Inizio da Dario Bellezza, voglio rendergli omaggio.
Nato nel 1944 a Roma e morto di aids nel 1996.
Molto amico di Pasolini e di Sandro Penna, trova la sua voce attraverso la poesia, distaccandosi dai purismi e dalle avanguardie tipiche degli anni sessanta in cui vigeva la contestazione ideologica e la rottura, a tutti i costi, degli schemi linguistici tradizionali.
E’, la sua, una poesia autobiografica che si strugge del suo senso di impotenza.
Scrisse anche opere narrative come Lettere da Sodoma (1972), Storia di Nino (1982), L'amore felice (1986), e opere ibride, prosa e poesia, come Angelo (1979).
Angelo e L’amore felice furono ispirati da Elsa Morante che Bellezza definiva "la sua madrina letteraria".
Il suo rapporto con la grande poetessa fu di amore tra un giovane poeta sconosciuto e una signora poetessa affermata ed ebbe un epilogo quanto mai banale, la Morante si sentì tradita perché si riconobbe ne L’angelo descritta "nella sua verità, senza finzioni né di carattere né di età" e, anche se con toni e tinte fiabesche, non gli perdonò di essere raccontata attraverso lo sguardo impietosamente sincero del suo amico, ancor prima che amante.
Secondo Dario Bellezza la storia finì perché "la nostra storia è andata avanti per nove mesi fino a quando una rivista ha pubblicato un mio racconto e lei, che credeva fossi eterosessuale, leggendolo si è accorta che non era così...".
Fino alla fine il poeta renderà omaggio ad Elsa, dichiarando apertamente che la sua ricerca di amore delle origini la legherà per sempre a lei.
Bellezza era molto legato anche a Pier Paolo Pasolini, al quale sarà sempre riconoscente per il suo accrescimento culturale. Il legame si salda soprattutto sul male di vivere, sulla necessità di entrambi di rompere gli schemi della società perbenista e di testimoniare la dissidenza.
Ma se per Pasolini questo sentimento si convertiva in scelte di un vissuto che rompeva le norme e i codici morali, in Bellezza si strutturava nella vox poetica rabbiosa che, nel corso degli anni, si convertì in denuncia rassegnata.
La morte del suo amico segnò profondamente la sua vita e un dolore irreparabile segnerà tutta la sua poetica.
Dario Bellezza si distaccò dalla corrente degli anni ’60 e ’70 che creava una poesia avanguardista, innovativa, progressista o la poesia impegnata politicamente; lui rivendicò il suo verso privato, il suo diritto a parlare di sé, ad essere se stesso.
"Il mare di soggettività sto perlustrando
immemore di ogni altra dimensione.
Quello che il critico vuole non so dare. Solo
oralità invettiva infedeltà codarda petulanza".
Diceva che "[occorre] vivere la poesia e insisto sulla parola vivere, altrimenti la poesia sarebbe vuoto esercizio retorico, informe giostra di parole, ludico ludibrio di sgangherate immagini in libertà".
"Ho paura. Lo ripeto a me stesso
invano. Questa non è poesia né testamento.
Ho paura di morire. Di fronte a questo
che vale cercare le parole per dirlo
meglio. La paura resta, lo stesso".
In questi versi la certezza che la poesia non è eternità né presenza ma radicamento della propria sofferenza dell’esistere.
“Questa non è poesia né testamento” è una bellissima denuncia dell’attuale, oggi e non domani, nessuna profezia, concetto che in Pasolini è invece molto presente segnando così una sostanziale differenza tra l’individualismo di Bellezza e il socialismo di Pasolini.