Emile Zola

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sergio.T
00martedì 17 luglio 2007 14:59
Émile Zola

Émile Zola (Parigi, 2 aprile 1840  29 settembre 1902) è stato un giornalista e scrittore francese. È considerato il creatore del filone naturalista.

Figlio di un ingegnere italiano di origine veneziana e di una francese (della regione della Beauce), trascorse l'infanzia e la prima giovinezza ad Aix-en-Provence, dove il padre dirigeva la costruzione di un canale. A questo periodo risale la sua amicizia con Paul Cézanne e Philippe Solari.


Morto il padre (1847), il ragazzo compie i suoi studi ad Aix e vi resta sino al 1857, anno in cui la madre, soprattutto per le crescenti difficoltà economiche, decide di rientrare a Parigi. Nella capitale, Zola ha difficoltà di ambientamento che si riflettono nei suoi studi. Dopo essere stato bocciato, per due volte, agli esami di maturità (Baccalauréat} decide di abbandonare gli studi e di trovarsi un lavoro. Svolge, per brevi periodi, vari tipi di attività, poi entra come fattorino nella casa editrice Hachette. Qui viene notato per la sua intelligenza e gli viene affidato l'ufficio Pubblicità. Questo lavoro gli permette di entrare in contatto con il mondo letterario ed artistico del tempo.

Nel 1862 ottiene la cittadinanza francese. Sempre nello stesso anno, iniziando la sua collaborazione al Journal populaire di Lille, intraprende la sua carriera di giornalista. È un'attività che proseguirà per tutta la sua vita contemporaneamente a quella di scrittore.

Nel 1864 pubblica i Contes à Ninon e nel 1865 la Confession de Claude. Tutte e due le opere risentono degli influssi romantici.

Ammiratore dei Goncourt e attirato dalla idee di Taine e di Claude Bernard egli si avvicina sempre più verso il Realismo e il Naturalismo che si manifesta già in Thérèse Raquin (1867) e Madeleine Férat (1868). Sviluppò quindi la sua concezione del romanzo come "opera sperimentale", applicando una metodologia scientifica all'osservazione della realtà sociale. Tale teoria lo avvicinò ad altri scrittori come Guy de Maupassant e Joris-Karl Huysmans, divenendo il caposcuola del Naturalismo.

Negli anni 1870-1893 Zola compose una serie di romanzi incentrati sulla realtà sociale del tempo, i cui personaggi ed ambienti sono osservati e descritti con molto realismo. Questa sua linea narrativa, oltre a grandi consensi, gli attirò spesso violente critiche da parte degli ambienti più conservatori e moralisti dell'epoca. Nei suoi romanzi vengono infatti frequentemente smascherate le ipocrisie e le bassezze della borghesia francese, con ritratti sfacciatamente realisti anche nei confronti dei costumi sessuali (come in Nanà), il che gli procurò anche l'epiteto di "pornografo". In altri romanzi vengono denunciate con vigore le miserevoli condizioni di vita delle classi più povere (come ad esempio in "Germinal" ambientato in un villaggio di minatori), o la corruzione della società del Secondo impero francese, il che gli attirò l'accusa di essere addirittura un sovversivo.

Aderì al socialismo, e nel 1898 intervenne con passione nell'affare Dreyfus in difesa dell'accusato, con una celebre lettera aperta al Presidente, intitolata J'accuse, che fu pubblicata nel quotidiano L'Aurore. Questo intervento lo costrinse a fuggire in Inghilterra, per evitare il carcere, e poté rientrare solo in seguito ad un'amnistia.

Morì nel 1902, soffocato dalle esalazioni di una stufa, ma i dubbi su un assassinio non furono mai fugati del tutto.

Le sue spoglie sono sepolte a Parigi nel Pantheon, accanto alle tombe di due altri grandi scrittori francesi, Alexandre Dumas (padre) e Victor Hugo.
sergio.T
00martedì 18 settembre 2007 09:35
Se rileggessi ora Germinal, avrei sicuramente sensazioni diverse rispetto a quella lettura di anni e anni fa.
E' talmente vero della differenza che corre nel nostro modo di vedere il mondo, tra un'eta' e l'altra, che lo stesso libro, a volte, ci appare diversissimo o quasi un altro libro.
Un po' come succede per quel castrato di Flaubert.
sergio.T
00lunedì 4 febbraio 2008 11:25
Lanciato in versione francese dopo Balzac, un Zola e la sua Nana'-
Sesso come volonta' di morte e teatro come volonta' di mistificazione.
sergio.T
00martedì 5 febbraio 2008 09:06
Zola non ha la leggerezza di un Maupassant, il ritmo di un Balzac, e tanto meno ha, il carattere di uno Stendhal.
sergio.T
00martedì 5 febbraio 2008 10:04
I proletari non scopano?
Questa aria sessuale, questo " tanfo" corporale, questa ingordigia di piacere: Zola e il sesso dei maschi, degli uomini.
Una forma degenerata di una classe? non lo si dica! per favore!
Forse i proletari non scopano?
sergio.T
00martedì 5 febbraio 2008 10:21
Nana' cosa vuole dimostrare? cosa vuole questa cortigiana? la sua ingordigia di lusso in cosa si differenzia dall'ingordigia maschile di sesso?
Sesso e lusso sullo stesso piano? materialismo alla stato puro?
O forse questa Nana' vuole vendicarsi? vuole una rivincita su di un'altra classe? vuole riprendersi un qualcosa?
Questa puttana, in fondo, per quale motivo scopa?
sergio.T
00martedì 5 febbraio 2008 10:26
Zola profetico
Nana' e' una delinquente , una rapinatrice, una ladra: il sesso ( tette e culo) e' la sua arma preferita, come per il borsaiolo e' una mano e per uno scassinatore un grimaldello.
Il campo d'azione? il mondo dello spettacolo, un mondo degenerato dove il talento non cinta piu' ( Nana' non sa fare un cazzo)
Il romanzo di Zola ( un buon romanzo) si presta a una lettura moderna: quante Nana' nel mondo di oggi? quante veline, paroline, scassaminchia, ci sono oggi sul palinsesto televisivo?
Accendete la tv e vedrete il mondo di Zola: in questo e' stato profetico.
sergio.T
00martedì 5 febbraio 2008 10:29
Materialismo o spiritualismo nel sesso? Zola va' spedito nella prima direzione e forse, in un certo senso, non ha torto.
Tutto dipende come si usa il sesso.
E' il suo maneggio a fare la differenza: il teatro Zoliano e' assolutamente materialistico, terreno, economico.
Non e' nemmeno un'interpretazione realistica o naturalista, ma proprio materialistica.


sergio.T
00giovedì 7 febbraio 2008 09:51
Zola e' molto bravo a fare compagnia ai pensieri del conte Muffat in lunga attesa in un vicolo buio per scoprire il tradimento della moglie.
Muffat ragiona perfettamente da uomo, in questi casi.
Non c'e' nessun sentimento di vendetta, nessuna particolare voglia di rivincita, nessuna minaccia: semplicemente tutto e' finito, stop, punto e a capo.
Se si tiene conto che il Muffat a sua volta arriva da un appuntamento sessuale con Nana', si capira' benissimo la particolare " deviazione" del pensiero maschile.
sergio.T
00giovedì 7 febbraio 2008 10:01
Nana' con la prostituzione si vendica della sua condizione sociale e si vendica nei confronti di quell'aristocrazia e borghesia da sempre viste come il nemico.
Ma Nana', facendo questo, non solo abbatte - o crede di farlo - queste due classi, ma abbatte anche la sua condizione femminile.
Si unisce a capofitto in una generale degenerazione dei valori sociali e morali: un'abbattimento che alla fine prende sempre piu' il colore di un abbattimento esistenziale e sempre meno sociale.
Il romanzo di Zola e' un buon romanzo con piu' chiavi di lettura.
La prima e' contro lo Zola stesso, pero': questa degenerazione vive nel teatro, in una sorta di mondo parallelo a quello vero, a quello reale.
L'ambientazione in un mondo di " recita" sembra quasi volere giustificare l'assoluta perdizione come se questa fosse una caricatura troppo pesante e dunque fittizia, teatrale per l'appunto, estrema, ma la sessualita vissuta in modo dissennato avviene " dopo" il teatro, dopo la recita, determinando un salto nella vita reale.
A Zola sembra quasi mancare il coraggio di vedere fino in fondo.
sergio.T
00giovedì 7 febbraio 2008 11:05
Zola e' leggibilissimo; merita il tempo che richiede.
Non lo adoro , ne' lo amo, ma si fa leggere.
Alterna periodi noiosi ad accellerate paurose: bisogna abituarsi.
Non ricordo il suo Germinal letto anni e anni fa quando si era ragazzini: mi ricordo vagamente di una sofferenza delle classi povere , degli scioperi dei minatori.
Un libro drammatico.

carla b.
00venerdì 8 febbraio 2008 09:19
Zola è stato uno degli scrittori preferiti della mia "post-adolescenza".
Ho letto parecchi suoi libri, Germinale, il mio preferito, Nanà, Il sogno, La conquista di Plassans (anche se questi ultimi due li ricordo piuttosto noiosi)
sergio.T
00lunedì 11 febbraio 2008 10:57
Senza passione
Cinicamente alla morte di Nana' non si prova il minimo dispiacere, come non si prova il minimo rammarico di finire questo romanzo.
A Nana', in fondo, mancano alcune cose: una caratterizzazione piu' profonda dei personaggi e infine e soprattutto quella " passione" che contraddistingue un eroe vivo dal quello solo scritto.
Quanta differenza con la fine di un Sorel! tanto per fare un esempio.
mujer
00sabato 16 maggio 2009 23:29
“E questa gente dorme tranquilla , ha moglie e dei figli che amano!...E’ un crimine contro l’umanità appoggiarsi su una stampa immonda, essere complici della gentaglia che gioisce della sconfitta del diritto e della probità. Ho una passione, quella della luce della verità, in nome dell’umanità che soffre e ha diritto alla felicità. La mia protesta infiammata è il grido di dolore della mia anima!”
sergio.T
00lunedì 18 maggio 2009 16:50
Zola e Hugo: i vecchi ciarlatani.
Zola con quell'altro, massi' come si chiamava, forse quell'Hugo debosciato e un poco malriuscito, rappresentano quanto di peggio si possa pensare sulla morale e sugli uomini in generale.
Predicatori un poco ciarlatani assomigliano a quegli strombazzati venditori di medicinali truffa, quelli che giravano per il Far West, loro e le loro barbe grige, i loro cappellacci un poco impolverati, con quell'aria un po' da demonio e un po' da santi.
Gironzolavano per villaggi vendendo unguenti e olii, d'erbe panacee di tutti i dolori e di tutti i mali. Approffittando dell'ingenuita' dei coloni, di quei pionieri d'azione, questi vagabondi dispensavano questi filtri per curare il corpo. A loro seguito arrivavano i predicatori dello spirito: predicavano la venuta del nuovo regno, del nuovo cielo, inneggiavano e invitavano ad una vita di stenti e sacrifici.
Consolavano; confortavano; rivendicavano la promessa futura di una giustizia per tutti, in in una terra promessa al di la' del prossimo giorno.
Ecco: uno Zola e un Hugo, predicatori mezzo santi e mezzo stregoni, per tutti gli sfibrati e gli snervati: i destituiti di ogni diritto perche' incapaci di una vita sana, forte, e superiore.
Insomma: ne piu' ne meno di vecchi ciarlatani.
sergio.T
00lunedì 18 maggio 2009 17:11
Zola e Hugo: detestati. Come poteva essere altrimenti?
LE BESTIE DI NIETZSCHE

Quando tra il 1892 e il 1893 Gabriele D' Annunzio scrive due brevi articoli attorno a Nietzsche e alle sensazioni che il suo pensiero provoca nel Vate, il filosofo tedesco è già da tempo avviato a quel declino soprattutto mentale che lo porterà di lì a qualche anno alla morte. La sua follia, come riferisce l' amico Overbeck, accennava a trasformarsi in idiozia. Ecco la testimonianza di un conoscente che ha fatto visita al filosofo: "Parla pochissimo, ormai è quasi impossibile fare una conversazione con lui. Un sorriso, un cenno della testa o una spropositata meraviglia - questo, grosso modo, è tutto quanto si riesce a ottenere da lui". Apatico e assente. Ma intanto le cose più importanti sono state scritte. Per limitarsi al periodo della maturità, cioè agli anni Ottanta, vediamo scorrere Così parlò Zarathustra (1883-1885); Al di là del bene e del male (1885-1886); il Caso Wagner (1888); L' Anticristo (1888); Ecce Homo (1888). Di tutto questo, come del resto dell' opera di Nietzsche, D' Annunzio conosce ben poco. Ma ciò non gli impedisce di appropriarsi di certi umori nicciani, di esaltarne la carica anticonformista e di prodursi in un dittico, rapido e intenso, che rappresenterà, data anche l' autorità di chi lo redige, un precedente letterario di indubbia rilevanza. La bestia elettiva, il primo dei due articoli comparve sul Mattino, allora diretto dalla coppia Scarfoglio e Serao. Il caso Wagner fu invece pubblicato in tre puntate sulla Tribuna di Roma, il quotidiano del principe Maffeo Sciarra Colonna. Questi articoli di D' Annunzio sono stati oggi raccolti e pubblicati dall' editore di Catania De Martinis & C. con una breve postfazione di Davide Valenti (pagg. 61, lire 10.000). Fra l' altro ricorrono quest' anno i centocinquant' anni dalla nascita di Nietzsche. E per l' occasione la Scuola Normale Superiore di Pisa ha organizzato, tra febbraio e maggio, un ciclo di incontri su alcuni aspetti specifici del pensiero niccciano.Segnaliamo inoltre una serie di contributi apparsi in queste ultime settimane: Nietzsche di Heinrich Mann (Il saggiatore, pagg. 94, lire 12.000), Breviario, una antologia del pensiero nietzscheano curata da Claudio Pozzoli (Rusconi, pagg. 306, lire 16.000); Nietzsche allo specchio (Laterza, pagg. 240, lire 27.000), Sulla strada di Nietzsche, di Giuliano Campioni (ETS, pagg. 306, sip) lo stesso Campioni insieme a Federico Gerratana ha curato di Nietzsche gli Appunti filosofici, 1867-1869 e Omero e la filologia classica (Adelphi, pagg. 290, lire 18.000). Le letture nietzscheane di D' Annunzio, che tra l' altro non conosceva il tedesco, derivavano da un testo francese di Jean de Néthy intitolato Nietzsche-Zarathustra e pubblicato nella Revue Blanche dell' aprile del 1892. E' in quegli anni che la Francia mostra uno spiccato interesse per il filosofo, al punto che si è parlato, ne parlò a suo tempo Montinari, di una francesità di Nietzsche, ossia di un' attenzione del filosofo ai classici francesi. Della cultura francese, a parte i grandi moralisti come La Rochefoucauld e Montaigne, Nietzsche adorava Stendhal e Prosper Merim)e. Detestava invece il naturalismo di Zola e il "gusto plebeo" di Victor Hugo. La Francia per lui era anche Baudelaire di cui conosceva e aveva annotato Les Fleurs du Mal. Un sentimento capovolto egli provava per la Germania. E a proposito della cultura tedesca in Ecce Homo egli scrive che "dovunque arriva corrompe la civiltà". Dunque la Francia lo ricambia con attenzione e una curiosità insolita per un paese culturalmente refrattario ad assorbire le novità tedesche. Che cosa poi D' Annunzio ricavasse da quelle letture rapide e in fondo così distanti dalla vera fatica del pensiero, non è dato sapere con certezza. Sarebbe tuttavia troppo facile vedere nelle pagine d' annunziane una pura e semplice volgarizzazione, nonché un fraintendimento di alcune celebri formule nietzscheane quali quelle di "superuomo" o di "volontà di potenza". Come pure occorrerebbe tener conto di quanto in fondo D' Annunzio sovrapponesse la propria immagine e il proprio sentire decadente, a quella di un Nietzsche che egli non esita a definire "uno dei più originali Spiriti che siano comparsi in questa fine secolo", quasi che, inconsciamente, quell' omaggio oltre che per Nietzsche valesse per lui. Comunque stiano le cose, è certo che gli scritti d' annunziani per quanto esili e suggestionati da una violenta polemica contro il suffragio universale e più in generale, contro i guasti delle democrazie, proprio in virtù della loro strumentalità costituirono una efficace penetrazione del niccianesimo in Italia. In fondo, un' analoga funzione svolsero André Gide in Francia e Stefan George in Germania. Circostanza questa che spinge a sostenere che i primi ad apprezzare Nietzsche non furono gli storici della filosofia, ma quegli scrittori che videro nel suo pensiero una leggerezza senza peso, una magia degli estremi e uno sperimentare le forme senza mai rinchiuderle in un orizzonte speculativo definitivo. Solo così, del resto, si può intendere quanto lontana fosse da Nietzsche l' idea di scrivere un' opera dai caratteri definitivi e quanto importante si dimostri il lavoro filologico sopra i suoi testi. Quell' opera naturalmente esiste ed è La volontà di potenza, ma essa fu il frutto di una patente falsificazione della sorella e di alcuni discepoli. Su queste pagine, poco più di un anno fa, si aprì una polemica, che poi dilagò negli altri giornali, provocata dalla nuova edizione italiana della Volontà di potenza, curata da Pietro Kobau e Maurizio Ferraris. Sostenemmo, allora, che il pensiero di Nietzsche non poteva essere ricondotto a una sorta di nazismo ante litteram. E, cosa altrettanto importante per la denazificazione di quel pensiero, rilevammo che l' edizione critica di Adelphi, attraverso il lavoro filologico di Colli e Montinari, non fosse così irrilevante, come alcuni pretendevano, per l' approfondimento filosofico. Nel frattempo quella polemica si è trasferita in sedi più competenti. Qualche mese fa su Belfagor Giuliano Campioni ha con precisione indicato le gravi pecche e i numerosi errori di quella edizione. Gli risponde ora, con un articolo apparso in queste settimane su Aut Aut, Maurizio Ferraris. E un terzo articolo a firma di Marco Brusotti e Federico Gerratana, che uscirà sul Giornale critico di storia della filosofia, solleva altri interrogativi su quella edizione. Non è il caso qui di riaprire la questione, il lettore interessato, se ne avrà voglia, potrà direttamente leggersi quei testi e farsi un' opinione più meditata. Ma un punto si vorrebbe sottolineare: senza il lavoro filologico l' esercizio critico, per quanto brillante, finirebbe col risultare sconnesso. Filologia e filosofia. Un rapporto tormentato al quale lo stesso Nietzsche non si sottrasse, come dimostrano anche gli Appunti filosofici (1867-1869) e Omero e la filologia classica che Adelphi ha da poco pubblicato. Alcuni interpreti hanno visto un progressivo liberarsi di Nietzsche dai condizionamenti troppo angusti della filologia. In realtà proprio questi quaderni giovanili, curati in maniera eccellente da Campioni e Gerratana, dimostrano che la sfiducia nietzscheana nei riguardi della filologia "che si concentra tanto sui mezzi da perdere di vista il fine", è in realtà rivolta al deprimente quadro in cui la filologia classica versava nella seconda metà dell' Ottocento. Più che contro il lavoro del filologo Nietzsche se la prende con gli epigoni di questa disciplina. Altrimenti difficilmente intenderemmo quell' elogio della lentezza che Nietzsche scrisse nella prefazione ad Aurora (1886): "Filologia... è quella onorevole arte che esige dal suo cultore soprattutto una cosa, trarsi da parte, lasciarsi tempo, divenire silenzioso, divenire lento, essendo un' arte e una perizia di orafi della parola, che deve compiere un finissimo attento lavoro e non raggiunge nulla se non lo raggiunge lento. Ma proprio per questo è oggi più necessaria che mai; è proprio per questo mezzo che essa ci attira e ci incanta quanto mai fortemente nel cuore di un' epoca del ' lavoro' , intendo dire della fretta, della precipitazione indecorosa e sudaticcia, che vuole sbrigare immediatamente ogni cosa, anche ogni libro antico e nuovo: per una tale arte non è tanto facile sbrigare una qualsiasi cosa, essa insegna a leggere bene cioè a leggere lentamente, in profondità, guardandosi avanti e indietro...".
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