Adalbert Stifter

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sergio.T
00martedì 7 luglio 2009 10:44
Tarda Estate

Nel 1857, lo stesso anno in cui in Francia usciva "Madame Bovary", Adalbert Stifter portava a termine il suo grande romanzo "Tarda Estate" ("Der Nachsommer"). Una coincidenza significativa perché anche Stifter, come Flaubert, appartiene alla schiera di quei narratori ottocenteschi, asceti e nello stesso tempo esteti della pagina scritta, che hanno saputo trasferire e trasfigurare con l'eccellenza dello stile le profonde inquietudini della loro epoca.
La pubblicazione di questo capolavoro della letteratura tedesca - uno di quelli che, a giudizio di Nietzsche, andrebbero continuamente riletti -costituisce un avvenimento di notevole rilievo, se consideriamo che si tratta in assoluto della prima traduzione mai apparsa in Italia. Tra i grandi autori austriaci Stifter è rimasto sempre un po' in ombra, recentemente però la sua popolarità è andata crescendo e le traduzioni si sono moltiplicate rapidamente. Non è certo casuale che sinora mancasse ancora all'appello "Tarda Estate", un romanzo cospicuo dal carattere programmaticamente elitario, sia per la vicenda volutamente incolore e spoglia di azione, sia per lo stile ambiguamente limpido, di quella limpidezza austriaca che spesso nasconde la massima profondità alla superficie.
Il romanzo narra la formazione spirituale del giovane Heinrich Drendorf, attraverso la conoscenza scientifica e il senso del bello, nella luminosa cornice della campagna austriaca: luogo della sua educazione è la "casa delle rose", la tenuta del vecchio barone von Risach, in cui la simbiosi ideale di natura e arte sintetizza, attraverso l'idea struggente della stagione declinante, l'aureo tramonto della civiltà europea.
La maturazione del protagonista, la sua 'Menschenwerdung' è coronata da un matrimonio, secondo una consolidata tradizione austriaca, che va dal "Flauto magico" fino ai romanzi di Heimito von Doderer. L'unione di Heinrich e Natalie realizza il sogno d'amore che invece Risach e Matilde, madre di Natalie, non avevano potuto portare a compimento. Natalie è la bellezza che sta per sbocciare, una figura ideale che ha il suo corrispettivo nelle sembianze della statua classica e nel personaggio omerico di Nausicaa. Matilde incarna invece il fascino della bellezza matura al suo declino, simboleggiata dalle rose in piena fioritura e dall'idea stessa della tarda estate. Le due figure femminili rappresentano rispettivamente la passione nascente e quella ormai superata, non la pienezza della felicità appagata e realizzata, sulla cui soglia la vicenda significativamente si arresta. "Tarda Estate" non è solo un libro difficile da tradurre, ma anche, e soprattutto, un libro difficile da leggere, di quelli che fanno discutere a lungo. Un illustre contemporaneo di Stifter, Friedrich Hebbel, prometteva polemicamente la corona di Polonia a chi fosse riuscito a concludere la lettura nel romanzo, ma Thomas Mann si dichiarava soggiogato dall'atmosfera delle pagine stifteriane, in cui anche il sottile senso di noia non fa che accrescere la suggestione di una realtà opaca e misteriosa, malinconicamente chiusa in un enigmatico silenzio. In effetti "Tarda Estate" è un libro dalla durata interminabile, da sinfonia bruckneriana, i tempi sono lentissimi, paragonabili al trascorrere delle stagioni, con frequenti iterazioni di luoghi e situazioni impercettibilmente variati. Domina anche qui quella circolarità, quella sorta di rifiuto dello sviluppo lineare, che sembra essere, sia strutturalmente che contenutisticamente, una delle costanti della grande civiltà austriaca.
Il nitore e la limpidezza della scrittura di Stifter, ma anche il suo andamento a tratti tortuoso e incongruente, vengono felicemente ricreati dalla traduzione italiana. Romanzo inattuale, scritto quasi contro la sua epoca, "Tarda Estate" ritrova oggi per noi un indubbio fascino nella sua commistione singolare di aspetti arcaici e premoderni, ad esempio l'epicità opportunamente sottolineata nella prefazione, e di tratti addirittura postmoderni, che sembrano anticipare certi esiti della letteratura più recente. L'amore dell'aristocrazia europea per la campagna, ossia il filone tradizionale della 'laus ruris', si intreccia con la raffinata cultura estetica del 'Biedermeier', la passione per la natura e la cura del paesaggio con l'interesse antiquario per le vestigia del passato. L'apparente semplicità tematica cela una complessa tessitura di motivi simbolici - dalle rose che ornano la facciata della casa di Risach, alla statua classica conservata nel suo interno - i quali affondano le loro radici nell'humus della grande cultura europea. Tuttavia il mondo di "Tarda Estate" non è totalmente privo di ombre e di inquietitudini, ma cela qualcosa di ambiguo e di sfuggente, di perennemente inespresso. Sotto la superficie apparentemente idillica e rassicurante di quella che Glaser ha definito con ironia una "pensionopolis", ossia una prefigurazione storico-sociologica dell'Austria attuale, dominata da un'osservanza sin troppo pignola e maniacale delle regole, si avverte una sottile inquietitudine, la presenza latente di una insicurezza e di un dubbio radicali, capaci di minare quell'ordine, spalancando l'abisso dell'insensatezza.
L'arte di Stifter è fatta di sottili 'nuances', come quando, parlando dell'esistenza non vissuta di Risach e del suo amore irrealizzato, si limita ad osservare "dolorose erano soltanto le pause", frase quanto mai rivelatrice, nella sua laconicità, dello sforzo compiuto per contenere ogni impulso passionale nei limiti del contegno imposti dal mondo. È quello che Alfred Doppler, mutuando una formulazione di Thamas Bernhard, ha definito una sorta di 'understatement' portato all'eccesso, un'atteggiamento che anticipa tanta letteratura moderna, da Robert Walser a Thomas Bernhard, che ha fatto dell'eccesso l'elemento base della sua lettura della realtà.
Stifter ha scritto di aver voluto rappresentare nel suo romanzo "una vita più profonda e più ricca di quanto avviene normalmente", avvalorando così l'immagine oleografica del poeta della natura, ma la sua onestà e il suo amore scrupoloso per l'esattezza in senso musiliano gli hanno impedito di falsificare la realtà: la natura mantiene tutta la sua inquietante ambiguità, irriducibile alle leggi della ragione. È questa dimensione malinconica, da "idillio tragico", in cui la società del romanzo cerca di addomesticare e di esorcizzare le forze elementari della vita, senza riuscirvi del tutto, a costituire la grandezza e la forza poetica di questo libro.
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