Giorgio Bocca

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sergio.T
00venerdì 14 novembre 2008 09:09
La gioventù
I suoi genitori erano insegnanti. Studiò alla facoltà di Giurisprudenza a Torino; si iscrisse al Gruppo Universitario Fascista (Guf), in cui divenne piuttosto noto a livello provinciale, anche per i suoi risultati nelle competizioni sciistiche.

Nel 1940 aderisce al Manifesto della razza del 1938, prodromo delle leggi razziali fasciste[2]. Resta fonte di dibattito se ciò è da spiegare con una omonimia o no, ma Bocca non ha mai smentito. Chi è favorevole a quest'ultima ipotesi, afferma l'improbabilità dell'omonimia dovuta al fatto che il Gruppo universitario fascista a cui Bocca apparteneva , ed i littoriali, cui partecipava, sono noti per le critiche al regime da una posizione di fascismo sociale intransigente ed antisemita, il che spiega come Bocca, ancora a metà del 1942, potesse scrivere un articolo sulla congiura ebraica mondiale[3]; essendo lui un esponente in vista dei gruppi citati, è possibile che avesse firmato lui il manifesto.

Durante la guerra, si arruolò come allievo ufficiale alpino; durante questo periodo della sua vita, strinse amicizia con Benedetto Dalmastro, in contatto con Duccio Galimberti; insieme a queste due figure, fonderà dopo l'armistizio le formazioni partigiane di Giustizia e Libertà. Infatti dopo l'8 settembre 1943, data dell'armistizio, Giorgio Bocca aderì alla lotta partigiana, operando nella zona della Val Grana, come comandante della Decima Divisione Giustizia e Libertà.


Giornalista e scrittore [modifica]
Giorgio Bocca inizia precocemente a scrivere dalla seconda metà degli anni '30 su periodici a carattere locale e successivamente, dal 1938 al 1943, sulla testata cuneese La Provincia Grande, Sentinella d'Italia[4].
Alla fine della lotta partigiana, riprende l'attività giornalistica, scrivendo per il giornale di Giustizia e Libertà. Dopo la guerra lavorò per la Gazzetta del Popolo, quindi per L'Europeo e Il Giorno. Negli anni sessanta si è affermato come inviato speciale con inchieste sulla realtà italiana.

Nel 1971 fu tra i firmatari del documento pubblicato sul settimanale L'Espresso contro il commissario Luigi Calabresi.

Nel 1976 fu tra i fondatori del quotidiano la Repubblica, con cui da allora collabora ininterrottamente.

L'11 aprile 2008 gli è stato consegnato nella sua casa milanese con una cerimonia privata dal presidente della Giuria Italo Moretti,il Premio Ilaria Alpi alla carriera 2008, giunto ora alla sua quarta edizione, i vincitori delle passate edizioni, sono stati Enzo Biagi (2005), Ryszard Kapuscinski (2006) ed Emilio Rossi (2007) [5].

Dalla pratica del giornalismo è nata la sua attività di scrittore, con i suoi libri a sfondo sociale e di costume. Il suo interesse si è spostato sulla crisi sociale, che - nella sua interpretazione dei fatti - generava il terrorismo, di cui ha scritto la storia e intervistato i protagonisti. Si è frequentemente interessato di aspetti relativi al divario geografico dell'economia e del sociale d'Italia, scrivendo di fatti inerenti la questione meridionale, e l'avvento dei fenomeni federalisti all'inizio degli anni anni '90.

Bocca ha scritto anche diverse importanti opere storiche, tra cui alcune sulla sua esperienza partigiana.

Nel 2000 vince il premio letterario Gandovere-Franciacorta nella sezione testimonianze.


L'orientamento politico
L'orientamento politico nel corso del tempo si è rivelato variegato e percorso da un'analisi acuta ma originale dei fenomeni italiani. Ha fatto molto discutere, e si son scritti a riguardo articoli di fuoco, nella prima metà degli anni '90, la sua adesione ad alcune mozioni della nascente Lega Nord. Profondamente critico nei confronti della globalizzazione, nelle sue ultime opere dà una lettura assai negativa dell'ascesa politica di Silvio Berlusconi e della politica statunitense.

Negli ultimi anni Bocca si è contrapposto inoltre ad alcuni tentativi di revisione critica della Resistenza; in particolare si ricorda una sua polemica con Giampaolo Pansa. Per Bocca si rischia in tal modo di aprire a un revisionismo strisciante e "cerchiobottista" (che dà un colpo al cerchio ed uno alla botte) che vuole accomunare la Resistenza e il fascismo, omettendo di ricordare le correità del fascismo con il nazismo, descrivendo mali e beni di entrambi i fronti per arrivare a una assoluzione generale. Lancia per questo, dalle pagine del quotidiano la Repubblica numerosi moniti rivolti alle nuove generazioni perché ricordino i valori fondanti della nostra Repubblica[6].

Intervistato da L'espresso nel 2007 dichiarò: «Sono certo che morirò avendo fallito il mio programma di vita: non vedrò l’emancipazione civile dell’Italia. Sono passato per alcuni innamoramenti, la Resistenza, Mattei, il miracolo economico, il centro-sinistra. Non è che allora la politica fosse entusiasmante, però c’erano principi riconosciuti: i giudici fanno giustizia, gli imprenditori impresa. Invece mi trovo un Paese in condominio con la mafia. E il successo di chi elogia i vizi, i tipi alla Briatore».

sergio.T
00venerdì 14 novembre 2008 09:11
Le mie montagne. Gli anni della neve e del fuoco
Nel giugno del 1940 l'esercito italiano attacca la Francia sul confine alpino: i francesi sono già prostrati dalla disfatta appena subita a opera dei tedeschi, ma i fanti italiani avanzano con enorme fatica e l'equipaggiamento inadatto miete più vittime, per assideramento, delle pallottole nemiche. "Alla prova della montagna il fascismo era già finito", scrive Bocca. L'autore ha girato il mondo e all'Italia ha dedicato diversi libri: qui ritorna alla "patria alpina", alla provincia incastonata tra le montagne da cui proviene e che diventa il crogiuolo in cui si mettono alla prova gli uomini e le idee. Dalla grande schiatta piemontese dei maestri di antifascismo - i Gobetti, i Galimberti, gli Einaudi, i Bianco - al rapporto con i valligiani nella Guerra di Liberazione, alla scoperta dell'eredità occitanica tra Piemonte e Francia, dalla provincia eterna che produce buoni alimenti ma è politicamente sempre rivolta al passato, fino alle montagne amatissime in cui ha passato la sua giovinezza di forte sciatore e che sono ora anch'esse vittime dell'industrializzazione, trasformate in palestre meccanizzate per il tempo libero.
sergio.T
00venerdì 14 novembre 2008 09:15
Lo leggero' di sicuro anche se, conoscendo il tipo almeno come articolista, qualche diffidenza nasce spontanea.
E' un giornalista strano, difficile per certi versi da inquadrare.
sergio.T
00lunedì 17 novembre 2008 09:05
Gran bel libro, davvero. Libro di montagna e di partigiani, qualcosa che oggi sta scomparendo sempre di piu' nell'animo cittadino.

Questi ricordi di Bocca sono un inno alla nostalgia di quello che e' stato e mai sara' dimenticato.

La montagna: cultura infinitamente superiore a quella urbana e metropolitana. La', c'e' ancora asprezza, rudezza, quell'autenticita' che non si piega a nessun compromesso, che guarda in modo dritto , pratico; non si perde in mille parole.
I montanari di Bocca poi diventeranno alpini e partigiani e la loro resistenza sara' una vera resistenza, non piegata a logiche politiche.
I montanari resistono perche' le montagne sono il loro posto e loro deve rimanere.

Che dire quando davanti a un generale nazista che invita tutti ad andarsene da un paese per evitare rappresaglie e fucilazioni, si ha il coraggio di rispondere :" Le nostre montagne sono nostre ". Che dire di questa affermazione imperativa?
"La montagna e' nostra" sembra che vada in contrapposizione con tutte quelle filosofie patriottiche o nazionalistiche ribadendo un concetto di possesso terriero tanto combattutto e tanto aborrito.
E invece no. Si ribadisce il senso di appartenenza a un luogo; io sono nato qui e la montagna mi appartiene come la mia vita appartiene ad essa. E' un rapporto viscerale, intestino, di stomaco direi.
E' un rapporto di natura che non si puo' piegare a filosofie astratte.
La prostituzione imperante oggidi', non attecchisce presso i montanari di quei tempi: non si vendono ne' al paese vicino, ne' alla citta' lontana. Sono in montagna e in montagna rimangono.
Che penso' quel generale nazista? lui, cultore del Volk tedesco, principio filosofico profondissimo? Se ne ando' e li lascio' li'.
sergio.T
00lunedì 17 novembre 2008 09:12
e' il rispetto del valore , e' il rispetto di quella nobilta' che mai deve essere tradita.
In montagna il tradimento e' punito perche' si tradisce tutta una cultura.
Anni fa, un maestro di sci nipote di alcuni partigiani montanari amici di Bocca ( che sono i protagonisti di questo splendido libro), fu arrestato per spaccio e traffico di droga.
Bocca per far capire una certa cultura , dice : " loro, i montanari, lo avrebbero immediatamente fucilato".
Conclude il capitolo cosi', nel modo migliore per fare capire una certa filosofia.
Non mi ripugna affatto, anzi.
sergio.T
00lunedì 17 novembre 2008 09:37
Modo Romano, modo montanaro.
Se mi si permette il paragone tra una grande civilta' ( la piu' grande!) e una cultura locale circoscritta al suo territorio - se mi si permette questo, dicevo - allora si troveranno mille similitudini, la piu' manifesta delle quali, e' quella al richiamo dlla responsabilita' individuale, personale, intima.
Tu sei quello che sei, tu sei quello che hai fatto e tu sei quello che devi rispondere di questo.
L'infrollito pensiero moderno invece passa per altre vie:
parole,
studi,
analisi,
comitati,
assemblee,
tavoli,
associazioni,
protezioni,
dietrologie,
amnistie,
indulti,
deroghe,
proroghe,
codici civili,
codici penali,
politiche sociali,
politiche nazionali,
politiche globali,
psicologie,
insomma, patologie moderne varie. E i risultati si vedono , si vedono eccome!
Modo Romano e modo montanaro! questo si e' dimenticato, per questo non si ha piu' il carattere all'altezza.
A posto di tutte queste cianfrusaglie progressiste, la', si era richiamati alla responsabilita' individuale, senza troppe menate, senza troppe parole, senza troppe circonluzioni, deviazioni , tangenziali: " tu hai fatto questo e tu devi risponderne!", perche' cosi' vuole una cultura superiore, quella stessa cultura che imprimendo una forte tratto di responsabilita' personale verso tutti, unisce ancora di piu', rassoda le unioni, rafforza il senso di partecipazione.
Non a caso nella seconda guerra Macedone, i Romani di loro iniziativa, ( senza obblighi!!!) raccolsero per la citta' una cifra altissima per armare l'esercito , perche' Roma non poteva ritirarsi!, e sempre non a caso, piccole localita' montane , ancora oggi, si uniscono aiutandosi uno e l'altro, soccorrendosi e lavorando tuti insieme.
Ve lo immaginate voi, atti cosi' a Milano? o in qualunque posto moderno progressista? ah, che ridere.
sergio.T
00lunedì 17 novembre 2008 09:47
Bocca, giornalista controverso, giornalista marcatamente di area di sinistra ( ma simpatizzante Lega, in un certo momento) Bocca che ha il pudore , parlando di montagne e partigiani, di non inquinare le sue parole con la politica.
Mi piace.
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