Zola e Hugo: detestati. Come poteva essere altrimenti?
LE BESTIE DI NIETZSCHE
Quando tra il 1892 e il 1893 Gabriele D' Annunzio scrive due brevi articoli attorno a Nietzsche e alle sensazioni che il suo pensiero provoca nel Vate, il filosofo tedesco è già da tempo avviato a quel declino soprattutto mentale che lo porterà di lì a qualche anno alla morte. La sua follia, come riferisce l' amico Overbeck, accennava a trasformarsi in idiozia. Ecco la testimonianza di un conoscente che ha fatto visita al filosofo: "Parla pochissimo, ormai è quasi impossibile fare una conversazione con lui. Un sorriso, un cenno della testa o una spropositata meraviglia - questo, grosso modo, è tutto quanto si riesce a ottenere da lui". Apatico e assente. Ma intanto le cose più importanti sono state scritte. Per limitarsi al periodo della maturità, cioè agli anni Ottanta, vediamo scorrere Così parlò Zarathustra (1883-1885); Al di là del bene e del male (1885-1886); il Caso Wagner (1888); L' Anticristo (1888); Ecce Homo (1888). Di tutto questo, come del resto dell' opera di Nietzsche, D' Annunzio conosce ben poco. Ma ciò non gli impedisce di appropriarsi di certi umori nicciani, di esaltarne la carica anticonformista e di prodursi in un dittico, rapido e intenso, che rappresenterà, data anche l' autorità di chi lo redige, un precedente letterario di indubbia rilevanza. La bestia elettiva, il primo dei due articoli comparve sul Mattino, allora diretto dalla coppia Scarfoglio e Serao. Il caso Wagner fu invece pubblicato in tre puntate sulla Tribuna di Roma, il quotidiano del principe Maffeo Sciarra Colonna. Questi articoli di D' Annunzio sono stati oggi raccolti e pubblicati dall' editore di Catania De Martinis & C. con una breve postfazione di Davide Valenti (pagg. 61, lire 10.000). Fra l' altro ricorrono quest' anno i centocinquant' anni dalla nascita di Nietzsche. E per l' occasione la Scuola Normale Superiore di Pisa ha organizzato, tra febbraio e maggio, un ciclo di incontri su alcuni aspetti specifici del pensiero niccciano.Segnaliamo inoltre una serie di contributi apparsi in queste ultime settimane: Nietzsche di Heinrich Mann (Il saggiatore, pagg. 94, lire 12.000), Breviario, una antologia del pensiero nietzscheano curata da Claudio Pozzoli (Rusconi, pagg. 306, lire 16.000); Nietzsche allo specchio (Laterza, pagg. 240, lire 27.000), Sulla strada di Nietzsche, di Giuliano Campioni (ETS, pagg. 306, sip) lo stesso Campioni insieme a Federico Gerratana ha curato di Nietzsche gli Appunti filosofici, 1867-1869 e Omero e la filologia classica (Adelphi, pagg. 290, lire 18.000). Le letture nietzscheane di D' Annunzio, che tra l' altro non conosceva il tedesco, derivavano da un testo francese di Jean de Néthy intitolato Nietzsche-Zarathustra e pubblicato nella Revue Blanche dell' aprile del 1892. E' in quegli anni che la Francia mostra uno spiccato interesse per il filosofo, al punto che si è parlato, ne parlò a suo tempo Montinari, di una francesità di Nietzsche, ossia di un' attenzione del filosofo ai classici francesi. Della cultura francese, a parte i grandi moralisti come La Rochefoucauld e Montaigne, Nietzsche adorava Stendhal e Prosper Merim)e. Detestava invece il naturalismo di Zola e il "gusto plebeo" di Victor Hugo. La Francia per lui era anche Baudelaire di cui conosceva e aveva annotato Les Fleurs du Mal. Un sentimento capovolto egli provava per la Germania. E a proposito della cultura tedesca in Ecce Homo egli scrive che "dovunque arriva corrompe la civiltà". Dunque la Francia lo ricambia con attenzione e una curiosità insolita per un paese culturalmente refrattario ad assorbire le novità tedesche. Che cosa poi D' Annunzio ricavasse da quelle letture rapide e in fondo così distanti dalla vera fatica del pensiero, non è dato sapere con certezza. Sarebbe tuttavia troppo facile vedere nelle pagine d' annunziane una pura e semplice volgarizzazione, nonché un fraintendimento di alcune celebri formule nietzscheane quali quelle di "superuomo" o di "volontà di potenza". Come pure occorrerebbe tener conto di quanto in fondo D' Annunzio sovrapponesse la propria immagine e il proprio sentire decadente, a quella di un Nietzsche che egli non esita a definire "uno dei più originali Spiriti che siano comparsi in questa fine secolo", quasi che, inconsciamente, quell' omaggio oltre che per Nietzsche valesse per lui. Comunque stiano le cose, è certo che gli scritti d' annunziani per quanto esili e suggestionati da una violenta polemica contro il suffragio universale e più in generale, contro i guasti delle democrazie, proprio in virtù della loro strumentalità costituirono una efficace penetrazione del niccianesimo in Italia. In fondo, un' analoga funzione svolsero André Gide in Francia e Stefan George in Germania. Circostanza questa che spinge a sostenere che i primi ad apprezzare Nietzsche non furono gli storici della filosofia, ma quegli scrittori che videro nel suo pensiero una leggerezza senza peso, una magia degli estremi e uno sperimentare le forme senza mai rinchiuderle in un orizzonte speculativo definitivo. Solo così, del resto, si può intendere quanto lontana fosse da Nietzsche l' idea di scrivere un' opera dai caratteri definitivi e quanto importante si dimostri il lavoro filologico sopra i suoi testi. Quell' opera naturalmente esiste ed è La volontà di potenza, ma essa fu il frutto di una patente falsificazione della sorella e di alcuni discepoli. Su queste pagine, poco più di un anno fa, si aprì una polemica, che poi dilagò negli altri giornali, provocata dalla nuova edizione italiana della Volontà di potenza, curata da Pietro Kobau e Maurizio Ferraris. Sostenemmo, allora, che il pensiero di Nietzsche non poteva essere ricondotto a una sorta di nazismo ante litteram. E, cosa altrettanto importante per la denazificazione di quel pensiero, rilevammo che l' edizione critica di Adelphi, attraverso il lavoro filologico di Colli e Montinari, non fosse così irrilevante, come alcuni pretendevano, per l' approfondimento filosofico. Nel frattempo quella polemica si è trasferita in sedi più competenti. Qualche mese fa su Belfagor Giuliano Campioni ha con precisione indicato le gravi pecche e i numerosi errori di quella edizione. Gli risponde ora, con un articolo apparso in queste settimane su Aut Aut, Maurizio Ferraris. E un terzo articolo a firma di Marco Brusotti e Federico Gerratana, che uscirà sul Giornale critico di storia della filosofia, solleva altri interrogativi su quella edizione. Non è il caso qui di riaprire la questione, il lettore interessato, se ne avrà voglia, potrà direttamente leggersi quei testi e farsi un' opinione più meditata. Ma un punto si vorrebbe sottolineare: senza il lavoro filologico l' esercizio critico, per quanto brillante, finirebbe col risultare sconnesso. Filologia e filosofia. Un rapporto tormentato al quale lo stesso Nietzsche non si sottrasse, come dimostrano anche gli Appunti filosofici (1867-1869) e Omero e la filologia classica che Adelphi ha da poco pubblicato. Alcuni interpreti hanno visto un progressivo liberarsi di Nietzsche dai condizionamenti troppo angusti della filologia. In realtà proprio questi quaderni giovanili, curati in maniera eccellente da Campioni e Gerratana, dimostrano che la sfiducia nietzscheana nei riguardi della filologia "che si concentra tanto sui mezzi da perdere di vista il fine", è in realtà rivolta al deprimente quadro in cui la filologia classica versava nella seconda metà dell' Ottocento. Più che contro il lavoro del filologo Nietzsche se la prende con gli epigoni di questa disciplina. Altrimenti difficilmente intenderemmo quell' elogio della lentezza che Nietzsche scrisse nella prefazione ad Aurora (1886): "Filologia... è quella onorevole arte che esige dal suo cultore soprattutto una cosa, trarsi da parte, lasciarsi tempo, divenire silenzioso, divenire lento, essendo un' arte e una perizia di orafi della parola, che deve compiere un finissimo attento lavoro e non raggiunge nulla se non lo raggiunge lento. Ma proprio per questo è oggi più necessaria che mai; è proprio per questo mezzo che essa ci attira e ci incanta quanto mai fortemente nel cuore di un' epoca del ' lavoro' , intendo dire della fretta, della precipitazione indecorosa e sudaticcia, che vuole sbrigare immediatamente ogni cosa, anche ogni libro antico e nuovo: per una tale arte non è tanto facile sbrigare una qualsiasi cosa, essa insegna a leggere bene cioè a leggere lentamente, in profondità, guardandosi avanti e indietro...".