Dorothy Hewett

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carla b.
00martedì 6 ottobre 2009 11:35
A proposito di scrittrici e di letture al femminile, mi viene da consigliarvi anche lei
(Ho letto il suo libro, Il cottage sull'oceano, quelche mese fa )

Dorothy Hewett (1923 – 2002), nata a Perth, in Western Australia, ha pubblicato tre romanzi, un libro di racconti, tredici opere teatrali e nove raccolte di poesie. Molte sue opere hanno ricevuto importanti riconoscimenti, tra cui il Banjo Award per la poesia e, con l’autobiografia Wild Card, i Victoria e Western Australian Premier’s Prizes per la non-fiction. Dal 1942 al 1968 ha fatto parte del partito comunista australiano. È stata poi una delle poche a ritirare la tessera dopo l’occupazione sovietica della Cecoslovacchia. Dopo aver abitato per diciotto anni a Sydney, è tornata a vivere a Perth. Dove ha insegnato letteratura all’università. Ha trascorso i suoi ultimi anni nelle Blue Mountains.

IL COTTAGE SULL'OCEANO


In una giornata di pioggia e mare grosso Jessica arriva a Zane, un piccolo villaggio sulla costa meridionale dell’Australia. In cima all’altura, dove si trova il cottage in cui ha deciso di andare a vivere, vede lo scintillio del mare e pensa che è proprio quello che voleva quando è partita da Melbourne: cielo, nuvole, granito e acqua, e nulla a interrompere l’orizzonte tranne qualche gabbiano che plana nel vento.
All’interno della casa scorge un salotto con un riquadro di moquette sbiadita, un divano e due poltrone in finta pelle marchiata da anni di bruciature di sigaretta, una cucina senza pretese, un bagno con la vasca macchiata e una camera da letto ammobiliata con pezzi scadenti e graffiati.
È chiaro che, tra quelle mura, abita il mare.
Mentre il vento scaglia contro i vetri gocce di pioggia grosse come chicchi di ghiaia, Jessica, la fronte schiacciata contro l’intelaiatura della finestra, contempla ipnotizzata la spiaggia dove un bungalow bianco si ripara sotto il promontorio di fronte, le nuvole si rincorrono sull’acqua e il mare sospira e ondeggia vorticoso.
C’è qualcosa di quasi confortante in quella desolazione. Sembra davvero una metafora del suo Io, l’Io di una donna che ha avuto un primo marito suicida, una figlia lontana e poco amata, un secondo marito, narcisista e distratto. Una donna che, nella quiete di quel promontorio lambito dalle maree, cerca la calma necessaria per rimettere insieme i pezzi della propria vita.
Quello che Jessica, tuttavia, non sa è che la casa sul promontorio non è abitata soltanto dal mare, ma dall’inquietante memoria di una tragica passione, nelle cui trame si troverà sempre più avvinta.
Opera che, come nella più classica delle ghost story, delinea un territorio dell’ambiguità in cui vita e morte non possono che abitare insieme, Il cottage sull’oceano è uno dei più intensi romanzi contemporanei sulla violenza del desiderio.



Ho comprato questo libro perchè colpita dalla bellissima copertina,
poi dal titolo e infine dalla trama.
Non è un libro facilissimo come può sembrare alla prima impressione,
che è quella di un romanzo romantico ed esotico.
No, ci sono storie d'amore, ma complicate e grottesche, e poi c'è il mare che incombe su tutti e tutto, ci sono le percezioni e le visioni, che, come qualcuno ha scritto, riportano un po' alle atmosfere di Giro di Vite.
Di certo una buona lettura

[SM=g9035]

carla b.
00martedì 6 ottobre 2009 11:40
Questa è una recensione de L'Indice fatta al libro quando uscì er la casa editrice Giano e col titolo "La marea delle quadrature "

La recensione de L'Indice
Se scriviamo che un libro è strano, ha un qualche, remoto, senso? Perché Neap Tide di Dorothy Hewett, che l'editore Giano ha tradotto di recente, strano è sul serio. Bizzarro, inqualificabile, confuso, ricchissimo, inedito, sorprendente: sono attributi che non calzano altrettanto bene rispetto a strano. Strano per noi, almeno, del vecchio continente leggere finalmente uno degli ultimi romanzi scritto da una delle maggiori scrittrici australiane contemporanee (è morta di cancro nel 2002 all'età di settantacinque anni), senza alcun ulteriore strumento di decodifica, privi di qualsiasi ancoraggio a una tradizione critica o almeno a qualche sporadica recensione.

Dorothy Hewett era stata anche poetessa, oltre aver scritto opere teatrali e libri per bambini, aveva svolto un'intensa militanza politica. Fu una delle prime ad iscriversi al Partito comunista australiano negli anni cinquanta, e fu anche una delle poche a ritirare la tessera dopo i fatti di Cecoslovacchia. Una femminista australiana che, probabilmente, ha consumato – da lontano, da una provincia americana? da una colonia? o da una terra abbastanza autonoma da produrre modelli alternativi? – la parabola degli anni della contestazione. Questi elementi entrano tutti e tutti insieme in un romanzo strano, appunto, così strano da raccogliere, oltre al dato contemporaneo, la grande produzione gotica inglese e, minoritario, il genere del romanzo di natura (ricorderei, al proposito, almeno La vita della foresta di William H. Hudson nella celebre traduzione di Eugenio Montale che non a caso volle cambiare il titolo con cui circolava in italiano, Verdi dimore).

Jessica insegna letteratura, un fatto non così irrilevante, si vedrà in seguito, ha cinquantacinque anni e una bella figura. Per scrivere un saggio dal titolo "In viaggio da Xanadu. Lo sviluppo del Movimento romantico nella poesia australiana da Christopher Brennan alla generazione del '68" in totale isolamento, anche rispetto alla sua vita privata che comprende un marito e una figlia, decide di affittare un piccolo cottage a strapiombo sul mare, nei pressi di un villaggio chiamato Zane sulla costa meridionale australiana. Subito, alla sua prima notte nell'abitazione in disuso, tra vecchie edizioni di romanzi degli anni trenta e sabbia accumulata negli anni, Jess è colta da visioni presaghe di morte. Via via che la narrazione procede, la protagonista conosce i membri della comunità di Zane, pescatori e poeti in disarmo, giovani donne vagabonde, vecchi hippy militanti per la causa aborigena, aborigeni colti e misogini apparentemente impazziti. A Zane circola molta droga, molto alcol e anche, in alcuni terribili casi, violenza. Jess riesce a vivere un'avventura sessuale rubata, inutile quanto il viaggio che la porta ad assistere al funerale del marito accanitamente adultero. Il sesso è un commercio del tutto fine a se stesso e al proprio, rispettivo, desiderio. La libertà, lo scambio disinvolto del partner si traduce in una feroce, compulsiva, necessità di cambiare corpi, di rinnovare e perdere un piacere solo organico. Jessica entra ed esce dalla carambola delle vite degli abitanti di Zane, si fa coinvolgere ma sa anche tornare padrona di se stessa. Ritrova il fratello Tom, bisessuale, ammalato di Aids, l'unico con cui è possibile ricordare. Tom ha scelto di perdersi laggiù, con il suo portato di dolcezza e la sua superiore eleganza. La sorella non può aiutarlo se non, forse, amarlo.

Mortiviventi, viventimorti, il lettore non si raccapezza più. Jessica, assediata dalle voci del passato, sembra essere l'unica figura in carne e ossa: quando si avvicina al cuore del mistero, quando, grazie a Zac, originalissima figura di aborigeno militante, flemmatico e seducente, sembra riuscire a toccare il segreto della vita della foresta, tutto, ancora, si scompagina. Non basta sapere che cosa successe anni prima nel cottage, chi e perché si tolse la vita. Storie d'amore, di tradimenti, di possessioni. Storie di poeti che si intrecciano con il rumore sordo del mare, giù nella risacca. E con i canti segreti degli uccelli nel fitto della foresta. Chi si fonde con chi, o con cosa? Zane è il paradiso o è l'inferno? Chi è Oliver Shine? Un analfabeta, il più dotato poeta della sua generazione? Un fantasma che torna a colpire? E perché? È vivo da qualche parte là fuori. Vivo insieme agli spiriti, ai morti che camminano, quello senza pace, che non appartengono a nessun posto. Troppe anime perse in questo paese, ma se li trattiamo con rispetto il più delle volte non ci fanno del male". Da Zane bisogna dunque fuggire, come è necessario prendere le distanze dai miti della propria generazione.

Hewett ha la rara capacità di fare parodia ma con il giusto rispetto verso uomini e donne che, come lei, hanno attraversato anni difficili, anni spettrali, anni che non vogliono abbandonarci mai. Come Oliver, il poeta senza volto, la musa sadica dei poeti di Zane.

Camilla Valletti


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