio Claudio che, stando alle fonti, si era nascosto dietro ad una tenda.

sergio.T
00mercoledì 21 gennaio 2009 09:31
Claudio
Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico (latino: Tiberius Claudius Caesar Augustus Germanicus; Lugdunum, 1 agosto 10 a.C. – Roma, 13 ottobre 54) fu il quarto imperatore romano (41-54) della dinastia giulio-claudia, ed il primo a nascere fuori dall'Italia.

Nato col nome di Tiberio Claudio Druso e figlio di Druso maggiore e Antonia minore, era considerato dai suoi contemporanei come un candidato improbabile al ruolo di imperatore, soprattutto in considerazione di una qualche infermità da cui era affetto, tanto che la sua famiglia lo tenne lontano dalla vita pubblica fino all'età di 47 anni, quando tenne il consolato assieme al nipote Caligola. Fu probabilmente questa infermità e la scarsa considerazione politica di cui godeva che gli permisero di sopravvivere alle purghe che colpirono molti esponenti della nobiltà romana durante i regni di Tiberio e Caligola: alla morte di quest'ultimo, Claudio divenne imperatore proprio in quanto unico maschio adulto della dinastia giulio-claudia.

Malgrado la mancanza di esperienza politica, Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico, questo il nome adottato dopo l'acclamazione ad imperatore, dimostrò notevoli qualità: fu un abile amministratore, un grande patrono dell'edilizia pubblica, espansionista in politica estera (sotto il suo comando si ebbe la conquista della Britannia) e un instancabile legislatore, che presiedeva personalmente i tribunali e che giunse a promulgare venti editti in un giorno. Tuttavia, la sua posizione era resa poco sicura dall'opposizione della nobiltà, cosa che condusse Claudio a mettere a morte molti senatori. Claudio dovette anche sopportare molte disgrazie nella vita privata: una di queste potrebbe essere stata all'origine del suo assassinio.

La fama di Claudio presso gli storici antichi non fu certo positiva, al contrario tra i moderni molte delle sue opere furono rivalutate.

Biografia Origini familiari

Claudio nacque a Lugdunum (attuale Lione) in Gallia il 1 agosto 10 a.C. nel corso della terza campagna militare in Germania, con il nome di Tiberio Claudio Druso, terzo figlio di Nerone Claudio Druso (Druso maggiore) e Antonia minore, dopo Germanico e Livilla.

Il padre di Claudio era figlio di Tiberio Claudio Nerone e di Livia Drusilla, ma era nato tre mesi dopo che Livia aveva sposato Augusto;[1] l'imperatore Tiberio era dunque zio paterno di Claudio. Antonia minore era invece figlia del triumviro Marco Antonio e di Ottavia minore, sorella di Augusto.

Nel 4, in seguito all'adozione del fratello Gaio Giulio Cesare Claudiano Germanico nella famiglia Giulia, Claudio divenne il pater familias dei Claudii Nerones e prese il nome Tiberio Claudio Nerone Germanico.


Giovinezza sotto Augusto (10 a.C.-14)
La madre di Claudio, Antonia minore (qui raffigurata come Era - Era Ludovisi), non aveva una buona opinione del figlio, che riteneva un mostro e uno stupidoClaudio era un giovane membro della più importante famiglia di Roma e, in quanto tale, ci si aspetterebbe che abbia partecipato alla vita pubblica secondo le modalità tipiche del suo rango, ma così non fu: per tutta l'infanzia e la giovinezza venne tenuto lontano dalla vista del popolo. La ragione di ciò risiede nel fatto che Claudio era nato con dei difetti fisici in una società come quella romana che disprezzava la debolezza: i membri della sua famiglia ritenevano che il suo essere costantemente ammalato, il suo sbavare e la sua balbuzie fossero un sintomo di debolezza mentale.[2] Persino l'assunzione della toga virilis, il segno del passaggio all'età adulta, avvenne in tono dimesso: mentre era consuetudine che, giunta l'età, ciascun ragazzo romano venisse pubblicamente accompagnato al Campidoglio dal padre o dal tutore, Claudio vi venne portato di nascosto, in lettiga, a mezzanotte e senza accompagnamento solenne.[3] Inoltre, poiché la famiglia riteneva che la sua condizione dipendesse da una mancanza di volontà, venne tenuto sotto la tutela di un precettore ben oltre la maggiore età, come avveniva per le donne; Claudio stesso si lamentò del fatto che gli fosse stato come precettore «un barbaro, un ex-ispettore delle stalle», il cui compito era di impartirgli una dura disciplina.[2][3][4]

Il giudizio dei suoi parenti non era certo lusinghiero: la madre Antonia minore, che curò l'educazione di Claudio dopo la morte di Druso nel 9 a.C., lo definiva un «mostro d'uomo, non compiuto, ma solo abbozzato dalla natura», e quando voleva accusare qualcuno di stupidità diceva che era «più scemo di suo figlio Claudio»; la nonna Livia Drusilla, cui venne affidato in seguito per diversi anni,[5] gli inviava frequentemente delle lettere in cui lo rimproverava aspramente; la sorella Claudia Livilla deplorava pubblicamente la possibilità che divenisse imperatore come indegna e ingiusta per il popolo romano.[6]

Augusto, al contrario, si disse sorpreso dalle capacità oratorie del nipote, ma comunque non gli diede nessun incarico pubblico, né lo inserì tra gli eredi principali nel proprio testamento, lasciandogli appena 800.000 sesterzi alla propria morte.[4]


Studi e vita privata sotto Tiberio (14-37)
Aureo raffigurante l'imperatore Tibero e sua madre Livia Drusilla, rispettivamente zio e nonna di Claudio: entrambi non stimavano il futuro imperatore, e lo tennero lontano dal potereIl nuovo imperatore, suo zio Tiberio, non si dimostrò più disponibile nei confronti del nipote di quanto in passato lo fosse stato Augusto: quando chiese il permesso di iniziare il cursus honorum, Tiberio gli conferì gli ornamenta consularia, i simboli del rango consolare, ma quando Claudio chiese un ruolo più attivo gli venne rifiutato. Se la sua famiglia non perdeva occasione per dimostrare di non averne grande stima, il popolo romano, al contrario, pare lo tenesse in una qualche considerazione: alla morte di Augusto, infatti, l'ordine equestre lo scelse come proprio patrono, mentre il Senato romano, propose di ricostruire a spese pubbliche la sua casa distrutta da un incendio e di permettergli di partecipare alle sedute del Senato, proposte, peraltro, che Tiberio respinse.

Di fronte a questo ostracismo, Claudio abdicò a qualunque aspirazione di carriera politica e si ritirò a vita privata, dedicandosi ai suoi studi di storia. Scrisse, infatti, un trattato sugli Etruschi, di cui studiò anche la lingua,[7] una storia su Cartagine, una difesa di Cicerone, alcuni trattati sul gioco dei dadi e sull'alfabeto, tutti andati perduti. Sempre in questo periodo sposò (15) Plauzia Urgulanilla, da cui ebbe due figli, Druso Claudio, morto in giovane età, e Claudia, che però Claudio non riconobbe, accusando Plauzia di adulterio e divorziando da lei nel 28.

Due decessi sembrarono riaprire le porte della successione al trono a Claudio: nel 19 scomparve in circostanze misteriose suo fratello Germanico, mentre nel 23 morì Druso minore, figlio di Tiberio; Claudio divenne così un possibile erede dell'imperatore. Era però il periodo dell'apice del potere di Seiano, e Claudio scelse di sminuire le proprie pretese al soglio imperiale: la sorella Claudia Livilla, invece, si alleò con Seiano e cadde insieme a lui, morendo nel 31.

Per di più, dopo aver divorziato da Urgulanilla, sposò proprio la sorella di Seiano, Elia Petina, da cui ebbe Claudia Antonia e dalla quale divorziò poi nel 31, dopo la caduta del potente pretoriano, per sposare Valeria Messalina, figlia di una sua cugina. L'ultima moglie, sua nipote Agrippina minore, era figlia del fratello Germanico e di Agrippina maggiore. Da Messalina ebbe due figli: Britannico (c. 39 - 55), che potrebbe essere stato procreato da Caligola, e Claudia Ottavia (c. 41 - 62), che sposò il proprio fratellastro, figlio di Agrippina, l'imperatore Nerone.


Ascesa al potere (37-41)
Proclamazione di Claudio imperatore, di Lawrence Alma-Tadema; Claudio fu trovato nascosto dietro una tenda dai pretoriani, che lo nominarono imperatoreFinalmente sotto Caligola, figlio di suo fratello Germanico, Claudio ottenne il consolato per due mesi come collega del nipote, ora nuovo Princeps (nel 37), pur continuando ad essere bersagliato dagli scherni e dal rischio di perdere la vita a causa delle facili ire, per non dire follia, del nipote. Subì un processo in cui era accusato di falso per aver apposto la sua firma, fu persino costretto a pagare 8.000.000 di sesterzi per l'ammissione ad un collegio sacerdotale, perdendo tutti i suoi averi. L'ironia della sorte volle che, se fino a quel momento ogni cosa si era dimostrata contraria al suo volere, una volta compiuti i cinquant'anni, egli era destinato a diventare il nuovo imperatore di Roma.

Dopo l'assassinio di Caligola del 41, infatti, i pretoriani si trovarono di fronte al problema di trovare un membro superstite della famiglia Giulio-Claudia da mettere sul trono. Molti di loro erano stati assassinati da tempo, mentre Claudio era riuscito a scampare ad ogni congiura, perché nessuno lo aveva considerato un avversario pericoloso. Claudio, invocato dal popolo fuori dalla Curia, una volta promesso un donativo di 15.000 sesterzi per ogni pretoriano che gli prestasse giuramento, ottenne il Principato con la forza delle armi, dopo averne comprato la loro fedeltà. Primo fra i Cesari.

Questo è quanto racconta Svetonio, al momento dell'assunzione del trono da parte di Claudio, quasi per caso, mirabili casu. Lo scrittore narra, infatti, che Claudio, nascostosi in una stanza per sfuggire alle deportazioni delle persone fedeli a Caligola, fu trovato da un soldato semplice che, una volta riconosciutolo, lo salutò imperatore; condotto al cospetto dei propri superiori, dopo averlo tenuto in custodia per una notte, decisero di acclamarlo imperatore.

« Dopo l'uccisione di Caligola... Claudio suo zio... cinquantenne... divenne imperatore per uno strano caso. Infatti, trascurato dagli uccisori di Caligola, avendo quelli portato via il numero dei congiunti e dei servi di questo, egli s'era nascosto in una sala di nome Ermeo. Non molto dopo, spaventato dal rumore della porta, proseguì verso il vicino solarium e si nascose dietro alle tende davanti all'ingresso. Qui, essendosi tenuto nascosto ancora, un soldato semplice, visti i piedi lo tirò fuori mentre Claudio si inginocchiava per il timore, ma riconosciutolo, lo salutò imperatore. Poi lo condusse dagli altri soldati, esitanti e frementi. Posto dai suoi sulla lettiga, fu portato nell'accampamento, triste e trepidante, mentre la folla che incontravano lo commiserava, quasi stesse per essere giustiziato pur essendo innocente. Ricevuto entro il vallo, pernottò tra le tende dei soldati, temendo più che sperando. Invero all'indomani, reclamando il popolo una guida per lo Stato, fu salutato da tutti imperatore. »
(Svetonio, Vite dei Cesari, V, 10.)


Carattere del principato di Claudio (41-54)
Una moneta raffigurante Agrippina minore e Claudio, una volta divenuto imperatore.Da allora in poi, con il nome di Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico, governò l'impero per circa quattordici anni. Il nuovo Princeps era considerato uno degli uomini più eruditi del suo tempo: Plinio il Vecchio lo cita quattro volte come un'autorità; a lui scienziati ed uomini dotti scrivevano o dedicavano trattati.

Innamorato del passato glorioso di Roma, Claudio si propose di essere un buon governante e, sotto molti aspetti, vi riuscì. Egli seppe, infatti, scegliere validi collaboratori tra i suoi funzionari e generali (tra cui basti ricordare Corbulone, Galba, Vespasiano, Gaio Svetonio Paolino, ecc.), ed imporre le proprie linee politiche.

Per prima cosa rafforzò la sua posizione placando i vari partiti interni al senato, cancellando la memoria del regno di suo nipote Caligola e richiamando gli esiliati con un'amnistia generale.

Si mostrò rispettoso del Senato e dei magistrati, dimostrandosi pronto a tornare al principato di Augusto. Ricoprì, come Princeps, quattro consolati, nel 42, 43, 47 e 51, e per i suoi successi militari ricevette il titolo di Imperator per non meno di 27 volte. Soppresse i processi per tradimento in senato e si guadagnò popolarità con la concessione di spettacoli gladiatori, gare e spettacoli imponenti (come il suo trionfo per la conquista della Britannia ed i giochi secolari Ab Urbe condita del 47) e con l'abolizione delle nuove tasse imposte da Caligola.
sergio.T
00giovedì 22 gennaio 2009 09:39
Nerone
Nerone Claudio Cesare Augusto Germanico (latino: Nero Claudius Caesar Augustus Germanicus; Anzio, 15 dicembre 37 – Roma, 9 giugno 68) è stato un imperatore romano. Nato con il nome di Lucio Domizio Enobarbo, fu il quinto ed ultimo imperatore della dinastia giulio-claudia e governò per quattordici anni, dal 54 alla sua morte, avvenuta all'età di trent'anni.


Nacque ad Anzio il 15 dicembre 37, da Agrippina Minore e Gneo Domizio Enobarbo.
Il padre apparteneva alla famiglia dei Domizi Enobarbi, una stirpe considerata di "nobiltà plebea" (ovvero recente), mentre la madre era figlia dell'acclamato condottiero Germanico, nipote di Marco Antonio, di Agrippa e di Augusto, nonché sorella dell'imperatore Caligola.

Nel 39 Agrippina, coinvolta in una congiura contro il fratello, venne mandata in esilio nell'isola di Pandataria. L'anno seguente, il marito Gneo morì e il suo patrimonio venne confiscato da Caligola.

Lucio fu affidato alle cure della zia Domizia Lepida ed alle nutrici Egogle e Alessandra. Essendo la zia di non elevata condizione economica, in questi primi anni i precettori furono un barbiere ed un ballerino, dal quale Lucio avrebbe imparato l'amore per la danza e per lo spettacolo[2].

Nel 41 Caligola venne assassinato, e Agrippina Minore poté tornare ad occuparsi del figlio, attraverso il quale aveva intenzione di attuare la propria opera di rivalsa. Lucio venne affidato a due liberti greci (Aniceto e Berillo) per poi proseguire gli studi con due sapienti dell'epoca: Cheremone d'Alessandria e Alessandro di Ege, grazie ai quali il giovane allievo sviluppò il proprio filoellenismo.

Nel 49 Agrippina sposò l'imperatore Claudio, suo zio, ed ottenne la revoca dell'esilio di Seneca, allo scopo di utilizzare il celebre filosofo quale nuovo precettore del figlio. Inoltre, visto che il giovane Lucio dimostrava maggior affetto verso la zia Domizia Lepida, Agrippina la fece accusare di complotto contro l'imperatore, ottenendone la condanna a morte. Nell'occasione, l'undicenne Lucio fu minacciato e costretto dalla madre a testimoniare contro la zia e, subito dopo, venne forzatamente fidanzato con Ottavia, figlia di Claudio, di otto anni[3].


Dopo la salita di Nerone al potere nel 55, quando aveva soli diciassette anni, Britannico, figlio legittimo di Claudio, sarebbe stato fatto uccidere per volere di Sesto Afranio Burro, forse con il coinvolgimento di Seneca. Entrambi i personaggi rimpiazzarono Agrippina nella sua influenza sul giovane imperatore.


Matrimonio
Il primo scandalo del regno di Nerone coincise col suo primo matrimonio, considerato incestuoso, con la sorellastra Claudia Ottavia, figlia di Claudio; Nerone più tardi divorziò da lei quando s'innamorò di Poppea. Questa, ch'era descritta come una donna notevolmente bella, sarebbe stata coinvolta prima del matrimonio con l'imperatore, in una storia d'amore con Marco Salvio Otone, amico di Nerone stesso[4]. Nel 58 Poppea divenne moglie di Nerone e nel 59 fu sospettata d'aver organizzato l'omicidio di Agrippina, mentre Otone venne inviato come governatore in Lusitania, l'odierno Portogallo.

Nel 62 Burro venne ucciso per ordine di Nerone e Seneca, che fu congedato, si suicidò; la carica di prefetto del Pretorio venne assegnata a Tigellino (già esiliato da Caligola per adulterio con Agrippina). Contemporaneamente vennero introdotte una serie di leggi sul tradimento, che provocarono l'esecuzione di numerose condanne capitali.

Nel 63 Nerone e Poppea ebbero una figlia, che tuttavia morì ancora in fasce.


Il grande incendio di Roma

Allo scoppio del grande incendio di Roma del 64, l'imperatore si trovava ad Anzio, ma raggiunse immediatamente l'Urbe per conoscere l'entità del pericolo e decidere le contromisure. Sebbene avesse organizzato in modo efficiente i soccorsi, venne accusato di aver provocato egli stesso l'incendio, di cui furono quindi incolpati i Cristiani di Roma, dando inizio ad una poderosa persecuzione, mettendo a morte moltissimi cristiani, che già non erano ben visti dalla popolazione, nonché i vertici stessi della chiesa di allora. La questione è tuttavia ancora controversa, sebbene l'immagine dell'imperatore che suonava la lira mentre Roma bruciava è ormai ampiamente superata. Anzi, sembra addirittura che aprisse i suoi giardini per dar scampo alla popolazione e che partecipasse egli stesso allo spegnimento. Per la ricostruzione l'imperatore dettò nuove regole edilizie.

Nel 65 Nerone fu coinvolto in un altro scandalo, dovuto al fatto che fosse considerato sconveniente per un Imperatore dare spettacolo recitando, cantando e suonando la lira.


Viaggi
Nel 65 venne scoperta la congiura pisoniana (così chiamata da Caio Calpurnio Pisone) e i cospiratori, tra cui anche Seneca, vennero costretti al suicidio. La stessa sorte toccò anche Gneo Domizio Corbulo. In quel periodo, poi, secondo la tradizione cristiana, Nerone ordinò anche la decapitazione di San Paolo e, più tardi, la crocifissione di San Pietro.

Nel 66, morì Poppea, che secondo le fonti sarebbe stata uccisa da un calcio al ventre dello stesso Nerone durante una lite, mentre era in attesa del suo secondogenito.

L'anno successivo, nel 67, l'imperatore viaggiò fra le isole della Grecia, a bordo di una lussuosa galea sulla quale divertiva gli ospiti (fra questi anche tutti gli stupefatti notabili delle città visitate e tributarie di Roma, compresa Atene) con prestazioni artistiche, mentre a Roma, Ninfidio Sabino (collega di Tigellino, che aveva preso il posto dei congiurati pisoniani) andava procurandosi il consenso di pretoriani e senatori.

Prima di lasciare la Grecia, annunciò personalmente -ponendosi al centro dello stadio d'Istmia, presso Corinto, prima della celebrazione dei giochi panellenici- la decisione di restituire la libertà alle poleis, eliminando il governo provinciale di Roma.[5]


Politica estera

Sotto Nerone, il re della Partia, Vologese I, pose sul trono del regno d'Armenia il proprio fratello Tiridate sul finire del 54. Questi eventi convinsero Nerone che fosse necessario avviare preparativi di guerra in vista di un'imminente campagna militare. E sempre nel corso del suo principato continuò la conquista della Britannia, anche se negli anni 60-61 fu interrotta da una rivolta capeggiata da una certa Budicca.


Morte e sepoltura
Gaio Giulio Vindice, governatore della Gallia Lugdunense, si ribellò dopo il ritorno dell'imperatore a Roma, e questo spinse Nerone ad una nuova ondata repressiva: fra gli altri ordinò il suicidio al generale Servio Sulpicio Galba, allora governatore nelle province ispaniche: questi, privo di alternative, dichiarò la sua fedeltà al Senato ed al popolo romano, non riconoscendo più l'autorità di Nerone. Si ribellò quindi anche Lucio Clodio Macero, comandante della III legione Augusta in Africa, bloccando la fornitura di grano per la città di Roma. Nimfidio corruppe i pretoriani, che si ribellarono a loro volta a Nerone, con la promessa di somme di denaro da parte di Galba. Infine il Senato lo depose e Nerone si suicidò il 9 giugno 68, si dice, aiutato da una schiava.

Venne sepolto in un'urna di porfido, sormontata da un altare di marmo lunense, collocata nel Sepolcro dei Domizi, sotto l'attuale basilica di Santa Maria del Popolo.

sergio.T
00venerdì 30 gennaio 2009 09:24
quando si legge di storia ci si dimentica che gli storici stessi avevano a loro volta delle fonti piu' antiche.
Nel caso di Nerone, Tacino, Cassio Dione, Svetonio si rifanno ad altri storici o a testimoni oculari ( amici dell'imperatore perchi fosse suo contemporaneo) e dunque le versioni possono cambiare.
Si prenda il caso della morte o il caso delle ultime parole pronunciate: l'interpretazione storica puo' divergere sul significato.
La storia e' un campo minato soprattutto per quanto riguarda le biografie.

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