Anarchismi

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mujer
00giovedì 1 ottobre 2009 16:47
Signori, adesso sapete chi sono: un ribelle che vive del ricavato dei suoi furti. Di più. Ho incendiato diversi alberghi e difeso la mia libertà contro l'aggressione degli agenti del potere. Ho messo a nudo tutta la mia esistenza di lotta e la sottometto come un problema alle vostre intelligenze. Non riconoscendo a nessuno il diritto di giudicarmi, non imploro né perdono né indulgenza. Non sollecito ciò che odio e che disprezzo. Siete i più forti, disponete di me come meglio credete. Ma prima di separarci, lasciatemi dire l'ultima parola...

Avete chiamato un uomo: ladro e bandito, applicate contro di lui i rigori della legge e vi domandate se poteva essere differentemente. Avete mai visto un ricco farsi rapinatore? Non ne ho mai conosciuti. Io, che non sono né ricco né proprietario, non avevo che queste braccia e un cervello per assicurare la mia conservazione, per cui ho dovuto comportarmi diversamente. La società non mi accordava che tre mezzi di esistenza: il lavoro, mendicità e il furto. Il lavoro, al contrario di ripugnarmi, mi piace. L'uomo non può fare a meno di lavorare: i suoi muscoli, il suo cervello, possiede un insieme di energie che deve smaltire. Ciò che mi ripugnava era di sudare sangue e acqua per un salario, cioè di creare ricchezze dalle quali sarei stato sfruttato. In una parola mi ripugnava di consegnarmi alla prostituzione del lavoro. La mendicità è l'avvilimento, la negazione di ogni dignità. Ogni uomo ha il diritto di godere della vita. "Il diritto a vivere non si mendica, si prende".

Il furto è la restituzione, la ripresa di possesso. Piuttosto di essere chiuso in un'officina come in una prigione, piuttosto di mendicare ciò a cui avevo diritto, ho preferito insorgere e combattere faccia a faccia i miei nemici, facendo la guerra ai ricchi e attaccando i loro beni. Comprendo che avreste preferito che fossi sottomesso alle vostre leggi, che operaio docile avessi creato ricchezze in cambio di un salario miserabile. e che, il corpo sfruttato e il cervello abbrutito, mi fossi lasciato crepare all'angolo di una strada. In quel caso non mi avreste chiamato "bandito cinico" ma "onesto operaio". Adulandomi mi avreste dato la medaglia al lavoro. I preti promettono un paradiso ai loro fedeli, voi siete meno astratti, promettete loro un pezzo di carta.

Vi ringrazio molto di tanta bontà, di tanta gratitudine. Signori! Preferisco essere un cinico cosciente dei suoi diritti che un automa, una cariatide.

Dal momento in cui ebbi possesso della mia coscienza mi sono dato al furto senza alcuno scrupolo. Non accetto la vostra pretesa morale che impone il rispetto della proprietà come una virtù, quando i peggiori ladri sono i proprietari stessi.

Ritenetevi fortunati che questo pregiudizio ha preso forza nel popolo, in quanto è proprio esso il vostro miglior gendarme. Conoscendo l'impotenza della legge, o per meglio dire, della forza, ne avete fatto il più solido dei vostri protettori. Ma state accorti, ogni cosa finisce. Tutto ciò che è costruito dalla forza e dall'astuzia, l'astuzia e la forza possono demolirlo.

Il popolo si evolve continuamente. Istruiti in queste verità, coscienti dei loro diritti, tutti i morti di fame, in una parola tutte le vostre vittime, si armeranno di un "piede di porco" assalendo le vostre case per riprendere le ricchezze che hanno creato e che voi avete rubato. Riflettendo bene, preferiranno correre ogni rischio invece di ingrassarvi gemendo nella miseria. La prigione...i lavori fozati, la prigione...non sono prospettive troppo paurose di fronte ad un'intera vita di abbruttimento, piena di ogni tipo di sofferenze. Il ragazzo che lotta per un pezzo di pane nelle viscere della terra senza mai vedere brillare il sole, può morire da un momento all'altro vittima di un'esplosione di grisou. Il lavoratore che lavora sui tetti, può cadere e ridursi in briciole. Il marinaio conosce il giorno della sua partenza, ignora quando farà ritorno. Numerosi altri operai contraggono malattie fatali nell'esercizio del loro mestiere, si sfibrano, s'avvelenano, s'uccidono nel creare tutto per voi. Fino ai gendarmi, ai poliziotti, alle guardie del corpo, trovano spesso la morte nella lotta ai vostri nemici.

Chiusi nel vostro egoismo, restate scettici davanti a questa visione, non è vero? Il popolo ha paura, voi dite. Noi lo governiamo con il terrore della repressione; se grida, lo gettiamo in prigione; se brontola, lo deportiamo, se si agita lo ghigliottiniamo. Cattivo calcolo, Signori credetemi. Le pene che infliggete non sono un rimedio contro gli atti della rivolta. La repressione invece di essere un rimedio, un palliativo, non fa altro che aggravare il male.

Le misure coercitive non possono che seminare l'odio e la vendetta. È un ciclo fatale. Del resto, fin da quando avete cominciato a tagliare teste, a popolare le prigioni e i penitenziari, avete forse impedito all'odio di manifestarsi? Rispondete! I fatti dimostrano la vostra impotenza. Per quanto mi riguarda sapevo esattamente che la mia condotta non poteva avere altra conclusione che il penitenziario o la ghigliottina, eppure, come vedete, non è questo che mi ha impedito di agire. Se mi sono dato al furto non è per guadagno o per amore del denaro, ma per una questione di principio, di diritto. Preferisco conservare la mia libertà, la mia indipendenza, la mia dignità di uomo, invece di farmi l'artefice della fortuna del mio padrone. In termini più crudi, senza eufemismi, preferisco essere ladro che essere derubato.

Certo anch'io condanno il fatto che un uomo s'impadronisca violentemente e con l'astuzia del frutto dell'altrui lavoro. Ma è proprio per questo che ho fatto la guerra ai ricchi, ladri dei beni dei poveri. Anch'io sarei felice di vivere in una società dove ogni furto sarebbe impossibile. Non approvo il furto, e l'ho impiegato soltanto come mezzo di rivolta per combattere il più iniquo di tutti i furti: la proprietà individuale.

Per eliminare un effetto, bisogna, preventivamente, distruggere la causa. Se esiste il furto è perché "tutto" appartiene solamente a "qualcuno". La lotta scomparirà solo quando gli uomini metteranno in comune gioie e pene, lavori e ricchezze, quando tutto apparterrà a tutti.

Anarchico rivoluzionario, ho fatto la mia rivoluzione, l'anarchia verrà!


Alexandre Marius Jacob
(se vuoi sapere chi è ----> clicca qui
sergio.T
00venerdì 2 ottobre 2009 09:45
Interessante e per un certo verso tutto questo discorso non fa una grinza.
Direi che e' assolutamente logico e fondato.
Ma la faccenda non puo' certamente finire' qui: ci sarebbe molto da discutere.
Tanto per cominciare dal relativismo.
Tutta questa visione di " diritto" nasce da una propria posizione: si e' nati in una certa condizione e da quella condizione si misura il mondo.
Bisognerebbe chiedere al sig. Marius Jacob: " e se nascevi in un altra pancia? ad esempio quella di una famiglia ricca e proprietaria terriera? che avresti fatto? ti saresti derubato da solo? o forse avresti distribuito a piene mani i tuoi possedimenti? prima di rispondere avventatamente e idealmente ricordati che tu stesso dici che un ricco ladro non si e' mai visto. Dunque se ne trae la conclusione che il rubare piu' che da un principio umano nasce da una condizione. Se sovverti la tua condizione , la capovolgi nel suo esatto contrario, sei cosi' sicuro che affermerai lo stesso di quanto sostieni ora? "

Non lo so.
Rimane il fatto, comunuqe, che questo discorso anarchico ha un suo fascino e degli spunti notevoli su cui riflettere.
mujer
00lunedì 16 novembre 2009 10:08
Ho sempre pensato di aprire una discussione su Ivan Illich, non soltanto qui, ma ho notato che si sa poco di lui e non se ne conoscono le grandi doti intellettuali.
Fa parte di quella pedagogia che amo definire anarchica, anche se lui avrebbe schifato questo termine.
Ho trovato questa interessante intervista che lo descrive abbastanza bene, e anche un link da cui scaricare il suo libro Descolarizzare la società che è uno dei miei caposaldi pedagogici.

l'intervista è informale, perciò ancora più interessante



Intervista a Illich
di Francesco Codello
http://www.socialismolibertario.it/Illich.htm

Impossibile. Appena entrato nel salone della Fiera in cui si tiene il convegno mi dicono che è proprio impossibile, che Ivan Illich non concede interviste a nessuno, che rifiuta di servirsi dei mass-media per sottolineare l'importanza della conversazione diretta con la gente, senza mediazioni e mediatori. In effetti, quando è il suo turno di intervento, Illich rifiuta addirittura di servirsi del microfono e di salire sul palco. Se non si parla così - spiega - se non si recupera la parola umana, non vale la pena a mio avviso di parlare di spazi. Se siamo qui in troppi per poter ascoltare un uomo, significa che siamo semplicemente in troppi per poter avere una conversazione: e oltre un certo numero di persone, vi può essere solo quello che possono fare anche le macchine: la comunicazione. Ma non vi può essere conversazione, che è tutt'altra cosa.
Più tardi, nella sosta di mezzogiorno, tra una piadina e un bicchiere di sangiovese, riesco a scambiare qualche battuta con Illich. Altri premono intorno per poterlo intervistare, chi per una radio locale, chi per un giornale - ma Illich non demorde. Si distingue per la sua insistenza una di radio radicale, che illustra ad Illich più di una ragione per farsi intervistare almeno da lei: la più convincente dovrebbe essere il fatto che radio radicale è ascoltata in mezza Italia. Illich si spazientisce e le chiede se davvero lei sia della radio del partito radicale, quello rappresentato in parlamento. Sì, gli risponde l'aspirante intervistatrice, vedendo il suo interesse e sperando di aver fatto colpo. Ma Illich taglia corto: Si vede allora che siete troppo poco radicali!
Riesco comunque a scambiare qualche battuta con Illic. Trascrivo qui di seguito, disordinatamente, alcune risposte che mi ha dato nel corso di questa improvvisata "intervista", a quanti (tanti) volevano sapere tante cose da lui.
Per prima cosa gli ho chiesto se rispetto al libro che lo ha reso famoso in Italia ("Descolarizzare la società") egli abbia mutato qualche sua opinione lì espressa.
No - mi ha risposto - se dovessi riscriverlo oggi riscriverei le stesse cose di allora, tali e quali.
In quanto anarchici noi siamo stati sempre contro la scuola istituzione e favorevoli invece all'apprendimento libero e spontaneo. Anche rispetto alla parte propositiva del tuo libro hai conservato le stesse opinioni?
Sì. Solo che ora ridurrei lo spazio che in esso ho dato a questa parte. Riscriverei quelle stesse cose, però in maniera più sintetica. Erano solo delle idee, delle tracce su cui lavorare e discutere. È inutile, anzi dannoso, voler delineare l'"utopia".
In che rapporto sei con Reimer e in quale eri con Paul Goodman?
Sia io che Reimer possiamo considerarci discepoli di Goodman. Egli è stato il nostro maestro. A lui dobbiamo la nostra formazione. Noi stiamo lavorando su quanto Goodman ha già detto e scritto. È stato un uomo molto importante per noi.
Quando mi diceva queste cose abbozzava un sorriso e andava con la mente ai ricordi. A questo punto mi ha fatto capire che avrei potuto registrare qualche cosa con lui solo parlando di Paul Goodman, il grande pensatore e pedagogista libertario tanto noto negli U.S.A. quanto sconosciuto in Italia.
La situazione del terzo mondo è veramente particolare. Quasi nessuno va a scuola, gli individui non sono scolarizzati. Visti i risultati delle società "progredite" e "scolarizzate", essi possono ritenersi fortunati. Nel CIDOC ad esempio lavorano analfabeti o autodidatti per la maggior parte. Ricordo di un ragazzo che voleva lavorare con noi e resosi conto della necessità di apprendere le lingue, egli da analfabeta divenne poi un buon poliglotta.
Si può quindi dire che in questo senso, tu pensi a quella che proprio Goodman chiamava l'educazione "incidentale"?
Esatto! risponde Illich. Ed io penso che in questo modo abbia risposto anche a una delle obiezioni più frequenti che gli vengono rivolte e che anch'io avevo inserito fra le domande da sottoporgli. Le sue tesi sarebbero, sostengono alcuni tra i suoi critici, probabilmente applicabili alla realtà arretrata e involuta del terzo mondo e non certo alla situazione dei paesi industrialmente avanzati.

Il gruppo a questo punto si sciolse ed io approfittai per avvicinarlo da solo. Dopo qualche battuta sono riuscito a convincerlo a lasciarmi registrare alcuni suoi ricordi intorno a Paul Goodman, ed Illich si è convinto dell'utilità di farlo conoscere anche in Italia, soprattutto tra gli anarchici e i libertari. Siamo usciti dal padiglione e ci siamo diretti verso un'aiuola lì vicino. Ci siamo seduti, sotto un sole primaverile e ho incominciato a registrare.

Le cose che voglio dirti su Goodman, sono alcuni ricordi. Consideravo Goodman, tra il '68 ed il '70, l'uomo con il quale più mi identificavo rispetto all'analisi sulla scuola, e in particolare rispetto al concetto di educazione incidentale, che significa apprendimento motivato e occasionale che nasce proprio da un bisogno contingente. Rifiuto quindi di qualsiasi sistema educativo e scolastico che voglia imporre un'educazione a un gruppo di età qualsiasi. Come ho scritto nell'introduzione di Descolarizzare la società, in questo libro non volevo che ripetere, nel 1970, ciò che Goodman aveva già detto in Complsory Mis-Education.

Tu vuoi qualche ricordo.... La prima volta che ho sentito parlare di lui è stato quando lavoravo, nel '51, in uno slum, in un ghetto portoricano e lottavo contro la mafia italiana che imponeva l'uso della droga a questa povera gente. Sentivo parlare di questo Goodman, che a cento strade di distanza, avanzava la proposta di abolire a tutti i costi ogni legge che proibiva la vendita della droga per evitare quello che ormai è sotto gli occhi di tutti. Goodman diceva queste cose già allora. Tornando a Goodman, egli a causa del suo radicale anarchismo, aveva la capacità di vedere il mondo dal di fuori. Grazie alla sua cultura poetica era anche un grande lirico.... Oltre al sua anarchismo, anche la sua cultura classica contribuiva a porlo al di fuori della società. Era infatti professore di filosofia. Era molto studioso, anche se sembrerà strano, di Kant.
Di Kant? Forse per le concezioni sulla morale come imperativo categorico? Come regola che uno si impone liberamente?
Esattamente. In ogni modo non voglio darti delle interpretazioni di Goodman, solo dei ricordi. Stavo pensando, adesso, alla questione che mi hai posto, su cosa dovresti fare come maestro, insegnante in una scuola. Usa la scuola nella misura del possibile per sedurre, stimolare, invitare i bambini e le bambine a delle conversazioni personali con te. Rispetto a ciò tu non ti senti maestro-impiegato, ma solo te stesso. L'unica possibilità è questa. Avere cioè dei contatti diretti con dei bambini. È una cosa importante, un privilegio, una cosa impossibile all'uomo moderno. Era quello che faceva spesso Goodman. Chiedeva a un gruppo di ragazzi di raccontargli che cosa si ricordassero, in 12-14-16 anni trascorsi a scuola, di importante che ci fosse stato tra loro e il maestro. E le risposte erano del tipo: "Mi ricordo quando ho visto il mio maestro portare fiori alla sua ragazza" oppure, "È stato quando ho incontrato il mio maestro in treno per caso. Mi sono reso conto che è un essere umano", e ancora, "È stato quando dopo la scuola sono andato da lui disperato e mi sono reso conto che lui mi capiva". Questo è un concetto di Goodman.
Ma andiamo avanti. Quando prima mi parlavi della tua esperienza e della tua situazione personale mi sono ricordato di una discussione fra Goodman e Edgard Friedenberg di fronte alla televisione, con moderatore il grande papa educativo tedesco Von Hentig. Friedenberg si rivolse a Goodman: "Non puoi continuare a dire che fare l'educatore è la stessa cosa che fare la puttana, anche se lo stato può legalizzarla. Ieri ti ho visto, ti ho osservato tutto il giorno, star dietro ad una o all'altra persona giovane, parlando, cercando di convincerla di qualche cosa". "Sì, rispose Goodman, ma comportarsi come si comporta un innamorato, prendendomi la responsabilità totale per il mio intervento nella sua intimità e interiorità, non comportandomi come una puttana che si fa dire dalla direttrice della casa, quando, come e con chi...". Questo ti fa forse capire qual'era il metodo di insegnamento di Goodman.
Per certi aspetti sembra il Socrate che va alla ricerca, parla....
Sì. Ma stando con lui avevi l'impressione che non fosse da meno di Socrate. Goodman si batteva sempre per la libertà, in ogni sua forma e manifestazione. Era per la libertà degli studenti di dissentire. Per la libertà degli insegnanti di sovvertire il sistema entro il quale insegnavano, utilizzandolo per fini strettamente personali. Sempre insistendo sulla necessità di una formazione estremamente critica, personale, di colui che si prendeva su di sé la responsabilità di apparire come origine dell'informazione rispetto ai giovani, non lasciando mai all'istituzione il diritto di funzionare come fonte di formazione e di educazione.
Mi sono posto un problema di questo tipo, concependo anch'io l'unica cosa da fare dentro l'istituzione, quella di avere questi contatti personali. Mi è successo però questo. I primi anni di insegnamento, tramite il rapporto che avevo instaurato con loro, i ragazzi venivano a scuola felici mentre prima per loro la scuola era solo un peso, quasi la odiavano. Ma allora sono forse stato uno strumento di "inserimento"?
Sarà.... Tutto dipende se i bambini sono venuti volentieri a scuola oppure se semplicemente sono venuti lì per vedere e stare con te. Ciò si può vedere chiaramente dal giudizio che i tuoi superiori hanno dato di te. Se hai avuto una promozione allora vuol dire che hai reso un servizio alla scuola. Se invece sei stato mandato in un villaggio ancora più piccolo vuol dire che hai fatto quello che dovevi fare....
Solo che qui in Italia le cose non vanno proprio così semplicemente... la repressione è molto più sottile, meno evidente....
Se i bambini sono venuti a scuola dicendo: "Andiamo a scuola, in questo posto orribile, perché lì abbiamo l'occasione di incontrarci con questo tipo", è ben differente che dire: "andiamo a scuola, abbiamo un buon maestro".
Quale segno ha lasciato Goodman nella società americana o in alcune persone?
Potrei fare la lista di almeno 15 persone che sono state profondamente toccate da Goodman e che a loro volta hanno influenzato moltissime altre persone. Certamente Susan Sontag. Non so se tu la conosci. Ha scritto quello che sia io, ma soprattutto Fromm, consideriamo uno dei più grandi articoli scritti negli anni '60 ("L'immaginazione pornografica"). Per capire quello che significa per lei Goodman, basta leggere il suo articolo "Morte di Paul Goodman" che potreste pubblicare. Sarebbe veramente un bell'articolo da pubblicare. Allen Ginsberg, ad esempio, è un altro influenzato da Goodman. Poca gente di quella generazione si è sottratta a questa influenza.... Mi ricordo di Goodman, in una riunione di grandi cervelli (oggi non vi parteciperei più): era seduto accanto al conferenziere e oltre ad un maglione trasandato, aveva per errore lasciato la cerniera dei pantaloni aperta....
Si capisce, vuoi dire, anche dal suo modo di fare com'era profondamente autentico....
Con questo hai già abbastanza.... Mi ricordo quando lo ho accompagnato, un anno prima che morisse, ad acquistare una di quelle pietre che luccicano sott'acqua (si chiamano opal) per Sally (che era la madre della figlia) che tanto amava. Lo sforzo con il quale la cercava, la tenerezza con la quale la cercava, la tenerezza di quell'uomo, nello stesso tempo la tenerezza carnale per uomini e donne, giovani e vecchi... il senso acuto che aveva Goodman, tipico di chi aveva la capacità di aprirsi e di trovare negli altri le fessure attraverso le quali entrare, per far aprire un individuo, per farlo diventare sensitivo, dolce, umano. Era splendido....

chi è Illich

Ivan Illich (Vienna, 4 settembre 1926 – Brema, 2 dicembre 2002) è stato uno scrittore, filosofo, pedagogista e teologo austriaco. Viene però più spesso ricordato come libero pensatore, capace di uscire da qualsiasi schema preconcetto e di anticipare riflessioni affini a quelle altermondiste.

Il suo essenziale interesse fu rivolto all'analisi critica delle forme istituzionali in cui si esprime la società contemporanea, nei più diversi settori (dalla scuola all'economia alla medicina), ispirandosi a criteri di umanizzazione e convivialità, derivati anche dalla fede cristiana, così da poter essere riconosciuto come uno dei maggiori sociologi dei nostri tempi.
Ivan Illich su Wikipedia

sergio.T
00lunedì 16 novembre 2009 10:23
non lo conosco affatto. Leggero'
comesientra
00lunedì 16 novembre 2009 11:11
[SM=g8130]
mujer
00lunedì 16 novembre 2009 11:21
buona lettura! [SM=g10529]
sergio.T
00lunedì 16 novembre 2009 11:47
un po' lunghino.... [SM=g8273]
mujer
00lunedì 16 novembre 2009 12:52
ma come!? sei capace di leggerti centinaia di commenti sugli insulsi blog e passare mattinate intere ad apprendere il nulla...

ah, vero, ti stai convertendo al noir e non hai tempo per il resto! [SM=g8179]
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