De bello Gallico

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sergio.T
00lunedì 5 gennaio 2009 10:50
L'azione si svolge a partire dall'anno in cui Cesare, governatore delle Gallie e dell'Illiria, si trova a dover fronteggiare la decisione presa dalle quattro principali tribù elvetiche, dimoranti in diverse regioni nell'odierna Svizzera, di divenire nomadi a causa di difficoltà contingenti. Cesare contrasta tale iniziativa per proteggere dai saccheggi la Provenza, già dominata da Roma, e le popolazioni vicine, indipendenti, ma alleate di Roma. Tuttavia, il problema posto dagli Elvezi è solo la punta di un iceberg: dal nord-est, alle due rive del Reno, le incursioni dei popoli germanici rendono inquieta la vita delle popolazioni della Gallia Transalpina.

Dalla lontana Britannia (l'odierna Inghilterra, sulle cui coste i Romani fino a quel tempo non erano mai sbarcati se non forse per sporadici contatti commerciali), giungono rinforzi alle tribù ostili a Roma. Ben presto la guerra dilaga in focolai che costringono il governatore a spostare di continuo il campo di battaglia e gli consentono di farsi prorogare il mandato, ciò che non gli dispiace affatto, dato che la guerra era, allora come oggi, un'opportunità per il vincitore. Cesare non mancò certo né di fiducia in se stesso né di coraggio, e tanto meno di curiosità sufficiente a fargli sperimentare nuovi sistemi di battaglia, a parlamentare con il capo dei temuti e sconosciuti Germani, a raccogliere informazioni geografiche ed etnografiche sui territori che doveva affrontare, tanto che alla fine non indietreggiò neppure davanti alla necessità di sbarcare con un esercito nella sconosciuta Inghilterra.

Il fantasma della guerra alle porte di Roma, con il quale l'aristocrazia romana aveva giocato fin dai tempi della prima Repubblica (si vedano gli scritti di Livio a proposito delle chiamate alle armi nelle guerre contro gli Edui), viene ora usato da Cesare contro l'aristocrazia stessa. In molte pagine dei Commentarii si riesce ad intuire un certo tono di divertimento, nel condurre il gioco intellettuale del ricatto contro gli uomini del Senato che da Roma potrebbero stroncarlo ma non riescono neppure a contrastarne le decisioni con una semplice revoca del mandato, contro i falsi amici che lo hanno seguito per meritarne la benevolenza senza avere il coraggio di seguirlo fino in fondo nelle sue decisioni.

Si avverte la tensione vibrante dei momenti decisionali, resa tollerabile dall'atteggiamento razionale, di chi vuol conoscere il nemico, la sua personalità, i suoi mezzi tecnici, le sue abitudini e i punti di forza per evitare passi falsi. La fortuna e l'organizzazione poderosa dell'esercito romano fanno il resto, e alla fine della lunga campagna la Gallia è completamente sottomessa a Roma.

Dopo la battaglia di Alesia la resistenza dei Galli Transalpini è ridotta a disperati focolai di rivolta che vengono soffocati con una durezza ignota alle precedenti fasi belliche. La conquista della Gallia costò in tutta la campagna militare ben due milioni di vittime fra gli indigeni. La battaglia di Alesia è per secoli rimasta una pagina di strategia militare esemplare per il modo con cui venne condotto l'assedio, per la sorprendente opera di fortificazione fatta eseguire attorno alla città sacra della Gallia indipendente da Roma.
sergio.T
00lunedì 5 gennaio 2009 15:04
Ottime edizioni trovate nei Remenders: peccato che queste librerie siano sempre piu' rare.
sergio.T
00martedì 6 gennaio 2009 22:52
Straordinario viaggio insieme all'esercito Romano su e giu' per la Gallia fino in Britannia.

Una lettura appassionante come nessuna altra di questo genere.
Popolazioni di tutti i generi, di tutte le stirpi; tradizioni, usi, costumi; e infine guerra come sottofondo di ogni azione anche la piu' piccola.

La fermezza e l'energia dei Romani sono il leit motiv della campagna Gallica.
E anche nei momeni peggiori, i piu' duri ,i piu' pericolosi come le sconfitte, queste due caratteristiche non vengono mai meno.
Come quella rispota di Quinto Cicerone che circondato con la sua legione da migliaia di nemici , invitato a trattare un armistizio , rispose un po' sdegnato: " Non e' abitudine del popolo Romano accettare condizioni da un nemico armato"
sergio.T
00mercoledì 7 gennaio 2009 08:55
La propaganda: questo e' uno dei segreti dei Romani.
La campagna militare di 7 anni in Gallia 58/51 AC. nascondeva dietro le parole diplomatiche , un intento aggressivo e prepotente.
Ma la propaganda di Cesare e dei Commentari fecero passare questa campagna e questi interventi militari come una necessita' politica di Roma, attenta ai giochi d'equilibrio in Europa e nel Medio oriente.

Tutto incomincia con l'esodo degli Elvezi: i Romani intervennero vietando il passaggio nei territori della provincia Romana sostenendo una tesi al quanto singolare : avrebbero infatti attraversato territori abitati da popolazioni amiche e alleate ai Romani e questo andava contro ad ogni principio di alleanza. I popoli che vivevano sotto la protezione di Roma potevano porgere reclamo e lamentela se qualche popolo confinante con essi trasgredivano le regole del buon vicinato.
Gli Elvezi spostandosi verso Est contravvenivano a questo principio.

In realta' la Gallia e le sue popolazioni lottarono all'insegna dell'autonomia e della liberta', mentre dall'altra parte i Romani non venivano meno alla loro clutura imperante: l'estensionismo.
Un altra considerazione: la guerra Gallica fu anche una guerra politica di Cesare e dell'esercito, fortemente interessati a quanto avveniva a Roma nel Senato.
Fu proprio la presunta ingratitudine della politica romana a determinare in seguito una frattura tra il palazzo e l'esercito: da qui, in seguito, si passo' piano piano , alla fondazione della monarchia militare.
sergio.T
00mercoledì 7 gennaio 2009 09:31
La campagna militare Gallica e' uno dei picchi piu' alti delle durezze degli interventi militari Romani.
La macchina dell'esercito messa in moto da Roma raggiunge una potenza devastante: uomini, mezzi, strategie, organizzazione, precisione, fermezza - tutto questo - fara' si', che in 7/8 anni tutta la Gallia sara' sottomessa ai Romani.
L'esercito e' uno dei punti cardini dell'estensionismo romano: autonomo, risponde al Senato della sua politica , ma intraprende azioni assolutamente indipendenti dalle decisioni della Capitale.
L'invasione della Britannia ( sconosciuta) la si decide quasi all'improvviso; lo sconfinamento nella terra dei Germani e' operato a seconda delle contigenze.

E' l'immediatezza delle strategie una caratteristica peculiare del potere militare: a seconda di quanto succede e si verifica lontano da Roma, l'esercito senza nemmeno aspettare le decisioni politiche, intraprende quelle azioni che sono ritenute piu' opportune.
E cosi' anche all'interno dell'esercito stesso: i generali delle legioni non devono necessariamente aspettare le decisioni e i comandi del Comandante supremo, ma possono agire in assoluta autonomia.
Quello che capito' anche per le armate di Rommel o per le truppe Napoleoniche.
sergio.T
00mercoledì 7 gennaio 2009 09:41
La sensazione piu' viva leggendo queste pagine di guerra , e' senz'altro l'insistenza Romana a perseguire determinate azioni.
Gia' in altri volumi sulla storia di Roma, alcuni storici definirono altissimo il grado di " accanimento" con il quale l'esercito Romano perseguiva i suoi obiettivi.
Nelle pagine di Cesare e nei Commentari vari questo e' ancora in evidenza: non solo si sconfigge il nemico, non solo lo si rende impotente, non solo lo si sottomette, ma lo si insegue fino alla fine nella sua ritirata, persino nei territori della loro terra.
La cavalleria Romana e' spinta allo spasmo nell'inseguimento delle truppe nemiche in ritirata.
Le condizioni di pace , poi, sono durissime: resa incondizionata, centinaia di ostaggi , migliaia di prigionieri, tributi altissimi, esecuzioni di massa, deportazioni.

L'impressione che se ne trae ( al di la' delle simpatie o antipatie verso i Romani) e' quella di una politica dal temperamento duro: il " modo" romano di risolvere le questioni di guerra o politiche diplomatiche, implicitamente, si manifesta come una necessita', e non come una scelta.
La cultura romana, dove per cultura s'intendono il carattere e le abitudini esistenziali, non puo' venire meno ad un modus operandi che e' quasi una forma mentis : e' proprio il modo di pensare che determina il modo di agire. Si potrebbe dire che pensare e agire in un certo modo, per i Romani, era tutt'uno.
sergio.T
00mercoledì 7 gennaio 2009 10:53
Come scrive Cesare? direi bene, semplice, in stile assolutamente classico.
Nulla da invidiare ai letterati dell'epoca.
sergio.T
00mercoledì 7 gennaio 2009 10:57
Ariovisto

Ariovisto contro Cesare

Di fronte a questo quadro descrittogli dall'eduo Diviziaco, nel 58 a.C. Cesare decise di agire. Come prima cosa mandò ambasciatori ad Ariovisto e chiese con lui un incontro. La risposta del germano, secondo quanto racconta Cesare, fu sprezzante:

« Ariovisto rispose che se avesse avuto bisogno di qualcosa da Cesare si sarebbe recato di persona da lui; se Cesare avesse avuto bisogno di qualcosa da lui, egli in persona doveva venire da lui [...]. Inoltre, si meravigliava del fatto che Cesare e Roma avessero degli affari in Gallia, che era invece sua, in quanto l'aveva conquistata con le armi »
(Cesare, Bell. gall., I, 34,2-4)

Di fronte a questa risposta, Cesare inviò un'altra ambasceria con la quale, redarguendolo per la sua arroganza, nonostante avesse ricevuto da Cesare e da Roma il riconoscimento del titolo di re e di quello di amico, gli pose un ultimatum: non portare altri Germani sulla sponda gallica del Reno, restituire gli ostaggi e di non recare nessun'altra offesa agli Edui e ai loro alleati. Se non avesse fatto ciò, il proconsole avrebbe agito di conseguenza.

La Gallia nel 58 a.C.A questo diktat Ariovisto rispose con toni ancora più accesi:

« Esiste un diritto di guerra per cui chi vince comanda sui vinti come meglio crede. Del resto, Roma dava ordini ai vinti a suo arbitrio e non secondo prescrizioni date a lei da altri. Se egli non diceva ai romani come avvalersi del loro diritto, Roma non doveva interferire nell'esercizio del suo diritto. Gli Edui, che avevano tentato la sorte in guerra ed erano stati sconfitti, ora erano suoi vassalli.[9] Cesare gli faceva dunque torto, perché col suo arrivo aveva diminuito le tasse che lui riceveva dagli Edui. Inoltre, non avrebbe restituito gli ostaggi agli Edui, ma neppure avrebbe fatto guerra a questo popolo e ai suoi alleati se avessero pagato il tributo annuo e avessero rispettatto i patti. Diversamento, non avrebbero tratto nessun beneficio dall'essere fratelli del popolo romano. Quanto al fatto che (Cesare, ndr) non avrebbe trascurato i torti subiti dagli Edui, Cesare doveva considerare che nessuno lo (Ariovisto, ndr)aveva mai sconfitto in guerra. Venisse pure a battersi quando volesse: avrebbe così conosciuto la forza e il valore dei germani »
(Cesare, Bell. gall., I, 36,1-7)
Le campagne di Cesare in Gallia.A questo punto Cesare seppe che gli arudi erano giunti in Gallia. Cesare non perse più tempo e si mosse con l'esercito contro le forze germaniche. Dopo diverse manovre, prima dello scontro finale i due si incontrarono a colloquio nei pressi di Vesontio (odierna Besançon), scortati ciascuno dalle rispettive cavallerie (per Cesare era la X legione montata a cavallo). Cesare esordì ricordando ad Ariovisto i benefici che aveva ottenuto dai romani per la loro liberalità e sottolineando l'antica e profonda amicizia che legava Roma agli Edui. Per questa ragione, Roma non poteva permettere che costoro subissero un qualche danno e fossero privati di quanto avevano. Rinnovò quindi ad Ariovisto le precedenti richieste. A questo punto il suebo rispose che lui si era recato in Gallia su richiesta dei galli, che erano stati i galli a dargli le terre che lui possedeva e che erano stati loro ad attaccarlo e non viceversa. Sottolineò anche che il tributo gli era dovuto e che se continuava a far giungere germani era per proteggersi. Ariovisto disse anche che se il titolo di amico del popolo romano doveva nuocergli, lui era pronto a ricusarlo. Il suebo chiese anche a Cesare perché Roma si intrometteva in un'area che non era di sua competenza, ma che invece era sua. Se dunque il proconsole non se ne fosse andato, Ariovisto l'avrebbe considerato un suo nemico. Cesare replicò sottolineando di nuovo il legame esistente tra Roma e gli Edui e che le vicende della Gallia erano quindi affare che lo riguardava. Mentre tra i due si svolgeva questo colloquio, la cavalleria germanica, secondo Cesare, attaccò quella romana. Cesare interruppe dunque l'incontro. Due giorni dopo, Ariovisto chiese un nuovo incontro a Cesare, che però inviò due suoi rappresentanti. Il suebo si adirò, li accusò di volerlo spiare e li fece gettare in catene[10]

Alla fine i due eserciti si scontarono ai piedi dei Vosgi, dove l'armata di Ariovisto fu rovinosamente sconfitta: morirono a migliaia e lo stesso Ariovisto si salvò a stento, riuscendo poi a guadare il Reno.

« Respingendo gli svevi al di là del Reno, la barriera naturale che per tre secoli avrebbe arrestato il flusso della barbarie, tale vittoria salvava la Gallia dall'invasione dell'impero germanico, ma contemporaneamente e in modo evidente attribuiva a Roma, che aveva ingaggiato e vinto la battaglia con i soli legionari, il diritto di governare sovranamente i popoli che, grazie all'intervento degli Edui, si erano affidati alla sua protezione. Cesare si astenne dal proclamare pubblicamente un tale diritto, ma non lasciò neppure che restasse ignorato »
(Giulio Cesare, pagg. 277-278)
sergio.T
00mercoledì 7 gennaio 2009 10:59
Le tribu' Galliche sottomesse ai Romani
Gallia: la Gallia Transalpina corrisponde indicativamente all'attuale Belgio, Francia e Svizzera
La seguente lista elenca popoli e tribù delle Gallie la cui esistenza è storicamente accertata. I nomi sono nella versione italiana, e a fianco di ciascuno è riportato il nome della città odierna che si ritiene fosse al centro della rispettiva zona di insediamento. In alcuni casi sono indicate due sedi, occupate in tempi diversi nel corso delle migrazioni di cui si ha notizia.

Mappa della Gallia prima della conquista di Gaio Giulio Cesare nel 59 a.C..Allobrogi - Vienne
Ambiani - Amiens
Ambibari
Ambiliati - A sud del basso corso della Loira?
Ambivareti
Andecavi o Andi - Angers
Aquitani - Bordeaux
Atrebati - Arras
Arverni - L'antica Gergovia, nell'attuale regione dell'Auvergne. Il loro re era Vercingetorige, strenuo e coraggioso avversario di Giulio Cesare
Aulerci Brannovici
Aulerci Cenomani
Aulerci Eburovici della Normandia
Ausci dell'Aquitania
Baiocassi - Bayeux
un altro in Pannonia e più tardi (50 a.C. circa) in Boemia.
Bellovaci - Beauvais
Betasii - ...
Bigerrioni dell'Aquitania
Biturigi - Bourges
Blannovi
Boi - in origine si trovavano in Aquitania.
un suo "ramo" migrò in Italia (fino in Emilia Romagna) attraverso il passo del San Gottardo, al principio del V secolo a.C. insieme a Lingoni e Senoni
un altro suo ramo migrò prima in Pannonia attorno alla metà del IV secolo a.C. ed in Boemia a partire dalla metà del I secolo a.C.
Cadurci -
Caleti -
Carnuti - Chartres
Catalauni - Châlons-en-Champagne
Caturigi - valle dell'alta Durance
Cenomani - originari della zona di Le Mans (in seguito emigrarono in Lombardia orientale e nel Veneto occidentale)
Ceutroni - stanziati nelle valli dell'Isere e dell'Arc in Tarantasia ed in Maurienne
Cocosati dell'Aquitania
Coriosoliti - Corseul
Diablinti -
Edui - Bibracte (Augusto spostò nel I sec. d. C. la capitale degli Edui da Bibracte sul Mont Beuvray alla attuale Autun, capoluogo della Saône-et-Loire)
Eleuteti
Elvi - confinavano a nord con la Gallia Narbonense
Elusati dell'Aquitania
Elvezi - La Tene
Garonni della Gallia Aquitania
Gabali - confinavano a nord ovest con la Gallia Narbonense
Gati dell'Aquitania
Graioceli - vivevano nella zona del Moncenisio
Lemovici - Limoges
Lessovi - Lisieux della Normandia
Leuci
Lingoni
Mandubi
Mediomatrici - Metz
Meduli - Medoc
Meldi - Meaux
Menapi - Cassel
Morini - Boulogne-sur-Mer
Namneti - Nantes
Nantuati in zona Martigny
Nervi - Bavay
Nitiobrogi - confinavano a nord ovest con la Gallia Narbonense
Osismi -
Parisi - Parigi
Petrocori - Périgueux, nel Périgord
Pictoni (o Pittoni) - Poitiers
Ptiani dell'Aquitania
Raurici
Redoni - Rennes
Remi - Reims
Ruteni - confinavano a nord ovest con la Gallia Narbonense
Santoni - Saintes
Seduni - zona Martigny
Segni - ...
Segusiavi - Feurs (fiume Loira)
Senoni - Gallia-transalpina ad est di Orléans (Sens) (all'epoca di Cesare)
Sequani - Besançon
Sibuzati dell'Aquitania
Soziati dell'Aquitania
Suessioni - Soissons
Tarbelli dell'Aquitania
Tarusati dell'Aquitania
Tolosati - Tolosa
Treviri, Treveri - Trier
Tricassi - Troyes
Tungri - Tongeren
Turoni - Tours
Unelli - Coutances della Normandia
Vangioni - Worms
Veliocassi - Rouen
Vellavi - Ruessium (odierna Saint-Paulien in Alta Loira)
Veneti - Vannes in Bretagna
Veragri in zona Martigny
Viducassi - Vieux
Viromandui - Vermandois
Vocati (o Vasati) dell'Aquitania
Voconzi - Vaison-la-Romaine
Volci Arecomici - nei territori della provincia della Gallia Narbonense
sergio.T
00mercoledì 7 gennaio 2009 15:20
L'assedio
Cessare dedica 4/5 pagine all'assedio di Quinto Cicerone e la sua legione.
Assediati da tribu' nemiche ( 60.000 ) uomini, i Romani fortificarono come meglio poterono il loro accampamento. ( a proposito, la loro capacita' di palizzare forti, raggiungeva la sbalorditiva misura di 15 miglia di perimetro in tre ore).
Una volta fortificato l'accampamento decisero di resistere ad oltranza.
Dai Galli arrivarono piu' richieste di armistizio e di resa, ma come dicevo un po' su', i Romani non accettavano mai condizioni dai nemici e tanto meno concedevano la pace, atto giudicato vergognoso e ignominoso.
In casi simili l'atteggiamento Romano scatenava innanzitutto una fitta rete di messaggeri: in tutte le province veniva comunicata la notizia che una Legione era in forte difficolta'. In base a una logistica di guerra, le Legioni piu' vicine dovevano intraprendere immediatamente una marcia forzata giorno e notte, atta al raggiungimento della Legione tenuta sotto assedio.
Questa decisione era per cosi' dire automatica. L'autonomia dei generali Romani permetteva loro di organizzarsi come meglio credevano e come piu' opportuno ritenevano in quel specifico caso.
Nel caso di Quinto Cicerone, non solo si fece cosi', ma Cesare in persona ordino' la spedizione a piu' Legioni che partendo da distanze ragguardevoli, dovevano convergere verso Quinto Cicerone e i suoi soldati.
La descrizione della partenza e' frenetica: si abbandonano seduta stante accampamenti, forti, bagagli, proprieta' private, oggetti personali. Solo le armi e i cavalli seguiranno la marcia.
Una marcia che non conosce soste: notte , giorno, bel tempo brutto tempo, i Romani viaggiavano da una parte all'altra dell'Europa con una velocita' pazzesca.
Quinto Cicerone e la sua Legione ce la fecero: si salvo' e nessuna insegna legionaria ando' persa.
Nove soldati su dieci furono ritrovati feriti o in pessime condizioni e questo permise a Cesare di capire la durezza dell'assedio e della resistenza.
Naturalmente le rappresaglie per vendicare questa atto, furono durissime. Fu data immediatamente la caccia a tutte le tribu' che furono protagoniste dell'assedio: le galliche furono duramente represse e le Germane furono inseguite perfino in territorio Germanico.
Si salvarono solo coloro che durante l'assedio avevano dato dimostrazione di fedelta' a Roma.
mujer
00mercoledì 7 gennaio 2009 15:32
Noi assediati sull'appennino tosco-emiliano chiediamo venia al popolo assalitore

(e comunque leggiamo attentamente le gesta del nemico) [SM=g8179]
sergio.T
00mercoledì 7 gennaio 2009 16:31
La battaglia di Alesia: la conquista definitiva.
La battaglia di Alesia si svolse nell'anno 52 a.C. nella terra dei Mandubi (nel "cuore" della Gallia transalpina), tra l'esercito romano guidato da Gaio Giulio Cesare e le tribù galliche guidate da Vercingetorige, capo degli Arverni, nell'ambito della conquista della Gallia. L'esito finale della battaglia fu favorevole ai Romani che, al termine dello scontro, poterono annettere i nuovi territori alla provincia della Gallia Narbonense (nel 50 a.C.). Il cuore dei domini dei Celti, come in precedenza era stato per gli Etruschi ed i popoli italici, i Greci della Magna Grecia, i Cartaginesi ed altri ancora, era così annesso alla Repubblica romana, che diventava di fatto erede dell'intera cultura mediterranea e, soprattutto, matrice di quello che oggi giorno viene chiamato mondo occidentale.

Alesia fu l'ultimo fra i grandi scontri tra Galli e Romani e segnò il punto di svolta delle guerre galliche in favore di Roma. Dopo di essa, quelle poche popolazioni indigene che osarono ribellarsi al volere del proconsole romano furono schiacciate in modo definitivo l'anno seguente (51 a.C.).



Giulio Cesare arrivò in Gallia nel 58 a.C., dopo il consolato dell'anno precedente. Era, infatti, consuetudine che i consoli, gli ufficiali più elevati in grado di Roma, alla fine del loro mandato fossero nominati governatori in una delle province dal Senato. Grazie agli accordi del Primo triumvirato (l'alleanza politica non ufficiale con Gneo Pompeo Magno e Marco Licinio Crasso), Cesare fu nominato governatore della Gallia Cisalpina (la regione, compresa fra Alpi, Appennini ed Adriatico, che corrisponde all'odierna Italia settentrionale), dell'Illirico e della Gallia Narbonense.

Cesare, con la scusa di dover impedire che il popolo degli Elvezi attraversasse la Gallia e si stabilisse in una posizione scomoda per Roma, ad occidente dei suoi possedimenti della provincia narbonense, si intromise negli affari interni di queste popolazioni. Una ad una tutte le popolazioni della Gallia furono sconfitte dal proconsole romano: cominciò da quelle della Gallia Belgica, per poi spingersi fino a sottomettere quelle della costa atlantica, fino all'Aquitania. Furono battute, inoltre, le popolazioni germaniche di Ariovisto nell'Alsazia (Cesare passò il Reno per due volte, nel 55 e 53 a.C.) e il proconsole, primo tra i Romani, condusse due spedizioni contro i Britanni d'oltre Manica nel 55 e 54 a.C..[2]


Nell'inverno del 53-52 a.C. le agitazioni in Gallia non erano ancora finite, benché Cesare fosse tornato a svolgere le normali pratiche amministrative nella Gallia Cisalpina ed a controllare più da vicino quanto accadeva a Roma in sua assenza. Il primo segnale di una coalizione gallica si manifestò quando i Carnuti uccisero tutti i coloni romani nella città di Cenabum (la moderna Orléans). Questo scoppio di violenza fu seguito dal massacro di altri cittadini romani, mercanti e coloni, nelle principali città galliche. Venuto a conoscenza di tali eventi, Cesare radunò rapidamente alcune coorti (unità militari romane, composte ciascuna da 480 legionari; dieci di queste unità tattiche formavano una legione per un totale di 4.800 armati), reclutate nel corso dell'inverno ad integrazione dell'esercito lasciato a svernare in Gallia, ed attraversò le Alpi, ancora coperte dalle nevi. Le operazioni che seguirono furono condotte con la solita e proverbiale rapidità propria del proconsole romano, fino al ricongiungimento con le truppe lasciate nel cuore della Gallia, ad Agendico. Qui Cesare divise le proprie forze inviando quattro/cinque legioni, affidate a Tito Labieno, a combattere i Senoni ed i Parisi a nord. A se stesso riservò il compito più difficile: quello di rincorrere Vercingetorige, il capo della rivolta, fino alla capitale del popolo degli Arverni.

I due eserciti si scontrarono presso la collina fortificata di Gergovia, dove Vercingetorige riuscì - più per l'indisciplina dei legionari romani che per demeriti dello stesso Cesare - ad ottenere un limitata vittoria. Cesare, dopo aver sfidato il capo della coalizione delle tribù della Gallia a battaglia schierando per due giorni consecutivi l'esercito ai piedi della capitale arverna, preferì tornare ad Agendico e ricongiungersi con l'armata del suo luogotenente Labieno.

Forti di questo primo, seppur parziale e non determinante successo, le tribù galliche decisero di unire le forze per provare a cacciare definitivamente l'invasore romano. Un concilio generale fu organizzato a Bibracte grazie all'iniziativa degli Edui, che erano stati fino ad allora fedeli alleati di Cesare. Solo i Remi ed i Lingoni preferirono mantenere l'alleanza con Roma. Il concilio nominò Vercingetorige, re degli Arverni, comandante degli eserciti gallici uniti.[3]

Poco prima di raggiungere il luogo della battaglia finale, la rocca di Alesia nel territorio dei Mandubi, i due contendenti ebbero un nuovo scontro, combattuto dalle rispettive cavallerie:

« ... Vercingetorige divisa la cavalleria [composta da 15.000 armati, ndr] in tre parti; due schiere attaccano sui fianchi ed una impedisce la marcia alla colonna [dell'esercito romano, ndr]. Cesare, informato, ordina anche alla sua cavalleria di contrattaccare il nemico gallico in tre colonne. Si combatte in contemporanea su tutti i fronti. L'esercito romano si ferma, mentre i bagagli sono messi al centro dello schieramento tra le legioni... infine i Germani sul lato destro, raggiunta la vetta di una collina, battono il nemico, lo mettono in fuga e lo inseguono fino al fiume,[4] dove aveva preso posizione Vercingetorige con la fanteria e ne uccidono numerosi. Gli altri, per timore di essere circondati, fuggono. I Romani fanno strage ovunque. Tre nobili capi degli Edui furono catturati e portati in presenza di Cesare. Si trattava di un certo Coto, comandante dei cavalieri... di Cavarillo, che dopo la defezione di Litavicco era divenuto comandante della fanteria, ed Eporedorige... »
(Cesare, De Bello Gallico, VII, 67.)

Messa in fuga la sua cavalleria, Vercingetorige si decise a marciare in direzione di Alesia mentre Cesare, collocate le salmerie sopra un colle vicino e lasciate a guardia due legioni, inseguì il nemico per il resto della giornata e, dopo aver ucciso tremila uomini della sua retroguardia, il giorno seguente si accampò presso l'oppidum dei Mandubi.[5] Qui, secondo Carcopino, Cesare, con implacabile logica, aveva previsto che sarebbe andato a rifugiarsi il capo degli Arverni, posizione apparentemente e sufficientemente sicura dove poter cullare l'illusione di essere invulnerabile, mentre i picconi dei legionari e la tecnica dei genieri romani lo avrebbero imprigionato senza speranza.[6]


Forze in campo

I Romani
L'esercito romano, al comando di Cesare, poteva contare su tre validi legati - Marco Antonio, Tito Labieno e Gaio Trebonio - e ben undici legioni (la VI, VII, VIII, IX, X, XI, XII, XIII, XIV, XV e la I, prestata a Cesare da Pompeo Magno dal 53 a.C.).[7]


I Galli
La coalizione delle tribù galliche che si era riunita sotto la guida di Vercingetorige, re degli Arverni, contava secondo quanto racconta Cesare di ben ottantamila armati, di cui quindicimila cavalieri,[8] e si accampò lungo il lato orientale della città di Alesia dopo aver scavato un fosso ed eretto un muro alto sei piedi (poco meno di due metri) a protezione.[9] Nel suo De bello gallico, Cesare riferisce inoltre che l'esercito gallico giunto in soccorso contava duecentoquarantamila fanti ed ottomila cavalieri:[10] cifre non necessariamente non veritiere, considerata l'importanza dello scontro finale, anche se le uniche testimonianze scritte sono di fonte romana, e che potrebbero risultare, pertanto, "di parte".

« Ordinano agli Edui ed alle loro tribù clienti, Segusiavi, Ambivareti, Aulerci Brannovici, Blannovi trentacinquemila armati; egual numero agli Arverni insieme agli Eleuteti, Cadurci, Gabali e Vellavi che a quel tempo erano sotto il dominio degli Arverni; ai Sequani, Senoni, Biturigi, Santoni, Ruteni e Carnuti dodicimila ciascuno; ai Bellovaci diecimila (ne forniranno solo duemila); ai Lemovici diecimila; ottomila ciascuno a Pittoni e Turoni, a Parisi ed a Elvezi; ai Suessoni, Ambiani, Mediomatrici, Petrocori, Nervi, Morini, Nitiobrogi ed agli Aulerci Cenomani, cinquemila ciascuno; agli Atrebati quattromila; ai Veliocassi, Viromandui, Andi ed Aulerci Eburovici tremila ciascuno; ai Raurici e Boi duemila ciascuno; diecimila a tutti i popoli che si affacciano sull'Oceano e per consuetudine si chiamano genti aremoriche, tra cui appartengono i Coriosoliti, i Redoni, gli Ambibari, i Caleti, gli Osismi, i Veneti, Lessovi e gli Unelli... »
(Cesare, De bello gallico, VII, 75.)

Al comando di questo immenso esercito di soccorso furono posti l'atrebate Commio, gli edui Viridomaro ed Eporedorige e l'arverno Vercassivellauno, cugino di Vercingetorige.[11]


Le cifre della battaglia
È molto difficile disporre di un calcolo preciso riguardo alla grandezza numerica degli eserciti ed al numero di perdite umane subite. Tali grandezze sono sempre state un'arma di propaganda potente, e sono pertanto sospette. L'unico fatto certo è, come racconta lo stesso Cesare, che ogni legionario ricevette un gallo come schiavo (il che significa quarantacinquemila uomini, ovviamente facenti parte dell'esercito assediato) e che furono lasciati liberi ben ventimila armati appartenenti ai popoli di Edui ed Arverni.[12] Considerando le cifre di quanti tra gli assediati rimasero in vita (circa sessantacinquemila), se ne deduce che nel corso degli scontri avvenuti durante il mese e più di assedio, potrebbero aver perduto la vita attorno ai quindicimila armati Galli, cifra plausibile in base ai dati forniti da Cesare, il quale aveva indicato in ottantamila il numero complessivo dell'esercito di Vercingetorige,[8] prima dell'arrivo dell'esercito gallico di soccorso.

L'esercito di soccorso subì verosimilmente pesanti perdite, come frequentemente accadeva nelle battaglie dell'antichità, quando a provocare la sconfitta e il successivo massacro a senso unico era la perdita di coesione negli schieramenti dell'esercito che aveva la peggio.


Assedio alla città
La scelta di rifugiarsi nella rocca di Alesia si rivelò per Vercingetorige una trappola, al contrario di quanto era successo a Gergovia, poiché le imponenti opere di assedio costruite dall'esercito di Cesare riuscirono a bloccare del tutto i rifornimenti agli assediati e neppure l'arrivo dell'esercito della coalizione gallica poté salvare Vercingetorige e la sua armata dalla resa finale e dalla sottomissione dell'intera Gallia al dominio romano. L'inizio dell'assedio ebbe inizio molto probabilmente con i primi di settembre del calendario giuliano, come suggerisce Albino Garzetti.[13]


Le opere d'assedio
Alesia era su una posizione fortificata in cima ad una collina con spiccate caratteristiche difensive, circondata a valle da tre fiumi (l'Ose a nord, l'Oserain a sud ed il Brenne ad ovest). Per tali ragioni Cesare ritenne che un attacco frontale non avrebbe potuto avere buon esito ed optò per un assedio, nella speranza di costringere i Galli alla resa per inedia. Considerato che circa ottantamila soldati si erano barricati nella città, oltre alla popolazione civile locale dei Mandubi, sarebbe stata solo questione di tempo: la fame prima o poi li avrebbe condotti alla morte o costretti alla resa.

Per garantire un perfetto blocco, Cesare ordinò la costruzione di una serie di fortificazioni, chiamate "controvallazione" (interna) e "circonvallazione" (esterna), attorno ad Alesia.[14] I dettagli di quest'opera ingegneristica sono descritti da Cesare nei Commentari e confermati dagli scavi archeologici nel sito. Per prima cosa Cesare fece scavare una fossa (ad occidente della città di Alesia, tra i due fiumi Ose e Oserain) profonda venti piedi (pari a circa sei metri), con le pareti dritte in modo che il fondo fosse tanto largo quanto distavano i margini superiori. Ritirò, quindi, tutte le altre fortificazioni a quattrocento passi da quella fossa ad occidente (seicento metri circa).[15]

A questo punto, fu costruito, nel tempo record di tre settimane, la prima "controvallazione" di quindici chilometri tutto intorno all'oppidum nemico (pari a dieci miglia romane[9]) e, all'esterno di questo, per altri quasi ventun chilometri (pari a quattordici miglia).[16]

Le fortificazioni costruite da Cesare ad Alesia, nell'ipotesi della locazione della battaglia presso Alise-sainte-Reine (52 a.C.).Le opere comprendevano:

due valli (uno esterno ed uno interno) sormontati da una palizzata, la cui altezza complessiva era di tre metri e mezzo (dodici piedi);
due fosse larghe quattro metri e mezzo e profonde circa uno e mezzo lungo il lato interno, dove la fossa più vicina alla fortificazione fu riempita con l'acqua dei fiumi circostanti;[15]
oltre i fossati si trovavano inoltre trappole e profonde buche (dal "cervus" sul fronte del vallo sotto la palizzata, a cinque ordini di "cippi", otto di "gigli" e numerosi "stimoli"[17]) per limitare le continue sortite dei Galli, che spesso attaccavano i cantieri dei Romani con grande violenza da più porte della città di Alesia;
quasi un migliaio di torri di guardia equidistanti a tre piani (a venticinque metri circa, l'una dall'altra), presidiate dall'artiglieria romana;[15]
ben ventitré fortini ("castella"), nei quali di giorno erano posti dei corpi di guardia affinché i nemici non facessero improvvise sortite (probabilmente occupati ciascuno da una coorte legionaria), di notte erano tenuti da sentinelle e da solidi presidi;[9]
quattro grandi campi per le legioni (due per ciascun castrum) e quattro campi per la cavalleria, legionaria, ausiliaria e germanica.[18]
Erano necessarie considerevoli capacità ingegneristiche per realizzare una tale opera, ma non nuove per uomini come gli edili, gli ufficiali di Roma, che solo pochi anni prima, in dieci giorni, avevano costruito un ponte attraverso il Reno con somma meraviglia dei Germani. Ed infine, per non trovarsi poi costretto ad uscire dal campo con pericolo per l'incolumità delle sue armate, Cesare ordinò di avere un deposito di foraggio e di frumento per trenta giorni.[19]


I primi attacchi dei Galli assediati
Appena i Romani ebbero terminato le prime fortificazioni nella piana di Laumes, ad occidente di Alesia (che si estende per tre miglia romane tra quei colli), la cavalleria di Vercingetorige attaccò durante i lavori di costruzione, nel tentativo di evitare il completo accerchiamento. La cavalleria romana, appoggiata dalle legioni schierate di fronte alle fortificazioni, e quella degli alleati Germani non solo riuscirono a respingere quella gallica, ma la rincorsero fino al loro campo, sterminandone la retroguardia e generando grande paura negli assediati.[20]

Prima che i Romani terminassero la linea fortificata, Vercingetorige decise di lasciar partire, in piena notte, l'intera cavalleria, affinché ciascun cavaliere si recasse presso la propria nazione d'origine e chiedesse aiuto a chiunque fosse in età a portare le armi. Una volta aver saputo di avere provviste sufficienti per un solo mese, decise gli fossero consegnate interamente, stabilendo che chiunque non avesse ubbidito ai suoi ordini sarebbe stato messo a morte. Distribuì per ogni uomo il bestiame che i Mandubi avevano raccolto prima dell'inizio dell'assedio e, infine, ritirò l'intero esercito dentro le mura della città, preparandosi ad attendere gli aiuti esterni della Gallia per l'attacco finale.[8]

Anticipando il rischio che potesse giungere un esercito di soccorso ai Galli assediati, Cesare aveva ordinato la costruzione di una seconda linea di fortificazioni, la "controvallazione", rivolta verso l'esterno. Lungo questa linea esterna, che si estendeva per quasi ventun chilometri, erano posti quattro accampamenti di cavalleria ed altrettanti per la fanteria legionaria. Questa serie di fortificazioni aveva lo scopo di difendere l'esercito romano quando fossero giunte le imponenti forze di soccorso dei Galli. I Romani si sarebbero così trovati nella condizione di essere assedianti ed assediati contemporaneamente.

Mentre Cesare provvedeva alla costruzione di questa seconda linea di fortificazioni, le condizioni di vita dentro Alesia cominciarono a farsi insostenibili per gli assediati. Si racconta che, passato il giorno nel quale gli assediati aspettavano gli aiuti dai loro alleati, consumato tutto il frumento, si riunirono in consiglio per valutare la situazione ed il da farsi:

« ...parlò Critognato, il cui discorso merita di non essere trascurato per la singolare e aberrante crudeltà: "...Nel prendere una decisione dobbiamo considerare tutta la Gallia che abbiamo chiamato in nostro aiuto. Quale coraggio pensate che avranno i nostri amici e parenti dopo l'uccisione in un solo luogo [ Alesia, ndr] di ottantamila uomini? ...Dunque qual è il mio consiglio? Di fare come fecero i nostri antenati nella guerra contro i Cimbri ed i Teutoni... quando, respinti nelle città e costretti da simile carestia, si cibarono dei corpi di coloro che per età non erano più adatti alla guerra e non si arresero ai nemici..." »
(Cesare, De Bello Gallico, VII, 77.)

Al termine di questa riunione, Vercingetorige e l'intero Consiglio stabilirono che tutti quelli che per età o salute non erano adatti alla guerra, uscissero dalla città. Non potevano considerare di accogliere l'opinione di Critognato se non in ultima analisi. Decisero, pertanto, di costringere le donne, i bambini ed i vecchi del popolo dei Mandubi ad uscire dalla cittadella nella speranza non solo di risparmiare cibo per i soldati, ma che Cesare potesse accoglierli nelle fortificazioni, per poi lasciarli andare liberi. Ma ciò non avvenne poiché, come racconta Dione, morirono tutti di fame tra le mura della città di Alesia e le linee fortificate romane, nella "terra di nessuno".[21] Cesare, infatti, dispose numerose guardie sul bastione e vietò che fossero accolti malgrado le loro preghiere ed i pianti.[22]

Il crudele destino di quei civili peggiorò il già compromesso morale all'interno delle mura. La fortuna volle però che di lì a poco, in quelle ore disperate, giunse finalmente l'esercito gallico di soccorso, dando loro nuove energie a resistere all'assedio e combattere per la possibile vittoria finale.


L'esercito di soccorso gallico sembra non sia arrivato prima dell'inizio di ottobre del calendario giuliano, come suggerisce Albino Garzetti.[23] Occupato un colle esterno alla linea romana, si accamparono a non più di un miglio romano dalle fortificazioni di Cesare.[24]

Gli attacchi dei Galli, che si susseguirono per più giorni successivi, furono condotti contemporaneamente lungo le fortificazioni interne ed esterne romane, per spezzarne definitivamente l'assedio, ma non sortirono alcun successo. Al contrario provocarono ingenti perdite di vite umane soprattutto tra le schiere dell'esercito di soccorso dei Galli.


Primo attacco dei Galli: scontro di cavallerie
Il giorno successivo all'arrivo dell'esercito di soccorso, i capi dei Galli disposero la cavalleria in modo da riempire tutta la piana ad occidente delle fortificazioni romane (per circa tre miglia), mentre collocarono le fanterie in luoghi più elevati, in posizione un poco arretrata (ai piedi della collina di Mussy-la-Fosse). Dall'alto della città di Alesia si potevano vedere chiaramente le manovre operate dall'esercito di soccorso, tanto che gli assediati si precipitarono all'esterno, prendendo posizione davanti alla città, coprendo con graticci e riempiendo con terra la fossa più vicina (distante dalle fortificazioni romane seicento metri), pronti ad intervenire lungo il fronte interno.[25]

Cesare, avendo disposto per ogni unità di fanteria uno specifico settore lungo le due linee di fortificazione (sia interna, sia esterna), ordinò che la cavalleria fosse condotta fuori dagli accampamenti ed attaccasse battaglia. Dall'alto delle colline le fanterie legionarie e le falangi galliche potevano così godersi l'intera vista della piana di Laumes, e seguire l'evolversi di questa battaglia equestre tra i due schieramenti.

Il combattimento cominciò attorno a mezzogiorno e durò fino al tramonto con esito incerto. I Galli, pur in superiorità numerica, non riuscirono ad avere la meglio sulla cavalleria romana, che si batté con onore di fronte alle legioni schierate, quasi queste assistessero ad uno spettacolo gladiatorio:

« ...quelli che stavano nelle fortificazioni ... facevano coraggio ai loro compagni con clamori ed urla... poiché si combatteva di fronte a tutti, nessuna azione coraggiosa o vile poteva essere nascosta, entrambi gli schieramenti erano incoraggiati ad avere comportamenti eroici, per il desiderio di gloria e per il timore dell'ignominia... »
(Cesare, De Bello Gallico, VII, 80.)

E quando sembrò che le sorti della battaglia fossero ormai decise, in una sorta di pareggio tra le parti, Cesare, a sorpresa, inviò lungo un fianco dello schieramento gallico la cavalleria germanica, la quale riuscì non solo a respingere il nemico, ma a far strage degli arcieri che si erano mischiati alla cavalleria, inseguendone le retroguardie fino al campo dei Galli. L'esercito di Vercingetorige che si era precipitato fuori dalle mura di Alesia, rattristato per l'accaduto fu costretto a tornare all'interno della città, quasi senza colpo ferire.[26]


Secondo attacco: di notte
I Galli lasciarono passare un giorno, durante il quale prepararono un gran numero di graticci, scale e arpioni. Usciti dal loro campo in silenzio a mezzanotte, si accostarono alle fortificazioni della piana di Laumes e, levato un grido per segnalare il loro attacco agli assediati di Alesia, cominciarono a gettare i graticci, a respingere i difensori che accorrevano lungo le fortificazioni con fionde, frecce e pietre, ed a scalare il vallo romano. I Romani, preparati a questo genere di attacchi, prese le posizioni assegnate in precedenza, riuscirono a tener lontani i Galli, con fionde che lanciavano proiettili da una libbra, con pali, proiettili di piombo e macchine da getto (catapulte, baliste ed onagri). I legati Marco Antonio e Gaio Trebonio, cui era toccato il compito di difendere quella parte, mandavano truppe tolte ai fortini più lontani in soccorso di quelle posizioni sotto l'attacco delle truppe galliche.

Nel corso di questa prima fase vi furono numerosi feriti da entrambe le parti a causa dell'oscurità. Con l'approssimarsi del giorno, i Romani presero il sopravvento, bersagliando il nemico con lanci sempre più precisi dall'alto delle torri di avvistamento o da dietro la palizzata merlata, tanto da costringere i Galli a ritirarsi anche per il timore di essere presi alle spalle dalle cavallerie provenienti dagli accampamenti superiori. Ancora una volta, gli assediati di Alesia, essendosi attardati troppo nell'eseguire i preparativi per attaccare la linea interna delle fortificazioni romane e visto ormai che l'esercito di soccorso si stava ritirando, desistettero anch'essi e, senza aver concluso nulla, tornarono all'interno della città.[27]


Terzo attacco: l'assalto finale
Respinti due volte con grandi perdite di vite umane, l'esercito di soccorso dei Galli decise, dopo aver eseguito una meticolosa ricognizione delle posizioni difensive romane, di attaccare il campo superiore, che sorgeva in una posizione quasi sfavorevole in leggero declivio, ai piedi di un colle (Monte Réa, 386 m), che a causa della sua ampiezza non era stato inglobato nella linea fortificata romana. Questo campo era stato affidato ai legati legionari Gaio Antistio Regino (legione XI) e Gaio Caninio Rebilo (legione I).

Il consiglio di guerra gallico deliberò di selezionare sessantamila armati tra i più valorosi e di sferrare un attacco a sorpresa nel punto più debole dello schieramento romano, affidandone il comando all'arverno Vercassivellauno, cugino di Vercingetorige e uno dei quattro comandanti supremi. Vercassivellauno, uscito dal campo in piena notte e terminata la marcia prima che sorgesse l'alba, si nascose dietro al monte Réa, dove fece riposare i soldati in attesa di lanciare l'attacco finale. Attorno a mezzogiorno, come stabilito, mosse la sua armata verso il campo superiore di Regino e Caninio, mentre contemporaneamente dal grande campo gallico dell'esercito di soccorso veniva inviata l'intera cavalleria ed altri reparti di truppe nella piana di Laumes, di fronte alle fortificazioni romane.[28]

Vercingetorige, visti i movimenti dell'esercito di soccorso dalla rocca di Alesia, uscì dalla città, portando avanti graticci, pertiche, falci e tutto quanto possedeva per provare a spezzare l'assedio romano. L'attacco avvenne in contemporanea su almeno tre fronti.

« Le forze romane si dividevano per tutta l'ampiezza della linea fortificata e non facilmente riuscivano a fronteggiare il nemico in più luoghi contemporaneamente. I Romani erano altresì terrorizzati dal grido che si alzava alle loro spalle mentre combattevano, poiché capivano che il pericolo dipendeva dal valore di coloro che proteggevano le loro spalle: ciò che non si vede infatti turba maggiormente le menti degli uomini. »
(Cesare, De Bello Gallico, VII, 84.)
I contendenti sapevano che in questa battaglia si giocavano i loro destini futuri. I Galli, se non fossero riusciti a sfondare la linea fortificata romana, avrebbero dovuto abbandonare ogni speranza di libertà; i Romani, se avessero vinto, avrebbero posto fine a tutte le sofferenze della guerra. La situazione era particolarmente grave per i Romani lungo il tratto superiore: qui la pendenza del colle favoriva i continui attacchi dei Galli, i quali - oltre a scagliare una grande quantità di dardi contro le fortificazioni romane provocandone numerose vittime - sostituivano con continuità le prime linee con truppe fresche (grazie alla loro elevata superiorità numerica) ed erano riusciti a colmare in alcuni tratti i fossati, dandone la scalata alla prospiciente palizzata.[29]

Cesare, informato di questa difficile situazione, decise per prima cose di inviare il suo più valido collaboratore, Labieno, con sei coorti a soccorrere il campo superiore, poi il giovane Decimo Bruto con altre coorti ed ancora Gaio Fabio con altre ancora. Il generale mosse nella stessa direzione dell'accampamento superiore, ma nel percorrere buona parte delle linee fortificate romane esortava i suoi legionari a non farsi vincere dalla fatica e prestava loro soccorso con truppe fresche.

« In quel giorno ed in quell'ora, i legionari, avrebbero raccolto il frutto di tutte le battaglie combattute in passato. »
(Cesare, De Bello Gallico, VII, 85.)

Vercingetorige, disperando frattanto di poter sfondare la palizzata nella zona della piana di Laumes, diede l'assalto in salita alle fortificazioni meridionali, quelle più scoscese. Qui i Galli tentarono di colmare dove potevano i fossati con terra e graticci, mentre con le falci erano riusciti in alcuni punti a spezzare la palizzata dello schieramento romano.[30]

Il proconsole romano, venuto a conoscenza che malgrado avesse inviato numerose coorti in soccorso la situazione al campo settentrionale continuava ad essere assai grave, decise di recarsi personalmente con nuovi reparti legionari raccolti durante il percorso di avvicinamento. Qui non solo riuscì a ristabilire la situazione a favore dei Romani, ma con mossa inaspettata e repentina ordinò a quattro coorti e a parte della cavalleria di seguirlo: aveva in mente aggirare le fortificazioni ed attaccare il nemico alle spalle. Frattanto Labieno, radunate dai vicini fortilizi in tutto trentanove coorti, si apprestò a muovere anch'egli contro il nemico.[31]

« Riconosciuto Cesare per il colore del suo mantello, che portava come un'insegna durante i combattimenti... i Romani, lasciati i pilum, combattono con la spada. Velocemente appare alle spalle dei Galli la cavalleria romana, mentre altre coorti si avvicinano. I Galli volgono in fuga. La cavalleria romana rincorre i fuggiaschi e ne fa grande strage. Viene ucciso Sedullo, comandante dei Lemovici; l'arverno Vercassivellauno viene catturato durante la fuga; vengono portate a Cesare settantaquattro insegne militari. Di così grande moltitudine pochi riuscirono a raggiungere il campo e salvarsi... Dalla città, avendo visto la strage e la fuga dei compagni e disperando della salvezza, ritirano l'esercito in Alesia. Giunta questa notizia, i Galli del campo esterno si danno alla fuga... Se i legionari non fossero stati sfiniti... tutte le truppe nemiche avrebbero potuto essere distrutte. Verso mezzanotte la cavalleria, mandata all'inseguimento, raggiunse la retroguardia nemica. Un grande numero di Galli fu preso ed ucciso, gli altri si disperdono in fuga verso i loro villaggi. »
(Cesare, De Bello Gallico, VII, 88.)

Cesare aveva vinto nuovamente. Questa volta aveva, però, sconfitto l'intera coalizione della Gallia. La sua era stata una vittoria totale contro l'impero dei Celti.


Vercingetorige si arrende a Cesare
Il giorno dopo (che alcuni studiosi moderni datano alla metà del mese di ottobre del calendario giuliano[32]) il comandante gallico con fierezza convocò il consiglio e dichiarò di aver intrapreso questa guerra non per utilità propria, ma per la libertà della Gallia.

Egli rimetteva la sua vita nelle mani dell'assemblea: era disponibile sia a morire per dare soddisfazione ai Romani, sia ad essere consegnato quale preda di guerra a Cesare. Furono, pertanto, inviati ambasciatori al proconsole romano per trattare le condizioni della resa. La risposta non si fece attendere: dovevano consegnare tutte le armi e presentare i capi della rivolta. Il proconsole romano, che aveva fatto porre il proprio seggio davanti alle fortificazioni («Ipse in munitione pro castris consedit»), accolse la resa dei capi galli e la consegna del comandante sconfitto.[33]

« Vercingetorige, indossata l'armatura più bella, bardò il cavallo, uscì in sella dalla porta della città di Alesia e, fatto un giro attorno a Cesare seduto, scese da cavallo, si spogliò delle armi che indossava e chinatosi ai piedi di Cesare, se ne stette immobile, fino a quando non fu consegnato alle guardie per essere custodito fino al Trionfo. »
(Plutarco, Vite Parallele, Cesare, 27, 9-10.)
« Anche quel famoso re [Vercingetorige, ndr] quale preda per la vittoria, venuto supplice nell'accampamento romano di Cesare, gettò davanti a Cesare il suo cavallo, le sue falere e le sue armi, dicendo: "Prendi, hai vinto un uomo valoroso, tu che sei un uomo valorosissimo!". »
(Floro, Epitome di storia romana, I, 45, 26.)
« Ora Vercingetorige avrebbe potuto scappare, poiché non era stato catturato e non era ferito. Egli sperava, poiché era stato con Cesare in rapporti di amicizia, di poterne ottenere il perdono da lui. Così egli venne da Cesare senza essere annunciato, ma comparendo davanti a lui all'improvviso, mentre Cesare era seduto su di uno scranno come in tribunale, e gettando allarme tra i presenti. Egli avanzò imponente, di alta statura, armato splendidamente. Quando si ristabilì la calma, egli non proferì parola, ma si inginocchiò ed afferrò le mani di Cesare in segno di supplica. Ciò ispirò molta pietà tra i presenti al ricordo della sua iniziale fortuna e nello stato attuale di angoscia in cui versava ora. »
(Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, XL, 41.)


La fine di Alesia segnò la fine della resistenza e del sogno di libertà della Gallia unita. I soldati di Alesia furono fatti prigionieri e in parte assegnati in schiavitù ai legionari di Cesare come bottino di guerra, ad eccezione di ventimila armati facenti parte delle tribù degli Edui e degli Arverni, che furono liberati per salvaguardare l'alleanza dei due più importanti popoli gallici con Roma.[33] Vercingetorige fu rinchiuso nel Carcere Mamertino e nei sei anni successivi rimase nell'attesa di essere esibito nella sfilata trionfale di Cesare, per poi essere strangolato una volta terminata la processione, come era tradizione per i comandanti nemici catturati.[34]

L'inflessibile crudeltà del proconsole verso il capo della coalizione dei Galli, che si era offerto a lui per salvare la sorte delle sue genti con tanto onore e passione, risulta però poco comprensibile allo storico Jérôme Carcopino, il quale sottolinea quanto contrastasse con la fama che Cesare fino a quel momento aveva avuto di uomo clemente. Forse la ragione è da ricercarsi in un profondo rancore che il generale romano nutriva non tanto nei confronti dell'amico che lo aveva tradito, ma quanto nel capo della coalizione che aveva compromesso la sua vittoria finale ed il suo avvenire in un momento tanto difficile della sua vita politica romana.[35]

Per Cesare la vittoria di Alesia costituì il più importante successo militare, tanto che ancora oggi è considerato uno degli esempi di strategia militare più importanti dell'intera storia dell'umanità. Il proconsole romano ottenne questa travolgente vittoria dopo la sconfitta di Gergovia, così come avvenne nel 48 a.C. a Durazzo a cui seguì la fondamentale vittoria di Farsalo nella guerra Civile contro Pompeo. Le sue più importanti e decisive vittorie belliche erano, quindi, maturate da precedenti sconfitte.[36]

L'evento, descritto da diversi autori contemporanei, ma soprattutto dallo stesso Cesare nel suo De bello gallico, fu oggetto di importanti attenzioni da parte del Senato romano, che proclamò venti giorni di festeggiamenti per questa vittoria, pur rifiutando a Cesare l'onore di celebrarne il trionfo. Cosa, peraltro, che Cesare ottenne sul finire della guerra civile che sarebbe seguita.

Roma, che sino ad allora era stata un impero mediterraneo, divenne da questo momento la dominatrice dell'Europa transalpina. Nei decenni che seguirono, vennero sottomesse le Alpi, la Rezia, il Norico e la Britannia, andando a costituire quello che sarà per i secoli successivi il dominio di Roma nel vecchio continente.

A seguito della conquista della Gallia, i suoi destini procedettero parallelamente a quelli di Roma: la Gallia andò via via romanizzandosi attraverso la costruzione di nuove città, strade ed acquedotti, in un sincretismo che diede vita a quella cultura gallo-romana in seguito assimilata anche dagli invasori Franchi e su cui germoglierà il Sacro romano Impero di Carlo Magno.

Ottanta anni dopo la conquista, Claudio avrebbe permesso ai notabili di origine gallica di confluire nel Senato, formalizzando un'integrazione oramai compiuta. Augusto, nel frattempo, aveva diviso la Gallia in diverse province: oltre alla preesistente Narbonense, vennero istituite le province di Aquitania, Lugdunense e Belgica.

La conquista della Gallia, grazie al tramite di Roma, proiettò definitivamente l'Europa continentale nel Mediterraneo; ma né il trionfatore Cesare, né lo sconfitto Vercingetorige poterono essere testimoni fino in fondo delle conseguenze dei loro atti: una morte violenta colse entrambi poco dopo la fine della guerra.

Per molti anni, l'esatta localizzazione della battaglia è rimasta sconosciuta. Le principali ipotesi identificavano Alesia con due città: Alesia nella Franca Contea ed a Alise-Sainte-Reine nella Costa d'oro, dove l'imperatore Napoleone III di Francia, in seguito agli scavi archeologici effettuati tra il 1861 ed il 1865 dal colonnello Stoffel, fece costruire una statua dedicata all'eroe gallico Vercingetorige.[37] Anche se una delle ultime teorie ipotizza una collocazione della battaglia di Alesia a Chaux-des-Crotenay, ai piedi delle montagne del Giura, la localizzazione più probabile rimane, per la maggior parte degli studiosi moderni, quella di Alise-Sainte-Reine, presso il monte Auxonis (418 metri),[38] confermata anche dai recenti scavi archeologici, effettuati da Michel Reddé tra il 1991 ed il 1995, con tanto di documentazione fotografica aerea.[39]


Lungo la controvallazione interna
Gli scavi hanno rivelato considerevoli varianti nelle fortificazioni descritte nel De Bello Gallico di Cesare, a seconda della natura del terreno in cui erano state edificate. Ad esempio, il grande fossato (scavato, secondo la descrizione di Cesare, a quattrocento passi dalla circonvallazione interna) è stato identificato solo lungo il lato occidentale dell'oppidum celtico. Cesare potrebbe, infatti, aver previsto che solo un lato delle fortificazioni, quello posizionato lungo la piana di Laumes, sarebbe stato soggetto alla massima pressione, sia lungo la circonvallazione esterna sia quella interna e sotto gli attacchi contemporanei dell'esercito gallico assediato e di quello di soccorso.[40] Oltre a ciò, per un tratto della "controvallazione" interna, ai piedi del monte Rea, è stata scoperta l'esistenza non già di due bensì di tre fossi: il più lontano dalle fortificazioni romane era posizionato ad una certa distanza dai primi due, quello centrale sembra fosse stato riempito di acqua, mentre il più vicino si presenta con una forma a "V". Al di là di questi tre fossi sono state, inoltre, identificate tracce che potrebbero testimoniare la presenza di rami, forse sormontati da una punta di metallo affilata. Si tratterebbe degli "stimuli" descritti da Cesare, mentre di fronte al campo della fanteria, ai piedi del Monte Rèa, sono state identificati sei ordini di fosse, che potrebbero rappresentare i cosiddetti "gigli". Inoltre, gli ultimi scavi sembrano portare alla conclusione che le torri di guardia fossero posizionate non a ottanta piedi le une dalle altre (pari a ventiquattro-venticinque metri), bensì a circa cinquanta piedi (quattordici-quindici metri), almeno lungo la "controvallazione" occidentale.[41]


Lungo la circonvallazione esterna
La "circonvallazione" esterna presenta, invece, caratteristiche leggermente differenti (sempre lungo la piana di Laumes): due fosse parallele, di cui la più vicina alle fortificazioni romane, aveva forma a "V", mentre la più lontana era larga, con fondo piatto e probabilmente collegata ai due fiumi della regione (l'Ose e l'Oserain). Di fronte a questi due fossi, sono state identificati cinque ordini di fosse, che potrebbero rappresentare i cosiddetti "gigli" di Cesare. Le torri erano invece posizionate a diciotto metri le une dalle altre, non a quindici come quelle della "controvallazione" o a venticinque come ci ha descritto Cesare.[41]


I campi della fanteria
Altri scavi, sempre più approfonditi, sono stati condotti presso due dei quattro campi della fanteria legionaria, che hanno rivelato come questi avessero superfici variabili tra un minimo di due ettari e mezzo e un massimo di nove e mezzo:[42]

nel primo, presso il Monte de Bussy (che Reddé identifica con quello di Tito Labieno[43]), le torri di avvistamento sono posizionate a diciassette metri le une dalle altre, mentre le loro basi sembrano essere quadrati di due metri e mezzo per lato. Le fosse esterne al campo, lungo la "circonvallazione" esterna, sono poco profonde e larghe tre metri e mezzo; le porte esterne, larghe dodici metri, erano difese, in modo del tutto originale, dalla combinazione delle cosiddette protezioni a "titulum" e a "clavicula" dei castrum. Di fronte al campo vi erano inoltre due ordini dei cosiddetti "cippi" descritti da Cesare;
il secondo, ovvero quello di Cesare presso il Monte de Flavigny (il più piccolo tra i castrum della fanteria romana), sembra fosse protetto da dispositivi di artiglieria legionaria.[42]
Il dato essenziale e conclusivo degli scavi compiuti sul sito di Alise-Sainte-Reine è che quanto descritto da Cesare nel suo De Bello Gallico è stato confermato in toto dagli studiosi moderni, i quali nel corso delle campagne di scavo degli ultimi centocinquant'anni - pur rivelando una grande variabilità di forme - hanno messo in luce un sistema di assedio assai complesso e certamente geniale. Gli altri campi ed i diversi settori della "circonvallazione" e "controvallazione" non ancora indagati, e che saranno oggetto di ricerche archeologiche da parte delle prossime generazioni, potranno fornire ulteriori dati per meglio comprendere questo sistema di fortificazioni, definito dagli studiosi moderni "di difesa in profondità".[
sergio.T
00giovedì 8 gennaio 2009 10:06
Nel settimo capitolo del De bellum Gallico, incomincia la narrazione dell'avvicinamento alla resa dei conti.
Le tribu' Galliche, con una coalizione completa agli ordini di Vercingetorige, tentano la carta finale: una ribellione da tutti i confini che permetta loro di svincolarsi alla sottomissione a la dominio romano.
La narrazione gia' frenetica diventa ancora piu' tesa: i preparativi, le strategie, le prime avvisaglie, i primi scontri - tutto insomma - s'incanala verso l'epilogo finale.
L'esercito Romano, formato da ben undici legioni, si compatta a piu' non posso: niente e' lasciato al caso, tutti i preparativi rispettano rigorosamente un ordine delineato, l'assedio finale ad Alesa sara' una macchina schiacciante.
E' un capitolo particolare: un intreccio tra storia, propaganda e pura avventura.
Anzi, di piu': l'intero De bellum Gallico e' qualcosa di piu' di un Commentario storico; sembra di leggere un romanzo nel vero senso della parola, con un unica differenza: qui' la fantasia non c'entra, qui' e' tutto vero.
sergio.T
00giovedì 8 gennaio 2009 10:11
Servio Tullio
Secoli prima, Re Servio Tullio disse: " ogni costituzione politica e' una costituzione militare": ed e' questo quello che si vedra' prossimamente a Roma.
sergio.T
00venerdì 9 gennaio 2009 09:43
Stranamente Cesare non scrive molto della resa dei Galli dopo Alesa.
Anzi, sembra che la cosa rientri nell'ordinaria amministrazione.
Il De bellum Gallico si chiude con l'ottavo capitolo non scritto da Cesare, ma da un soldato che se ne assume il compito un poco ritroso.
Di questa sua incertezza a chiudere il capitolo Gallia, ne scrive a Balbo amico di Cesare.
Nel frattempo , un mese dopo gli ultimi resoconti della guerra Gallica, incomincia il De bellum civili con la lettera di Cesare indirizzata al Senato Romano.
Una successione di eventi di piu' di 9 anni: 9 anni cruciali per la vita politica romana.

D'obbligo a questo punto leggere il quarto volume di Mommsen sulla fondazione della monarchia militare.
E' un punto cruciale nella storia di Roma.
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