Elias Canetti

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mujer
00domenica 22 febbraio 2009 12:02


Sto per finire Le voci di Marrakech di Elias Canetti.
Questo libro mi incuriosiva molto, diciamo che ogni tanto me lo vedevo spuntare e sapevo di dover fare i conti con il fatto che non lo avessi ancora letto.
Non so perchè, quando lo scoprii una decina di anni fa, non decisi di leggerlo subito.
Penso che abbia a che vedere con la mia ritrosia a leggere di viaggiatori occidentali che visitano luoghi "altri".
Reduce dai vari "esploratori", da Kipling l'etnocentrico al Coloane patagonico, il mio vagare si era contaminato di sguardi da civiltà superiore che pone in basso le popolazioni che considera minoranza.
Ma sul pregiudizio che ho imposto a Elias Canetti mi sbagliavo.
Ne Le voci di Marrakech c'è la voce dell'etnos, c'è uno sguardo rispettoso sulla vita popolare e sulle relazioni umane, cariche di diversità e di incomprensibili comportamenti che l'autore non spiega né giudica mai.
Essere osservatrice di un carico culturale così elevato mi ha fatta rinfrancare da un certo pensiero che, in me, voleva che gli scrittori viaggianti fossero i contaminatori dei miei luoghi mai visitati.
Tanto contaminati da decidere di non visitarli mai.

Ora, invece, voglio a tutti i costi fare un viaggio a Marrakech.

Ecco cos'è la buona letteratura.
sergio.T
00lunedì 23 febbraio 2009 10:07
Letto anni fa in occasione di un viaggio in Marocco.
Non me lo ricordo bene, ma comunque mi fa piacere che ti sia molto piaciuto. [SM=g8431]
mujer
00venerdì 27 febbraio 2009 12:18
C'è un racconto in questo libro - Cantastorie e scrivani - che rispecchia moltissimo ciò che penso anch'io sulla differenza tra l'essere narratore e l'essere scrittore.

Così come dicevo in un blog, stiamo guardando agli scrivani senza riuscire ad ascoltare i cantastorie.
Eppure ci sono, solo che siamo distratti da forme superficiali e messaggi fuorvianti.

Canetti dice:
"Nei momenti buoni mi dicevo: anch'io posso radunare della gente attorno a me e mettermi a raccontare; anch'io posso farmi ascoltare. Ma anziché vagare da un luogo all'altro senza sapere mai chi potrò trovare, né quali orecchie mi presteranno ascolto, anziché vivere confidando totalmente nel mio stesso raccontare, io mi sono votato alla carta. Protetto da tavoli e porte, vivo dunque come un vile sognatore, mentre loro, i cantastorie, vivono nel trambusto del mercato, in mezzo a cento volti estranei che cambiano ogni giorno, senza il peso di un sapere freddo e superfluo, senza libri, senza ambizione e vana rispettabilità. Raramente mi sono sentito a mio agio tra gli uomini delle nostre parti che vivono di letteratura. Li ho disprezzati perché anche in me stesso c'è qualcosa che disprezzo e credo che questo qualcosa sia proprio la carta. Qui mi trovai ad un tratto tra poeti che potevo guardare con sommo rispetto, perché da loro non veniva una sola parola che bisognasse leggere".

Questo è un pezzo bellissimo, il punto centrale della piazza era fatto di oralità letteraria.
Penso che si possa riavere la piazza se torniamo a questo piacere: l'ascolto e la parola anziché il detto e la scrittura.
sergio.T
00martedì 3 marzo 2009 15:36
Lo penso anch'io. [SM=g8431]
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